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Incremento della popolazione

    Incremento della popolazione.

    Le variazioni della popolazione, su cui ci siamo soffermati, dipendono dall’incremento naturale di essa e dal saldo attivo o passivo tra emigrazione ed immigrazione. Riservandoci di accennare più avanti a questi fenomeni, è opportuno che ora richiamiamo per un momento l’attenzione sul movimento naturale della popolazione, per seguirne il ritmo di aumento.

    E noto che nel corso dell’ultimo secolo si è avuta la graduale riduzione da un lato della natalità, dall’altro della mortalità. Il fenomeno interessa ovviamente anche la Campania, con la differenza che, mentre la mortalità si è ridotta nel giro di quasi un secolo a meno di un terzo (29 per mille nel quinquennio 1881-85; 8,8 in quello 1956-60), la natalità ha subito una flessione molto minore, passando da 38 a 24 per mille rispettivamente nei due quinquenni considerati.

    Ecco perchè l’incremento naturale della popolazione è andato gradualmente aumentando, passando da 9 per mille nel quinquennio 1881-86 a 14 per mille in quello 1931-35 e ad oltre 15 per mille nell’ultimo quinquennio ricordato.

    In un trentennio si è registrata una riduzione di circa un terzo tanto per il quoziente di natalità che per quello di mortalità, ma, mentre il primo rimane sensibilmente superiore alla media nazionale, che è di 9,4 per mille, il secondo ne è leggermente inferiore.

    La Campania è una regione con forte eccedenza dei nati sui morti. Questa si è attenuata solo negli anni di guerra per il considerevole aumento dei secondi e per la

    riduzione dei primi, fino ad assumere addirittura valori negativi. Nelle zone soggette a spopolamento si risentono gli effetti della diminuita natalità, in conseguenza della partenza dei giovani, e l’equilibrio tra popolazione e risorse si va realizzando da una parte con l’esodo di un certo numero di abitanti, dall’altra con la minore prolificità di quelli rimasti; in quelle di immigrazione gli aumenti demografici sono più cospicui per l’afflusso di persone dall’esterno e per l’aumento della natalità.

    La provincia di Benevento, dalla quale l’esodo della popolazione è stato maggiore, ha registrato anche il minore incremento annuo (io,6 per mille) nel quinquennio 1956-60; quella di Avellino ha subito un incremento leggermente superiore (11,8 nel quinquennio considerato). Le province di Caserta, di Salerno e di Napoli si dispongono in ordine per l’incremento naturale della popolazione ed hanno valori uguali o superiori alla media regionale.

    La provincia di Napoli si colloca tra quelle italiane ai primissimi posti per natalità (25,6 per mille nel quinquennio considerato) e agli ultimi per mortalità, per cui il suo quoziente di accrescimento è assai elevato in senso assoluto (16,1 per mille) e relativamente alle altre province.

    Il fattore naturale dell’aumento della popolazione, costituito dalle nascite, acquista un’importanza grandissima per tutta la Campania, e in particolare per la zona litoranea e pianeggiante. Il forte incremento naturale della popolazione nella pianura campana e nella regione intorno al Golfo di Napoli, che manda un’appendice verso Salerno e Battipaglia, e il movimento immigratorio, non trascurabile, determinano un grande affollamento in alcune zone, già assai popolate, e pongono gravi problemi di ordine sociale ed economico che agitano la mente dei politici e dei pianificatori e che richiedono, per essere risolti, attenti studi e comune lavoro di economisti, urbanisti, geografi e sociologi, nel quadro di una politica programmata che superi i ristretti limiti amministrativi e gli interessi locali.

    Densità e distribuzione della popolazione.

    La Campania è la regione più densamente abitata d’Italia; ma nel suo ambito la popolazione è distribuita in misura molto eterogenea ed ha modi di abitare e condizioni di vita assai diversi da un luogo all’altro.

    Vedi Anche:  Forme di attivita economica, utilizzazione delle risorse del suolo

    La provincia di Napoli, a causa della presenza della metropoli partenopea e di altre cospicue città lungo la costa e nell’interno, registra la più alta densità, non soltanto nella Campania, ma nell’Italia tutta, in quanto il valore di 2061 abitanti per kmq. nel 1961 è poco meno che doppio di quello di Milano e di Trieste, che sono le due province italiane più fittamente abitate dopo quella di Napoli.

    Nelle altre province della nostra regione si registrano densità molto più basse, che sono abbastanza considerevoli per quelle di Caserta e di Salerno (224 e 185 abitanti per kmq. rispettivamente nel 1961) e risultano uguali o inferiori alla media nazionale per quelle di Avellino (169 ab. per kmq.) e di Benevento (152 ab. per kmq.).

    Questi valori rivestono scarsa importanza geografica, perchè ci danno un’idea piuttosto vaga della distribuzione della popolazione nelle diverse parti della regione. I calcoli della densità sulla base dei dati comunali relativi alla popolazione residente del 1961, apparsi recentemente, ci consentono di indicare le zone dove essa raggiunge i valori estremi. Sui gruppi montuosi della provincia di Salerno, e in particolare del Cilento, parecchi comuni hanno densità molto bassa (Valle dell’Angelo, 21 ab. per kmq.; Sanza e Corleto Monforte, 25; Ottati, 29; Càmpora e Casaletto Spartano, 35; Laviano, 40). Nelle altre parti della regione, se si esclude la montagna del Matese, dove il comune di San Gregorio registra 25 ab. per kmq., quello di

     

    Pietraroia 32 ab. per kmq. e quello di Letino 36 ab. per kmq., rarissimamente si hanno densità comunali inferiori a 50 ab. per kmq. (Senerchia, 41 ; Castelfranco in Miscano, 46; Castel Volturno, 45). La distribuzione di tali basse densità è in stretta relazione con quella dei principali massicci calcarei e delle colline terziarie dai terreni meno stabili, dove la forma prevalente di utilizzazione del suolo è data dal pascolo e dal bosco.

    La densità relativamente bassa delle pianure bonificate di recente, a differenza di quella delle zone montagnose e collinari, è suscettibile di considerevoli ulteriori aumenti, a mano a mano che la conquista del suolo alle colture diventa più completa e si moltiplicano le attività industriali e terziarie.

    Nella provincia di Napoli solo per il comune di Roccaraìnola, che si estende in gran parte su monti calcarei, si registra una densità inferiore a 300 ab. per kmq.,

    altrove si hanno valori assai superiori. Per quanto riguarda le più alte densità comunali ci limitiamo a ricordare quelle dei comuni capoluoghi di provincia e di alcuni altri della zona più fittamente abitata della regione. Il comune di Benevento, che ha una notevole superficie, registra una densità di 426 ab. per kmq. ; quello di Avellino ne registra una di 1375, a causa della sua limitata estensione; Caserta conta sul suo territorio comunale 898 ab. per kmq. La popolazione del comune di Salerno ha subito in un decennio un grande aumento, sia nei valori assoluti, che in quelli relativi (1554 ab. per kmq. nel 1951, 2013 nel 1961).

    La regione partenopea, che si estende ad arco intorno al Golfo di Napoli e manda larghi cunei verso l’interno, ha una densità di oltre 4000 ab. per kmq., la quale, se si escludesse la popolazione del territorio comunale di Napoli, si ridurrebbe a circa la metà. Tale densità raggiunge i valori più elevati, in primo luogo nei comuni di Pòrtici (11.144 ab. per kmq.) e di Napoli (10.086) e, in secondo luogo, in quelli di Torre Annunziata (7967), di Frattamaggiore (5642), di San Giorgio a Cremano (5456), di A versa (4620) e successivamente di Castellammare di Stabia (3648), di Arzano (3385), di Sant’Antimo (3143) e di numerosi altri comuni entro e fuori i limiti della provincia. Tra questi ultimi si segnalano Pagani con 2114 ab. per kmq. e Nocera Inferiore con 2064.

    Vedi Anche:  Il Vallo di Diano

    I valori della densità sono legati all’estensione delle singole unità amministrative e devono essere considerati con la dovuta cautela: perciò assume maggiore interesse geografico la distribuzione della popolazione sparsa ed accentrata, su cui ci riserviamo di fermare l’attenzione nel capitolo seguente.

    L’emigrazione transoceanica.

    Abbiamo accennato di sfuggita, nelle pagine precedenti, agli spostamenti della popolazione nelle varie parti della Campania, ai fattori naturali, demografici ed economici, che, nelle diverse epoche, li hanno originati e ad alcuni effetti demografici nelle zone di spopolamento e in quelle di richiamo della regione.

    Gli spostamenti di popolazione poggiano di solito su una catena di fattori che talvolta si influenzano a vicenda. Essi traggono sostegno per lo più da cause economiche, cioè da una rottura di equilibrio tra esigenze della popolazione e risorse e da un tasso di sviluppo economico inferiore rispetto a quello di altre regioni e all’incremento demografico locale. La differente possibilità di incrementare la ricchezza nelle zone collinari e montuose e in quelle pianeggianti, o nelle città, è uno stimolo a lasciare la montagna o la campagna e a trasferirsi nella pianura o in città, dai luoghi dove le forze di lavoro sono esuberanti ed i salari bassi a quelli dove le prime sono meno abbondanti e i secondi più alti.

    Finché la nostra pianura era poco ospitale ed acquitrinosa e le città non consentivano una facile occupazione e non lasciavano sperare uno sviluppo di ricchezza e finché la prospettiva di trovar lavoro in Italia e in altri paesi europei non erano molto rosee, la popolazione delle nostre province prevalentemente collinari e montuose ha tratto nuove fonti di reddito dalla coltivazione delle terre sottratte al bosco e al pascolo o dall’allevamento delle pecore con stagionali trasferimenti dal monte al piano malarico e viceversa, originando il noto fenomeno della transumanza.

    Quando poi la pressione demografica è diventata eccessiva e il graduale impoverimento delle terre e del mantello boschivo compensava sempre peggio le diuturne fatiche dei contadini, allora i paesi d’oltremare, aperti al popolamento e alla colonizzazione, sono stati per essi i centri di attrazione. Ha avuto origine allora il movimento emigratorio, del quale è possibile seguire il ritmo dal 1876 fino ai nostri giorni. Si sogliono distinguere due periodi, uno fino alla seconda guerra mondiale, caratterizzato dalla forte emigrazione transoceanica, e l’altro degli ultimi decenni in cui si è sviluppata la corrente emigratoria verso le regioni dell’Italia settentrionale e i paesi europei.

    Ci soffermeremo per un momento sull’emigrazione transoceanica, per la quale consideriamo i dati fino al 1925, anche perchè quelli posteriori sono mal confrontabili con i precedenti per le considerevoli modificazioni territoriali della regione e delle sue province. Nell’apposita tabella sono riportati i dati relativi di quinquennio in quinquennio

    L’emigrazione dalla regione, entro i limiti anteriori allo smembramento della provincia di Caserta, è cresciuta gradualmente da poche migliaia all’anno ad alcune decine di migliaia nel primo decennio del nostro secolo. La prima guerra mondiale segnò l’inizio della flessione, che si è andata accentuando negli anni successivi. L’emigrazione complessiva di circa 30.000 persone nel quinquennio 1876-80 si raddoppiò in quello successivo e fu di oltre 190.000 unità nell’ultimo quinquennio del secolo scorso. Il primo decennio di questo secolo vide partire dalla Campania 650.000 persone, cioè la quarta parte circa della sua popolazione. L’esodo conservò ancora per qualche anno lo stesso ritmo, finché venne bruscamente interrotto dallo scoppio della guerra.

    Vedi Anche:  Il Taburno

    Un confronto tra i dati complessivi e quelli relativi all’emigrazione transoceanica ci permette di constatare che oltre l’8o% degli emigranti del periodo eroico della nostra emigrazione era diretto ai paesi transoceanici. Infatti il flusso emigratorio verso le altre parti del mondo nel cinquantennio considerato ha un’importanza molto minore ed è rimasto comunque contenuto entro limiti piuttosto modesti, anche per la provincia di Napoli, dalla quale ha sempre conservato una certa consistenza.

    Se consideriamo le province di origine del fenomeno emigratorio in quel periodo, constatiamo che esso diventò presto notevole per quella di Salerno, mentre si mantenne piuttosto basso per quelle di Napoli, di Caserta e di Benevento fin quasi all’inizio di questo secolo. Le preoccupazioni che avevano cominciato ad agitare

    le popolazioni del Salernitano sin dalla prima metà del secolo scorso si sono fatte urgenti più tardi per gli abitanti delle altre province della Campania.

    E avvenuta la saturazione di estese zone montane e collinari delle province di Avellino, di Caserta e di Benevento e si sono da esse originate massicce correnti emigratorie quasi tutte verso i paesi transoceanici. In breve tempo il flusso emigratorio dalle province di Caserta e di Avellino ha assunto maggiore consistenza di quello di Salerno, il quale ha subito minori oscillazioni, quasi che l’anticipata corrente emigratoria rispetto alle altre province avesse contribuito ad alleggerire la pressione demografica e a rendere meno instabile l’equilibrio preesistente.

    L’emigrazione è stata superiore all’incremento demografico naturale della popolazione nelle province di Caserta, di Benevento, di Avellino e di Salerno nel primo decennio del nostro secolo, ma per l’affermarsi delle correnti immigratorie la loro

    popolazione ha subito lievi aumenti. Poiché la massa degli emigranti era costituita da uomini in età piuttosto giovane, non potevano mancare gli effetti sulla composizione per sesso ed età e sul movimento naturale della popolazione delle zone da dove il flusso emigratorio è stato maggiore. Le rimesse degli emigranti e le ricchezze affluite nelle nostre provincie con i rimpatriati hanno contribuito a sollevare le sorti di molta parte delle campagne, dove si sono verificate notevoli modificazioni nella domanda e nell’offerta di mano d’opera, e quindi nei salari. Gli investimenti nell’agricoltura si sono accresciuti ed hanno determinato un aumento delle proprietà fondiarie, ma soprattutto sensibili miglioramenti agrari e la diffusione di colture legnose ed erbacee a più alto reddito: l’esperienza acquisita all’estero ha giovato all’economia agricola ed ha avuto riflessi sulla vita sociale.

    Si è avvertita infine la convenienza di migliorare i sistemi colturali e si è sentito il bisogno di lasciare gli antri bui e maleodoranti per sedi più accoglienti. Gli insediamenti sparsi si sono moltiplicati dappertutto e hanno assunto un aspetto talvolta civettuolo, la terra acquistata col sudore e con grandi sacrifici fatti all’estero è diventata oggetto di assidue cure ed è stata terrazzata e coltivata ad agrumi, a vite, ad olivo e ad altre colture legnose ed erbacee.