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Modi di abitare della popolazione

    Modi di abitare della popolazione

    La Campania presenta grandi contrasti nelle varie sue parti non solo per la densità e la distribuzione della popolazione, ma anche per il diverso modo di abitare di essa. Questo si può’ mettere in relazione con la natura dei terreni e con la loro morfologia, con la distribuzione delle sorgenti, con la profondità della falda freatica e con altri fenomeni geografici, ma dipende in misura notevole da fatti storico-sociali. Il centro rurale compatto, il casale o la corte isolata e le case disseminate sui poderi, come per altro i centri e le città arroccate su cocuzzoli o chiuse entro mura, i centri e le città aperte, le ville e le residenze isolate indicano di solito tappe successive dell’evoluzione delle forme dell’insediamento sparso e accentrato. Esse sono in relazione con una maggiore sicurezza sociale, con un miglioramento generale delle condizioni di vita degli abitanti delle campagne e delle città e con una migliore organizzazione dello spazio terrestre, in cui l’Uomo si insedia.

    Purtroppo non riesce agevole seguire attraverso i dati dei nostri censimenti le variazioni della popolazione sparsa, perchè i criteri adottati nella rilevazione di essa sono cambiati col tempo e i dati pubblicati risultano mal comparabili tra loro. Perciò ci limiteremo ad illustrare la situazione risultante dal censimento del 1951, sebbene non sia inopportuno ricordare che la dispersione degli insediamenti è piuttosto remota nella zona intorno al Golfo di Napoli, dove la sicurezza è stata maggiore, l’agricoltura più intensiva, il regime feudale pressoché assente, il frazionamento della proprietà terriera molto remoto, la viabilità più sviluppata.

    Nell’interno il fenomeno è relativamente recente e si è manifestato attraverso la costruzione di case con torre, di palazzi padronali e di grandi masserie, mentre nelle zone di bonifica ha avuto luogo negli ultimi decenni, e non per spontanea espansione dei centri nelle campagne, ma per organici interventi dall’esterno, come prova la regolare distribuzione delle case sparse e dei centri di servizio.

    Non potendo ancora disporre dei dati dell’ultimo censimento della popolazione, è necessario che risaliamo a quello precedente, riservandoci di integrarli con qualche ulteriore osservazione derivante dalla conoscenza diretta della regione. Nel 1951 la popolazione residente nei centri, cioè negli aggregati di case forniti di un luogo di raccolta e di servizi o di esercizi pubblici, assommava a 3.620.179 persone; quella dei nuclei, cioè degli aggregati di case privi degli elementi caratterizzatori dei centri, comprendeva 192.437 persone e quella delle case sparse 533.648 abitanti. La popolazione residente nei centri, rilevata statisticamente nel 1951, corrispondeva all’83, 2% di quella complessiva, mentre nei nuclei ne viveva il 4»4% e nelle case sparse il 12,3%.

    aumento delle case sui campi coltivati e conseguentemente della popolazione sparsa, che però non abbiamo elementi sicuri per valutare con sufficiente approssimazione. Nelle altre la popolazione accentrata ha un’importanza molto maggiore rispetto a quella sparsa, ma esistono differenze assai grandi da una zona all’altra.

     

     

     

    La popolazione sparsa raggiunge le più alte percentuali rispetto a quella accentrata nella Penisola Sorrentina, sulle falde del Vesuvio e nella pianura circumvesuviana, nei Campi Flegrei e nelle isole, sul Roccamonfina, nella zona pedemontana del Taburno e del Matese, nelle valli del Sàbato e del Calore Irpino, sulle colline intorno alla Piana del Sele e nel Cilento storico. Essa risulta addirittura superiore alla popolazione accentrata in parecchi comuni, non solo delle province di Benevento (Cusano Mutri, Morcone, Torrecuso) e di Avellino (Ariano Irpino, Conza della Campania, Frigento), ma anche di quelle di Caserta (Caiazzo, Roccamonfina), di Salerno (Olèvano sul Tusciano, Palomonte) e di Napoli (Agèrola, Quarto). In numerosi altri comuni, specie delle conche interne, come pure delle zone costiere (Barano, Massa Lubrense, San Gennaro Vesuviano) la popolazione sparsa e quella accentrata risultano quasi uguali.

    Occorre anche ricordare che in alcune aree la popolazione sparsa manca quasi del tutto. Si tratta in particolare di zone di alta montagna, del Matese o del Cilento, e di alcune valli adriatiche (Fortore, Ofanto), dove predominano terreni poco stabili e scarseggiano le sorgenti e i pozzi, oppure del Piano Campano, dove la popolazione rifugge dalle parti più basse e si addensa in grossi agglomerati nell’alta pianura permeabile, che presenta una falda freatica non superficiale, ma non eccessivamente profonda.

    Per quanto riguarda la densità della popolazione sparsa o raccolta in nuclei, si può stimare che sia superiore a 100 persone per kmq. nelle valli del Sàbato e del Calore e in tutta la corona di terre intorno al Golfo di Napoli, ma supera i 200 abitanti per kmq. nelle conche di Avellino e di Quarto e nell’Agro Nolano e Sarnese, e anche i 300 nella valle del Sarno, nella parte sud-occidentale dei Campi Flegrei e sulle falde occidentali del Vesuvio. La zona degli orti registra densità anche più alte, fin oltre 500 abitanti per kmq., che sono da considerare veramente eccezionali e non trovano riscontro in altre parti d’Italia.

    La popolazione mostra spiccata tendenza ad abitare in case sparse nelle zone irrigue e in quelle collinari non troppo instabili ed imprime con codesto diverso modo

     

     

    di abitare una nota distintiva al paesaggio derivante dalla diffusione degli insediamenti di piccole dimensioni. Questi, attraverso i loro colori e le loro forme, contribuiscono a renderlo più vario e sono una prova di un maggiore equilibrio tra l’Uomo e la natura, in un ambiente più accogliente e dinamico dal punto di vista agrario, e di un maggiore adeguamento alle nuove realtà economiche e sociali.

    La carta della distribuzione della popolazione accentrata e sparsa vuole dare un quadro chiaro e preciso del fenomeno nelle varie parti della regione. Le aree prive di insediamenti sono abbastanza estese e comprendono i maggiori massicci calcarei (Matese, Taburno, Partenio, Picentini, Marzano, Alburno, Cervati, Lattari) e il cono del Vesuvio. Attraverso la successione delle aree prive di simboli si distingue bene anche quella delle montagne ricordate; dall’altra parte l’allineamento degli agglomerati e la distribuzione della popolazione sparsa lungo alcune direttrici tradiscono la presenza di grandi solchi intermontani longitudinali e trasversali dell’Appennino, i quali, specie se sono piuttosto larghi e rivestiti di fertile terreno agrario, esercitano una notevole forza attrattiva sugli insediamenti.

    Nel Cilento mancano grossi agglomerati e la popolazione sparsa è più numerosa nella sezione occidentale; nel Vallo di Diano i centri sorgono sulle pendici dei monti o alla loro base e le case sparse, diventate sempre più numerose dopo la bonifica, sono richiamate verso le parti più asciutte del piano, quali la conoide di deiezione di Teggiano e la zona pedemontana della Catena della Maddalena.

    Nelle conche interne e su buona parte dell’Appennino Sannita sia le case sparse che i centri si distribuiscono con una certa uniformità, ma hanno prescelto maggiormente la conca caudina e la fertile valle del Sàbato, dove accanto ai capoluoghi di provincia si contano numerosi agglomerati minori e molte case sparse. Nella media valle del Volturno si nota, tra i due versanti, una differente distribuzione degli insediamenti, i quali sono richiamati nella zona pedemontana e sulle falde basse del Matese per la più favorevole esposizione e per la presenza di ricche sorgenti. Tra i rilievi preappenninici ed antiappenninici si distinguono la montagna vulcanica del Roccamonfina, sui cui fianchi si dispongono in giro molti centri e case sparse, i Campi Flegrei, picchiettati da una miriade di case sparse e ricoperti alla periferia da estesi quartieri urbani, il Vesuvio, circondato alla base da una corona pressoché continua di grossi e piccoli agglomerati e da un numero straordinario di case sparse, molto diverse per grandezza e per forma, i Lattari, nei quali la popolazione accentrata e sparsa si addensa su terrazze e pianori, e i rilievi delle isole, che sulle falde, nelle selle e intorno alla base sono ravvivati da case sparse, da casali e da centri tipici. L’addensamento maggiore di case sparse e di centri si ritrova nella pianura del Sarno, con appendici fino a Salerno, attraverso i solchi di Cava dei Tirreni e di Mercato San Severino, nella zona litoranea intorno al Golfo di Napoli, nella fascia pedemontana del Vesuvio e nell’Agro Nolano e Mariglianese. Notevole è l’infittirsi di centri, più o meno grossi, presso le falde dei Campi Flegrei e dei Tifata e in due zone del Piano Campano, piuttosto salubri nel passato e separate tra loro dal solco, già acquitrinoso e malarico, percorso dai Regi Lagni e tuttora repulsivo per gli insediamenti. Le pianure bonificate e valorizzate nei tempi recenti sono molto scarsamente abitate, con popolazione accentrata e sparsa in rapido aumento, sicché la situazione odierna è sensibilmente diversa da quella di un decennio addietro, sia per il potenziamento dell’agricoltura con la diffusione dell’irrigazione, sia per la valorizzazione turistica e commerciale della zona costiera, dove si sussegue una catena pressoché continua di marine in rapido sviluppo.

    L’insediamento sparso.

    La rappresentazione della popolazione sparsa mette in evidenza anche la diversa importanza che assumono nelle varie parti della Campania le case e i nuclei disseminati. Poiché tale forma di insediamento è strettamente legata al mondo rurale, i suoi tipi principali corrispondono a quelli delle case rurali sparse, le quali conservano i caratteri stilistici tradizionali, si adeguano strutturalmente alle esigenze delle aziende, in cui sono inserite, e risentono l’influenza delle condizioni ambientali, naturali e sociali.

    L’insediamento accentrato ha talvolta caratteri e funzioni prevalentemente rurali, ma più di frequente conserva alcune impronte delle attività secondarie e terziarie, che diventano preminenti nelle vere città.

    Occorre però segnalare l’importanza dell’insediamento sparso con funzioni non rurali, o solo in minore misura rurali, delle terre intorno al Golfo di Napoli. Qui fin da tempi molto remoti sono sorte sedi di riposo o di rifugio per l’aristocrazia e per la borghesia ricca, inserite spesso in fondi rustici di piccole o grandi dimensioni. Sono queste le grandi case padronali delle zone collinari e suburbane e le note ville flegree o vesuviane, moltiplicatesi specialmente dal XVII secolo. Nei tempi più recenti l’insediamento sparso non rurale è andato assumendo sempre maggiore importanza, con l’incremento del turismo, con l’infittirsi della rete stradale e con l’aumento dei mezzi di trasporto. Tutta la zona costiera è interessata in modo straordinario dallo sviluppo di questa forma di insediamento, come anche parecchie zone montane e collinari. Le case sparse non rurali risentono di più l’influsso dell’architettura cittadina, delle moderne tecniche costruttive e delle nuove correnti stilistiche. Tuttavia la maggior parte dell’insediamento sparso è costituita da case rurali, per cui le caratteristiche strutturali e formali di queste converrà brevemente considerare.

    Vedi Anche:  Forme di attivita economica, utilizzazione delle risorse del suolo

    Le differenti condizioni climatiche, in relazione anche all’altitudine e all’esposizione, influiscono sulle forme esteriori delle case rurali, favorendo la costruzione di scale, ora esterne, ora interne, e la diffusione di tetti a volta o a terrazza, di tegole o di scandole. Le diverse forme di utilizzazione del suolo e il diverso frazionamento fondiario e colturale determinano un maggiore o minore sviluppo dei servizi rustici, con conseguenti ripercussioni sulla mole della casa. Nè mancano influssi di culture o di stili estranei alla Campania, che in essa sono stati assimilati e rielaborati. Le modificazioni sociali ed economiche, posteriori alla costruzione delle case, hanno alterato in molti casi i caratteri originari e l’organica funzionalità delle sue varie parti, ma raramente li hanno cancellati del tutto.

    economiche. Accanto alle dimore ipogee dell’isola d’Ischia e alle capanne del Piano Campano, troviamo i palazzi padronali della zona collinare circumpartenopea, la grande casa a corte della pianura, le dimore unicellulari e le case a due piani sovrapposti, tutte di età e grandezza diverse, quali più vetuste, quali più moderne, che animano il paesaggio con i loro colori e con le loro forme, differenti per dimensioni, per il tipo dei tetti e per la posizione delle scale. La casa con colombaia e la masseria turrita delle zone interne e le grandi costruzioni della Piana del Sele si mescolano a minori fabbricati a due piani, e i centri stessi ricevono una caratterizzazione urbanistica dalla frequenza delle torri colombarie e da altri elementi formali e strutturali.

     

     

    La casa con tetto a volta e a terrazza trova la maggiore diffusione nella regione circumpartenopea, sulla Costiera Amalfitana e nella pianura nolana e sarnese. E tipica delle zone più asciutte, ben ventilate, esposte a mezzogiorno o protette a distanza ravvicinata da dorsali montuose contro i venti freddi continentali. Infatti sul versante sud-occidentale del Vesuvio le case hanno per la quasi totalità tetti a volta o a terrazza, su quello nord-orientale prevalgono i tetti di tegole. Analoghe differenze si riscontrano anche nella Penisola Sorrentina tra i due versanti e tra le falde esposte a sud e le terrazze o i pianori più umidi. Nella pianura circumvesuviana il tetto a terrazza diventa più comune a mano a mano che ci si avvicina alla base dei rilievi che la circondano a nordest e prevale nettamente nella zona costiera e nel territorio di Sarno e di Roccaraìnola. Cunei di case a volta o a terrazza penetrano in alcune valli del Preappennino e si spingono dai Campi Flegrei nella vicina pianura, specialmente verso Arzano e Afragola. Nel Piano Campano la casa col tetto di tegole prende presto il predominio, già nel territorio di Aversa e di Acerra; pochi altri esemplari di tetti a terrazza si possono osservare presso la base del Monte Maggiore.

    Le case a volta sono tipiche delle isole, del versante amalfitano della Penisola Sorrentina e del territorio tra Torre del Greco, Torre Annunziata e Terziglio, ma si ritrovano abbastanza diffuse nella sezione occidentale dei Campi Flegrei per influenza dell’architettura procidana, nelle zone più protette e asciutte del versante napoletano della Penisola Sorrentina (Vico Equense, Meta, Massa Lubrense), per influenza dell’architettura di Amalfi, di Positano e di Capri e sulle falde occidentali del Vesuvio. Gruppi secondari di case a volta si rinvengono a Lèttere, nella valle del Sarno, a Santa Maria a Vico e a Dugenta.

    Molti studiosi hanno tentato di spiegare l’origine della casa a volta e ne hanno illustrato i caratteri essenziali, per cui rimandiamo al volume sulla casa rurale in Campania per la letteratura, la discussione e le conclusioni. Ad un primo esame sembra ricollegarsi a modelli bizantini ed arabi e ripete motivi orientali rielaborati e perfezionati attraverso l’esperienza dei costruttori campani; ma trova sul posto lontani modelli nelle costruzioni romane litoranee, per quanto riguarda le strutture portanti, le volte e l’impermeabilizzazione, come testimoniano ancora le cupole delle terme di Baia, il cui battuto ha ricevuto notevole tempera durante due millenni.

    Le case a volta attuali si ricollegano a pregevoli modelli medioevali, aulici o religiosi, non ancora profondamente intaccati dal logorio del tempo, poco aggiungendo alla equilibrata composizione architettonica di essi e alla tecnica costruttrice dei maestri muratori di quei lontani secoli.

     

    Furono il rifiorire dei commerci in parecchi centri costieri campani, lo splendore del ducato di Salerno e l’afflusso di cospicue ricchezze in quella città, ad Amalfi, a Sorrento e altrove ad originare, nei secoli a cavallo tra il primo ed il secondo millennio dell’èra di Cristo, uno sviluppo edilizio eccezionale sulla Costiera Amalfitana, che si ripercosse sul litorale circumpartenopeo, continentale e insulare, e in modo particolare sui centri più fiorenti di esso. Fu probabilmente legato a tale sviluppo edilizio il perfezionamento dell’arte muraria col conseguente impiego del battuto di lapillo per pavimentare e impermeabilizzare e fu, quindi, merito dei costruttori campani l’aver creato fabbricaci a volta solidissimi, ispirandosi forse ai monumenti antichi, tanto numerosi lungo le nostre sponde, e allora ancora in buono stato di conservazione. Ma fu di essi un merito anche maggiore l’essere riusciti a preparare uno strato impermeabilizzante, capace di sfidare i secoli, con una materia prima locale abbondantissima, leggera e poco costosa, cioè col lapillo.

    La casa a volta si inquadra in un ambiente naturale dal clima particolarmente favorevole e dalla presenza sul posto di materiali vulcanici adatti alla costruzione di muri robusti, di volte leggere e di uno strato impermeabilizzante resistente. Scarsa umidità in relazione alla grande serenità del cielo e alla breve stagione piovosa, mancanza di eccessi termici invernali, materiali abbondanti e vari (calcare, roccia lavica compatta e porosa, tufo, lapillo, sabbia) sul posto, o poco lontano da scali marittimi, sembrano i fattori principali che hanno favorito la costruzione di tali case, tipiche delle marine e sparsesi pure nelle campagne, prive di strutture lignee e non soggette ad incendi. Le scale esterne, gli archi rampanti, le arcate di rinforzo verso valle o verso il mare, le terrazze e le volte, diverse per forma ed altezza, sono elementi distintivi di notevole interesse architettonico.

    Nel territorio di Agèrola e di Tramonti, come anche in qualche altro comune limitrofo, i tetti erano di scandole fino a qualche decennio addietro, ma in questi ultimi anni la sostituzione delle scandole con tegole è stata rapida e pressoché totale.

    Della pianura campana e circumvesuviana sono tipiche le case a corte, che costituiscono le cellule del tessuto urbano dei vari agglomerati della pianura, sia che si sviluppino a catena lungo le strade e rimangano legate ai fondi retrostanti, sia che le maglie create dalla rete delle strade siano raffittite da sviluppi edilizi extra-agricoli. La casa a corte ha una struttura chiusa, con cortile recinto dalle ali del fabbricato o in parte da un muro perimetrale e con grandi portoni di accesso dalla strada e dal fondo, tali da permettere il transito ai carri con carichi voluminosi (fieno, canapa).

    Le case a corte isolate sono poche, se si escludono le zone pedemontane del Vesuvio e dei Campi Flegrei; quelle con cortili più ampi e portoni più alti si ritrovano nelle zone canapicole, a nord e a sud dei Regi Lagni, e alla periferia delle aree già pascolative del Piano Campano. Nell’Agro Atellano e Afragolese le corti presentano una maggiore ricchezza architettonica e una notevole varietà e si ricollegano a modelli dallo stile più nobile e curato. Ne sono una prova gli archi, le scale, i balconi, le colonnine di sostegno alle tettoie che proteggono le terrazze, i puteali, le ringhiere lavorate e altri elementi ancora. Nel Nolano invece le corti diventano più semplici e più povere.

    La corte ha perduto nella maggior parte dei casi la sua funzione rurale originaria, quando rientrava in una grande azienda ed aveva una differenziazione funzionale interna. Ora è diventata per lo più sede di molte famiglie dedite ad attività diverse, senza una gerarchia e senza ordine, con tutte le deleterie conseguenze igieniche cui si è accennato. Molte case a corte sono andate sempre più perdendo il loro carattere rurale e la struttura chiusa, non più richiesti dalle mutate condizioni sociali.

    Nella regione partenopea spiccano tra le altre le case padronali, isolate, in posizione eccentrica in fondi recinti o riunite con altre intorno ad una piazza a formare dei casali, senza perdere la loro individualità. Sono per lo più case di villeggiatura estiva con un piano per il coltivatore e uno per il proprietario, con molteplici servizi rustici in relazione alla complessità delle colture, con terrazze degradanti e notevoli elementi stilistici di importazione dalla città. Molte conservano ancora la loro importanza nella Penisola Sorrentina e nelle isole, altre sono state assorbite dalle aree urbane in espansione, specie intorno a Napoli e sulle basse falde vesuviane, altre infine, private dei fondi, sono diventate civili abitazioni ripartite in vari appartamenti.

    Nella Piana del Sele si distinguono tra le numerose case di bonifica le grandi costruzioni rurali legate ad un’economia agricola estensiva e all’allevamento del

    bufalo, mentre sulle dorsali collinari che si dipartono dai plessi montuosi del Cilento e dell’Appennino Sannita dominano le case con torri colombarie, testimonianze anche esse di condizioni sociali ed economiche particolari. La colombaia compare in alcune recenti costruzioni rurali del Sannio con funzione ornamentale, ma l’allevamento dei colombi nell’apposita sovrastruttura rispondeva alle esigenze di distinzione e di svago venatorio dell’aristocrazia terriera e della nuova classe borghese ricca, che nei secoli XVIII e XIX ha investito cospicui capitali nei fondi rustici e nella costruzione di case di campagna, e si inquadrava in un’economia agricola prevalentemente pascolativa, in cui il colombo traeva alimento dai prodotti spontanei senza danneggiare le colture e forniva ottima carne e buon concime azotato. L’allevamento dei colombi su vasta scala è da far risalire forse ai lontani Longobardi, i quali nella caccia di essi potevano mettere in evidenza le loro qualità di guerrieri. L’invenzione del fucile ne rinnovò la tradizione; ma le grandi trasformazioni fondiarie e colturali degli ultimi cento anni hanno contribuito sensibilmente a ridurne l’importanza.

    Sull’Appennino Sannita e sue diramazioni è molto frequente la masseria, che comunemente si inserisce in aziende di discreta ampiezza, con salariati, e si presenta di dimensioni notevoli e turrita, con colombaia dalle più strane fogge.

    Vedi Anche:  Le sorgenti

    con un ampliamento della planimetria del primo piano. Nelle aree di bonifica (Piano Campano, Piana del Sele) il tipo presenta una grande uniformità strutturale e formale, e le case sono distribuite a distanza pressoché uguale lungo determinate direttrici.

    Nella pianura asciutta numerose sono le dimore a pianterreno, raramente in case isolate e più frequentemente ricavate intorno ad una corte, dove molto comuni sono

     

     

    anche le dimore unicellulari. L’insufficiente numero dei locali del rustico è integrato dalle capanne, che corredano molte case di pianura e delle colline argillose interne. Dimore a pianterreno e capanne sono presenti anche nelle zone ad economia silvo-pastorale e assumono la funzione di ricoveri temporanei e stagionali tanto nelle zone di montagna, quanto in quelle di pianura umida.

    La casa rurale in Campania presenta aspetti molto interessanti per le strette relazioni con l’ambiente naturale, per i motivi derivati dall’architettura colta delle città o da modelli estranei alla regione, per il suo adeguamento alle condizioni sociali ed economico-agrarie delle varie parti di essa, per la caratterizzazione urbanistica che ne ricevono molti agglomerati della pianura e delle zone collinari e montane.

    Forme di insediamento. Centri.

    Tra le case sparse ed i grossi centri si distinguono varie altre forme di insediamento, nelle quali si notano sensibili differenze tra un tipo e l’altro. Ciò vale per le case rurali, ma anche per i centri. Alla regolare distribuzione delle case nelle aree di bonifica fa riscontro quella piuttosto uniforme delle zone orticole; il loro allineamento nella fascia pedemontana delle valli, delle conche e delle pianure trova analogia

    con quello sulle dorsali collinari argillose, dove le case sono richiamate da strade o sentieri e da una relativa stabilità dei terreni. Nell’un caso e nell’altro condizioni ambientali profondamente diverse hanno originato un insediamento rurale distribuito in modo uniforme o secondo particolari direttrici. Altre forme d’insediamento sono date dalla diversa aggregazione e distribuzione dei tipi principali di casa rurale.

    I nuclei sono un’entità demografica, perchè derivano dalla riunione di un certo numero di famiglie e non corrispondono a tipi particolari d’insediamento. Essi si possono presentare come edifici isolati per più famiglie (case a corte della pianura, grandi masserie dell’interno e della zona costiera) o come gruppi di case allineate su dorsali, lungo una strada, o raccolti intorno ad uno spiazzo. Si forma in tal caso il casale, cioè un insieme di case destinato di frequente a diventare centro, che in molti casi ha assunto o sta assumendo i caratteri propri del centro. Esso è una forma d’insediamento molto comune in tutta la zona collinare e pianeggiante intorno al Golfo di Napoli e si ritrova nelle valli preappenniniche e nelle conche interne

     

     

     

    (valli di Montoro e di Serino). Il casale costituisce un agglomerato di case, prima che un gruppo di famiglie, con funzioni e dimensioni diverse.

    In quelle parti della pianura, dove manca la corte, non sono infrequenti gruppi di case allineate lungo una strada o disposte in vario modo ai crocicchi. Talvolta in tali nuclei si distingue una maggiore costruzione che ha richiamato le altre minori.

    Il centro è un agglomerato più completo, perchè fornito di parecchi servizi, più funzionale, più vario strutturalmente e più complesso. Dei centri si possono fare parecchie classificazioni a seconda che si considerino la loro vitalità, il numero e le attività degli abitanti, il sito, lo sviluppo e la caratterizzazione urbanistica. La Campania ce ne offre numerosi esempi. In essa si possono, infatti, ricordare centri scomparsi (Cuma, Picentia, Paestum, Velia, Pompei, Ercolano, Sinuessa, Stabiae,

    Eclano, Cales, Suèssula, Telese, Mastrati, San Pietro Infine, Marzanello Vecchio e numerosi altri); e di nuova creazione (Battipaglia, Faito, Lìcola, Laceno); altri sono risorti presso le rovine dei vecchi centri (Calvi Risorta, Telese, Patria, Orta d’Atella, Baia, Santa Maria Capua Vètere), assumendo spesso funzioni diverse.

    Alcuni centri hanno conservato una continuità nel tempo, come Napoli, Pozzuoli, Sorrento, Salerno, Benevento, Sessa Aurunca, altri si sono ripresi dopo lunghi periodi di decadenza o di abbandono, come Nola, Nocera, Capua antica; alcuni sono di origine antichissima, come un certo numero di quelli ricordati, parecchi sono sorti nel Medio Evo ed hanno presto raggiunto notevole splendore, come Amalfi, Ravello, Cava dei Tirreni, Agròpoli, Capaccio e tanti altri dell’interno; altri ancora sono di fondazione più recente (Caserta, Pompei) o vanno sorgendo sotto i nostri occhi con la valorizzazione turistica delle zone costiere.

    Per alcuni centri il ciclo della vita si è concluso col definitivo abbandono, graduale o improvviso, per molti altri, specie delle zone collinari e montuose, la decadenza, iniziata con la partenza degli antichi signori, i cui castelli solo eccezionalmente si sono salvati dal logorio del tempo, è continuata dopo, almeno dal punto di vista urbanistico, per accentuarsi in questi ultimi decenni con l’esodo

     

     

    della popolazione. Ad altri, invece, ha dato una grande vitalità ed un rapido sviluppo il risanamento delle zone circostanti, come, ad esempio, ad Eboli, a Mondragone, a Castel Volturno, a Villa Literno.

    Molti centri collinari, di pendio, di poggio o di cocuzzolo, hanno perduto importanza con il trasferimento della popolazione nella zona pianeggiante pedemontana o sulle rive del mare. E questo un fenomeno abbastanza frequente nell’età moderna, e ancor più ai nostri giorni. Numerosi esempi di decadenza dei centri collinari, per la creazione di altri alla base delle colline, ci sono offerti dalla fascia periferica della pianura campana e della Piana del Sele e da quella costiera del Cilento, dove si sono sviluppate numerose marine. Diversi sono i rapporti tra i centri di terrazza della Penisola Sorrentina e le relative marine, borghi marinari dalla vita autonoma, non privi di importanza commerciale e peschereccia nel passato, ed ora essenzialmente turistici e balneari.

    Per quanto riguarda il sito topografico e la posizione geografica dei vari centri, si possono indicare molteplici tipi. Il mare ha esercitato, se si esclude la parentesi del Medio Evo, sempre una grande attrazione, non solo per le condizioni climatiche più favorevoli e per il fascino derivante dal contatto dell’elemento liquido con quello solido, ma anche per le possibilità di vita che esso offre con l’esercizio della pesca e del commercio. Si può pertanto affermare che non vi è insenatura abbastanza ben protetta o piccolo golfo, sulle cui sponde l’Uomo non si sia insediato e non abbia costruito delle città fortificate, quando non mancava un promontorio adatto alla difesa.

    Siti preferiti nelle aree argillose, dove i fondivalle appaiono poco sicuri e repulsivi per l’insediamento e i versanti delle colline interessati da fenomeni franosi, sono le dorsali, i poggi e i cocuzzoli, costituiti da rocce più stabili. In tali casi la posizione del centro è abbastanza favorevole per lo sfruttamento dei due versanti, che di frequente hanno esposizione e colture diverse, e per i rapporti con i centri vicini tra i quali le strade di collegamento sono tortuose e si allontanano poco dallo spartiacque. Per tali centri gli inconvenienti maggiori derivano dal limitato spazio, dalla minaccia di frane, dal pericolo dell’isolamento e dall’esposizione a tutti i venti, quando manchi una protezione, a distanza, di qualche alta dorsale.

    Anche sui rilievi calcarei non mancano centri di poggio, di sperone o di cocuzzolo, ma prevalgono quelli che si sono sviluppati sul pendio, anche se sono sorti in origine su un poggio o su un cocuzzolo, all’ombra di un castello o di una chiesa. I toponimi tradiscono spesso la loro posizione, perchè sono derivati dal monte, dalla rocca o dal castello intorno a cui si sono formati.

    Non rari i centri di sella o di valico (Ariano Irpino, Mirabella Eclano, Stio, Sant’Agata sui due Golfi, Capri), richiamati dalla facilità di rapporti tra opposti versanti e dalla maggiore stabilità del terreno. Pochi i centri di conche carsiche o ai loro margini (Gallo, Letino, Volturara Irpina, Buccino, San Gregorio Magno, Sanza) e quelli di fondovalle (Benevento, Ponte, Apice, Faicchio, Mercato San Severino).

    I centri della Campania calcarea si trovano distribuiti per la maggior parte nella zona di transizione tra i terreni terziari o quaternari, argillosi o alluvionali, e quelli secondari, calcarei e più stabili. Essi si susseguono come tanti anelli di una catena alla periferia delle montagne calcaree, a una certa altitudine, sorgono di solito su speroni o su appendici di esse ed occupano una posizione abbastanza favorevole per la presenza di sorgenti e perchè sono orientati economicamente verso l’alto, cioè verso le montagne calcaree dove si trovano boschi, pascoli e notevoli estensioni di terreno arabile, e verso il basso, cioè verso le valli i cui versanti sono adatti a colture miste, erbacee e legnose. I centri di questo tipo sono parecchie decine nella nostra regione e si sviluppano linearmente lungo le strade o a gradini sul declivio del monte.

    Dove la rottura del pendio è più marcata, per il rapido passaggio dal monte al piano o al fondovalle pianeggiante (Vallo di Diano, valle del Volturno), l’insediamento, sia accentrato che sparso, è richiamato nella zona pedemontana, più permeabile, dove la falda acquifera è poco profonda o affiorante. Le sorgenti, infatti, influiscono sensibilmente sulla localizzazione dei centri abitati, perchè assicurano ai loro abitanti il rifornimento di un elemento indispensabile alla loro vita. Ne sono una prova Piedimonte d’Alife, Telese, Serino, Sarno, Caposele e altri che dall’acqua hanno preso il nome (Aquara, Acquara).

    Sui rilievi vulcanici l’insediamento accentrato, come quello sparso, si spinge fino a notevole altitudine, dove la montagna può essere coltivata, come sul Roccamonfina e sull’Epomeo, mentre si limita alla zona pedemontana e alle falde più basse del

    Vesuvio, sia per le frequenti minacce del vulcano, sia per il richiamo esercitato dalle vie di comunicazione, dalla fertilità dei terreni e talvolta da una falda freatica non eccessivamente profonda.

    Nelle pianure i centri hanno preferito le parti più asciutte e più salubri e la fascia pedemontana, nella quale le popolazioni si sono trasferite da quelli sorti sui monti vicini per andare ad occupare le terre da cui i loro lontani antenati erano stati respinti nel Medio Evo dalle incursioni frequenti, dalla malaria e dalle alluvioni.

    Notevole è anche il richiamo di terrazze marine (Sorrento, Vico Equense) o fluviali (Sant’Agata dei Goti), di speroni interfluviali (Avellino, Sessa Aurunca), di triangoli di confluenza (Benevento), di meandri (Capua), per la protezione naturale che i corsi d’acqua offrono agli insediamenti. I solchi vallivi, che intaccano i primi rilievi dell’Appennino e sono abbastanza fertili e non soggetti ad alluvioni, rappresentano zone di grande attrazione per gli insediamenti. In essi si sono sviluppati numerosi centri di notevole importanza. Tra le valli di questo genere meritano di essere segnalate anzitutto quella di Arienzo-San Felice, per la quale si passa nella Valle Caudina, quella di Baiano, che al di là dello spartiacque continua fino ad Avellino,

    Vedi Anche:  Il popolamento della Campania nelle età preistoriche

    quella di Làuro, che trova la continuazione nella conca di Forino e di Contrada, quella segnata dal torrente Solofrana con appendici verso Siano e verso Calvànico, che si espande nella conca di Montoro e di Solofra per continuare verso nord nella valle del Sàbato (Serino) e verso sud nel solco dell’Imo (Salerno), quella del Picen-tino e dei suoi affluenti.

    La diversa esposizione dei versanti, come agisce sulla distribuzione degli insediamenti sparsi, così influisce su quella dei centri, i quali preferiscono le falde delle montagne esposte a sud e si espandono sui pendii più assolati, sia perchè sono meglio

    protetti dai venti freddi e meno umidi, sia perchè godono di condizioni termiche migliori per la minore inclinazione dei raggi del sole e per la più lunga durata dell’insolazione. Ciò ha una grande importanza per i centri posti a notevole altitudine.

    La rete stradale ha condizionato in pianura la distribuzione e l’espansione di molti agglomerati, ma la strada ha esercitato una notevole influenza anche sullo sviluppo di molti centri interni. Si vuol richiamare l’attenzione in particolare su Solopaca, S. Nicola La Strada, Cerreto Sannita e Avellino.

    Considerando le funzioni preminenti dei centri campani, è possibile riconoscere nella maggior parte di essi una funzione prevalentemente agricolo-pastorale, specie nell’interno, nel Cilento e in alcune parti della pianura, ma numerosi sono anche i centri con funzioni pescherecce (Cetara, Santa Maria di Castellabate, Acciaroli), balneari (Lìcola, Patria, Lucrino, Lacco Ameno), termali (Telese, Casamìcciola), marinari (Meta di Sorrento, Pròcida), turistici (Positano, Amalfi, Capri), religiosi (Materdòmini), industriali (Casoria, San Giovanni a Teduccio).

    Di solito all’attività prevalente se ne associano altre di notevole interesse, fino a rendere piuttosto complessa la struttura economica dei centri maggiori e a far loro assumere il carattere di città vere e proprie, in cui si associano e si integrano attività commerciali, industriali, amministrative, religiose e così via.

    Non è raro il caso di centri con due funzioni principali ben distinte, come, ad esempio, agricola e commerciale (Giugliano, Pagani, Battipaglia, Nola), religiosa e turistica (Pompei), turistica e peschereccia (Sapri), agricola e turistica (Agèrola, Mon-dragone), agricola e industriale (Pomigliano d’Arco, Piedimonte d’Alife, Scafati).

     

     

    I centri con una economia più differenziata, oltre ai capoluoghi di provincia, sono Castellammare di Stabia, Nocera Inferiore, Torre Annunziata, Torre del Greco, Pozzuoli, Aversa, Capua, Santa Maria Capua Vètere; sono insomma le maggiori città, di cui si farà un cenno più avanti.

    L’esame dei caratteri urbanistici principali ci porta a riconoscere vari altri tipi di centri sulla base della differenziazione strutturale e funzionale interna, dei predominanti aspetti paesistici, delle tendenze di sviluppo e degli interventi che sul tessuto urbanistico originario sono stati fatti con l’inserimento o col potenziamento dell’industria. Il tracciato delle strade, le cerchie murarie, le costruzioni claustrali, le corti, i monumenti sacri e profani, le torri e i castelli, le strutture industriali sono elementi architettonici significativi che valgono a differenziare il paesaggio di molti agglomerati, con la diversa combinazione di tali componenti.

    I centri si possono presentare a struttura urbanistica chiusa o aperta e frequentemente con una parte più vecchia compatta, in cui vicoli stretti si intrecciano

    ortogonalmente od obliquamente, e con una parte più moderna aperta, caratterizzata da sviluppi lineari e da una più razionale distribuzione degli edifìci e delle strade o degli spazi verdi. Centri a struttura compatta con trama radiale od ortogonale, con maglie regolari o irregolari, e con cinta muraria si possono considerare il nucleo di Napoli, di Salerno, di Benevento e di Aversa, Alife, Nola, Sorrento.

    Anche molti centri di pendio o di poggio hanno una struttura urbanistica compatta. Tra i tanti basta ricordare Morcone, S. Bartolomeo in Caldo, San Giorgio La Molara, Frigento, Calitri, Campagna, Atena Lucana e Positano. In essi le case sono disposte a catena secondo le varie zone altimetriche e sono separate da strade più o meno strette, collegate tra loro da gradinate perpendicolari alle curve di livello, che talvolta traforano con arcate le costruzioni.

    Una notevole compattezza presenta anche la maggior parte dei centri della pianura, i quali di solito hanno una trama a maglie ortogonali e una struttura omogenea, perchè il tessuto urbanistico è formato da tante cellule costituite da corti chiuse, che si susseguono a catena ininterrotta lungo le strade. La maggior parte dei centri dell’Agro Campano e del Nolano ricevono dalle corti una inconfondibile caratterizzazione urbanistica, anche se queste si differenziano sensibilmente da un luogo all’altro dal punto di vista stilistico e architettonico. I pochi elementi diversi (campanili, chiese, stabilimenti industriali), emergenti qua e là, sono una prova dell’importanza che hanno avuto gli sviluppi extra-agricoli in tali agglomerati. Essi ne arricchiscono il paesaggio con colori diversi e con forme tipiche dell’architettura ecclesiastica, aulica e industriale.

     

     

    Ovunque si avverte il bisogno di un elemento differenziatore, sia esso costituito dal castello medioevale, spesso minante, dalla cattedrale e dal suo campanile più o meno tozzo, prismatico o piramidale, da un torrione o da un semplice palazzo signorile. Talvolta è un elemento naturale che si associa a quello architettonico o lo sostituisce, e può essere rappresentato da una roccia (Civetta di Piaggine), da una grotta (Pertosa, Castelcìvita, Capri), da uno scoglio (Faraglioni, Fungo di Lacco Ameno), da un albero (tiglio di Pimonte), da una montagna forata (Montepertuso), senza parlare di quegli elementi accessori, naturali o artificiali, che entrano nel paesaggio di alcuni centri o città, diventandone parte essenziale. Valga per tutte l’esempio del Vesuvio o dei pini di Posìllipo per la città di Napoli.

    I centri, formatisi intorno ad un castello nell’età di mezzo e nel Rinascimento, sono moltissimi nella Campania; ma basta ricordarne solo alcuni, come Riardo, Pietramelara, Castelpoto, Laviano, Valva, Rocca Cilento, Pisciotta, Policastro, Casa-puzzano, Làuro. In parecchi di questi il castello conserva tuttora una grande importanza, ma talvolta esso è un accessorio che ha vissuto una vita autonoma rispetto a quella dei centri, come a Capua, a Calvi, a Lèttere, ad Acerra e, in minore misura, a Mercato San Severino, a Salerno e a Castellammare di Stabia. In molti casi ha perduto presto la sua funzione di difesa, perchè gli abitanti del centro vicino hanno fondato un nuovo agglomerato nel piano e vi si sono in gran numero trasferiti (Mad-daloni, Nola, Palma Campania). Talvolta è rimasto un episodio isolato (Schiava).

    Non è infrequente la tendenza allo sviluppo lungo le principali direttrici del traffico, tanto nei centri con struttura originaria aperta, come a Sant’Antonio Abate, quanto in quelli con struttura originaria chiusa, come a Scafati e ad Angri.

    « Un carattere tipico dei nuclei collinari è la chiara distinzione tra centro civile e centro ecclesiastico, quasi a riflettere la contrapposizione tra due autorità, alleate nei confronti di una popolazione, del resto sottomessa, ma autolimitantisi nelle rispettive sfere d’influenza», scrive il Beguinot per la valle del Sarno; ma ciò vale anche per altre parti della Campania. Vico Equense, Massa Lubrense, Lèttere, Tramonti e così via conservano da una parte una evidente impronta conventuale negli alti muri claustrali e nelle massicce fabbriche dei monasteri, dall’altra tracce altrettanto notevoli del potere laico nel castello, nelle case con torri di difesa o in altre grandi costruzioni, per le quali la decorazione sulla parte abitata dai signori esprime uno stile aulico e costituisce un motivo di distinzione rispetto alle dimore dei meno abbienti.

    Castello e cattedrale o convento sono i segni superstiti dei due domini e si ritrovano in quasi tutti i maggiori centri della Campania, ma anche in alcuni minori, come a Padula, a Massa Lubrense, a Capri e a Teano. Moltissimi ricevono la caratterizzazione urbanistica specialmente dal castello, che trae spesso origine dalla ripartizione angioina del territorio in contee; alcuni altri recano l’impronta dell’autorità religiosa, come Falciano presso Caserta, Cava dei Tirreni e Pompei.

    Nei centri turistici e residenziali o balneari gli elementi del paesaggio presentano una maggiore varietà per l’alto rapporto tra spazi verdi e spazi occupati da fabbricati, per le differenze architettoniche delle varie costruzioni e per il moltiplicarsi degli elementi decorativi. Grandi alberghi, parchi, ville arieggianti lo stile delle costruzioni classiche o aventi le più ardite forme che l’arte costruttiva moderna consenta, costituiscono altrettanti elementi differenziatori di questo o di quel centro turistico o balneare.

    Gli alberghi che si ergono sull’orlo della terrazza di Sorrento, le ville di Capri e di Ravello, con statue e pergolati, sono segni oltremodo distintivi dei tre importanti centri turistici campani.

    La pianura ci offre parecchi esempi di centri doppi, che avevano un tempo nuclei distinti e separati, ma che si sono successivamente avvicinati o saldati, con la loro espansione urbana. È questo il caso di San Cipriano d’Aversa e Casal di Principe, di Marcianise e Capodrise, di Trèntola e Ducenta, di Grumo Nevano e Fratta-maggiore e, anche se meno evidente, di Cardito e Caivano, di Villaricca e Giugliano, di Marano e Calvizzano, come pure di Boscoreale e Boscotrecase, di Pagani e Nocera Inferiore e di alcuni altri centri costieri. Al contrario per alcuni agglomerati di crocicchio, come Casoria, e fortemente differenziati nella struttura, come Aversa, si sarebbe portati a vedere una duplicità di nuclei piuttosto che una formazione unitaria.

    Nei centri agricoli e industriali sussiste talvolta una stretta interdipendenza tra economia rurale e struttura industriale, come, ad esempio, a Frattamaggiore, a Nocera Inferiore, a Battipaglia, nel senso che in essi si provvede alla lavorazione, alla trasformazione o alla conservazione dei prodotti agricoli (canapa, tabacco, pomodori, ortaggi, frutta).

    In pochi centri minori (Casoria, Pomigliano d’Arco) e nella maggior parte delle principali città le strutture industriali interessano settori produttivi indipendenti dall’agricoltura e meritano un esame più approfondito, che verrà fatto nella pagine seguenti.