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insediamento urbano e rurale

    L’insediamento urbano e rurale

    Modi e forme deirinsediamento

    I modi e le forme con i quali si manifesta l’insediamento umano rappresentano anche in Lombardia, come altrove, il risultato dell’influsso di numerosissimi fattori. Di questi, alcuni, quali ad esempio i naturali, hanno agito e agiscono durevolmente, sebbene in modo diverso da luogo a luogo in relazione al loro modificarsi nello spazio, altri, quali ad esempio quelli più strettamente legati alla società umana, hanno agito e agiscono talvolta solo temporaneamente o solo localmente. Pertanto nei modi e nelle forme d’insediamento, che la natura di un luogo ha consentito e suggerito, non è impossibile discernere impronte che rappresentano una singolarità di tempo e di spazio. Da questa breve considerazione scaturisce di necessità una evidente deduzione, ossia che le differenze altimetriche, morfologiche, pedologiche, idrologiche e climatiche in genere tra la pianura e la collina e soprattutto tra queste e la montagna, già poste in evidenza, non possono non essere state fondamentali nel differenziare i modi e le forme d’insediamento nel nostro territorio lombardo. Ma l’insediamento non ci mostra soltanto tale influenza, ma anche quella dei fattori che sono connessi alla struttura della società nei diversi momenti storici. E bensì vero che questi non sono tutti e del tutto indipendenti dall’ambiente naturale (basti considerare, ad esempio, il legame intercorrente tra l’ambiente naturale e gli ordinamenti colturali e fondiari, che ebbero larghi riflessi sull’insediamento rispondente, anche in Lombardia, almeno in passato, ad esigenze prevalentemente rurali); ma ve ne sono anche del tutto indipendenti dall’ambiente naturale e che non possono essere obliati. Non sarebbe possibile spiegarsi, ad esempio, una delle manifestazioni più caratteristiche dell’insediamento lombardo, quello a corte della pianura, espressione probabilmente delle più intime tendenze della società medioevale. Altrettanto non ci si potrebbe spiegare la rapida e profonda trasformazione che caratterizza il paesaggio umano nel nostro tempo. Or senza voler pretendere di affrontare un esame completo nel tempo e nello spazio, è tuttavia opportuno non trascurare gli aspetti più suggestivi del problema, ossia le forme di accentramento e di dispersione e i caratteri della dimora che costituiscono in certo qual modo lo specchio dell’uomo e dei tempi.

    Distribuzione della popolazione sparsa (in % sulla residente) (censimento 1951).

    Insediamento accentrato e sparso

    È noto e assai spesso ripetuto che la popolazione della Lombardia vive agglomerata, e tal fatto lo si attribuisce spesso allo sviluppo dell’industria. Ciò è senza dubbio vero, ma è forse più esatto dire che la tendenza all’agglomeramento è stata accentuata dallo sviluppo delle industrie, in quanto preesistente alle stesse. Inoltre il dire che la popolazione vivesse agglomerata non significa ovviamente che risiedesse nelle città. A illuminare il rapporto tra popolazione urbana e villereccia possono tornar utili, sebbene senza pretese di rigorosità, i rilevamenti della popolazione compiuti in un lontano passato. Nel 1747, in base alla Tabella della popolazione dello Stato di Milano, nell’àmbito dello stesso circa il 20% degli abitanti risiedeva nei centri di oltre 10.000 ab. e l’8o% nei centri di meno di 10.000 abitanti. A distanza di quasi novantanni (1836) il Cattaneo poteva stabilire un rapporto di 17% per le città con più di 10.000 ab. (eh’erano le medesime, più Crema e Casalmaggiore) contro 1*83% per le città con meno di 10.000 abitanti. Non si hanno indicazioni sulla consistenza della popolazione propriamente sparsa, ma il quadro della vita urbana si delinea chiaramente: a parte Milano, già per quei tempi notevolmente popolata (essa sola aveva il 40% della popolazione cittadina della Lombardia) le città con più di 10.000 ab. erano dieci nel 1747 e dodici nel 1836 e precisamente Como, Bergamo, Brescia, Monza, Lodi, Pavia, Crema, Casalmaggiore, Cremona, Mantova, Viadana, Gonzaga. Si noti come la maggior parte di esse si trovasse nella zona della pianura irrigua, ciò che conferma la preponderanza economica dell’attività agricola. La bassa, per quanto non fosse ancora del tutto bonificata, per i progressi conseguiti attraverso un’opera secolare di sistemazione suscitava l’orgoglio dei Lombardi e, come il Cattaneo ci attesta, l’ammirazione degli stranieri. In essa i villaggi costituiti talvolta unicamente da corti, le tipiche fattorie lombarde, denunciavano con la loro stessa composizione il carattere agricolo originario. Molti non vantavano un passato ricco di eventi, ma avevano un presente prospero colmo di promesse. Tra villaggio e villagio s’intercalavano poi corti isolate che tuttavia, organizzate com’erano su base unitaria, costituivano esse stesse quasi dei villaggi. La pianura asciutta e la collina erano pur esse fitte di borghi agricoli, molti dei quali sorti in antico attorno ai castelli feudali, ma non godevano di uguale prosperità e già agli albori del secolo scorso cominciavano a sentire lo squilibrio determinato dall’aumento della popolazione. La montagna infine costituiva ancora un mondo chiuso in se stesso, legato ad antichissime tradizioni. La popolazione d’inverno viveva raccolta nei villaggi posti nel fondovalle o sui terrazzi prossimi per lo più al fondovalle; d’estate sciamava su per i versanti sostando nelle cascine di mezza montagna o sui pascoli alti.

    L’addensamento di abitati nell’alta pianura lombarda e nella collina. In primo piano Gallarate (Varese).

    Lissone, nell’alta pianura milanese, rivela nell’edilizia il grande sviluppo recente.

    Treviglio dall’aereo; è visibile il nucleo vecchio e l’espansione recente.

    A modificare, lentamente dapprima, poi con ritmo sempre più rapido, la situazione che, nei suoi caratteri generali ora accennati, perdurando ormai da molto tempo, poteva dirsi ben radicata, si profilava già nei primi decenni del secolo scorso lo sviluppo dell’industria manifatturiera. Essa tuttavia agì come causa di profonda trasformazione negli ultimi decenni del secolo e soprattutto nel nostro tempo. Le industrie sorsero non solo attorno a Milano, ma anche nella pianura asciutta a nord della città e via via nella collina sino ai bordi di tutta la fascia prealpina. Quella che prima era una zona fitta di piccoli antichi borghi, in cui si viveva nel disagio di una stentata agricoltura, divenne un’area di attrazione. Gli abitati cominciarono ad espandersi, spesso inglobando in tal processo dimore agricole che sorgevano isolate, a poco a poco raggiunsero con i loro tentacoli i borghi vicini, li imprigionarono, divennero cittadine e le cittadine espandendosi ancora si avvicinarono tra loro e talvolta persino si congiunsero l’una all’altra. Tale vento innovatore non investì con ugual vigore la bassa irrigua, o almeno non la investì contemporaneamente. Qui la maggiore specializzazione dell’attività economica, la solida prosperità agricola, la produttività del suolo, la frequenza delle grandi proprietà fondiarie, la fittezza del reticolo irriguo, la minore densità di strade influirono come cause di conservazione di una situazione raggiunta attraverso un’opera secolare; ma con il trascorrere del tempo, l’onda di prosperità crescente recata dallo sviluppo industriale nell’alta pianura e nella collina agì nella bassa con un riflesso che per certi aspetti si può dire, in breve, deprimente, non estraneo in questo un superpopolamento della campagna.

    La distribuzine dei piccoli aggregati di case (= nuclei) nel territorio bergamasco e, in parte, bresciano. È evidente la moderata frequenza nella « bassa » e la maggiore fittezza nell’alta pianura e soprattutto nella fascia pedemontana. Nella montagna i nuclei accompagnano i solchi fluviali e il loro numero è maggiore nelle vallate poco elevate e aperte.

    Vigévano, in Lomellina: il vecchio centro e l’espansione periferica recente.

    Lodi: il centro antico dell’abitato.

    Le conseguenze son facili a dedursi e se ne fa cenno altrove. Qui basti dire che, data la situazione, il quadro deH’insediamento della bassa non subì profonde modifiche. Solo nelle maggiori città si manifestò un notevole sviluppo industriale. E però necessario aggiungere che proprio ai giorni nostri lungo le maggiori arterie stradali che da Milano irradiano verso sud, verso Pavia e Voghera, verso Lodi e Piacenza, verso Crema e Cremona e lungo le loro congiungenti, è in atto uno sviluppo industriale che va profondamente modificando il quadro tradizionale. Nella montagna il soffio innovatore recato dall’industria si manifestò soltanto con l’accentuare l’esodo della popolazione. L’industria manifatturiera nell’àmbito montano non poteva trovare sede adatta, nè l’industria idroelettrica, condotti a termine gli impianti, poteva assorbire mano d’opera. Solo il turismo ha costituito il fatto nuovo, per cui diverse località di maggiore attrazione nelle valli montane o lungo le sponde lacustri hanno visto lentamente sorgere attorno al vecchio borgo di antiche case una cerchia di alberghi e villini moderni. Ma nel complesso la forma dell’insediamento, tradizionalmente accentrata, non ha subito profonde modifiche.

    Nel complesso, dunque, per antica tradizione e per moderne esigenze l’insediamento umano in Lombardia presenta una generale tendenza all’accentramento. Anche i rilevamenti statistici ne danno una conferma: al censimento del 1951 risultava che ben l’82,6% della popolazione residente in Lombardia (ossia 5.427.000 abitanti su 6.566.000) viveva in centri. Della restante popolazione il 10,8% viveva in nuclei (termine inadatto, ma ufficiale, nel quale, oltre i raggruppamenti di dimore con più di cinque famiglie, si comprendono le corti, le case di cura, i conventi, i collegi, ecc., purché isolati) e il 6,6% viveva nelle case sparse. Ma ovviamente non ogni parte della Lombardia si trova nelle stesse condizioni: l’accentramento più elevato della popolazione si riscontra nella provincia di Milano con il 92,2%, percentuale che sarebbe probabilmente più elevata se non vi fosse incluso il Lodigiano a cui soprattutto va attribuito il 6,4% della popolazione dei nuclei e 1 ’ 1,4% della popolazione delle case sparse, risultanti per la provincia; per contro la dispersione presenta dei valori insoliti, per la Lombardia, nel territorio mantovano, dove la popolazione delle case sparse costituisce il 24,9% e quella dei nuclei il 17,4% della totale e dove i coefficienti di dispersione in alcuni comuni, come Curtatone, Virgilio, Moglia, superano il 50%, raggiungendo il 60% a San Giovanni del Dosso. Ma, senza entrare in dettagli, una chiara visione di assieme della dispersione della popolazione è offerta dalla rappresentazione cartografica dove, in successione al Mantovano, presentano percentuali di dispersione ancora sensibile il Bresciano, la Bergamasca e l’Oltrepò pavese.

    E particolarmente interessante notare che, mentre di solito avviene che la dispersione è connessa con la ruralità, per una parte della pianura la popolazione sparsa è poco numerosa anche se vi prevale nettamente l’attività agricola. La Lomellina, il Pavese, il Lodigiano, il Cremasco si trovano in questa condizione. Ma occorre tener presente che queste sono regioni di dominio della corte e che la corte, anche se isolata, non può essere considerata, per le sue caratteristiche, tra le case sparse; orbene, il valore percentuale della popolazione dei nuclei per le regioni suddette non appare affatto trascurabile, oscillando tra il 14 e il 18%, ciò che mette in risalto la forma mista deH’insediamento di queste regioni singolarmente caratterizzate dalle corti, cui si fa cenno appresso.

    Distribuzione altimetrica in percento della popolazione accentrata e sparsa nella montagna lombarda.

    I centri

    I centri della Lombardia manifestano ancor oggi con la stessa vivacità di un tempo il loro richiamo, non solo sugli abitanti della montagna o della bassa lombarda, ma su Italiani di ogni parte della Penisola. Sopra ogni altro, vivace è sempre stato il richiamo di Milano. Così, ad esempio, si è calcolato (F. Coletti) che in Milano, nei tre decenni del secolo scorso (1872-81, 1882-91, 1892-1901), siano immigrati, per ciascun emigrato dalla città, rispettivamente 9, 19 e 16 individui. Nel 1901 sopra 1000 ab. presenti a Milano alla data del censimento (10 febbraio), 220 risultavano nati fuori dal comune ma nell’àmbito delle province della Lombardia, in risultavano nati in regione finitima e 34 in regioni lontane; complessivamente il 36,5% della popolazione presente non era nativa della città. Ancora: nel 1921, alla data di quel censimento (1° dicembre), la popolazione presente di età superiore ai 21 anni non nativa di Milano era il 72% e di questa un terzo circa era proveniente dalle varie regioni dell’Italia. Infine nel 1953, sopra circa 1.290.000 residenti della metropoli, un terzo risultavano nati nel comune, un altro terzo nell’àmbito della regione lombarda e il residuo terzo era costituito da immigrati da altre regioni; i meridionali risultavano 86.000.

    Desenzano sul Garda.

    Lecco e l’Adda dall’aereo.

    Pizzighettone: borgo fortificato a controllo del ponte sull’Adda

    Il richiamo di Milano è indubbiamente eccezionale e, sotto questo aspetto, la città eccelle, assieme a Roma, sopra le altre città d’Italia; ma anche altri capoluoghi o centri della Lombardia non mancano di esercitare una particolare attrazione, benché in proporzioni assai più modeste e in un raggio meno ampio. Non si potrebbe comunque spiegare altrimenti il raddoppiamento o quasi della popolazione di numerose città nel volgere di appena mezzo secolo. Si distinguono anzitutto le città pedemontane: Brescia (142.059 ab. nel comune), Bergamo (103.256 ab.), Como (70.447 ab.), che nella graduatoria dei capoluoghi per entità di popolazione seguono Milano; poi Varese (53.115 ab.) e Lecco (42.454 ab.), pure centri pedemontani. Ugualmente notevole è l’attrazione dei numerosi centri dell’alta pianura tra il Ticino e l’Adda, centri tutti in forte e rapido aumento di popolazione: Monza (73.114 ab.), Busto Arsizio (52.607 ab.), Sesto San Giovanni (44.936 ab.), Legnano (38.003 ab.), Gallarate (29.728 ab.), Rho (24.428 ab.), Seregno (24.371 ab.), Saronno (21.243 ab.), Lissone (18.931 ab.), Desio (16.824 ab.) e decine di altri centri fervidi e popolosi.

    Minore, ma comunque non trascurabile è il richiamo dei capoluoghi della bassa: Cremona (68.636 ab.), Pavia (63.683 ab.), Mantova (53.810 ab.) e di altri centri in via di sviluppo industriale della stessa zona, quali Vigevano (43.805 ab.), Lodi (35.320 ab.), Voghera (32.260 ab.), Crema 27.889 ab.), Mortara (12.607 ab.), Codogno (12.253 ab.), ecc.

    Particolarmente interessante, riguardo all’addensamento dei centri, risulta la zona dell’alta pianura che si stende tra Ticino e Adda con un’appendice, al di là di questa, che abbraccia Bergamo. All’incirca dal limite dei fontanili sino al piede delle Prealpi il territorio, vera regione urbanizzata, è caratterizzato dalla frequente presenza di città e cittadine alle quali s’interpongono numerosissimi centri minori. Si potrebbe portare il paragone di un limpido cielo notturno nel quale tra le stelle di maggiore grandezza s’intercala un fitto tessuto di stelle minori; ma come nel cielo appaiono anche stelle di maggiore grandezza ravvicinate tra loro, così nella regione urbanizzata si individuano raggruppamenti di centri urbani, vicini tra loro e con tendenza a riunirsi, che con termine geografico si indicano con il termine di conurbazioni.

    Bellagio, a ridosso dello sprone che separa i due rami meridionali del lago di Como.

    La regione urbanizzata è ovviamente un’area ad altissima densità di popolazione e basta uno sguardo alla rappresentazione cartografica di questa per rendersene conto; è anche un’area con popolazione prevalentemente dedita ad attività non agricole, soprattutto industriali ; di fatto là dove la densità comunale supera i 400 abitanti per chilometro quadrato, la frazione di popolazione non agricola si mantiene superiore al 75%, tranne rari casi, e spesso supera 1’ 85 o il 90%. Entro i limiti precedentemente indicati, l’area urbanizzata, comprendente 343 comuni (appartenenti a quattro diverse province: Milano, Varese, Como, Bergamo) per una superficie di 2863 kmq., assomma una popolazione di 3.242.435 ab., che costituisce poco meno della metà della popolazione lombarda. « Il comune di Milano (1.274.245 ab.) raccoglie da solo quasi i due quinti della popolazione totale della zona (39,3%), ma comunque rimane cospicua l’entità demografica degli altri comuni, poco meno di 2 milioni di abitanti (1.968.190)» (A. Sestini).

    Vedi Anche:  La popolazione e la sua distribuzione

    Nell’àmbito della regione urbanizzata è agevole distinguere la conurbazione milanese che dalla grande città si espande verso nord sino a comprendere Giussano, Meda e Rho, per « un complesso di 37 comuni su un’area di 477 kmq. ed una popolazione di 1.703.211 abitanti. In questa conurbazione milanese la metropoli lombarda ha peso assolutamente preponderante; tuttavia anche escluso il comune di Milano si assommano 428.966 ab. (25,2%). I centri con più di 5000 abitanti sono 23, di cui 8 con popolazione tra 10.000 e 25.000 ab., e 2 con oltre 40.000 (1). Questi centri (calcolando solo la popolazione degli aggregati urbani) raccolgono 1.558.220 ab., circa il 92% del totale della conurbazione. La popolazione attiva non agricola raggiunge o supera, nei singoli comuni, il 94% (eccettuati i piccoli comuni di Muggiò, Cesano Boscone e Pero: 93, 90 e 87) col massimo di 99,4 a Milano ed a Sesto San Giovanni» (A. Sestini). Altre minori conurbazioni sono: quella che gravita verso Legnano e Busto Arsizio, in cui la saldatura tra i vari centri è in fase avanzata, e quella che gravita su Bergamo e che dalla città si espande verso il Brembo e verso il Serio, meno progredita ma in rapido sviluppo.

    Caratteristiche dei centri

    Anche in Lombardia, come da per tutto, i centri abitati presentano loro peculiari caratteristiche di sviluppo, di forma, di aspetto, di composizione, di posizione, di struttura, per le quali ciascuno possiede un’individualità propria che lo distingue dagli altri. Ciò risulta evidente soprattutto per le città, ma non è esclusivo di queste; anche i centri minori possiedono loro caratteristiche distintive. Le cause sono molteplici; tanto per citarne alcune tra le più evidenti, si possono ricordare: l’altitudine, la forma del terreno su cui sorge il centro, il paesaggio che si stende attorno, il clima, le colture che prosperano nella campagna circostante, l’origine e le tradizioni degli abitanti, le vicende storiche, la singolarità o la pluralità dell’attività umana; ma queste e tutte le altre che si potrebbero citare confluiscono, com’è facile arguire, nei due fattori fondamentali: la natura e l’uomo.

    Salò e, sui delta, Barbarano, Fasano e Maderno.

    Senza voler qui penetrare in una ricerca particolare, giova (per meglio comprendere il paesaggio lombardo nel suo assieme) richiamare l’attenzione su alcune caratteristiche più evidenti dei centri lombardi e soprattutto sulla loro forma e sulla loro posizione.

    Nella montagna non vi sono grandi centri. Sondrio stessa, capoluogo della provincia alpina della Lombardia, annovera poco più di 10.000 ab. (popolazione presente nel 1951). In prevalenza, nella montagna e soprattutto nella zona abitata altimetricamente più elevata, vi sono villaggi. Questi nella loro parte antica conservano in generale alcune caratteristiche ricorrenti. Le dimore sono in prevalenza costruite in pietre accuratamente cementate e talvolta rivestite di malta nelle parti che servono a dimora; spesso si affiancano una accanto all’altra, sicché sembrano sorreggersi reciprocamente. Lo spazio occupato dalle vie è angusto, il più delle volte quanto basta per il passaggio di un carretto agricolo; ancora più strette sono le viuzze a scalinata; tutte si snodano di solito tortuosamente e tutt’al più fa eccezione (ma non sempre) l’antica via maestra, ai margini della quale il villaggio si distribuisce. Gli spioventi del tetto, assai sporgenti per proteggere i ballatoi dalla pioggia, avvicinano le loro gronde l’una all’altra e schiudono sulla via poco spazio di cielo. Così come si presenta, la strada sembra non essere parte separata ed estranea alla dimora, ma addirittura una parte di essa. Si trae insomma l’impressione di una vita di comunità, con un vivo senso di solidarietà (come spesso in realtà si verifica), e ciò si giustifica, oltre che con i legami di parentela più o meno stretta intercorrenti spesso tra le famiglie originarie del villaggio, anche con l’isolamento prolungato invernale e quindi con la necessità di reciproco aiuto nelle avversità. Tale impressione risulta attenuata nei villaggi della zona meno elevata della montagna e soprattutto di fondo-valle, poiché ivi le dimore prendono più spazio e spesso sono precedute o affiancate dalla curt, area talvolta cinta da un muricciolo, nella quale si svolgono i lavori agricoli. Le strade risultano più ampie, più aperte, più divisorie delle singole dimore.

    Lonato, su un colle al margine dell’anfiteatro morenico del Garda.

    In ogni caso, tuttavia, la pianta del nucleo antico dei villaggi della montagna lombarda è intricata, tortuosa, bizzarra. Senza dubbio vi sono le eccezioni. L’esempio più caratteristico è dato da Livigno, le cui dimore sono distribuite, con netta separazione l’una dall’altra, per circa 2 km. lungo la strada che percorre il fondovalle; si tratta però di un centro in versante danubiano e con case tutte in legno. Anche nella montagna, seppure in misura minore di quel che avviene nella pianura e nella collina, accanto alla parte antica del centro (in conseguenza delle mutate condizioni di vita, dell’emigrazione stagionale e del turismo) sono venute sorgendo e sorgono tuttora nuove costruzioni, che normalmente differiscono nell’aspetto dalle precedenti, anche se si tratta di dimore di abitanti del luogo. Esse si trovano presso l’antico villaggio, ma opportunamente distanziate da questo e tra di loro; sia nella architettura che nella struttura riflettono le concezioni moderne della dimora, anche se tendono a non obliterare del tutto i modelli tradizionali, e nel complesso presentano una concreta testimonianza del profondo rivolgimento portato dalla nostra età nel mondo, sino a pochi decenni or sono chiuso e statico, della montagna.

    Madonna di Tirano, con il suo Santuario cinquecentesco, e Tirano (m. 438) in Valtellina. Dietro l’abitato, il grande cono di deiezione di Sernio.

    Presso i villaggi situati nelle località più pittoresche e soprattutto più rapidamente raggiungibili dai centri della pianura vi sono spesso ville e villette di recente costruzione, proprietà, di solito, di residenti delle città. Queste costruzioni normalmente sorgono discoste dal villaggio, dove disperse, dove invece a piccoli gruppi; esse per lo più rimangono disabitate per la maggior parte dell’anno e servono solamente per la villeggiatura estiva. In alcuni luoghi il loro numero va crescendo in tal misura da conferire un aspetto nuovo al paesaggio.

    La posizione dei centri montani è molto varia. La maggior parte dei più popolosi si trova lungo il fondovalle. Si è calcolato che le sedi di fondovalle nelle Alpi rappresentino approssimativamente il 30% dei centri permanentemente abitati, con oltre il 50% della popolazione della montagna (G. Nangeroni). Tale situazione si verifica anche nella montagna lombarda e semmai, per questa, la stima generale può ritenersi in difetto. Infatti una statistica per la provincia di Sondrio calcola a 47% i centri di fondovalle (C. Verga). In compenso una statistica per la valle Brem-bana ne assegna al fondovalle il 30% e per la valle Seriana il 25% (A. Piras).

    Le sedi di fondovalle, specialmente dove la valle si allarga, sono per lo più marginali, ossia non lungo la linea più depressa, ma al piede dei versanti montuosi e ciò per sfuggire al pericolo causato dalle piene dei corsi d’acqua. Molte si trovano su antichi e stabilizzati conoidi alluvionali (specialmente se questi sono a lento pendio) allo sbocco di valli confluenti; si tratta di una posizione vantaggiosa in quanto i terreni di deposito sono sciolti e fertili e permettono più agevolmente l’irrigazione. A volte il villaggio è all’apice del conoide, a volte al margine laterale, a volte nella parte mediana e a volte, invece, sul bordo periferico più basso e ciò in relazione a situazioni particolari del luogo. Gli esempi potrebbero essere numerosi.

    Schilpario (1125 m.), centro di terrazzo della valle di Scalve.

    Si possono citare, tra i più tipici, Bormio nell’alta e Morbegno nella bassa Valtellina, Vezza d’Oglio nell’alta e Rogno nella bassa Valcamònica.

    Un buon gruppo di centri si trova su terrazzi, ossia su quei ripiani che di frequente interrompono a varia altezza i pendii montuosi, ove più ove meno ampi; alcuni sono tagliati nella roccia, altri formati da morene di antichi ghiacciai, altri ancora, generalmente più prossimi al fondovalle, da alluvioni. E ovvio che i terrazzi, proprio per la loro forma, offrano condizioni favorevoli all’insediamento, ma il loro richiamo è tanto maggiore se la valle si incide angusta e profonda in modo che i raggi solari, specialmente d’inverno, vi giungano per breve tempo e l’aria fredda vi ristagni a lungo anche d’estate. Questo medesimo motivo, la ricerca del sole, è fondamentale pure per le sedi di pendio, ossia per quei villaggi che si trovano su versanti privi di terrazzi; ve ne sono molti, anche nelle valli, come le bergamasche, non modellate dalle grandi colate glaciali pleistoceniche. Così, secondo le indagini precedentemente citate, le sedi di terrazzo e di pendio sarebbero complessivamente il 65% nella valle Seriana e il 60% nella valle Brembana. Un tipico esempio di insediamento su terrazzi e su pendio a solatìo lo presenta con evidenza la Valtellina nel suo tronco longitudinale; ivi il versante retico, completamente aperto all’insolazione (e in prevalenza coperto da vigneto), sugli ampi ripiani che si susseguono da Teglio a Cino e talvolta sui pendii, è tutto un susseguirsi di villaggi; il versante opposto, a bacìo, presenta pochi e sparuti villaggi sommersi nel bosco ceduo. Oltre alle sedi di fondovalle, di terrazzo e di pendio, che sono complessivamente in assoluta maggioranza, vi sono rare sedi di sella, come Selvino, tra la vai Seriana e la vai Serina nelle Prealpi bergamasche, Magreglio alla testata della Valsàssina nelle Prealpi comasche. Mancano invece del tutto le sedi di poggio.

    Selvino (962 m.) centro di sella tra la valle Seriana e la valle Serina.

    Le sedi lungo le sponde dei laghi prealpini presentano alcune caratteristiche particolari. Un buon gruppo di centri tra i più popolosi si trova su ampi delta formati dai depositi alluvionali provenienti dalle valli confluenti. Sedi di delta sono, con evidenza, Gravedona, Domaso, Dervio, Bellano, Menaggio, Mandello, sul lago di Como, Castro sul lago d’Iseo, Fasano e Maderno sul lago di Garda; ma l’esempio più grandioso è quello di Lecco il cui centro cittadino si espande su due vasti delta accostati, dei torrenti Caldone e Gerenzone, con tendenza a espandersi verso un terzo delta vicino, formato dal torrente Bione, di guisa che la topografia dell’abitato tende a diventare, da bilobata qual era, trilobata. Non sempre le alluvioni trascinate al lago dai torrenti che in esso sfociano manifestano evidente la forma lobata del delta; ma l’attenuazione della pendenza del versante, che i depositi determinano sulla riva dello specchio lacustre, ha offerto di frequente buone possibilità d’insediamento. In tal caso, com’è ovvio, la sede manifesta l’adattamento alla topografia, allungandosi in fascia lungo il lago e talvolta addirittura frazionandosi in diversi agglomerati. Un esempio caratteristico può essere offerto da Lèzzeno, sul lago di Como, diviso nei nuclei rivieraschi di Villa, su un delta ben disegnato, e di Sossana, Rozzo, Pescaù, su minuscoli lembi alluvionali laterali.

    Nella collina, zona in genere di grande afflusso di popolazione e di grande sviluppo edilizio recente, l’espansione progressiva dell’abitato ha spesso alterato quelle che erano le caratteristiche topografiche degli antichi centri. Occorre quindi rifarsi a questi per poter coglierne le caratteristiche del passato. In genere i vecchi abitati rivelano nella struttura e nell’edilizia la loro originaria funzione agricola; sono per lo più formati da cassine in parte in pietra, specialmente nelle zone moreniche, e in parte in cotto. Ogni dimora ha per solito uno spazio riservato ai lavori agricoli, la curt, che dà respiro all’ambiente. Però in complesso le costruzioni stanno l’una vicino all’altra e le vie sono di frequente ombrose e strette, benché non nella misura di quel che si nota nei villaggi di montagna. A spiegazione si affaccia l’ipotesi che tale angustia sia da mettere in relazione con la preoccupazione di sottrarre il minor spazio possibile all’arabile e comunque al terreno in qualche modo produttivo; ma per rendersene esatta ragione parrebbe necessario non trascurare i motivi storici e soprattutto l’origine (in prevalenza medioevale) dei villaggi. Certo è che, scaduta l’agricoltura ad attività secondaria (specie nella vasta area collinare a occidente del-l’Oglio), ogni preoccupazione, se pure vi è mai stata, di sottrarre terreno all’agricoltura è venuta meno e gli abitati si sono espansi da ogni lato, spesso congiungendosi tra loro.

    Riguardo alla posizione, la zona collinare presenta una singolarità che le è esclusiva, ossia la notevole frequenza di centri di poggio, vale a dire di centri posti sulla sommità di un colle. Come esempio caratteristico può essere indicato Castelmarte al margine delle Prealpi comasche. Non sempre però si tratta di colli isolati; negli anfiteatri morenici infatti i depositi sono disposti spesso in arcuate dorsali dal profilo morbidamente ondulato e su questo, intervallati, si susseguono centri e nuclei. Caso tipico, nel cuore della Brianza, la morena a occidente del Montevecchia con Torrevilla, Monticello, Casatevecchio, Montesiro, e la morena più interna con Barrano, Torricella, Dagò, Villanova, Cortenuova. Spesso nel luogo più elevato domina la chiesa o un antico castello.

    Magasa (971 m.), centro di pendio nella valle di Vestino.

    Se i centri di poggio sono caratteristica esclusiva della collina, in questa stessa zona sono però frequenti anche centri diversamente ubicati: se ne trovano, infatti, sui blandi pendii dei colli o alle loro falde, sul ciglio di terrazzi affacciati ai laghi o marginali ai solchi fluviali; raramente nelle conche intermedie alle colline e ciò per evidenti motivi. Quasi tutti presentano, attorno al nucleo antico, edifici recenti. Questi hanno però aspetto e struttura totalmente differenti dalle costruzioni della parte vecchia, ossia non sono edifici rispondenti a esigenze di attività agricola, ma semplici abitazioni civili, opportunamente distanziate tra loro e spesso attorniate da giardini. Lo sviluppo edilizio moderno ha in qualche caso determinato la unificazione di centri precedentemente distinti e, come esempio, si può citare Erba, Incino e Vill’Incino, in prossimità del Lambro.

    La pianura presenta una grande varietà di situazioni. L’interesse converge naturalmente sulle maggiori città (per le quali si rimanda ai capitoli XII e XIII); ma meritano attenzione anche le sedi minori. In una visione d’assieme sembra anzitutto possibile fare una distinzione tra i centri dell’alta pianura e i centri della bassa pianura, in relazione al diverso sviluppo recente, che nella prima si manifesta in modo assai più appariscente che non nella seconda. I centri, anche i più piccoli, dell’alta pianura (come in generale è avvenuto nella collina, ma in proporzioni ancor più notevoli) negli ultimi decenni hanno avuto uno sviluppo edilizio e di conseguenza una espansione pianimetrica tale da determinare persino il colmamento degli spazi divisori tra centro e centro, ossia da determinare la conurbazione, cui s’è precedentemente accennato. Ne è derivata per questi centri una evidente duplicità di aspetto: quello del nucleo antico, di dimore in cotto, che in parte si conserva ancora, almeno in apparenza, agricolo e quello moderno della periferia (dove domina il cemento armato) che, anche per l’inserirsi di opifici, rispecchia l’evoluzione industriale. Il distacco tra le due parti appare anche più netto nei casi in cui l’antico abitato era cinto da mura. Naturalmente il processo di sviluppo demografico ed economico, di cui questa duplicità di aspetto è un riflesso, ha determinato il graduale passaggio da villaggio a città di parecchi centri minori.

    Vedi Anche:  Tradizioni e dialetti regionali

    L’abitato di Lenna (San Martino de’ Calvi) al margine del fondovalle presso la confluenza dei due rami principali del Brembo.

    Morbegno (255 m.), in Valtellina, sulla grande conoide allo sbocco della valle del Bitto.

    Tale sviluppo rapido e grandioso non ha mancato di manifestarsi anche in alcuni centri della bassa pianura, specialmente lungo le grandi arterie a sud di Milano. Via è meno frequente; soprattutto i centri minori, ancora prettamente agricoli, della Lomellina, del Cremonese, del Mantovano e anche in parte del Lodigiano e del Pavese, hanno conservato quasi inalterata la loro estensione e immutato il loro aspetto.

    La forma e la posizione dei centri presenta, come già s’è accennato, una notevole varietà anche nella pianura. In genere prevalgono quelli compatti. Alcuni di questi derivano la loro forma dalla cerchia di mura erette anticamente a difesa, come nel caso di Orzinuovi nel Bresciano; i più, nella bassa, si sono formati spontaneamente dall’aggregazione di corti, costruzioni rurali di cui si dà la descrizione poco appresso; come esempio, uno tra i molti, si può indicare Corbetta, nella pianura milanese. Nella campagna cremonese e mantovana vi sono diversi centri a catena, ossia con edifici (dove a corte e dove no, ma tutti rurali) allineati lungo una strada; tale, ad

    esempio, Scandolara Ravara nel Cremonese. Nei centri con espansione recente l’allineamento delle case lungo le arterie che s’irradiano dal centro è frequente e talvolta ne deriva una pianta a raggiera. Verso questa forma tende Treviglio, cittadina del Bergamasco. Sul corso dei fiumi vi sono infine numerosi centri doppi, ossia distinti in due parti, una sulla sponda destra del fiume e l’altra sull’opposta. Alcuni hanno avuto anche ruolo militare e l’esempio più tipico è offerto da Pizzighettone, sul-l’Adda, già eretta a fortezza dai Cremonesi nel 1123 e in seguito cinta dai Visconti con mura a forma di stella, tuttora in parte esistenti.

    Le dimore rurali

    Riguardo all’insediamento rurale è particolarmente interessante rilevare le caratteristiche formali e strutturali delle dimore, nelle quali, pur nella molteplicità di particolari aspetti suggeriti da inclinazioni personali, è possibile individuare alcune costanti che riflettono le soluzioni dei problemi connessi con l’ambiente fisico (in particolare con la natura del terreno e con le condizioni di clima) e con l’ambiente sociale (in particolare con l’ordinamento colturale e fondiario), per non dire degli influssi derivati da situazioni politiche e religiose del passato, cristallizzati nella tradizione.

    Tipica corte monoaziendale nel Lodigiano (Sordio).

    L’influsso dell’ambiente fisico si rileva anzitutto, in un quadro generale, nella netta differenziazione di forma e di struttura fra le dimore della pianura e quelle della collina e tra queste e quelle della montagna. Ovviamente non è soltanto un influsso diretto, ma anche indiretto, in quanto l’ambiente fisico agisce anche nel differenziare situazioni di ordine umano e sociale (quali, ad esempio, l’ordinamento colturale e fondiario), che a loro volta contribuiscono ad accentuare la diversità di struttura e di forma delle dimore nelle tre zone suddette.

    Nella pianura il tipo di dimora rurale più singolare e più comune è quello a corte, chiamata nel dialetto lombardo curt, quando è inclusa nei centri, e cassina, quando sorge isolata. Essa è costituita da « uno spazio scoperto, generalmente a forma quadrilatera che, dove non sia da ogni parte circondato dai corpi di fabbrica pertinenti alle abitazioni e ai rustici, è recinto da muri o da siepi che ne fanno perciò uno spazio chiuso » (G. Caraci).

    Il tipo più caratteristico e forse originario è quello isolato sui fondi della bassa pianura irrigua; in esso lo spazio quadrangolare, talvolta di un centinaio di metri e più per lato, è limitato da ogni parte da edifici, nei casi più tipici senza soluzione di continuità, in modo da formare un complesso edilizio unitario, nel quale però si distinguono in ogni caso e sempre nettamente la casa padronale, le abitazioni dei salariati, le stalle-fienili, i rustici. Ad accentuare il carattere unitario della corte contribuisce l’ingresso unico costituito da un solo grande portone, sicché, salvo la casa padronale, tutti gli altri edifici hanno i loro ingressi particolari rivolti unicamente verso lo spazio chiuso. Vero è che ciascun edificio o settore del complesso edilizio ha una funzione sua propria inerente ad una particolare attività, sicché ne deriva la tendenza a organizzare lo spazio quadrangolare chiuso in aree di distinta attività. Tuttavia l’unitarietà dello spazio chiuso non ne risulta spezzata, poiché a mantenerla contribuisce, in relazione anche dell’isolamento con l’esterno, la funzione polarizzatrice dello stesso grande cortile nel quale si svolge ogni attività. All’unità edilizia corrisponde l’unità fondiaria. Il dirigente dei lavori (proprietario, affittuario, fattore) abita con la sua famiglia nella dimora padronale, che talvolta si distingue, oltre che per una più accurata fattura, anche per la posizione che permette una migliore sorveglianza sul complesso e in particolare sulla stalla e sul rustico dove son poste le macchine agricole; nella stessa dimora o adiacente ad essa trovano posto il granaio e, almeno in passato, il locale d’allevamento dei bachi.

    Il lato delle dimore in una corte lombarda (cascina Sant’Ambrogio, Brugherio).

    Caratteristica dimora montana a Lòzio nella valle omonima (Valcamònica).

    I salariati sono sistemati in un edifìcio detto cà di paisàn, o di salaria o di nbligà, a due piani, e ciascun nucleo familiare dispone di un locale adibito a cucina, al pianterreno, e di un locale, sovrastante la cucina, adibito a camera da letto. Naturalmente il numero dei salariati (e di conseguenza l’ampiezza dell’edifìcio) varia a seconda della vastità del fondo, ma vi sono corti che complessivamente ospitano anche un centinaio e più di persone, talché in alcune trova posto persino la chiesetta (con la facciata prospiciente al recinto chiuso) e la scuola; sicché la corte forma, o meglio formava, una vera e propria comunità con norme comuni di vita, tendenti « a creare, per gli addetti fìssi, condizioni, non soltanto materiali, che vincolassero all’ambiente e riducessero al minimo le necessità o le possibilità di contatti con l’esterno », riservati al conduttore (C. Saibene). Così, soprattutto in passato, il ritmo di vita della corte era normalmente regolato dal suono della campana e il grande portone d’ingresso veniva sbarrato a sera e solo all’alba riaperto. Non senza fondamento queste regole di vita sono state riallacciate all’ordinamento feudale e non pare del tutto arbitrario far derivare la planimetria della corte da quella del chiostro, tanto più che furono i monaci a dare impulso alla bonifica nel periodo medioevale.

    Caratteristica zona a « corti » sparse a est di Cremona tra Malagnino, Bonemerse e Pieve d’Olmi.

    Naturalmente la corte non presenta un’assoluta uniformità formale e strutturale per tutta l’area della pianura nè sorge solo isolata; quello descritto è il tipo più caratteristico dal quale, forse, sono derivati i tipi con le varianti suggerite dalle necessità e tendenze locali; è ovvio, ad esempio, che nella zona risicola nel complesso degli edifici della corte rientri l’essiccatoio del riso, nell’area frumentaria il granaio, nell’area foraggera il caseificio, ecc. In breve: la corte con abitazione e rustici distinti e spesso anche disgiunti prevale in Lomellina, nel Pavese, nel Lodigiano, nel Basso Milanese e nel Cremasco, ma in ciascuna parte con particolari varianti. Così, ad esempio, nella Lomellina e nel Milanese le abitazioni sono spesso adorne di ballatoi (un tempo anche in legno) e di scale esterne, mentre altrove i ballatoi sono assenti e le scale sono interne. Nella Lomellina, poi, vi sono quasi immancabili gli essiccatoi del riso, mentre nel Milanese prendono grande sviluppo le stalle e gli ambienti di lavorazione del latte. Nel Lodigiano la corte presenta spesso una suddivisione in cortiletti di disimpegno, cosicché lo spazio rimane più chiaramente destinato a una particolare attività, tra cui, in particolare, la casearia. Interessante, nella cucina del salariato, l’angolo presso la grande stufa di mattoni, che viene isolato durante l’inverno con graticci di legno ed è chiamato, in dialetto, stiìa. Questo caratteristico ambiente lo si trova anche nel Cremasco, dove la corte ha normalmente planimetria rigidamente rettangolare e vi prendono grande spazio i granai. Nel Cremasco è pure frequente la corte con abitazioni e rustici giustapposti, che prevale nell’area meno fertile della pianura; la facciata dell’abitazione è spesso rallegrata da un vasto portico che può allungarsi in altezza sino al tetto, o limitarsi, come nella pianura bresciana e bergamasca, al pianterreno ed essere sovrapposto da un arioso loggiato. Anche nel Mantovano si hanno corti con abitazioni e rustici giustapposti, ma per solito meno tipiche e per lo più aperte su uno o due lati, denunciando in tal modo il trapasso verso forme diverse; questo fatto si comincia anzi ad avvertire appena al di là del corso del Chiese e, a valle della confluenza, deH’Oglio, donde ha inizio un ambiente agrario, a colture promiscue, assai più simile a quello emiliano e veneto che a quello proprio della bassa lombarda. Nel complesso si direbbe che nella dimora rurale del Mantovano confluiscono e si fondano elementi architettonici lombardi, veneti ed emiliani. Il limite meridionale della corte lombarda corre nel complesso lungo il Po, espandendosi al di là di esso solo nella zona di coltivazione del riso dell’Oltrepò pavese e nella pianura piacentina, ossia in coincidenza dei passaggi tradizionali del fiume. A occidente, invece, la corte si espande in tutta l’area di coltivazione del riso e quindi ben addentro al territorio piemontese.

    Antiche dimore e recenti aggiunte a San Martino in val Màsino.

    Dimore in legno a Santa Maria dei Monti in Valfurva.

    Dimora in legno a Livigno.

    La pianura asciutta e la collina, sebbene in misura minore, sono ancora zone di diffusione della corte, ma qui essa assume caratteri differenti; anzitutto è generalmente inglobata nei centri e inoltre non è più, o lo è solo raramente, esclusiva di un’unica azienda agricola, ma, per il ridursi di estensione della proprietà, essa è suddivisa tra due o più aziende e quindi in essa coabitano diversi conduttori (proprietari, affittuari, mezzadri) con le loro famiglie. L’abitazione e il rustico sono costituiti da edifici unitari, ma per lo più di dimensioni minori di quelli della bassa e non sempre con il loro corpo delimitano per intero lo spazio chiuso centrale, per cui il recinto si completa con muri o siepi. Insomma, in contrapposizione alla grande corte o corte monoaziendale della pianura irrigua, questa può essere definita piccola corte o corte pluriaziendale. In questa ciascun nucleo familiare vive e agisce indipendentemente dall’altro o dagli altri; ciascuno dispone di una parte stabilita dello spazio chiuso, di un gruppo di locali dell’abitazione e ha una propria stalla-fienile. Ormai fuori uso il forno, solo il pozzo è oggi in comune. Anche l’aia, che nelle corti della bassa occupa una vasta area dello spazio recinto, non è in comune e non è sistemata nella corte, ma vicino ai cascinotti (cassinòt o casòt), singolari ricoveri di muratura o di legno o di paglia costruiti sui fondi e utilizzati per riporre temporaneamente attrezzi o prodotti di scarso pregio. Forse la netta separazione di spazi che attualmente si rileva nella piccola corte non esisteva nel passato o almeno non era in forma così rigida come attualmente; lo può far supporre la tradizione patriarcale delle famiglie contadine lombarde, per cui non è improbabile ritenere che originariamente tra i nuclei familiari coabitanti nella corte esistessero vincoli di parentela. Affievolitasi nel nostro secolo la tradizione patriarcale, anche la caratteristica della piccola corte si sarebbe venuta evolvendo. Del resto una evoluzione di diverso tipo si va manifestando anche sotto i nostri occhi, chè non poche corti attualmente presentano una forma di coabitazione mista di nuclei familiari, alcuni con attività contadina altri con attività operaia.

    Forme prevalenti di dimore rurali in Lombardia.

    1, grandi corti monoaziendali (in prevalenza isolate); 2, piccole corti pluriaziendali (in prevalenza nei centri); 3, piccole corti pluriaziendali, spesso agglomerate miste a forma di dimore unitarie; 4, dimore a elementi separati; 5, unitarie; 6, in legno (alte valli alpine).

    In tutta la pianura sia irrigua che asciutta e ancor più nella collina, accanto al tipo dominante descritto coesistono tipi diversi di dimora rurale, ma è probabile che essi siano di epoca meno lontana di quella di formazione della corte e determinati dall’evolversi nel tempo degli ordinamenti sociali (soprattutto colturali e fondiari). Nel complesso l’inserimento di questi tipi si nota più frequente in zone di modesta fertilità, come la collina e le fasce marginali ai fiumi; ivi di frequente le proprietà fondiarie hanno ampiezza minore di quella dei fondi annessi alle corti e le dimensioni delle dimore sono in proporzione. Il tipo più diffuso di dimora non a corte è quello con abitazione e rustico congiunti e disposti sullo stesso asse; però nella pianura che accompagna il Ticino se ne incontrano anche congiunti ma disposti a squadra o anche, nella collina lungo l’Adda, disgiunti. Gli elementi architettonici, non privi però di una loro funzione, sono vari: frequente è il porticato, ora esteso a tutto l’edificio rurale come nell’alta pianura asciutta, ora limitato all’abitazione come nella collina comasca, ora limitato alla stalla come lungo il corso dei fiumi tra il Lambro e l’Oglio, ora interposto tra abitazione e rustico come nel Mantovano alla sinistra del Po; frequente è pure il ballatoio, che, specialmente se in legno, illeggiadrisce la dimora come si osserva nella collina del Varesotto e del Comasco e in alcune parti della Lomellina.

    Villaggio di dimore temporanee (stalle-fienili) sopra Rezzònico (alto Lario)

    Caratteristico fienile sui prati di montagna in val Taleggio.

    Un’area di particolare interesse è quella Mantovana dove la dimora rurale, con rustico separato dall’abitazione, disposti tra loro a squadra, presenta analogie con la dimora tipicamente emiliana.

    La dimora rurale nella montagna lombarda ha caratteristiche profondamente diverse da quelle della pianura. Unico elemento di congiunzione tra le due potrebbe essere forse la corte che sporadicamente si trova lungo i solchi delle vallate e anche assai lontano dalla pianura; in Valtellina, ad esempio, gli ultimi esemplari si trovano in prossimità di Tirano. Ma anche per le corti, il cotto, che prevale come materiale da costruzione nelle dimore della pianura, cede alla pietra e, in alcune zone, al legno; sotto questo aspetto la collina, per la presenza saltuaria di roccia in posto o per l’utilizzazione delle morene, rappresenta un’area di transizione. Ma la differenziazione tra le dimore del piano e del monte non poggia solo su questo. L’attività rurale in montagna è più complessa e più varia che non nella pianura e soprattutto il reddito è generalmente inferiore. Da ciò nascono particolari situazioni e particolari aspetti.

    Vedi Anche:  Vicende storiche Lombardia

    E stato giustamente rilevato che le dimore rurali della montagna presentano una grande varietà strutturale. Le dimensioni sono in genere modeste, ma pur in uno spazio limitato si osserva una grandissima varietà nella disposizione degli elementi fondamentali. Questa situazione deriva forse dal fatto che nella maggior parte dei casi la dimora attuale della montagna è il risultato di successive aggiunte e trasformazioni in dipendenza sia deH’accrescimento del numero dei componenti della famiglia sia della modestia delle disponibilità finanziarie. E questo un fatto riscontrabile assai frequentemente: il montanaro raggranella a fatica il suo risparmio e solo quando ha raggiunto la somma sufficiente procede ai lavori che si manifestano via via necessari e consentiti dal risparmio stesso, così che nella dimora si nota una gradualità di aggiunte e di trasformazioni che spesso hanno mutato la concezione originaria. Ancor oggi del resto è facile notare nelle dimore di nuova costruzione il progredire lento, magari a distanza di anni, dei lavori di rifinitura dei piani superiori.

    Vi è poi anche un altro fatto: il montanaro, allevatore oltre che agricoltore, distribuisce il suo lavoro tra i campi del fondovalle, i prati dei maggenghi, il pascolo degli alpeggi; quindi i trasferimenti stagionali gli impongono oltre alla dimora invernale, che è ovviamente la più attrezzata, altra o altre piccole dimore temporanee: ecco dunque la Imita o cassino., per indicarle con i termini più diffusi del dialetto locale, sui maggenghi e l’alpe sui pascoli alti.

    L’alpe Varadega nell’alta Valcamònica. La costruzione superiore è adibita alla lavorazione del latte ed è visibile l’impianto dell’acqua per azionare la zàngola.

    Nella pur notevole varietà di forme di aspetti delle dimore invernali si possono enucleare delle dominanti. Così, riguardo alla struttura, si può notare — oltre il tipo, tuttavia sporadico, della piccola corte lungo i principali fondivalle — un tipo nel quale l’abitazione e il rustico costituiscono un unico edificio e un tipo nel quale abitazione e rustico sono tra loro separati. Nel primo la sistemazione dell’abitazione e del rustico può presentare due varianti: quella con la stalla al piano seminterrato o al pianterreno e quindi sottostante alla dimora, che è sovrapposta a sua volta dal fienile, e quella in cui la stalla, sovrapposta direttamente dal fienile, sorge adiacente e a contatto con l’abitazione. Entrambe sono frequenti in tutta la media montagna, e come elemento esterno più caratteristico e più diffuso hanno il ballatoio in legno (ora sostituito frequentemente dal cemento e dal ferro). Nel secondo tipo si rilevano pure due varianti principali: quella in cui la stalla-fienile si trova in prossimità dell’abitazione e quella in cui la stalla-fienile sorge lontano. Di questa seconda variante offre un esempio caratteristico la vai Varrone, dove le stalle-fienili formano degli aggregati separati e lontani dai villaggi costituiti quasi esclusivamente da abitazioni. Però, salvo pochi casi, i diversi tipi con le loro varianti si trovano frammisti e, meglio che la parola, la rappresentazione grafica può dar l’indicazione dove prevalga l’uno o l’altro tipo.

    Nelle alte valli, come la Valtellina, la Valcamònica e, oltre lo spartiacque, la vai di Livigno, nonostante il prevalere attuale o la tendenza a prevalere delle dimore in muratura, rimangono, come ultimi esemplari di un tipo di dimora che probabilmente è l’originario, costruzioni totalmente in legno che aggiungono un elemento pittoresco alla bellezza naturale dei luoghi. È destino che a poco a poco anche queste scompaiono, ma lo si annota con rincrescimento. I documenti storici e la tradizione ci attestano che nei secoli passati numerosi villaggi furono totalmente distrutti dal fuoco per il fatto di essere costituiti da dimore in legno.

    Fienile in legno sui prati montani (val di Dentro).

    L’alpe Rescascìa (monte Bregagno, alto Lario) ricovero del bestiame, sul fondo il ricovero dei pastori e la casera.

    Isolaccia e Pedemosso in val di Dentro arsero per intero nel secolo XVII e Sant’Antonio in Valfurva subì la stessa sorte nel secolo scorso. Ciò basta a render ragione dell’abbandono dell’uso del legno per edilizia già dai secoli passati.

    Nelle valli alpine e in parte anche nelle valli prealpine il locale più caratteristico dell’abitazione è la stila. E il locale di soggiorno invernale, sempre accuratamente foderato in legno, ben arredato e accogliente; in un angolo domina la stufa, grande parallelepipedo in muratura, alimentata attraverso uno sportello che dà sul corridoio in modo da evitare che il locale sia invaso dal fumo. Vi è poi il tavolo attorno al quale si riunisce la famiglia per consumare i pasti e un lato è dominato dal letto matrimoniale, molto alto, perchè sotto di esso non raramente son collocati ancora uno o due lettini a rotelle, detti carriòle, che a sera vengon levati fuori e servono per i figli. Il suo stesso arredamento dice come la stila sia il cuore della dimora, dove la famiglia del montanaro trascorre il lungo inverno. Il sopraggiungere della primavera richiama ai lavori all’aria aperta, e, con il progredire della buona stagione, ai maggenghi, alle alpi: la stila rimane, almeno per qualche tempo, deserta.

    Nei maggenghi la dimora temporanea (chiamata con diversi termini: nmnt nel Varesotto e nel Comasco, cassina e casina nelle Prealpi bergamasche e bresciane, bàita e cà in Valtellina, preàlp in alta Valcamònica) è di solito, come il prato, proprietà privata del montanaro; essa sorge generalmente isolata, ma talvolta anche in aggruppamento a formare quasi dei villaggi temporanei. L’edificio è costituito da due elementi fondamentali: la stalla e il fienile, questo ovviamente soprastante a quella. Raramente è accogliente per l’uomo: vi è normalmente la cucina per preparare e consumare i pasti, ma non sempre un locale per il riposo notturno; per questo può servire il fienile o, in caso di intemperie, anche la stalla. Come vani accessori, ora compresi nella costruzione principale ora come piccole costruzioni a sè, vi sono sempre quello, ben riparato, di conservazione del latte (sul cui pavimento si fa scorrere un rivolo d’acqua per accrescere la frescura), e talvolta quello di lavorazione dello stesso e di conservazione dei latticini; ma spesso a tale scopo serve la cucina. Nel complesso le costruzioni dei maggenghi sono disadorne e ciò è comprensibile perchè si tratta di abitazioni temporanee; per lo più sono in muratura, ma nelle Alpi numerose sono ancora in legno, specialmente nella parte adibita a fienile.

    Il recinto per il bestiame (baréch) al Pian dell’Avaro.

    Sui pascoli alti la dimora temporanea (chiamata generalmente alp o anche munt, malga, casera, bàita) è normalmente, come il pascolo stesso, o proprietà comunale o consortile; di solito sorge isolata, ma in Valtellina si trova anche raggruppata in villaggi. E costituita da uno o più edifici, talvolta di notevoli dimensioni, oggi per buona parte rimodernati o ricostruiti. Il più importante degli edifici include il locale di lavorazione del latte, con il focolare e gli attrezzi necessari, un piccolo vano per la conservazione del latte e un vano per conservare i prodotti caseari; entrambi questi ultimi vani e soprattutto quello di conservazione del latte sorgono però anche isolati in luogo fresco. Per l’uomo non vi sono in generale condizioni di agio: per cuocere le vivande si usufruisce del focolare dove si lavora il latte e per il riposo un assito nel sottotetto è quanto di meglio si può trovare. Ma la tendenza attuale a trasferire ai pascoli solamente il bestiame giovane riduce l’importanza dell’attività casearia e spesso il locale già riservato alla lavorazione del latte viene adattato in modo da attenuare il disagio del soggiorno dei pastori. Di solito poco lungi dalla casera vi sono anche stalle o porticati a uso di stalle; sono spesso di grandi dimensioni ma per lo più non hanno capienza sufficiente per ospitare tutta la mandra e vi trovano perciò ricovero i soggetti più giovani, più deboli e malati; gli altri pernottano a cielo aperto, talvolta, come nella montagna bergamasca, entro recinti chiusi da muriccioli di sassi, detti baréch. Non è raro il caso che nell’alpe vi siano più stazioni di pascolo; nelle Orobie ve ne sono persino una decina. In tal caso per ognuna delle stazioni secondarie vi sono soltanto dei ricoveri, permanenti o provvisori; vi possono essere, ad esempio, solo i muri dell’edificio e il tetto lo si sistema al sopravvenire degli armenti.

    Conclusione

    Sarebbe certamente eccessiva pretesa giungere dalle precedenti osservazioni, necessariamente sommarie, ad una precisa suddivisione del territorio lombardo in rapporto alle forme dominanti dell’insediamento umano; è tuttavia possibile giungere a una semplice distinzione per grandi linee, indicando come particolarmente estese tra il Po e il crinale alpino:

    1. la regione agricola della bassa con borghi rurali e grandi corti monoaziendali ;
    2. la regione prevalentemente industriale dell’alta pianura e della collina occidentale con centri industriali numerosi e spesso congiunti fra loro (regione urbanizzata);
    3. la regione agricolo-industriale dell’alta pianura e della collina orientale con centri agricoli e industriali, di solito distanziati, e piccole corti pluriaziendali ;
    4. la regione agricolo-pastorale della montagna prealpina con sedi permanenti in villaggi e sedi temporanee sparse;
    5. la regione prevalentemente pastorale della montagna alpina con sedi permanenti in villaggi e sedi temporanee in villaggi e sparse. Ciascuna regione è a sua volta suddivisibile in aree minori aventi individualità proprie. Ad esse poi va aggiunto l’Oltrepò pavese collegabile per più aspetti alle caratteristiche della regione alla destra del Po.

    La regione della bassa pianura irrigua è senza dubbio prevalentemente agricola e d’intenso allevamento; essa, a parte le grandi città, presenta sì alcuni centri in fase di sviluppo industriale, ma vi prevalgono i borghi agricoli, spesso costituiti da corti, cui si intercalano grandi corti isolate sulle proprietà fondiarie. In questa vasta area si devono però distinguere diverse zone e non solo per sfumature: la Lomellina, il Pavese, il Milanese, il Lodigiano, il Cremasco, il Cremonese e il Mantovano. La caratteristica precipua di tutta questa vasta regione è costituita dalla corte monoaziendale, che predomina quasi dovunque. Il primo elemento differenziatore tra zona e zona può essere offerto dalla frequenza maggiore o minore della corte isolata, dalle sue dimensioni e dalla sua organizzazione, in connessione con situazioni locali d’ordine pedologico e idrologico, con lo sviluppo cronologico della bonifica, con gli ordinamenti colturali e con gli ordinamenti fondiari. Fa spicco in questa minore suddivisione il Mantovano, in cui la corte si riduce di dimensioni e sorge di frequente sul fondo, sicché l’entità della popolazione sparsa e dei nuclei equilibra e talvolta supera quella dei centri. Per tal carattere il Mantovano si differenzia dalle altre parti della bassa più di quel che queste si differenzino tra loro.

    La pianura asciutta e la collina a oriente dell’Adda (esclusa la parte urbanizzata di Bergamo) hanno un’economia mista, ossia fondata in pari misura sull’agricoltura e suH’industria. Frequenti sono i centri industriali o in fase di sviluppo industriale e pur tuttavia numerosi rimangono i centri di antico carattere agricolo. La corte nella forma tipica della bassa appare sporadicamente ed invece prevale una forma ridotta della corte, che s’è indicata come piccola corte, in prevalenza pluriaziendale. Questa si trova con più frequenza nei centri, ma non manca anche isolata e alternata a cascine, pure isolate, in cui il rustico e l’abitazione sorgono giustapposti. La dimora rurale conserva le medesime caratteristiche anche nella zona a occidente dell’Adda, ma qui lo sviluppo industriale ha assunto un carattere dominante trasformando notevolmente il quadro dell’insediamento. Si tratta di una regione urbanizzata, prevalentemente costellata di centri in rapida espansione, per cui i caratteri rurali preesistenti vanno via via estinguendosi soffocati dall’edilizia civile e industriale; tali caratteri anzi sono ormai quasi del tutto estinti nelle conurbazioni e specialmente nella conurbazione milanese.

    La regione prealpina rappresenta una fascia di transizione, con carattere prevalentemente agricolo-pastorale, dove le caratteristiche dell’insediamento tipico della pianura penetrano lungo i fondivalle, ma dove già appaiono le forme dell’insediamento alpino. La popolazione vive per lo più in centri e nuclei, ma l’accentramento non si presenta con i caratteri così accentuati della regione alpina, sia per tradizioni preesistenti sia per lo sviluppo recente, in molti luoghi, delle costruzioni in funzione turistica o di villeggiatura. Le dimore rurali coordinate attorno ad uno spazio chiuso del tipo della piccola corte sono ancora presenti lungo i fondivalle maggiori, ma l’alternanza con dimore di forme varie, unitarie e complesse, è nettamente più accentuata che non nella collina. Caratteristica esterna più evidente di ogni dimora è il ballatoio in legno.

    Schema dei tipi di insediamento in Lombardia.

    1, stalle, fienili e « casere » di soggiorno temporaneo (raggruppate in villaggi o sparse) dell’alta montagna; 2, villaggi e borghi rurali di tipo montano; 3, rare città, borghi rurali distanziati con alta frequenza di dimore rurali (anche « corti ») sparse sui fondi; 4, cittadine, grossi borghi e villaggi in gran numero, intercalati da dimore sparse; 5, frequenti cittadine e borghi rurali di «corti» e grandi «corti» isolate sui fondi; 6, città e cittadine industriali ravvicinate e spesso congiunte fra loro (conurbazione); a, limite tra Alpi e Prealpi; b, limite della regione di montagna.

    La regione alpina, infine, che conserva un carattere prevalentemente pastorale, è una zona d’insediamento accentrato in piccoli villaggi e nuclei situati prevalentemente sui fondivalle o sui terrazzi prossimi ai fondivalle. La dispersione rappresenta casi d’eccezione, come quello di Livigno. Riguardo alla dimora vi sono forme molto varie: in linea generale a oriente della vai Seriana sembra avere una certa prevalenza il tipo di piccola corte, mentre a occidente della vai Brembana il tipo unitario e, nelle valli minori, il tipo a elementi separati. Le costruzioni sono tutte in pietra con tetto di piòde, ma nelle alte valli rimangono antiche case in legno che rappresentano le reliquie del tipo ivi dominante in passato. Nelle dimore delle valli di Chiavenna, poi, appaiono con evidenza le tendenze dell’architettura engadinese. Ma nella regione alpina alla dimora invernale fanno riscontro sui prati-pascoli e sui pascoli alti la dimora primaverile-autunnale e quella estiva, rappresentate rispettivamente dalle cascine e dalle casere, per cui si rileva una distinzione deirinsediamento anche per zone altimetriche.