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L’olivo

    L’olivo

    Altra importante coltura legnosa della Campania è l’olivo, che è diffuso su circa 180.000 ha., su un terzo dei quali in forma specializzata. Vegeta bene su suoli calcarei e ciottolosi, ricchi di terreno agrario, e sul macigno, oltre che su suoli più profondi, sempre che non ne sia respinto da colture più redditizie. L’olivo è pianta longeva, di grandi dimensioni sulle terre fertili, e preferisce i versanti esposti a sud.

    Riveste le pendici del Màssico, gli ampi fianchi del Roccamonfina e cinge ai margini il Piano Campano, occupando le zone di transizione tra la ricca pianura alluvionale e la povera montagna calcarea, della quale risale talvolta le falde più acclivi e più nude, penetra nella media valle del Volturno e del Calore, rivestendo alla base il Matese ed il Taburno e si mescola di frequente alla vite, come nell’Agro Telesino e di Guardia Sanframondi. Più nell’interno si ritrova su aree ristrette, più favorite climaticamente, e specie alla periferia dei centri principali (San Giorgio La Molara, Ariano Irpino, Flùmeri).

    Nella Penisola Sorrentina l’olivo è abbastanza diffuso nella sezione sud-occidentale sui terreni meno fertili e prospera bene sulle strette terrazze sostenute da macerie, che fasciano i fianchi più acclivi, essendogli stata sottratta dagli agrumi la zona più pianeggiante.

    Il territorio in cui esso occupa più considerevoli superfici e si spinge a maggiore altitudine è quello a sud dei Picentini. Gli oliveti rivestono le falde meridionali di questi monti e le formazioni plioceniche, espandendosi alle spalle di Eboli, dove il loro dominio potrebbe ancora ampliarsi. L’olivo risale la valle del Sele e fascia alla base il Monte Marzano, specie tra Contursi e Auletta, è presente alla periferia del Vallo di Diano, sui conglomerati, e manda fin oltre 700 m. di altitudine presso Sala Consilina ampi cunei di verde chiaro entro zone brulle o rivestite di boscaglia, più raramente di bosco.

    Il vero dominio dell’olivo è, però, nel Cilento costiero e nella valle del Calore Lucano. La pianta ricopre le basse pendici detritiche ed argillose dell’Alburno e del Mòtola e risulta particolarmente rigogliosa nelle conche più protette e sui versanti meridionali con abbondante terreno agrario. Il Monte Stella si può dire sia quasi tutto un immenso oliveto più o meno fitto, forse opera dei Benedettini, ai quali la montagna apparteneva dal Medio Evo, ma anche il versante sinistro dell’Alento ne è in parte ricoperto. Grande floridezza l’olivo raggiunge nella conca di Vallo della Lucania, nel territorio da Ascea a Capo Palinuro, sulle falde del Monte Bulgherìa e nella fascia costiera di Policastro, grazie alla presenza di profondi terreni sedimentari. L’eccezionale floridezza della pianta preannuncia i floridi oliveti della Calabria.

    Vedi Anche:  La zona di media intensità colturale

    La Campania occupa il quarto posto tra le regioni d’Italia per produzione di olio (un decimo di quella nazionale), dopo Puglia, Calabria e Sicilia, ma non dappertutto la qualità è superiore, perchè troppo spesso la pianta è trascurata nella potatura e nella concimazione e la raccolta avviene per caduta naturale. Molto sensibili sono le variazioni della produzione da un anno all’altro, ma i successi ottenuti recentemente nella lotta contro la mosca olearia assicurano ad essa una maggiore stabilità e compensano meglio le fatiche del coltivatore. L’olivo avrebbe ancora larghe possibilità di diffusione specie sulle nude pareti calcaree e nelle zone collinari costiere e interne, ma non sempre l’iniziativa privata è sufficiente per la sua diffusione, dato che la pianta entra in produzione parecchi anni dopo l’impianto.

     

     

    Gli agrumi.

    Un’altra coltura legnosa molto notevole per l’importanza economica e per le modificazioni apportate al paesaggio con la sua diffusione è quella degli agrumi. Essa interessa aree ristrette, che hanno il nucleo principale nella Penisola Sorrentina.

    L’introduzione degli agrumi in Campania è avvenuta sin dai tempi antichi, non solo per il cedro, come era risaputo fino ad un decennio addietro, ma anche per il limone e forse per l’arancio, come inducono a ritenere le recenti scoperte a Pompei e ad Ercolano di pitture e mosaici, che raffigurano i frutti di vari agrumi e la pianta del limone.

    Nel Medio Evo aveva assunto importanza agraria la coltura del cedro e successivamente guadagnò terreno quella del limone e dell’arancio lungo le sponde della Penisola Sorrentina e dell’arco partenopeo, grazie alla presenza di considerevoli mercati di assorbimento sul posto e al discreto commercio di agrumi verso Roma e Livorno dagli scali della Penisola Sorrentina.

    Sul nostro litorale, forse per naturale azione selettiva di terreno e di clima, si formarono varietà di arance dolci e semidolci già parecchio tempo prima che fosse introdotta dall’India nel Portogallo la varietà dolce, che col nome di questo paese si è diffusa in varie parti del Mediterraneo.

    espandendo nella Piana di Salerno, in quella del Sarno ed altrove, sicché la produzione è considerevolmente aumentata.

     

     

    La Campania è la terza regione d’Italia per quantità di agrumi prodotti, i quali sono riversati sui mercati in un’epoca mercantile più favorevole, non tanto per la maggiore latitudine, rispetto alle altre regioni produttrici, quanto per la protezione contro le intemperie che nella Penisola Sorrentina sottraggono i frutti alla luce diretta del sole fino al mese di maggio. La Campania è al secondo posto per la produzione di limoni e di mandarini dopo la Sicilia e al terzo per la produzione di arance e alimenta non solo il mercato locale, ma anche un discreto commercio interregionale ed estero.

    Vedi Anche:  Il popolo e i suoi usi e costumi

    Purtroppo le avverse condizioni meteorologiche colpiscono periodicamente la coltura e rovinano il prodotto e le piante, creando gravi disagi ai coltivatori, i quali hanno dovuto affrontare cospicue spese per l’impianto, per la protezione e per la lotta antiparassitaria.

    La produzione annua è risultata nel quadriennio 1957-60 superiore ad un milione di quintali ed ha un valore di oltre 5 miliardi di lire. Gli agrumi sono presenti entro la maggior parte delle corti della pianura ed adornano le facciate esposte a sud di molte case dell’Agro Telesino; ma le principali aree di coltura sono quattro, e cioè la Piana di Salerno, la Costiera Amalfitana, la Costiera Sorrentina e l’Agro Noce-rino, alle quali se ne possono aggiungere due secondarie (Campi Flegrei con le isole di Pròcida e di Capri, zona pedemontana dei Tifata e di altri rilievi preappenninici).

    La coltura promiscua è diffusa normalmente nella pianura, quella specializzata nella Penisola Sorrentina, degli aranci sul versante sorrentino, dei limoni su quello amalfitano e nei territorio di Massa Lubrense. L’area agrumaria di tale Penisola si segnala per l’intensità della coltura e per le accurate opere di terrazzamento e di protezione contro la grandine ed il vento, che formano un paesaggio agrario unico nel suo genere nel mondo.

    Malgrado le alte spese di impianto e di coltivazione, gli agrumi conservano un posto di primo piano nell’agricoltura campana. L’aumento della popolazione e del suo tenore di vita assicura a questa coltura un promettente avvenire, sebbene si avverta il bisogno di una maggiore selezione delle varietà, per far fronte alla concorrenza di altre regioni e per soddisfare meglio le esigenze dei consumatori.

    Le zone economico-agrarie.

    Diversi autori hanno tentato una ripartizione della Campania in zone dalla differente intensità colturale e dalla diversa importanza economico-agraria. Già ai primi del nostro secolo il Bordiga e più recentemente il Giusti hanno riconosciuto in Campania due grandi zone agrarie, una costiera, prevalentemente pianeggiante, che manda dei cunei nelle valli e nelle conche appenniniche, caratterizzata da una complessa struttura agraria e da una attività colturale molto intensa, ed un’altra interna, collinare e montuosa, con modesta intensità colturale e con larghe aree boschive e pascolative.

    « Così l’hanno divisa la natura e gli uomini », scrive giustamente il Milone, la natura differenziando una zona dall’altra nelle forme superficiali, nel clima e nella distribuzione delle acque e della vegetazione, gli uomini con la loro lunga e variamente intensa attività di trasformazione del paesaggio naturale, per creare un ambiente sempre più favorevole al loro insediamento e allo sfruttamento razionale del suolo.

    Vedi Anche:  L'utilizzazione del bosco

    Il Rossi Doria ha distinto tre zone agrarie, in base ai criteri già illustrati, che ha indicate con gli attributi di attiva, intermedia ed estensiva. Tali zone presentano una certa omogeneità interna, ma tra l’una e l’altra differenze assai rilevanti nella produttività, nel reddito e nella dinamica demografica ed economica. A tale ripar-

    tizione ci atterremo in questa breve esposizione sintetica delle caratteristiche agricole delle varie parti della regione, sia perchè ci sembra più adatta alla realtà, sia perchè ci è stato vantaggioso utilizzare l’egregio studio del Rossi Doria, il quale conserva un grande interesse e un notevole valore intrinseco, pur se riflette la situazione di un’annata agraria eccezionale.

    La zona di minore intensità colturale.

    tuosi del Cilento. Notevole estensione vi occupano i pascoli e il seminativo nudo, mentre fustaie di faggio, querceti, castagneti e florida macchia mediterranea sono ben rappresentati sui massicci calcarei e nel Cilento. Il seminativo prevale, spesso privo di alberi o interrotto da chiome isolate di querce, di carrubi o di alberi da frutta, e da rade oasi di vite, d’olivo e di fichi. Nel Cilento e nel bacino del Sele sono molto estese le piante legnose, e in specie l’olivo e la vite, in forma specializzata e promiscua, o distribuite più o meno radamente sul seminativo.

    In questa zona risultano dedite all’agricoltura 245.000 persone (1956) per un quarto circa sottoccupate, che sono destinate a cambiare attività o a cercare lavoro fuori della regione, per ristabilire l’equilibrio tra esigenze dell’agricoltura e forze di lavoro disponibili. In essa viene prodotto meno della quinta parte del reddito lordo agrario e forestale della regione, pur accogliendo oltre un terzo della popolazione campana.

    Vi predomina la coltura dei cereali e delle leguminose, sebbene la loro resa unitaria sia molto bassa; prevale la piccola proprietà coltivatrice, ma abbastanza ben rappresentata è l’affittanza coltivatrice e l’impresa con salariati e compartecipanti. Il suolo è povero e dilavato, mal concimato e sottoposto a rotazioni non sempre razionali, e il reddito netto ricavato dall’agricoltura è assai modesto. Il valore della produzione lorda vendibile è determinato per il 20% dalle colture erbacee in tutta la zona e per oltre il 50% nell’Appennino Sannita e si aggira intorno ad un terzo di quello medio per ettaro della regione. Da ciò deriva l’esigenza di diffondere le foraggere e di potenziare la consistenza del bestiame bovino e di consigliare ai contadini pratiche colturali più moderne, allo scopo di rendere più redditizia la coltivazione dei campi.