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I minori corsi d’acqua delle pianure tirreniche

    I minori corsi d’acqua delle pianure tirreniche

    Risalendo la costa campana da Agròpoli verso nord, si incontrano parecchie foci, più distanziate fra loro in corrispondenza delle pianure, più frequenti e marcate nella Penisola Sorrentina. Tra tutte risaltano quelle del Sele e del Volturno, fiumi dei quali ci occuperemo più avanti, mentre per ora ci limiteremo a richiamare l’attenzione sui minori corsi d’acqua che si segnalano per forza erosiva o per portata, per il contributo che danno all’irrigazione o per l’energia che producono.

    Nella piana di Salerno si distingue il Tusciano, che si forma nel cuore dei Monti Picentini e percorre in senso opposto al Calore il grande solco longitudinale che divide in due gruppi l’importante massiccio. È lungo 37 km. ed ha un bacino di 138 kmq. Nella conca di Acerno riceve l’apporto di ricche sorgenti e incide un profondo solco vallivo che sfocia ad Olèvano, dove è sorto anche un impianto idroelettrico. La valle prosegue, ora più, ora meno marcata, fino a Battipaglia, per poi passare nella pianura vera e propria, nella quale il fiume impaludava un tempo e alla quale fornisce ora abbondante acqua per irrigazione.

    Il Picentino è un altro corso d’acqua degno di rilievo, perchè prende il nome dall’antica città di Picentia, i cui resti sono venuti alla luce presso Pontecagnano, cittadina di sviluppo recente, che però si è formata in corrispondenza di uno dei passaggi del fiume, frequentato da tempi antichissimi. Il Picentino ha una lunghezza di circa 25 km., nasce dall’Accèllica e percorre una valle ben marcata fino a Giffoni Valle Piana, da dove si abbassa lentamente in una fertile e lunga conca, finché passa a Pontecagnano nella pianura.

    Il fiume di Salerno è l’Imo, che ha un breve percorso (11 km.) ed ha approfondito l’alveo nei terreni quaternari tufacei e sedimentari. Le sue acque sono utilizzate da varie industrie distribuite nella valle, che trova la naturale continuazione in quella del torrente Solofrana e del Sàbato.

    Dai Monti Lattari scendono impetuosissimi torrenti che ne hanno squarciato i ripidi fianchi con profondissime gole ed hanno inciso fino alla base le terrazze tufacee del versante sorrentino. Alcuni di codesti torrenti alimentano delle cartiere e consentono l’irrigazione degli agrumeti, che si estendono nei fondivalle o si arrampicano sulle falde terrazzate dei monti. Inoltre le loro acque, derivate in capaci vasche, servivano per il passato ad azionare molini da cereali, dei quali si conservano le robuste costruzioni, ora quasi tutte abbandonate.

    Le abbondanti precipitazioni, che cadono sui Monti Lattari spesso sotto forma di rovesci, gonfiano improvvisamente i torrenti che da essi scendono e producono gravi danni alla vegetazione e alle opere umane. Si segnalano per le alluvioni il Rio Molina, che sfocia alla Marina di Vietri sul Mare, e il Reginna Maior, che

    Vedi Anche:  Idrografia superficiale e sotterranea

    scende dalla conca di Tramonti e sfocia a Maiori. Durante la memorabile alluvione del 1954, nella quale parecchie vite umane andarono perdute, il primo provocò gravi danni alle case del suo fondovalle e avanzò nel mare, con una piccola costruzione deltizia, il secondo distrusse molti fabbricati e modificò il contorno della lunga spiaggia di Maiori.

    Tra gli altri torrenti del versante amalfitano è opportuno ricordare il Dragone, che sfocia ad Atrani e si apre la valle profonda e selvaggia tra Ravello e Scala, il Chiarito, che sfocia ad Amalfi e scende con un corso incassato e tortuoso da oltre 1000 m. di altitudine, e soprattutto il Furore, che precipita dall’altopiano di Agèrola entro pareti strapiombanti e termina in una stretta insenatura abbastanza pianeggiante e invasa dal mare, nella quale c’è una piccola spiaggia e trovano posto alcune pittoresche costruzioni a volta e poche barche da pesca. Il vallone del Furore è uno dei più suggestivi della nostra regione per la sua natura selvaggia e per le opere che l’Uomo vi ha costruito per raggiungerne il fondo, per trovarvi riparo e per proteggere le sue barche dalle piene improvvise.

    Altri torrenti, brevissimi ed impetuosi, precipitano dal Monte Sant’Angelo a Tre Pizzi, ne squarciano i ripidi fianchi con solchi profondi e terminano in piccole insenature, dove talvolta trovano posto poche case di pescatori (Marina di Praia) o si formano spiaggette in corso di valorizzazione turistica. Origine e funzioni analoghe hanno anche la Marina di Crapolla e la spiaggia di Recommone, dove sono sorti insediamenti antichi o recenti con funzioni religiose, pescherecce e turistiche.

    Sul versante del Golfo di Napoli l’irruenza dei torrenti è minore, sia perchè sono più lunghi e meno ripidi, sia perchè le precipitazioni sono meno abbondanti. Più marcato nell’estrema sezione della Penisola Sorrentina è il solco del Rivo Grande, che si distingue tra altri minori. Nasce presso Sant’Agata, incide vari banchi di tufo grigio e le soglie calcaree che si interpongono tra di essi e termina con una cascata presso Punta Lagno in una stretta insenatura a pareti verticali, invasa dal mare. Nei tufi della terrazza di Sorrento sono stati aperti vari valloni paralleli, sempre più profondi verso il mare, che per Sorrento hanno avuto un’importante funzione protettiva e costituiscono degli ostacoli naturali, ai quali talvolta si sono appoggiati i limiti amministrativi.

    Dalla sezione più alta dei Monti Lattari scendono due torrenti molto importanti, che si originano sui fianchi del Monte Sant’Angelo a Tre Pizzi con il tributo dei vari torrenti minori e incidono dei valloni, a tratti assai profondi, nelle pile di calcare. Uno di essi sfocia a Seiano, dove ha creato una piccola pianura e una spiaggia, l’altro attraversa l’abitato di Gragnano e raggiunge il mare presso Castellammare. Ambedue conservano un filo d’acqua nei mesi estivi.

    Vedi Anche:  La differenzazione regionale della campania

    Sulla costa tra Castellammare e Napoli sfociano il Sarno e il Sebeto, oltre ad alcuni torrenti temporanei, che scendono dalle falde del Vesuvio e sono noti per il notevole volume di elementi solidi, trasportati durante le piene.

    Il Sarno è uno dei più importanti fiumi della Campania, malgrado la limitata lunghezza (24 km.), sia perchè è abbastanza regolare, sia perchè le sue acque sono

    utilizzate su vasta scala per scopi industriali a Torre Annunziata e per l’irrigazione di una delle più fertili plaghe d’Italia. Esso nasce a m. 30 sul mare da alcune tra le più ricche sorgenti carsiche della nostra regione, alla base delle montagne calcaree che si interpongono tra i Lattari, i Picentini ed il Partenio e cingono ad oriente la pianura circumvesuviana. Scorre tutto in pianura con piccolo salto in corrispondenza di Scafati, dove alcune opere di presa delle sue acque hanno prodotto nel passato frequenti inondazioni.

    Il fiume riceve presso San Marzano il contributo del torrente Solofrana, che ha una lunghezza molto maggiore del suo recipiente. Infatti ha origine su I Mai, passa per Solofra e per la valle di Montoro e percorre il solco intermontano tra Mercato San Severino e Nocera Inferiore. La sua portata è notevole nella stagione delle piogge, perchè proviene da monti molto piovosi, ed è causa degli straripamenti del Sarno. Esso è quasi completamente asciutto in estate, essendo le sue acque utilizzate per scopi irrigui, mentre il Sarno conserva in media una portata di 10 mc/sec. all’idrometro di Scafati nei mesi estivi e non scende neppure in agosto al di sotto di 8 mc./sec., essendo alimentato da sorgenti carsiche a deflusso molto regolare e da ricchi affioramenti subalvei (Langella). L’eruzione del 79 d. C. ne ha deviato il corso, che aveva termine presso Pompei, e ne ha ampliato la pianura.

    Il Sebeto è un fiumicello lungo una decina di chilometri che scorre nella pianura interposta tra il Vesuvio e le colline flegree, ed è ricordato dagli autori classici. E alimentato da varie sorgenti, di cui quella di Bolla è considerata la principale; ma in estate le acque gli vengono sottratte in gran parte per irrigare gli orti rigogliosi della sua piana, ormai in corso di rapida riduzione per l’espansione edilizia.

    I rilievi vulcanici dei Campi Flegrei e delle isole, per la grande permeabilità dei loro terreni e per la limitatezza delle precipitazioni, sono quasi del tutto privi di idrografia superficiale, se si escludono i numerosi solchi aperti nel tufo incoerente (burroni, cupe), che portano acqua solo durante i brevi acquazzoni.

    La pianura tra i Campi Flegrei e il Màssico è attraversata al centro dal Volturno, e da vari corsi d’acqua minori, canalizzati. Essi sono il Cavone Grande, che scende dai Camàldoli, i Regi Lagni, che raccolgono l’acqua dall’Agro Acerrano e Nolano, l’Agnena, che scende dalle falde del Monte Maggiore, e il Savone, che proviene dal solco intercraterico del Roccamonfina e riceve vari torrenti minori, che scendono dalla stessa montagna e ne intaccano i fianchi. Di essi il Rio Fontanelle passa attraverso il piccolo lago di Carinola.

    Vedi Anche:  Napoli

    Questi corsi d’acqua sono stati quasi tutti rettificati e deviati dall’Uomo e sono in comunicazione tra loro con canali secondari. Particolare importanza hanno i Regi Lagni, sia per la lunghezza, sia per i lavori fatti lungo le loro sponde sin dal secolo XVII. Essi si formano nella pianura di Nola con la riunione di vari torrenti che scendono dai monti calcarei circostanti e dal versante esterno del Somma, compiono un arco nella conca di Acerra, dove ricevono altri tributi da sorgenti e dai torrenti che scendono dalla valle di Maddaloni e dalle Forche Caudine, e si aprono la strada per il mare in corrispondenza della soglia che si interpone tra l’alta pianura di Aversa e di Atella e quella di Caserta. Tale soglia ha costituito nei secoli un ostacolo per il deflusso delle acque dalla conca di Acerra, dove, prima della bonifica, si formava un’area pantanosa dal fondo di travertino. I Regi Lagni sono canalizzati per quasi tutta la loro lunghezza, sono pensili in alcuni tratti e provvedono a scolare la pianura a sud del Volturno con l’aiuto di canali laterali e di impianti idrovori.

    L’Agnena è invece il fiume canalizzato della pianura a nord del Volturno ed era il collettore principale dei torrenti provenienti dal Monte Maggiore, dal Roccamonfina e dal Màssico, prima che il Savone fosse avviato al mare con una foce autonoma e assumesse la stessa funzione dell’Agnena per la parte più settentrionale del Piano Campano. Anche a nord del Volturno lo svuotamento della zona depressa retrodunale avviene con l’aiuto di idrovore.

    Il Garigliano è ora un fiume quasi tutto laziale, essendo poco rilevante l’apporto dei torrenti del territorio campano. Esso segna il confine tra la Campania e il Lazio, aprendosi la strada tra il Roccamonfina e gli Aurunci alla stretta di Suio, ed ha un corso ricco di meandri. Contribuisce all’irrigazione della pianura, ma riceve un grande volume d’acqua dal Volturno (15-30 metri cubi al secondo) attraverso gli impianti idroelettrici di Rocca d’Evandro e di Sant’Ambrogio. Tra i suoi tributari campani si distingue il Peccia, che proviene dal Roccamonfina, scorre tra il Monte Cèsima e il Monte Lungo e raggiunge il Garigliano poco a valle della confluenza tra il Liri e il Gari. Nella pianura, oltre a qualche altro torrente che si origina sul Roccamonfina e confluisce nel Garigliano, si può ricordare il Rio Cammarelle, che ne attraversa la parte meridionale e termina direttamente a mare.