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L’agricoltura e l’allevamento

    L’agricoltura e l’allevamento: loro aspetti

    Aspetti generali del quadro agricolo

    Già in qualche occasione si è accennato all’importanza che l’agricoltura e l’allevamento assumono nella nostra Regione. Tale peso è forse più valutabile, almeno in prima approssimazione, sulla base della consistenza numerica degli addetti e dei valori della superficie globale utilizzata dall’agricoltura e allevamento; di ciò ci si può rendere conto dai valori esposti nella Tabella VII, in cui, sulla base del Catasto agrario 1929, aggiornato per alcuni trasferimenti di comuni dall’una all’altra provincia, sono date, in ettari, le superfici territoriali, quella agraria e la superficie lavorabile.

    Intanto si può sottolineare che anche in una regione notevolmente montuosa, come la nostra, l’area dell’improduttivo, rappresentato soprattutto dalla fascia alti-metrica più elevata, oltre i 2300-2400 m., è costituita da un valore percentuale non molto elevato e che trova riscontro in qualche altra regione italiana. Infatti la superficie produttiva per tutta la Regione supera di poco l’85% della superficie territoriale, senza denunciare variazioni percentuali apprezzabili tra l’una e l’altra provincia. Ciò significa una percentuale di improduttivo assai modesta, alla quale del resto si è anche fatto un cenno illustrando la consistenza e la distribuzione della popolazione sparsa. Qualche lieve differenza tra le due province si può sottolineare invece nella consistenza assoluta e in quella percentuale rispetto alla territoriale, della superficie agraria e di quella lavorabile, intendendosi per superficie lavorabile quella comprendente i seminativi nudi e arborati, i prati permanenti e le colture legnose, ivi compresi i castagneti da frutto, mentre per superficie agraria si intende quella lavorabile con l’aggiunta dei pascoli permanenti. Il termine di superficie produttiva va inteso nel senso di superficie agraria-forestale, per cui grosso modo, la differenza tra la superficie produttiva e quella agraria si può considerare pari all’area forestale, che ovviamente per la Venezia Tridentina ha una particolare importanza. I rapporti per 100 ha. delle varie superfici tra le due province risultano all’incirca i seguenti: in provincia di Bolzano complessivamente la superficie lavorabile tocca i 16 ha., mentre tutta la superficie lavorabile compresi i 16 ha. già detti raggiunge 44 ha. su 100 di superficie territoriale; questo significa che 43 ha. per 100 dell’area totale sono occupati da boschi. Tali valori per la provincia di Trento, sono rappresentati da 19 ha. di superficie lavorabile, 37 ha. per 100 ha. della territoriale dalla superficie agraria e gli altri 50 ha. ogni 100 per arrivare alla superficie produttiva totale, da boschi, il che può anche tradursi nella constatazione che metà della superficie territoriale del Trentino è occupata da boschi. Anche se i valori si riferiscono al Catasto agrario del 1929, non si è lontani dal vero affermando che la situazione generale media delle due province non si è molto modificata negli ultimi trent’anni, per quanto non siano certo mancate variazioni, invero assai modeste.

    Quanto alla situazione generale di tutta la Regione, resta abbastanza facile trarre le conclusioni dai dati finora illustrati: la superficie improduttiva resta la stessa, cioè pari a 13 ha. ogni 100 di superficie territoriale, mentre valori intermedi assume quella lavorabile, rappresentata da 17 ha. su 100 della territoriale, ripartiti tra i 16 dell’Alto Adige e i 19 del Trentino; 41 ha. su 100 di territoriale è la superficie agraria, media tra i 44 dell’Alto Adige e i 37 del Trentino e finalmente 46 ha. su 100 di superficie territoriale è quella rappresentata dai boschi. Le differenze più notevoli sono non tanto nei seminativi e colture specializzate quanto nel bosco, che risulta percentualmente e anche in valore assoluto più esteso nel Trentino che in Alto Adige, mentre l’inverso si ha per i pascoli permanenti.

    Ripartizione della superficie territoriale (1951).

    1, seminativi; 2, colture foraggere permanenti; 3, colture ortive e industriali; 4, colture legnose e specializzate; 5, boschi; 6, incolti produttivi; 7, improduttivo.

    Che le variazioni negli ultimi 30 anni non siano state molto notevoli lo si può desumere dai dati delle due province e di tutta la Regione con qualche ulteriore indicazione, relativa all’anno 1953, di recente resi noti.

    Anzitutto si avverte che i valori illustrano dettagliatamente la superficie produttiva, senza riferimenti nelle percentuali, come si è fatto nelle pagine precedenti, alla superficie territoriale. Per tutta la Regione, nel Catasto 1929, era data una superficie produttiva di kmq. 11.847,7 di fronte agli 11.686,6 kmq. del 1953. Quanto alla ripartizione tra le due province si hanno 6456,2 kmq. nel 1929 di fronte ai 6299,9 del 1953 per la provincia di Bolzano e 5591,5 kmq. contro 5386,7 per quella di Trento. In complesso una leggera contrazione che si può spiegare con una più precisa valutazione statistica, in cui le differenze dei valori totali si aggirano per tutta la Regione intorno all’1,5%, e altrettanto può dirsi per le aree valutate per le due province.

    Meritano qualche cenno anche le differenze esistenti entro le province stesse, nelle grandi ripartizioni, messe in evidenza nella Tabella VII.

    Anzitutto, per la provincia di Bolzano, le variazioni della superficie produttiva, che con riferimento sempre a valori percentuali della superficie territoriale della provincia, oscillano tra il massimo di 96 e di 94 ha. di superficie produttiva per la valle dell’Adige, circa da Merano a Salorno, cioè per quella porzione che è stata chiamata di pianura, ivi comprese anche le più modeste aree della vai Sarentina e della vai d’Ega, e 82 ha. su 100 della territoriale della vai Badia. Differenze anche più notevoli si riscontrano per la superficie lavorabile, per la quale in provincia di Bolzano si hanno oscillazioni di un terzo quasi della superficie totale, quali quelle della valle dell’Adige tra Salorno e Bolzano o circa un quarto per la valle dell’Adige, comprese le valli Sarentina e Ega, e poco più di un decimo quale si riscontra nell’Alto Adige occidentale.

    La situazione però cambia notevolmente quando si consideri la superficie agraria, che manifesta i massimi di 46 ha. su 100 della totale per l’Alto Adige occidentale e per la vai Badia contro 33 della vai d’Adige tra Bolzano e Salorno, e ciò per la scarsa area dei prati e pascoli, che significa minor importanza dell’allevamento. D’altra parte in tal senso non possono trarsi dirette conseguenze sull’estensione dei boschi, che sembrerebbero avere la maggiore consistenza percentuale rispetto alla totale nel tratto della vai d’Adige tra Bolzano e Salorno (63 ha. su 100 della territoriale), come parrebbe indicare la differenza tra i 96 ha. di superficie produttiva e i 33 di superficie agraria. Tali 63 ha. sono in verità in parte di bosco ceduo, poco redditizio, e in parte di arbustivo misto, di scarsa importanza economica. E così dicasi per l’Alto Adige occidentale, in cui i 37 ha. di bosco sono in realtà compensati da un’aliquota dei 46 ha. su 100 di territoriale occupati dai prati-pascoli permanenti.

    Anche nel Trentino si ripete in un certo senso la stessa situazione, sia pure con qualche attenuazione. La superficie improduttiva tocca i 92 ha. su 100 della totale nella valle dell’Adige, basso Sarca e Vezzanese e i 90 ha. in Valsugana, di fronte al minimo di 84 ha. delle valli dell’alto Sarca e del Chiese, ma anche la percentuale di superficie lavorabile è di un quarto nella valle dell’Adige, scendendo a meno di un ottavo nelle valli dell’alto Sarca e del Chiese.

    I valori della superficie agraria, cioè compresi i prati permanenti, sono assai più equilibrati tra le diverse valli (massimo 41 ha. della valle del Noce e i 34 ha. di quella dell’Avisio), cosicché anche l’estensione dell’area forestale di qualsiasi tipo voglia considerarsi, è assai meno oscillante e precisamente tra i 54 ha. della valle dell’Avisio e i 43 del bacino del Noce. In un certo senso può dirsi che vi è un rapporto inverso tra superficie agraria e quella forestale, entro certi limiti. Ben inteso: col crescere della prima diminuisce la seconda e viceversa, per quanto ciò si debba riconoscere vero solo per le valli a più tipico carattere montano, e cioè facendo esclusione delle zone a forti variazioni altimetriche (vai d’Adige da Merano a Borghetto e Valsugana in particolare).

    Le piramidi di Renón (Rio Rivellone).

    Carta pedologica del Trentino – Alto Adige.

    1, terreni provenienti da gneiss, micascisti e scisti filladici; 2, da calcescisti; 3, da graniti, dioriti, ecc.; 4, da porfidi, melafiri, basalti e tufi connessi; 5, da substrati arenaceo-marnoso-scistosi; 6, da calcari e dolomie; 7, da marne, calcari marnosi e da arenarie; 8, da depositi morenici e alluvionali; 9, ghiacciai.

    Per concludere, prima di passare ad analizzare un po’ più da vicino i problemi di dettaglio dell’agricoltura, si può dire che la maggior parte del territorio della Regione si svolge su fianchi montuosi e a quote molto elevate. In Alto Adige, ove si hanno spesso valli ristrette ed ampie zone a terrazzamenti orografici, quasi due quinti della superficie sono situati oltre i 2000 m. (circa i quattro quinti sopra i 1000 m.); nel Trentino invece, il cui territorio si sviluppa spesso a terrazzi ed altopiani, solo un quinto della superficie è sopra i 2000 m. e il 70% è posto al disopra dei 100 m. d’altezza.

    Tali notevoli se non eccessivi sviluppi altimetrici, l’esistenza di aree glaciali e preglaciali apprezzabili, la frequente forte ed accentuata pendenza dei fianchi montuosi determinano che una quota elevata (circa un settimo) del suolo non possa fornire una produzione vegetale di qualsiasi natura.

    I terreni agrari sono per la maggior parte di trasporto diluviale e alluvionale. Nelle zone di montagna i terreni leggeri, spesso derivati dal disfacimento dei graniti e degli scisti, frequentemente a reazione acida, risultano bene adatti a coltivazioni di zone elevate. Nelle plaghe di media montagna si hanno vaste superfici di terreni morenici o fluvioglaciali rimaneggiati, di provenienza porfìrica, assai feraci in genere e favorevoli alla coltivazione della vite, che trova terreno adatto anche lungo i fianchi delle vallate principali, ove il detrito di falda e gli apparati delle conoidi di deiezione costituiscono una buona copertura detritica, adatta a tale coltivazione, favorita anche dalle modeste altezze. Naturalmente nei fondovalle, ampi e pianeggianti, quasi sempre formati da alluvioni antiche e recenti, in parte sistemati con opere idrauliche negli ultimi decenni, si hanno terreni leggeri, costituiti da sabbie ricche di silice e di miche, il più spesso assai fertili, specie quelli che si trovano alla confluenza delle valli, in quanto provenienti dal disfacimento di rocce le più diverse; in talune valli però, come la Venosta, prevalgono peraltro terreni poveri, bisognevoli di abbondanti concimazioni e di forti irrigazioni. Va inoltre segnalato che le formazioni più antiche hanno una regolare dotazione idrica, della quale non dispongono le zone dolomitiche o porfiriche; questo fattore idrologico influenza non poco il grado di produttività del suolo, in modo che le imponenti masse dei gruppi cal-careo-dolomitici hanno una minore produttività e una più alta quota di terreno sterile, di quelle offerte dai terreni scistosi, dai fianchi regolari e coperti da verdi pascoli e boschi rigogliosi.

    Può quindi dirsi, in generale, che dopo i terreni alluvionali dei fondovalle, nei quali si ha l’ambiente pedologico più adatto ad un’intensa agricoltura e che col sussidio dell’irrigazione consentono la coltura frutticola, i terreni migliori sono quelli provenienti dal disfacimento delle rocce cristalline, sia per la composizione di queste sia per la disponibilità di acqua. Assai fertili, forse più ancora di questi ultimi, sarebbero i terreni derivanti da rocce di natura porfirica, se la grande scarsezza d’acqua non rendesse talora in essi assai difficile l’esistenza della vegetazione. I terreni infine di provenienza da formazioni calcareo-dolomitiche, per l’alta percentuale di calcare e ancor più per la deficienza d’acqua, dovuta alla forte permeabilità delle rocce, sono i meno adatti alle coltivazioni, anche per la difficoltà di una conveniente utilizzazione delle acque che vi scorrono assai profonde.

    Campo Rotaliano

    L’utilizzazione del suolo

    Stando ai dati della Tabella Vili, poco più del 14% della superficie è costituita da terreni agrariamente improduttivi, che comprendono vere e proprie zone sterili (rocce nude, ghiacciai e nevai, ecc.) che assommano a quasi 1650 kmq.; le altre aliquote, molto minori, sono coperte da fabbricati, da strade, da acque, da miniere, con larga prevalenza delle acque. Una certa differenza si rileva, come del resto si è già accennato, tra le due province, giacché in quella di Bolzano i terreni sterili toccano quasi i nove decimi della superficie improduttiva, mentre in quella di Trento si resta intorno agli otto decimi. La restante superficie produttiva, che già si è illustrato come sia ripartita tra agraria e lavorabile, può anche essere più opportunamente ripartita tra superficie lavorabile (seminativi, colture legnose specializzate, prati permanenti, ecc.) e quella silvo-pastorale, cioè i pascoli, i boschi e l’incolto produttivo. Già si è sottolineato che tanto nell’Alto Adige quanto nel Trentino la quota di superficie interessata da terreni lavorabili aumenta in modo apprezzabile lungo i fondovalle e decresce nelle zone di montagna. Peraltro si è già fatto cenno a qualche notevole differenza, dovuta sia alla natura oro-idrografica e geologica dei due territori, sia alle differenze etniche che hanno portato a diverse condizioni economico-sociali.

    La superficie dei seminativi destinata alla coltivazione di piante erbacee in generale risulta di poco inferiore ai 67.000 ha., comprensivi anche delle tare (7,3%) produttive e improduttive e degli spazi sotto le arborature: riduzione più elevata nel Trentino (oltre il 10%), data la maggior estensione dei seminativi con piante legnose e del maggior frazionamento della proprietà, che in Alto Adige, ove supera appena il 3%. I seminativi raggiungono eccezionalmente, in posizioni ben esposte e riparate, quote anche sopra i 1900 m. (vai Venosta) con la segala; normalmente si scende però a quote più basse (1500-1600 m.), mentre il frumento si arresta in genere intorno ai 1000 metri. I cereali predominano sulle altre coltivazioni in quanto occupano in provincia di Bolzano i tre quinti del territorio a seminativi, mentre raggiungono poco più della metà in provincia di Trento. Dei cereali il più coltivato in Alto Adige è la segala, che caratterizza le zone di monte, mentre il granoturco, che arriva eccezionalmente ai 1000 m. di altitudine, è più esteso in provincia di Trento. Circa 10.000 ha. interessano rispettivamente le due colture cui fanno seguito abbastanza da vicino il frumento e l’orzo.

    Al gruppo della patata e degli ortaggi, cui spesso, specialmente nel Trentino si associano anche le leguminose (fagiuoli), è destinato circa un quinto dei seminativi; la patata interessa una superficie (14.000 ha.) superiore a qualsiasi altra coltura avvicendata: nell’Alto Adige segue da vicino la segala con 4500 ha., ma nel Trentino eguaglia la superficie investita a granoturco. Per quanto limitate in superficie, hanno però una certa importanza il tabacco, concentrato in alcuni comuni intorno a Rovereto e alcune piante industriali a coltivazione essenzialmente ortiva.

    In particolare l’area a coltivazione del frumento si è alquanto ridotta dal periodo anteguerra ultima ad oggi; i due terzi sono in Trentino, un terzo in Alto Adige, ove tende ad aumentare. La produzione media del periodo 1950-53 ha raggiunto i 195.000 q., con un rendimento unitario passato da q. 13,5 del 1923-28 a q. 15,6 del 1936-39 a q. 15,7 del periodo 1950-53, reddito superiore a quello delle Marche e, per qualche anno, della Toscana, Puglia e Sicilia. Di fronte a una diminuita produzione globale rispetto al 1936-39 sta una diminuzione della produzione unitaria per la provincia di Bolzano (da 17,6 q. a 13,2) e un apprezzabile incremento unitario per quella di Trento. Nella prima le produzioni più elevate sono fornite dalla Pusteria e alta valle dell’Isarco (31,6%) e vai d’Adige (25%), che ha anche il maggior reddito unitario (20-21 q.). Nel Trentino gli agri di Trento e di Rovereto producono il 36,8% del totale e il 18,5% della provincia, con oltre 18 q. per ettaro, mentre i « campi » della vai di Fiemme sono appena il 3% della produzione provinciale. La segale con i 12.000 ha. a coltura, contribuisce all’alimentazione; e assai in uso ancora in Alto Adige per la facile conservazione. La provincia di Bolzano conta l’85% dell’area a coltura, che interessa i tre decimi dei seminativi, occupanti vaste aree di terreni leggeri sabbiosi a quote oltre i 1000 metri. La produzione nel periodo 1950-53 è stata di oltre 172.000 q., con l’85% in provincia di Bolzano, pari al 13,5% della produzione nazionale, con un reddito unitario di q. 14,4 per ettaro, notevolmente superiore alla resa media italiana. L’alta Venosta, la vai Passiria e l’alta Pusteria e alta vai dell’Isarco contano circa i due terzi dell’area investita in questa provincia e in egual misura concorrono alla produzione alto-atesina, mentre le rese unitarie più elevate sono quelle dei masi della Venosta e della Pas-siria; per la provincia di Trento si distinguono gli alti bacini dell’Avisio e del Noce, dai quali provengono i due terzi della produzione provinciale.

    Covoni al sole nella valle Aurina

    Il granoturco ha gradatamente esteso la sua produzione negli ultimi trentanni, raggiungendo i 13.000 ha. ed è quasi tutto a semina primaverile. Fornisce uno degli alimenti essenziali al contadino trentino con una produzione in continuo aumento: attualmente oltre 10.000 ha., pari all’87% della Regione, area corrispondente a circa un quarto dei seminativi. Nel quadriennio 1950-53 la produzione ha raggiunto in media i 370.000 q., cifra dovuta non tanto all’aumento della superfìcie investita, quanto a perfezionamenti tecnici e alle sementi impiegate. Dai 21,1 q. per ettaro di 25 anni fa, si è arrivati alla resa di 28,7 q. unitari negli ultimi anni; redditi alti, ma sempre inferiori a quelli della Lombardia, del Veneto, del Piemonte e dell’Emilia. Le zone di maggior produzione sono l’agro trentino e Rovereto, la Valsugana con i tre quarti della superficie e oltre i tre quarti della produzione, mentre in Alto Adige il contributo più forte (90% della produzione) è dato dalla vai d’Adige con un reddito di oltre 33 q. per ettaro.

    Seguono a grande distanza l’orzo e l’avena, coltivati su limitate superfici montane in piccoli campicelli, il cui raccolto soddisfa, nel Trentino, appena il fabbisogno del produttore. L’area supera di poco i 5000 ha. ed è in lenta e progressiva diminuzione; la produzione di orzo nella media degli ultimi anni ha superato di poco i 50.000 q., con un leggero aumento della produzione unitaria, superiore alla media italiana e a quella di varie regioni. La provincia di Bolzano ha la maggiore superficie investita, ma di norma redditi unitari inferiori. Le zone agrarie delle produzioni maggiori sono la Pusteria, l’alta vai dell’Isarco, la vai d’Ùltimo, l’alta Venosta e l’alta Pas-siria, mentre in Trentino si possono ricordare l’alto Avisio e l’alto Noce a fianco di alcune fasce di montagna intorno a Trento. In progressiva diminuzione l’avena, che praticamente, con 22.000 q., interessa solo alcune zone della Pusteria e dell’alta valle dell’Isarco.

    Tra le coltivazioni erbacee a scopo alimentare è di interesse economico preminente, nella nostra Regione, la patata, la cui area di produzione è andata diminuendo nell’ultimo decennio, ma ora va gradatamente aumentando per i miglioramenti che hanno portato ad un forte incremento della resa unitaria, passando dai 95 q. per ettaro dell’anteguerra ai 117,7 della media del 1950-53. Così la produzione, malgrado la diminuzione di area, è passata da 1.500.000 q. a 1.618.800 q. come media del periodo 1950-53. Devesi anche ricordare che in due quinti della superficie la patata è in consociazione con il fagiuolo, la fava e il pisello e talvolta con la vite e col frutteto. I due terzi dell’area coltivata spettano al Trentino; in tutta la Regione la contrazione post-bellica è stata sensibile, ma specie nel Trentino (—20,3%) per la sostituzione col frutteto. Alla produzione concorre con i due quinti l’Alto Adige, con fortissimi aumenti dei redditi unitari: da 106,5 <3- a I50t9» produzioni assai più elevate della media nazionale (70 q.), dovute all’introduzione di varietà altamente produttive che consentono aliquote di esportazione come patata da seme, di cui quasi tutto il Paese è rifornito dalla provincia di Bolzano. Quivi la patata caratterizza le colture della Pustena e alta valle dell’Isarco (190 q. di tuberi per ettaro), cui seguono la media valle dell’Isarco e la vai dell’Adige, mentre nel Trentino, l’Anàunia e alcune zone della plaga di Trento coprono la metà della produzione provinciale.

    Vedi Anche:  Bolzano e Trento

    La coltivazione del tabacco nella provincia di Trento.

    Alla patata è associato spesso il fagiuolo, per nove decimi dell’area (15.000 ha.) coltivato in provincia di Trento, associato al granoturco (85% dell’area in Alto Adige, 47% nel Trentino) o alla patata (4% e 46% rispettivamente). La produzione totale di quasi 25.000 q. è in diminuzione a causa del diverso rapporto odierno rispetto al prebellico, delle piante in consociazione. Le maggiori produzioni sono quelle della vai d’Adige con i quattro quinti della produzione alto-atesina, mentre nelle stesse zone trentine si raccoglie circa la metà dei 20.000 q. annui di produzione della provincia. Scarsa e sempre minore l’importanza della fava e del pisello (Alto Adige) e così di altre piante alimentari ortive, limitate a qualche orto industriale o agli innumerevoli orticelli di tutte le case rurali sparse e dei centri. Una sola coltura può essere ricordata, il cavolo, che è praticata in Pustena e in vai dell’Isarco (metà della produzione alto-atesina) e nell’agro di Trento e di Rovereto (tre quinti della produzione trentina). In totale la produzione si è aggirata sui 260.000 q. nel 1950-54, di cui due quinti in provincia di Bolzano.

    Ultimo gruppo di piante erbacee considerabile sono quelle industriali, ove può annoverarsi il tabacco, che occupa oggi intorno a 350 ha., tutti nel Trentino, con riduzione di area rispetto al 1936-39. La produzione è in diminuzione rispetto all’anteguerra (q. 5300 di tabacco secco), coltivato nella bassa vai Lagarina (Rovereto, Mori, Ala) e nella bassa Valsugana. Scarsamente rappresentative altre coltivazioni industriali, il papavero, il lino, la soia.

    Una notevole importanza assume nell’economia agricola tutto quel complesso di aree destinate alla produzione di foraggi, che consentono comunque lo sviluppo dell’allevamento, aree almeno parzialmente soggette a lavoro dell’agricoltore che in questa Regione quasi sempre è anche allevatore. Queste aree utilizzate a foraggere comprendono fondamentalmente tre tipi di utilizzazione del suolo. I prati permanenti ed i prati-pascoli permanenti sono i più importanti e coprono una percentuale circa eguale nelle due province (circa il 10% dell’area totale); sono arborati (meli nel Trentino) per circa un terzo della superficie, mentre in Alto Adige quelli arborati sono localizzati nella vai Venosta (Silandro) e nella media valle dell’Isarco (Bressanone). I pascoli permanenti invece interessano oltre un quarto della superficie dell’Alto Adige (185.000 ha.) e meno di un quinto in quella di Trento (114.000 ha.).

    Diagramma di produzione del tabacco, provincia di Trento (1926-60).

    • a) superficie in ettari;
    • b) tabacco verde prodotto;
    • c) importo lordo pagato in milioni di lire (1960).

    Prato in fiore ai piedi della Torre di Sella.

    I pascoli permanenti occupano invece modestissime aree di fondovalle (in prossimità dei centri e case rurali), mentre grande sviluppo di superfìcie assumono nella fascia degli alpeggi e delle malghe (1600-2200 m.).

    Altra caratteristica sta nel fatto che il 30% dei prati permanenti della provincia di Bolzano e il 25% di quella di Trento sono irrigui e in quanto tali consentono più tagli annui con pascolo autunnale, mentre sono falciabili una sola volta a quote elevate.

    Non v’è dubbio che la produzione foraggera deve considerarsi uno dei pilastri dell’economia agricola della Regione, quale base dell’allevamento e dei suoi prodotti, i quali rappresentano i due quinti della produzione lorda vendibile agricolo-forestale della Venezia Tridentina. Nel complesso la produzione di foraggi può valutarsi negli anni più recenti a oltre 8.500.000 q., leggermente al disotto di quella del periodo 1938-39, ma di oltre un 20% superiore al periodo 1923-28. Vi concorre in limitata misura la produzione da prati da vicenda, erbai, ecc.; oltre il 70% è dato dalle foraggere permanenti (prati, prati-pascoli e pascoli) e il 15% è rappresentato da foraggi accessori. La produzione altoatesina è di poco superiore a quella trentina (56% contro il 44%) e così pure la produzione unitaria (q. 7,7 contro q. 7 per ha.). Dànno normalmente oltre mezzo milione di quintali la vai Passiria e l’alta valle dell’Isarco, la vai d’Ultimo, l’alta e la media Venosta, la zona agraria di Cles, Borgo e Tione. I prati da vicenda si sono estesi pur non raggiungendo le superfìci disponibili con razionali avvicendamenti; dànno circa 800.000 q., di cui due terzi in Alto Adige (trifoglio) con oltre 80 q. per ettaro; nel Trentino la produzione unitaria di medica è più bassa (65 q. per ettaro), ma la media della Regione (76 q. per ettaro) supera quella nazionale (65 q. per ettaro). Così la produzione in erbai, che si aggira sui 270.000 q. è notevole, ma in diminuzione rispetto a quella del 1929; il Trentino con le zone di Rovereto e di Trento dà i tre quarti della produzione totale; limitata è nella provincia di Bolzano alla Pustena, alta valle dell’Isarco e vai d’Adige. Anche l’estensione dei prati permanenti (circa 90.000 ha.) è in leggera flessione, così come la loro produzione, rispetto all’anteguerra; però essi coprono quasi metà della produzione totale, fornita per oltre due quinti dai prati irrigui, di cui oltre la metà situati in Alto Adige. La produzione media di 50 q. per ettaro può dirsi stazionaria e poco diversa da quella italiana. Vi apportano largo contributo la Pustena, l’alto bacino dell’Isarco, la vai d’Ega, la vai Gardena, la vai d’Ultimo, la Venosta e la Passiria in Alto Adige, le zone agrarie di Borgo, Cavalese, Cles e Tione nel Trentino.

    Sviluppo della produzione viticola della provincia di Trento, uva e vino. Indice base quinquennio 1937-1941 = 1.

    Diffusi sono i prati-pascoli permanenti in provincia di Bolzano e limitati nel Trentino alle valli dell’Avisio e del Noce con 635.000 ha., di cui il 43% per il Trentino, il quale porta il contributo di quasi il 40% alla produzione dei pascoli permanenti (circa 300.000 ha. in tutta la Regione). La produzione di erba pascolata può valutarsi a oltre 1.200.000 q. di fieno, di cui il 38% proviene dai pascoli alto-atesini, assai meno produttivi di quelli trentini. Si calcola che decine di migliaia di bovini siano avviati verso i pascoli alpini (668 nel Trentino nel periodo estivo) divisi in mandrie che spesso superano i 100 capi ciascuna.

    Un secondo caposaldo dell’economia agricola tridentina è rappresentato dalle coltivazioni arboree. La viticoltura ebbe dopo la prima guerra mondiale una notevole crisi, dovuta all’invasione fil-losserica oltre che al cambiamento dei mercati, e subì profonde modifiche nell’indirizzo tecnico di produzione. La superficie complessiva è di oltre 30.000 ha., poco più della metà a vigneto, il resto promiscuo con seminativi e prati. La produzione complessiva sale a oltre 1.330.000 q. di uva, cui vi concorre il Trentino per il 64%, con assoluta prevalenza di uve nere. La produzione unitaria di oltre 60 q. per ettaro è sensibilmente superiore a quella media italiana e a quella di varie regioni. Modesta l’aliquota avviata al consumo diretto, mentre da quella per vinificazione (450.000 q. dell’Alto Adige e 800.000 q. del Trentino) si sono ricavati circa 900.000 hi. di vino, quantità assai superiore a quella anteguerra, con rese intorno a 71,6 litri per quintale, consentite dall’ottimo tipo dei vitigni e dai progressi tecnici, che da tempo hanno creato larga rinomanza sui mercati alla produzione vinicola della Regione. Importanza superiore alla viticoltura ha la frutticoltura, favorita da condizioni d’ambiente, economiche e di mercato, che ne hanno aumentato lo sviluppo. Non solo le zone di fondovalle a clima più mite, ma anche vaste aree di media altitudine, fino a 1000 m. talvolta, come in vai di Non hanno veduto un largo sviluppo della frutticoltura. Per importanza melo e pero precedono altri frutti. La coltivazione del melo investe un’area di oltre 22.000 ha., di cui oltre un terzo a coltura specializzata. Del prodotto complessivo, oltre 1.250.000 q., i sette decimi, appartengono all’Alto Adige con coltivazione fortemente specializzata e alte produzioni unitarie (no q. per ettaro), ma in provincia di Trento si trovano meleti a redditi unitari anche superiori fino a 130 q. per ettaro. La produzione altoatesina è localizzata soprattutto in vai d’Adige, nella media Venosta e vai Passiria, mentre quella trentina vede primeggiare la vai di Non e la regione agraria di Trento. Accanto al melo il pero ha visto aumentare la coltura specializzata dai 60 ha. prebellici agli attuali 1860 ha., assai più alta la superficie a coltura promiscua. La produzione complessiva è arrivata ad oltre 700.000 q., dei quali un terzo forniti dalla coltura specializzata; vi partecipano circa alla pari le due province, con differenze di rapporti di coltura e con una localizzazione del tutto simile a quella del melo. Gli altri alberi fruttiferi seguono a lunga distanza e possono ricordarsi l’albicocco (media Venosta e Passiria), il pesco in analoghe zone dell’Alto Adige e nelle plaghe trentine e di Rovereto, Riva e Trento. Ancor più modeste le produzioni del ciliegio, susino e noce (agro di Trento e Tione).

    Il quadro di queste colture richiede un accenno ancora all’olivo, caratteristico del basso Sarca (365 ha. con 350-400 piante per ettaro) con produzioni unitarie alte, ma di scarsa importanza complessiva e così dicasi del gelso, la cui area si è ridotta a quasi la metà negli ultimi trent’anni. Su un’area di circa 15.000 ha. si ha una produzione di poco inferiore a 70.000 q., tutti in Trentino (Valsugana, vai Lagarina, ecc.).

    Sviluppo della produzione viticola della provincia di Trento, uva e vino. Indice base quinquennio 1937-41 = 1.

    Grandi estensioni coltivate a viti nella zona di Caldaro.

    I boschi

    Alle coltivazioni erbacee e a quelle arboree si affianca, quale terzo elemento fondamentale dell’economia agricola, l’utilizzazione del bosco, la cui superficie è all’incirca equivalente nelle due province per quanto una certa differenza si possa trovare nel fatto che in Alto Adige la superficie boscata è per il 95% coperta da fustaie, contro il solo 62% della provincia di Trento. Le fustaie sono resinose, salvo il 0,4% costituito dai pochi ettari a castagneti (Valsugana) e a faggio (vai d’Adige). Leggermente più diffuse le fustaie miste di resinose e latifoglie, alquanto più diffuse in provincia di Bolzano che in quella di Trento. Le fustaie di resinose sono in prevalenza miste in tutta la Regione, quelle pure prevalgono nella provincia di Bolzano e dal punto di vista della specie la più diffusa è l’abete, con assoluta prevalenza dell’abete rosso (Abies excelsa), cui segue il larice (Larix decidua), il pino con diffusione maggiore del pino silvestre (Pinus silvestris), che in provincia di Trento è spesso sostituito dal pino laricio o nero. Fra le fustaie pure le abetine, precedono i lariceti dell’Alto Adige e le pinete del Trentino. I cedui misti interessano poco più di un decimo della superficie boscata trentina e un centesimo di quella di Bolzano, ove sono misti alle fustaie di resinose e sono caratteristici della vai d’Adige e della bassa valle dell’Isarco. Il ceduo semplice è invece più o meno esteso e interessa in Trentino un’area pari a un quarto circa della superficie boscata totale, mentre in Alto Adige solo un ventesimo della superficie del bosco è a ceduo.

    Coltivazione di vigneti a cerchio nei pressi di Egna

    I meleti della val di Non

    Elevatissimo è il coefficiente di boscosità rispetto alla media nazionale (tra 19 e 20%) esso tocca il 47,5% per la provincia di Trento e il 40,1% per quella di Bolzano; la media della Regione è pari al 43,5%.

    La produzione forestale legnosa non deve essere confusa con l’incremento legnoso annuo, cioè il volume della massa legnosa di cui i boschi si accrescono annualmente, ma va intesa come prodotti legnosi annualmente tolti dal suolo e destinati al consumo.

    La media annua di legname fornito nel periodo 1950-53 è di poco più di 740.000 me. di legname da lavoro, costituito per il 99,4% da resinose, cui devonsi aggiungere altre 200.000 tonn. di legna da ardere (metà di resinose e un migliaio di tonnellate di carbone di legna). In totale poco più di 1.000.000 di me., per tre decimi costituiti da legname combustibile.

    Il legname da lavoro è fornito per quattro quinti da abete (85% di abete rosso), poco più del 12% da larice, cui seguono il pino e le latifoglie. Alquanto diversa è la situazione tra le due province rispetto al legname da lavoro che sale quasi a quattro quinti del totale in provincia di Bolzano e a poco più di tre in provincia di Trento con quantitativi assoluti pressoché eguali intorno a 370.000 me. costituiti quasi completamente da resinose. Qualche variazione si ha anche entro l’ambito del quadriennio (1951-54) tra le proporzioni di legname da opera delle due province. Un forte aumento complessivo dell’utilizzazione di legname si è verificato durante l’ultimo conflitto mondiale (circa il 25%), consumato spesso quale combustibile. Alla riduzione del periodo postbellico ha fatto sèguito un aumento nel 1951 con la utilizzazione di oltre 800.000 metri cubi. Quanto alla destinazione economica può dirsi che i tre quarti sono coperti da tondame da sega e il resto è variamente ripartito con medie scarsamente oscillanti tra le due province. La provenienza dei maggiori quantitativi di legname da lavoro in Alto Adige è data dalla Pusteria e alta valle dell’Isarco, vai d’Ega, vai Gardena e alte convalli, vai d’Ultimo e alta vai Passiria, che forniscono circa i tre quarti del totale, mentre per il Trentino si possono elencare la vai di Fiemme, vai Cismón e l’alto bacino del Noce che forniscono i sette decimi circa del totale. Dagli accenni sia pure sommari fatti ai rapporti tra legname da lavoro e legname da combustibile appare chiaro che la produzione dei boschi della Venezia Tridentina è tra le più pregiate delle varie regioni italiane e ciò tanto più appare se si tien conto che l’incremento annuo corrente medio per ettaro è in provincia di Bolzano di 1,85, 2,25, 2,45 me. e in quella di Trento 2,25, 1,36, 1,15 me. rispettivamente per le fustaie, i cedui composti e i cedui semplici.

    Alberi di olivi ad Arco.

    Bosco di abeti presso il Passo della Méndola.

    Tenendo presenti le superfici che queste tre forme di governo boschivo hanno in ciascuna provincia, si desume che l’incremento legnoso annuo totale lordo, vale a dire la formazione annua lorda di massa legnosa è di circa 550.000 me. in ciascuna provincia, e consente di affermare, tenuto conto delle perdite, che l’entità massima disponibile si aggira sui 950.000 me., rappresentanti il massimo sfruttabili senza incorrere in depauperamenti del patrimonio. Le recenti utilizzazioni hanno superato tale limite, specialmente in provincia di Trento, per cui s’impone una saggia politica forestale per evitare l’impoverimento e la degradazione del bosco e non solo ai fini economici. Una piccola aliquota di legname da lavoro e da ardere esiste anche nei prati, prati-pascoli e pascoli, tutto costituito da resinose e in piccola parte da latifoglie; si tratta però di quantitativi assai piccoli.

    Quanto alle industrie che utilizzano il legname da lavoro se ne farà cenno nel Capitolo successivo; resta però necessario richiamare il fatto che anche in sede di utilizzazione agricola del suolo il bosco rappresenta per la Venezia Tridentina un caposaldo della sua economia ed un patrimonio che va accuratamente ed oculatamente protetto, anche perchè il ripristino dopo eventuali depauperamenti è sempre lento e difficile.

    Bosco di abeti presso Vetriòlo.

    Caratteri della proprietà fondiaria

    Carattere peculiare dell’agricoltura è anche il tipo e la struttura della proprietà fondiaria, che indubbiamente si riflette sulla struttura sociale di una determinata Regione, quando in questa un’alta percentuale di popolazione attiva si dedica e vive dell’agricoltura. « Neil’esaminare, scrive, il Turbati in un suo studio recente, la distribuzione della proprietà fondiaria nel Trentino-Alto Adige è possibile rilevare due peculiari caratteristiche e precisamente: l’elevata diffusione della proprietà degli enti, i quali posseggono, per la massima parte in complessi di notevoli estensioni, quasi tre quinti della superficie censita, quota che non è dato riscontrare in nessuna altra regione; l’accentuato frazionamento della proprietà privata in provincia di Trento di contro ad una più razionale divisione di essa in quella di Bolzano ».

    Il notevole numero di proprietà, spesso molto grandi, di enti è da porre in relazione con l’alta aliquota di superficie produttiva ad investimento silvo-pastorale e a cause storiche che hanno determinato tale situazione; non va infatti dimenticata l’organizzazione politico-amministrativa che si è venuta consolidando nel tempo in relazione all’esistenza dei principati vescovili di Trento e di Bressanone e alla costituzione in epoca, spesso assai remota, di regole e di comunità, di proprietà comuni di « ville » e di proprietà collettive, trasformatesi poi con la istituzione e organizzazione dell’ordinamento comunale in beni dei comuni. La formazione del resto di beni destinati a restare indivisi e conservatisi attraverso il tempo fino a costituire oggi una caratteristica peculiare della distribuzione della proprietà va anche ricercata nella natura montuosa della Regione e nella necessità di disporre di vaste superfici per l’utilizzazione del bosco e dei pascoli. Valga anche un solo esempio allo scopo, quello della Magnifica Comunità di Fiemme, specie di ente la cui origine risale al secolo XIII (1222) a riconoscimento di taluni privilegi riconosciuti dal Vescovo di Trento agli uomini abitanti della valle. L’insediamento umano nei secoli XIV e XV si era andato formando e consolidando nell’attuale struttura, salvo qualche lieve differenza, come l’esistenza della « villa » di Cadrubio, di cui oggi resta come sola testimonianza una torre diruta. Le dodici ville di allora, corrispondenti ad attuali centri, possedevano o meglio utilizzavano l’area pascoliva e quella dei boschi in comune e riuniti in quartieri, cioè gruppi di ville, esplicavano l’utilizzazione del suolo con ritmo rotatorio tra i quartieri, di modo che ciascun quartiere per successivi periodi quadriennali potesse avvalersi di terreni che e per posizione e per la loro natura presentavano reddito diverso. Questa sorta di organizzazione sociale, regolata da consuetudini, era atta a distribuire con assoluta equità le risorse del territorio utilizzato; vita eguale per tutti regolata dalla comune volontà espressa con elezione degli amministratori dei beni comuni, esercitata secondo particolari e precisi regolamenti. Ad una fase in cui può dirsi che l’intera superfìcie utilizzata era regolata da norme collettive, si va attuando — dal 1500 in poi — una distribuzione fra le diverse ville di parti più o meno grandi di superfici, distribuzione determinata oltre che da avvenimenti o fatti di una certa importanza, da una causa più generale e comune a tutte le ville: l’aumento demografico che, per quanto lento e per il relativo consolidamento intorno a un certo numero di fuochi (famiglie) di ciascuna villa, può ben facilmente immaginarsi come la causa prima della necessità di sostituire il sistema di rotazione di tutto il territorio utilizzato, così da poter meglio curare le aree stesse ed attuarvi provvidenze per migliorare il reddito e per rendere più sicuri gli investimenti del lavoro dei singoli. Pur conservandosi per tradizione e consuetudine l’ordinamento quartieristico si venne sostituendo, senza frazionare la proprietà, un ordinamento tendente a riconoscere maggiore importanza alle ville, codificato a un certo momento in un vero e proprio documento scritto. Questo esempio resta unico, ma consente la documentazione della formazione di una delle grandi proprietà collettive. E del resto una riprova della necessità imposta dall’economia pastorale di uno sfruttamento collettivistico lo si trova ad esempio nelle malghe, oggi in molti casi di proprietà dei comuni o di enti, ma dove il bestiame è di proprietà privata, cosicché si fa uso da parte di privati di un bene collettivo, alla cui manutenzione e conservazione pensa naturalmente l’ente proprietario.

    Ripartizione della proprietà (1951).

    Colonne: valori assoluti; cerchi: valori percentuali, a, Demanio (Stato-Regione); b, Comuni; c, Proprietà collettive; d, Altri enti (provincia, enti ecclesiastici, di beneficenza, ecc.); e, Società commerciali e civili; /, Privati.

    La seconda caratteristica è l’accentuato frazionamento in provincia di Trento della” proprietà fondiaria privata di fronte ad una più razionale suddivisione in provincia di Bolzano, fatti legati all’applicazione di due diverse concezioni giuridiche nella trasmissione ereditaria della proprietà. Nel Trentino è stato sempre applicato rigidamente il concetto del diritto romano che ha indotto in genere allo spezzettamento del fondo agricolo indipendentemente dalla sua area, in ragione del numero degli aventi diritto all’eredità. Ne è conseguita una scomposizione e talvolta ricomposizione delle aziende e un’accentuata polverizzazione e dispersione della proprietà privata trentina. Elemento favorevole anche la struttura geo-idrologica trentina con particolare riferimento alla distribuzione dell’acqua nelle regioni calcaree assolutamente predominanti nel Trentino in confronto all’Alto Adige. Il sistema terriero alto atesino si basa, invece, sul concetto della conservazione del bene familiare, tenendo presente l’economia terriera, partendo da consuetudini già in uso in varie regioni delle Alpi austriache, basate su alcuni princìpi essenziali, codificati circa un sessantennio fa da dispositivi giuridici sul « maso chiuso », per evitare il frazionamento della proprietà, mediante la conservazione dell’integrità aziendale e l’indivisibilità di essa. Conseguenza e principio giuridicamente riconosciuto è la necessità che l’individualismo ceda di fronte a superiori interessi di carattere economico-sociale e la constatazione che l’incremento produttivo agricolo può essere favorito dalla continuità ed integrità del nucleo familiare contadino.

    Passando a qualche dettaglio relativo alle caratteristiche della proprietà risulta, da accertamenti abbastanza recenti, che l’intero territorio è distribuito tra oltre 270.000 proprietà che corrispondono all’incirca ad altrettante partite. Gli intestatari, persone fisiche e giuridiche delle partite catastali, risultano invece quasi 650.000, cioè 232,4 ogni 100 partite con ineguale distribuzione tra le due province, giacché in Alto Adige si hanno 173,2 intestatari per 100 partite e nel Trentino 247,4. Vi è anche una notevole differenza in relazione all’ampiezza dei territori iscritti; per le partite di area inferiore ai 50 ha. il numero degli intestatari resta vicino a quello medio della Regione, ma si riduce quasi alla metà (126,6 intestatari per 100 partite quando la superficie si sposta al disopra dei 500 ha.).

    I terreni posseduti da enti coprono un’estensione di quasi 80.000 ha., con una netta differenza tra la provincia di Bolzano (circa 350.000 ha.) e quella di Trento (oltre il 55% con poco meno di 450.000 ha.). Si tratta di terreni a sfruttamento estensivo, costituiti quasi completamente da boschi e pascoli, oltre che dalle aree improduttive e vi sono compresi i due terzi dei boschi e dei pascoli dell’intera Venezia Tridentina, con quote che scendono a circa la metà per la provincia di Bolzano e salgono a oltre i quattro quinti in quella di Trento. Quanto alla ripartizione tra gli enti circa due quinti appartengono ai comuni e numerosi sono quelli in cui oltre i sette decimi delia proprietà appartengono ad enti. Accanto alle vaste proprietà comunali tre decimi della superfìcie sono di proprietà collettiva di determinate popolazioni o gruppi di capi famiglia e costituiscono le regole, le vicinìe e le comunità, tra le quali possono ricordarsi, per l’estensione e per il valore economico, i beni fondiari di proprietà collettiva nei comuni di Martello (ha. 13.069), Castel Tesino (ha. 8933), Canal San Bovo (ha. 7483), Ala (ha. 6423), Vermiglio (ha. 5484), Pieve Tesino (ha. 5232), Dobbiaco (ha. 5033), Marebbe (ha. 4601). Notevole l’importanza di alcune comunità come la Magnifica Comunità generale di Fiemme, sorta di promiscuità di vicini oggi, e di valle un tempo, che possiede circa 20.000 ha., e quelle di Vallelunga (ha. 7555), San Lorenzo in Banale (ha. 4612), Daone (ha. 3599), Mazia (ha. 3499), Breguzzo (ha. 3189), Stenico (ha. 3151). Apprezzabilmente rappresentate sono pure le proprietà dello Stato o della Regione che nell’insieme superano i 100.000 ha., rappresentanti poco più del 13% della superficie posseduta dagli enti; in tale area rientrano però vaste superfici improduttive e sterili dell’alta montagna, spesso situate al disopra del limite delle nevi.

    Carta forestale del Trentino-Alto Adige.

    i, abetine e lariceti; 2, pinete; 3, querceti, faggete, castagneti (rovere, farnia e cerro che può dare legname da costruzione o da lavoro); 4, boschi di altre specie e misti; 5, boschi degradati.

    Quanto sopra è stato illustrato, in generale e con qualche particolare riferimento, appare anche dai dati riportati nella Tabella X, dalla quale si rilevano altresì due fondamentali caratteristiche della Regione e delle province che la costituiscono: primo la distribuzione per numero e classi di ampiezza della proprietà, secondo il riferimento anche ai loro valori percentuali. E dato subito rilevare che nella Regione prevalgono numericamente le proprietà inferiori a due ettari di superficie (quasi l’85%), mentre quelle superiori a 50 ha. sono appena l’i% del numero totale. D’altra parte se si considera la superficie, vi è una forte predominanza della proprietà di oltre 500 ha., le quali occupano circa una metà della superficie censita, di fronte a poco più del 16% interessato dalle proprietà di superficie inferiore ai 10 ha., mentre il restante 35% è ripartito tra le proprietà da 10 a 50 ha. con prevalenza di quelle tra i 10 e 50 ha., classe che risulta interessare la maggiore superficie dopo quella di oltre 1000 ettari. Naturalmente la proprietà privata risulta essere la più frazionata, mentre vi è una concentrazione fondiaria notevole nelle proprietà degli enti; per quanto i tre quarti di essi dispongano di aree inferiori ai 5 ha. di terreno tuttavia non va dimenticato che i quattro quinti della superficie censita appartiene alle proprietà di oltre 500 ha., che sono 350 e 46 hanno una superficie di oltre 2500 ha. con un’area di quasi 300.000 ha. pari a oltre un quinto dell’area censita.

    Questa situazione generale della Regione presenta però differenze tra le due province. In Alto Adige le proprietà di oltre 500 ha. sono proporzionalmente in numero maggiore che non nel Trentino e interessano due quinti della superficie, e quelle inferiori a 10 ha. ne interessano meno di un decimo. Poco meno di un quarto dell’area è invece interessata dalle proprietà da 10 a 50 ha., mentre nel Trentino queste occupano una quota assai bassa di superficie (5%). Sotto questo aspetto le due province non appaiono di struttura molto diversa, quando si consideri la distribuzione per classi di superfici delle proprietà degli enti, mentre le differenze si accentuano quando ci si riferisce alla proprietà privata. Per questa, le proprietà di area inferiore ai 5 ha., interessano oltre i sei decimi dei terreni appartenenti a privati in provincia di Trento e appena un decimo in quella di Bolzano. Gli squilibri, anche se non così forti, permangono anche per le classi di superfici da 10 a 50 ha., da 50 a 200 e oltre i 200 ha., le quali ultime occupano nel Trentino il 5% e in Alto Adige il triplo. Ancora una volta si trova confermato il fenomeno, dal punto di vista agricolo assai grave, del frazionamento, per non parlare di polverizzazione della proprietà nel Trentino, di fronte a unità fondiarie sufficientemente ampie e mantenute integre in Alto Adige, attraverso l’istituto del maso chiuso.

    Naturalmente poi, nell’ambito delle singole zone agrarie, si notano ulteriori variazioni; nella regione di Tione le proprietà inferiori ai io ha. interessano circa il 12% della superficie censita, che diventa un terzo nell’agro trentino e poco meno nel resto della valle dell’Adige fino a Merano. Le proprietà da 10 a 50 ha. esistono ancora nell’agro di Rovereto (10% dell’area), ma occupano un quarto dell’area della vai d’Adige, arrivando fin quasi al 50% nella bassa valle dell’Isarco. Quanto alle proprietà degli enti le maggiori concentrazioni si trovano in vasti complessi fondiari delle valli d’Ega, Gardena, d’Ultimo, alta Venosta, Passiria, Rendena e Fiemme, nelle quali le proprietà di oltre 1000 ha. comprendono oltre i sette decimi dei terreni posseduti dagli enti. Quanto alla proprietà privata, è piuttosto limitata la classe inferiore ai 5 ha. in provincia di Bolzano, che al contrario è diffusissima in singole zone trentine, arrivando a occupare fino a sette decimi dell’area (Trento, Tione e Cles). Più evidente è il contrasto quando si passa alle proprietà tra i 10 e i 50 ha., che occupa un quarto della superficie censita in Alto Adige, ma scende a un quinto (Trento) o a un ventesimo (Tione) dell’area censita. E la esemplificazione potrebbe continuare pur sempre con le caratteristiche già messe in evidenza.

    Irrorazione di alberi da frutta in val di Non.

    Interessante è anche sottolineare il fatto che sia nella Regione sia nelle due province i terreni improduttivi, posseduti come già si è detto per 1*85% dagli enti, denunciano una prevalenza dalle piccole alle medie proprietà. La superficie lavorabile è concentrata (92,7%) nella proprietà privata, nella quale è interessata in media quasi un terzo della superficie censita (22,4% nell’Alto Adige, 48,5% nel Trentino). I terreni silvo-pastorali nel loro insieme sono ripartiti in misura pressoché eguale tra privati ed enti in provincia di Bolzano, mentre in quella di Trento prevale la proprietà degli enti con circa i quattro quinti, che occupano circa la metà della superficie della proprietà privata e 1*85% di quella degli enti. Un esempio di dettaglio rappresentano i seminativi e le colture legnose specializzate, ivi compresi i frutteti, i quali aumentano in misura apprezzabile e talora notevole dalle grandi proprietà (oltre i 500 ha.) a quelle da 50 a 500 ha. e a quelle minori di 50 ha. sia nella media della Regione sia nella provincia. Invece per i terreni a bosco si osserva che, quando si faccia riferimento all’ampiezza della superficie, la diffusione dei boschi decresce per tutte le categorie di boschi nelle proprietà dai 50 ai 500 ha. ed oltre, mentre nella provincia di Bolzano sono maggiormente rappresentati nelle classi di superficie più grande. La diffusione dei pascoli infine è più elevata nella media proprietà e meno, di norma, nella piccola.

    Per concludere, può esser considerata la proprietà terriera dal punto di vista della sua importanza economica, distinguendola cioè in grande, media e piccola proprietà, a seconda della differenziazione del reddito catastale di oltre lire 100.000, fra lire 100.000 e lire 10.000 e al disotto di lire 10.000 di imponibile. Secondo tale classifica, oltre due quinti della superficie sono piccole proprietà, che risultano più frequenti e diffuse in Alto Adige, e un quarto grandi proprietà, più numerose ed estese nel Trentino. Le proprietà degli enti appartengono prevalentemente alla seconda categoria; nella proprietà privata manca praticamente la grande proprietà (ve n’è una sola di oltre 500 ha. in provincia di Trento) e vi predomina in modo quasi assoluto la piccola, che si manifesta quasi patologicamente frazionata e frammentata, fino a interessare poco meno dei nove decimi della proprietà dei privati, in tratti della Valsugana e nella vai di Fiemme, ove però si trovano anche grandi proprietà di enti, che caratterizzano pure le valli Pustena, alto Isarco, d’Ultimo, alta Venosta e Passiria, l’agro di Trento e parte dell’Anàunia.

    La situazione del numero e della consistenza fondiaria dà anche elementi di giudizio sui rapporti tra proprietà, impresa e manodopera. L’impresa assunta dal proprietario del fondo (proprietà imprenditrice) predomina, spesso notevolmente, in tutta la Regione. Nei terreni produttivi la diffusione della proprietà imprenditrice diminuisce con l’aumentare dell’importanza economica della proprietà nel complesso della Regione e in provincia di Bolzano per quella privata, mentre in provincia di Trento è meno diffusa nella media proprietà che nella grande. Nel complesso oltre i nove decimi dei terreni produttivi appartenenti ai privati non solo sono condotti dallo stesso proprietario del fondo, ma nella grande maggioranza dei casi lo stesso proprietario lavora manualmente il fondo e ciò soprattutto in provincia di Trento. Nell’Alto Adige, in relazione all’esistenza del maso chiuso, l’impresa è sempre assunta dal proprietario, che si avvale però anche di mano d’opera salariata, così da avere una conduzione capitalistico-coltivatrice. Nel Trentino invece, dato il frazionamento della proprietà, in molte plaghe la proprietà coltivatrice non è autonoma, cioè è insufficiente ad assorbire tutto il lavoro della famiglia del proprietario imprenditore. Assolutamente scarsa è l’impresa in affittanza, appena il 6% dei terreni di proprietà privata, mentre più estesa è tale forma nel caso di proprietà degli enti. Così possono dirsi del tutto sporadiche le forme di cointeressenza del lavoratore, cioè le forme di colonia parziaria. Per una più completa conoscenza dei rapporti intercorrenti fra le proprietà, l’impresa e la manodopera possono esser orientativi i seguenti dati: nel 1930 su 1000 aziende censite, 768 erano gestite in proprietà e forme simili, 58 in affitto, 23 a colonia e 151 con forme miste; in Alto Adige se ne contavano rispettivamente 850, 83, 8, 69 e nel Trentino 740, 49, 29 e 182.

    Prati in val Aurina.

    Quanto ai tipi di impresa possono esser distinte le seguenti categorie: imprese terriere, agrarie e silvo-pastorali che sono sparse dovunque e sotto le più svariate forme e tipi; imprese armentizie, limitatamente diffuse in Alto Adige; imprese staccate dal suolo, particolarmente frequenti nelle zone frutticole e vinicole ed in quelle montane a rilevante produzione di latte e di legname. Fra le prime prevalgono in modo assoluto quelle contadine, le quali, quando sono autonome, dispongono di norma di 2-3 ha. in fondovalle, di 2,5-3,5 ha. in montagna, con aumento di area (4,5-5 ha.) in Alto Adige. Quelle non sufficienti dispongono di aree assai più basse e prevalgono in modo evidente nel Trentino. Fra le imprese capitalistiche occorre distinguere quelle agrarie o agro-pastorali o agro-forestali da quelle silvo-pastorali, in quanto l’area disponibile è assai diversa e le silvo-pastorali sono attuate su vaste estensioni appartenenti ad enti. Non molto diffuse sono le imprese armentizie, mentre assumono notevole importanza quelle staccate dal suolo, quasi tutte a carattere capitalistico o cooperativo e sono rivolte all’economia forestale, alla produzione vinicola caratterizzata dall’esistenza di cantine sociali ben attrezzate, alla produzione casearia e infine alla frutticoltura, che spesso vede acquistare il prodotto da imprenditori privati o da magazzini sociali i quali esercitano il compito di imprese specializzate.

    L’Adige nei pressi di San Michele.

    Si è cercato di lumeggiare nelle pagine precedenti i caratteri fondamentali dell’agricoltura della Regione, quali emergono dalle condizioni dell’ambiente fisico di essa e da quelle storiche e sociali dell’insediamento umano. Di frequente l’agricoltura di una regione è legata anche alle trasformazioni che l’uomo ha impresso a terreni in particolari condizioni e cioè all’opera di bonifica da lui effettuata. Parlare di bonifica nel senso più solito della parola nella Venezia Tridentina potrebbe sembrare poco adatto; se però con tale termine si intende in generale una trasformazione di terreni per la loro riduzione a coltura o comunque modificazioni per una migliore utilizzazione dal punto di vista agricolo, anche il termine di « bonifica » è perfettamente adeguato e rispondente.

    Gli aspetti fondamentali di tale opera dell’uomo sono sostanzialmente due: la trasformazione operata sul fondovalle principalmente dell’Adige, ove la bonifica può essere intesa nel senso classico della parola per il tratto che intercorre tra Merano e la stretta di Serravalle e la bonifica montana, intesa nel senso dell’intervento dell’uomo al fine di stabilizzare talune aree particolarmente soggette a fenomeni di erosione accelerata, tali da costituire pericoli più o meno gravi all’insediamento umano.

    Il fondovalle dell’Adige, come anche qualche altra piccola porzione pianeggiante, è stata in passato soggetto a pericolose inondazioni, tali da determinare la mancata sua utilizzazione. La sistemazione di tali zone è sostanzialmente avvenuta dopo il 1890 e si è tradotta nell’arginatura e consimili lavori di canalizzazione dell’Adige e di parte di quasi tutti i corsi d’acqua di media importanza e anche delle parti terminali di taluni dei minori a protezione diretta degli abitati e indiretta delle aree a seminativi circostanti. Lungo la valle dell’Adige la trasformazione è stata più evidente e importante. Ancor oggi è dato scorgere le tracce dell’antico letto a grandi meandri, di cui spesso la forma e la disposizione degli appezzamenti lasciano intravedere l’esistenza. La scomparsa di superfici abbastanza vaste a canneto e comunque incolte e la loro sostituzione con fertili campi di cereali, o con frutteti o vigneti a coltura promiscua, testimoniano notevoli trasformazioni. E ancora un aspetto ha assunto la bonifica fondiaria in vaste aree della vai Venosta e del Lungadige: la scomparsa del maso chiuso nel fondovalle o per lo meno la trasformazione ad aziende a colture più redditizie (frutticoltura e vigneto) con conseguente frazionamento, ma non polverizzazione, delle aziende agricole. A questo proposito tipiche sono la vai Venosta da Malles fino a Parcines, il solco dell’Adige, a valle di Merano, ove predomina la media proprietà, come già si è detto nelle pagine precedenti.

    Il secondo aspetto della bonifica va ricercato in quella che passa sotto il nome di bonifica montana. A più riprese si è accennato alla notevole importanza, dal punto di vista dell’area, dell’utilizzazione del suolo con aziende silvo-pastorali. Il reddito di tale forma economica è strettamente connesso a provvidenze atte a consentire una migliore condotta forestale e alla sistemazione dei pascoli di montagna troppo frequentemente abbandonati ad una conduzione naturale. Non si tratta soltanto di interventi per il rimboschimento di aree in passato soggette a inconsulto sfruttamento del bosco o sottoposte a rovinosi effetti di improvvisi e non infrequenti nubifragi, bensì dell’applicazione di specifiche norme tecniche nella conduzione dei boschi con l’intervento oculato di rimboschimento e della trasformazione in prati-pascoli permanenti di vaste superfici spesso situate al disopra del limite del bosco. Se nell’Alto Adige, proprio per l’esistenza di una fascia di masi ad alte quote, di tale utilizzazione se n’è sentita minor necessità, nel Trentino tali interventi da parte degli enti proprietari di pascoli (comuni, ecc.), con o senza l’aiuto dello Stato, è avvenuto in modo abbastanza frequente, così da poter parlare di una effettiva bonifica montana. Essa però dovrebbe essere ancor più estesa, giacché vaste sono ancora le aree pascolive a troppo modesto reddito, proprio a causa dell’abbandono in cui si trovano.

    Sistemazione di torrenti montani con cascatelle artificiali per frenarne l’impeto.

    Un secondo aspetto di bonifica presenta notevole interesse ai fini di una migliore utilizzazione del suolo. Per quanto la Venezia Tridentina possa considerarsi abbastanza dotata di acqua, solo un terzo circa della superficie lavorabile è oggetto di pratiche irrigue che consentono l’adacquamento ai fini di un più alto rendimento e un correttivo alle vicende meteorologiche, non infrequentemente sfavorevoli. E non si tratta solo di irrigazioni dei seminativi, ma soprattutto dei prati e dei prati-pascoli o delle colture legnose che spesso soffrono della mancanza d’acqua. Si può dire che a tutte le forme di colture vi è associata la pratica irrigua, spesso rappresentata da forme rudimentali e semplici di derivazioni, così come ben ha illustrato B. Casti-glioni in un suo particolare studio sulla vai di Sole. E più moderne pratiche irrigue sono quelle generalmente effettuate sulle conoidi o parti di fondovalle, favorite generalmente dalla disponibilità di acqua e dalla pendenza del terreno. Tuttavia tali forme di adacquamento richiedono una notevole disponibilità d’acqua che, con la trasformazione agraria da prato a frutteto, ha in talune zone depauperato eccessivamente i corsi d’acqua. Alle forme di irrigazione tradizionali si vede oggi sostituirsi, specialmente in Alto Adige, l’irrigazione a pioggia che ha fornito ottimi risultati, tali da incoraggiarne la diffusione. Certo che il problema, se può essere studiato dal punto di vista di dotare di una certa disponibilità di acqua le zone a colture dell’Alto Adige e di talune porzioni del Trentino, diventa di soluzione assai difficile per le aree a prevalenti terreni calcarei, meno dotati di acque e per quella larga parte di superficie produttiva occupata dal bosco, per il quale, salvo in càsi particolari e che potrebbero definirsi sperimentali, l’irrigazione non è praticata.

    L’allevamento

    L’allevamento del bestiame costituisce una delle basi fondamentali dell’economia della Regione: nelle numerose aziende delle valli di montagna ha un rilievo notevole, poiché ne rappresenta il fulcro dell’organizzazione produttiva ed apporta al loro reddito un contributo rilevante, spesso essenziale. Nelle imprese terriere di fondovalle assume in genere una indispensabile integrazione o un complemento dell’economia aziendale. L’importanza di tale base economica risulta anche dal fatto che già dal 1900 si possono avere dati non solo generali, ma come risulta dalla Tabella XI, ripartiti anche per varie zone dell’Alto Adige e del Trentino; ad essi sono aggiunti quelli della Tabella XII, in cui sono riportati, per consentire gli opportuni confronti, i valori per le grandi categorie, riferiti all’anno 1930. Ammettendo una certa evasione nelle denunce, i dati sono stati opportunamente corretti e completati, cosicché possono ritenersi attendibili e sufficientemente dimostrativi.

    Dall’esame delle tabelle risulta anzitutto che il patrimonio zootecnico della Regione raggiungeva nel 1953 oltre 410.000 capi, dei quali 255.000 costituiti da bestiame di taglia grossa, con un’oscillazione rispetto al 1930 di notevole aumento (375.000 capi in totale) e un’abbastanza apprezzabile diminuzione rispetto al 1900, in quanto a quella data furono censiti oltre 450.000 capi in totale. Evidentemente tali numeri hanno un significato piuttosto grossolano, in quanto è ovvio il diverso valore rappresentato dalle singole categorie. Può avere un certo interesse sottolineare che già nel 1900 la metà circa del patrimonio zootecnico regionale era rappresentato dai bovini, i quali nel 1930 presentano tuttavia una certa diminuzione nel numero assoluto; come pure gli ovini e i caprini, mentre invece i suini restano più o meno stabili (poco più di 40.000 capi), pur avendo fatto registrare un forte aumento nel 1910 e un’altrettanto sensibile diminuzione tra il 1910 e il 1930. In aumento il numero degli equini nel primo decennio del secolo. Tale situazione della Regione si rispecchia con una certa regolarità in ambedue le province. Se una differenza si può notare, essa sta nel più elevato numero di bovini della provincia di Bolzano rispetto a quella di Trento e nella notevole contrapposizione del numero degli ovini e dei caprini. Le pecore rappresentano infatti un complesso abbastanza ricco in provincia di Bolzano (oltre 60.000 capi nel 1930) di fronte ad appena poco più di 16.000 in quella di Trento, mentre i caprini sono poco più di 17.000 in Alto Adige e oltre 25.000 nel Trentino.

    Impianto di irrigazione a pioggia Malles in vai Venosta.

    La situazione del patrimonio zootecnico attuale conferma sostanzialmente quanto già si è detto e cioè che negli ultimi 25 anni si ha nel complesso un certo aumento. È però da sottolineare che la consistenza del patrimonio zootecnico della Regione è piuttosto bassa in confronto a quella dell’intero Paese, ove si hanno 45,9 capi grossi per kmq. di superficie produttiva, mentre in Alto Adige la densità è di 22,5 capi grossi e nel Trentino di 21,8. Tuttavia devesi segnalare che altre regioni, come Liguria, Basilicata e Calabria hanno una densità abbastanza simile. Il divario risulta alquanto minore quando il raffronto con la media dello Stato sia istituito in relazione alla superficie agraria (esclusi i boschi e gli incolti produttivi), giacché si contano 47,1 capi grossi nella Venezia Tridentina di fronte ai 71,7 dell’Italia. Tali valori vanno poi considerati anche tenendo conto della composizione per specie del patrimonio zootecnico. Infatti nella nostra Regione si contano 61,7 capi grossi e 54 bovini (di cui oltre la metà rappresentati da vacche) su 100 capi in complesso, mentre la media dell’intero Paese è di 47,1 capi grossi e di 33,2 bovini (di cui meno della metà vacche) ogni 100 capi.

    Le due province poco si differenziano nella densità di capi in confronto alla superficie produttiva; un certo divario si nota nella densità riferita alla superficie agraria, con un valore medio di capi leggermente più elevato in provincia di Trento (49,6) che in quella di Bolzano (45,3). Ancora apprezzabili differenze si notano nella composizione specifica, in quanto nel Trentino si ha un maggior numero di capi grossi e di bovini che non in Alto Adige, ove minore è anche la percentuale di vacche nei confronti dei bovini (58,5% nel Trentino, 53,2% in Alto Adige).

    Così più elevato è il numero dei caprini, come in passato in provincia di Trento, mentre assai più basso è quello degli ovini, che invece in provincia di Bolzano raggiungono un quarto del numero totale dei capi di bestiame, con una densità media di io capi per kmq. di superfìcie produttiva di fronte ad appena 3,8 della provincia di Trento.

    Anche nel confronto degli equini la differenza tra le due province è piuttosto evidente, non solo rispetto alla consistenza assoluta, ma anche nella composizione per l’assoluta prevalenza dei cavalli in provincia di Bolzano di fronte a un numero di cavalli inferiore alla metà del numero totale di equini in provincia di Trento.

    L’entità complessiva risulta in aumento dal 1930 in poi, salvo qualche eccezione come nel caso degli equini per il Trentino e anche nel complesso della Regione. Tale ripresa, con riparo anche dei danni apportati dalla guerra, ha riportato il patrimonio zootecnico complessivo alla consistenza del 1910, periodo nel quale esso aveva raggiunto i valori massimi. Infatti si può calcolare che attualmente la consistenza dei capi grossi, valutati secondo l’annotazione della Tabella XI, si avvicini ai 260.000 del 1910. La differenza tra il patrimonio zootecnico del 1910 e quello attuale va semmai ricercata in una più favorevole situazione attuale, in quanto risulta aumentato il numero dei bovini e sensibilmente diminuito quello dei caprini e degli equini. Le zone ove si ha la più elevata densità di capi grossi sono la media vai Venosta, la Passiria, la bassa valle dell’Isarco e la vai d’Adige, ivi comprese le adiacenze di Trento e Rovereto verso le valli del Sarca e il Perginese, nonché la valle di Non; ma l’aumento dei capi grossi negli ultimi anni è stato particolare nella vai Sarentina, in vai d’Adige e nella zona di Tione, caratterizzate queste anche da un aumento percentuale dei bovini rispetto al totale dei capi, insieme con la media vai Venosta, la Passiria e la basse valle dell’Isarco.

    Bovini al pascolo.

    Un fenomeno interessante relativo all’allevamento è il trasferimento del bestiame o di parte di esso dalle valli ai pascoli di media e di alta montagna. Non si può parlare di transumanza, ma piuttosto di alpeggio e, secondo i calcoli degli ultimi anni, tale movimento è piuttosto consistente e contenuto nell’ambito regionale. Oltre 80.000 capi di bestiame, dei quali quasi 50.000 bovini, sono stati oggetto dell’alpeggio nel 1951, mentre nel 1953 tale quantitativo si è ridotto alla metà. Tuttavia i dati sono indicativi, specialmente nelle oscillazioni, dipendenti anche da particolari situazioni variabili da un anno all’altro in relazione alle condizioni delle malghe di media e di alta montagna. Quasi trascurabili, per quanto non del tutto sconosciuti, sono i movimenti di bestiame verso le limitrofe regioni veneta e lombarda e verso l’Austria e la Svizzera, avvenuti solo per utilizzare pascoli e malghe situate al difuori della Regione, ma in prossimità dei confini.

    Bovini al pascolo in val Aurina

    Parlare di transumanza è improprio anche perchè manca l’occupazione del suolo — i tratturi — e la stessa forma di utilizzazione dei pascoli e dei prati-pascoli presenta un regime del tutto diverso da quello della transumanza di altre regioni del nostro Paese e della Terra.

    L’allevamento della Regione è praticato essenzialmente per la produzione carnea e del latte e suoi prodotti. Sulla produzione carnea non vi sono rilevazioni statistiche dirette, che possano consentire una sicura valutazione; tuttavia dal confronto tra l’aumento netto di peso vivo del patrimonio zootecnico e quello del peso vivo del bestiame macellato, si può procedere ad una valutazione che risulta abbastanza attendibile. Secondo dati del 1953 risulta che la produzione di carne, peso vivo, fu di quasi 235.000 q., con un aumento di oltre l’8% rispetto al 1938 e di poco più del 5% rispetto al 1950. A tale produzione le due province hanno concorso in diversa maniera: Bolzano circa il 55% in confronto al 57% del 1938 e ciò per il fatto del più elevato peso vivo degli animali da carne della provincia di Bolzano rispetto a quella di Trento. Un certo interesse rappresenta anche una non trascurabile corrente di esportazione di bestiame vivo, particolarmente bovino ed equino.

    Assai più importante è la produzione lattiera casearia che, specie nelle regioni di montagna, forma la base economica delle aziende rurali. Il latte è fornito da bovini e caprini, giacché gli ovini allevati nella Venezia Tridentina sono del tutto esclusi dalla mungitura e forniscono solo carne e lana. I dati della produzione del latte, al netto del reimpiego per l’alimentazione dei nati, sono riassunti nella seguente Tabella, la quale dà anche le indicazioni sul consumo diretto e sulle quantità sottoposte a trasformazione.

    Produzione del latte (in migliaia di q.)

    tipo

    provincia di bolzano

    provincia di trento

    venezia tridentina

    1938

    1950

    1953

    1938

    1950

    1953

    1938

    1950

    1953

    Latte di vacca

    1218,0

    1067,7

    1155,0

    932,9

    1017,2

    1045,0

    2150,9

    2084,9

    2200,0

    consumato direttamente

    756,0

    589,9

    647,0

    279,9

    294,8

    315,0

    1035.9

    884,7

    962,0

    trasformato

    462,0

    477,8

    508,0

    653,0

    722,4

    730,0

    1115,0

    1200,2

    1238,0

    Latte di capra

    45,2

    46,1

    38,0

    56,1

    62,2

    44.5

    101,3

    108,3

    82,5

    consumato direttamente

    42,2

    42,8

    35,3

    39,3

    45,7

    32,7

    81,5

    88,5

    68,0

    trasformato

    3,0

    3,3

    2,7

    16,8

    16,5

    11,8

    19,8

    19,8

    14,5

    Totale

    1263,2

    1113,8

    1193,0

    989,0

    1079,4

    1089,5

    2252,2

    2193,2

    2282,5

    consumato direttamente

    798,2

    632,7

    682,3

    319,2

    340,5

    347,7

    1117,4

    973.2

    1030,0

    trasformato

    465,0

    481,1

    510,7

    669,8

    738,9

    741,8

    1134,8

    1220,0

    1252,5

    Pecore al pascolo.

    La produzione complessiva di latte vaccino valutata per il 1953 in oltre 2 milioni di quintali, è aumentata nella Regione del 2,3% rispetto al 1938 e di oltre il 5% rispetto al 1950; dal 1953 al 1959 vi è stato ancora un leggero progresso (circa il 5%)- Contrastante è però il contributo delle due province. Si rileva infatti una diminuzione di oltre il 5% della produzione in provincia di Bolzano e un aumento pari al 12% in quella di Trento, cosicché questa produce attualmente poco meno della metà del latte di vacca dell’intera Regione. Alla produzione del latte di capra il Trentino contribuisce con una percentuale di oltre la metà del totale, malgrado una progressiva diminuzione dei caprini allevati rispetto al 1938.

    In Alto Adige più della metà del latte è consumata allo stato fresco (55,6% del latte di vacca), mentre nel Trentino il 70% del latte di vacca e oltre un quarto del totale di quello di capra sono soggetti a trasformazione, che è effettuata, può dirsi totalmente, dai produttori singolarmente o riuniti in latterie e caseifici cooperativi, e spesso ha luogo, ma in misura limitata soprattutto in Alto Adige, nelle malghe durante il periodo della monticazione.

    Nella lavorazione il sistema cooperativistico è più diffuso nel Trentino, ove si contano oltre 400 caseifici sociali (circa tre per ogni comune e più di uno nei centri) con oltre 23.000 soci; vi si raccoglie il 40% circa del latte da trasformare. Nell’Alto Adige il 70% è lavorato dai singoli produttori e i caseifici sociali superano di poco la trentina con poco più di 2000 soci e vi affluisce appena il 16% del latte da trasformare. Devesi però sottolineare che solo un quarto circa degli impianti sono modernamente e razionalmente organizzati e se si tiene presente che i produttori dispongono di modesti quantitativi, l’attività casearia denuncia un troppo forte frazionamento. La produzione di burro e formaggio è in sostanza aumentata con una certa continuità dal 1938 al 1953, passando da 26.000 q. e più di burro a 28.700 e da 59.000 q. di formaggio a 68.750. Il comportamento delle province è quasi analogo; solo si può annotare la differenza che in Alto Adige vi è una certa equivalenza nel 1953 tra la produzione di burro (15.000 q.) e quella di formaggio (poco più di 13.000 q.), mentre nel Trentino è assai più forte la trasformazione in formaggio (oltre 55.000 q.) di fronte ad appena poco più di 13.900 q. di burro. Quanto al tipo dei prodotti, nel campo dei formaggi, i più soliti sono il tipo Asiago, cui seguono il Vezzena e il Grana.

    Accanto a questi prodotti fondamentali possono essere ricordati la lana, in quantitativi però del tutto trascurabili; le uova, circa 38.000 migliaia di pezzi nel 1953 con una leggera prevalenza in Alto Adige. Anche l’allevamento del baco da seta ha perduto ogni importanza, riducendosi a qualche centinaio di quintali di fronte ai 17.000 q. annui della media del Trentino nel 1910-14. Tale progressiva diminuzione deve ricercarsi nelle profonde modificazioni del mercato serico, nella sostituzione con prodotti sintetici e nella sostituzione del gelso con frutteti, anche in zone spesso poco adatte a tali coltivazioni.

    Un certo interesse ha l’apicoltura basata sulla disponibilità di una flora alpina che favorisce la produzione di miele assai fino. Quantunque ostacolata talora dall’andamento stagionale, essa è maggiormente diffusa in Alto Adige che con la produzione di circa 2000 q. annui dà un quantitativo di circa quattro volte superiore a quello del Trentino.

    Per chiudere questi cenni sui molteplici aspetti dell’economia rurale della Regione, può avere un certo interesse richiamare l’attenzione su alcune provvidenze da attuare per ottenere un più completo assestamento dell’economia agricola e un aumento della produzione. Risulta che potrebbero essere ulteriormente irrigati più di 50.000 ha., di cui due terzi in Alto Adige e il resto nel Trentino per colture, e circa 40.000 ha. di terreni a produzione foraggera delle malghe, il che porterebbe ad un aumento medio della produzione superiore al 15-20% a seconda delle colture. Così qualche progresso potrebbe essere utilmente attuato anche nel campo della meccanizzazione agricola e della bonifica, specialmente lungo la vallata dell’Adige. Con tali provvidenze si potrebbe ottenere un consolidamento della produzione cerealicola, la quale però resterà sempre notevolmente inferiore al fabbisogno. Di poco potrà essere aumentata la produzione della patata, mentre qualche progresso potrà essere effettuato ancora nel campo delle colture ortive e in genere specializzate e in quelle industriali, come il tabacco.

    Ancora suscettibile di progressi, soprattutto con un indirizzo verso una tipizzazione, è la coltura della vite, non tanto attraverso un aumento della superficie produttiva, quanto a mezzo di un perfezionamento dell’organizzazione commerciale. Altrettanto può dirsi per la frutticoltura, di cui è prevedibile un aumento anche della superficie utilizzata, oltre ad una più efficiente organizzazione dei centri di raccolta, manipolazione, imballaggio, vendita e trasformazione.

    Vedi Anche:  Distribuzione della popolazione e tipi d'insediamento