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Attività industriali e commerciali

    Le attività industriali e commerciali

    L’Umbria è una regione eminentemente agricola, ma tuttavia essa è nota in Italia, ed anche nel resto del mondo, per la rinomanza di alcune sue industrie, le quali hanno contribuito alla fama della regione al pari dei suoi centri religiosi e dei suoi tesori d’arte, non meno che la bellezza dei suoi paesaggi. Ed è fama, questa industriale, per lo meno singolare, che si affida ad un tempo all’acciaio ed ai cioccolatini, alle ceramiche ed ai pianeti della fortuna.

    La considerazione che l’Umbria — che sin qui si è indicata come regione povera, almeno al confronto di molte regioni del centro e del nord dell’Italia, e che si continuerà ad indicare come tale perchè lo è sostanzialmente — possiede delle industrie che superano per fama e mercato l’àmbito regionale e travalicano quello nazionale, sarebbe già di per sè caso singolare. Ma il fatto stesso che la regione, al di fuori di queste, non abbia avuto, almeno fin quasi ai giorni nostri, industrie degne di rilievo, sta a dimostrarne la povertà. Nel senso che se le industrie di qualche importanza sono sorte e vivono essenzialmente in funzione di mercati extra-regionali, ciò vuol dire che il primo mercato, quello locale e regionale, non era in grado di garantirne la vitalità, o quanto meno di assicurar loro qualche beneficio iniziale.

    L’esiguità del territorio, la non elevata popolazione, il genere di vita degli abitanti legato essenzialmente ad un’agricoltura tradizionale, la mancanza di grandi centri urbani possono spiegare, almeno in parte, questo fenomeno.

    La presenza di materie prime e di risorse lignitifere, la cui utilizzazione può divenire conveniente in determinate congiunture, sia pure transitorie, l’abbondanza di risorse idroelettriche, la qualità e il basso costo, almeno in passato, della mano d’opera, e la posizione della regione rispetto alla Penisola possono invece chiarire come l’industria abbia potuto trovare condizioni favorevoli al suo impianto.

    Sta di fatto che l’Umbria è industriale in quanto possiede alcune industrie vitali, anche se specialissime, e un’area — quella ternana — che, per concorso di elementi favorevoli e di cause storiche, è fra le più intensamente industrializzate dell’Italia.

    Per il resto, la regione non si presenta nè meglio nè peggio di altre nella nazione. Non vi mancano quelle attività industriali che si trovano dovunque nel nostro Paese con maggiore o minor frequenza. A carattere familiare o quasi, con pochi dipendenti e un’attrezzatura anche moderna e perfezionata, appena il giro degli affari lo consenta, esse servono per far fronte ai bisogni locali più immediati, ai consumi quotidiani.

    Sono quelle che potremmo chiamare le industrie di sempre, che sono venute adattandosi ai bisogni, man mano che questi si presentavano. E nell’evoluzione, specie più recente, alcune di esse si sono ingrandite e prosperano, con una importanza e uno spicco che, nelPàmbito regionale, sono quasi esaltati dalla mancanza di paragoni.

    Addetti all’industria nei singoli comuni, 1956. In ditte con oltre 10 addetti.

    L’attuale fase di espansione dell’economia italiana ha favorito l’industria umbra ed essa, per capacità e intraprendenza, non sfigura certamente nel quadro dell’indu-stria nazionale, nel quale prevalgono nettamente, come è noto, le medie e ancor più le piccole aziende.

    Tuttavia, come si è detto, queste attività, pur nel loro insieme, non riescono ancora a dare un’impronta marcatamente industriale alla regione. Sola eccezione, vera e propria isola industriale, è la conca ternana.

    Grandi cave d’argilla nei pressi di Todi.

    Le risorse minerarie

    La storia dell’industria umbra è storia recente, anche se la regione ha offerto sin da tempo remoto un largo e favorevole campo di sviluppo dell’attività manifatturiera, che trasformava le materie prime locali. Tra queste, le risorse del sottosuolo pongono l’Umbria fra le regioni più dotate dell’Italia peninsulare, assieme alla Toscana, anche se in misura inferiore a questa.

    Anzitutto abbondano i materiali da costruzione, pietre e argille, variamente utilizzate, la cui ampia gamma si collega alle condizioni geologiche della regione.

    Le formazioni calcaree del mesozoico offrono una grande varietà di pietre da costruzione e ornamentali. Calcari neri con venature bianche o gialle, usati in passato per colonne ornamentali, si trovano nel monte Malbe, nel monte Cerchio della catena Martana e presso Amelia e Narni. Presso Spoleto, Trevi e nei dintorni di Foligno si hanno cave di calcare dolomitico, finemente granulare, di colore grigio o biancastro, impiegate non di rado anche come pietra ornamentale. Più comunemente messi in opera nei monumenti umbri sono la pietra corniola e il mandorlato, specie quello del Subasio, con le varietà chiara, rossa e scura, che si scavano specialmente presso l’Eremo delle Carceri. Altri calcari rossi mandorlati si estraggono dai monti di Gualdo, mentre calcari rosati, brecciati e venati di bianco, provengono dalle cave del monte Lacu-gnano e ancora dal Subasio e dal monte Malbe. Calcari bianchi e grigi, chiari, a grana minutissima, venivano scavati in passato presso Spello per pietre litografiche.

    I terreni del terziario offrono, tra l’altro, arenarie e calcari marnosi. Le prime, con giacitura quasi sempre nettamente stratificata in strati o banchi di varia potenza, dànno la cosiddetta pietra serena che veniva estratta, specialmente per pavimentazioni stradali, a Tuoro, a Magione, a Mugnano, ad Agello e nella Serra Maggio. I calcari marnosi sono abbondanti e si prestano alla fabbricazione di tutte le varietà di cemento che viene prodotto nei cementifici di Padule (Gubbio), Sangémini, Spoleto, Ponte San Giovanni (Perugia), Allerona, Città di Castello, Nocera Umbra, Marsciano, Umbèrtide e Foligno.

    In corrispondenza ai terreni vulcanici dell’Orvietano si ha una larga utilizzazione dei tufi litoidi la quale è praticata fin dai tempi degli Etruschi ed oggi si avvantaggia di moderni metodi di estrazione.

    Scarsa importanza hanno i giacimenti di gesso, le cui cave sono in gran parte abbandonate a causa della difficoltà dei trasporti; presso Bettona e Assisi si trovano cave di alabastro.

    Più importanti sono i travertini, pregiati come materiale da costruzione, i cui giacimenti si trovano presso Ellera, Assisi, Acquasparta, Massa Martana, Amelia, Triponzo e Orte, oltre che ai piedi della cascata delle Màrmore dove l’estrazione della sponga si fa da tempi antichi.

    Perugia: cava di solfato di calcio.

    Molto abbondanti sono le argille, poiché il villafranchiano e il quaternario medio e superiore sono spesse volte costituiti da depositi argillosi regolarmente stratificati. Come dovunque nel nostro Paese, dove l’argilla è economicamente cavabile ivi sorgono fabbriche di laterizi, che nell’Umbria sono usati prevalentemente per copertura perchè la pietra è largamente usata nelle murature.

    Dove si ottengono argille molto plastiche e fini, come presso Gualdo Tadino, Gubbio, Deruta, si è stabilita l’industria della ceramica, che impiega anche nella lavorazione le terre coloranti, delle quali sono importanti cave presso Gualdo Tadino.

    Scarsi per numero e di nessuna importanza attuale sono i giacimenti di minerali metallici, alcuni dei quali furono utilizzati in passato, quando l’industria lavorava su altre basi. A Gualdo Tadino la «Società Romana delle miniere di ferro» aveva impiantato, nel secolo scorso, un forno per ottenere ghisa dalla fusione del minerale che ricavava nel versante occidentale del monte Penna, ma non ottenne risultati apprezzabili. Presso Monteleone di Spoleto, a oltre iooo m. di altitudine, e a Gavelli, altri giacimenti ferrosi ebbero importanza. Particolarmente quello di Monteleone, dove il minerale si estraeva a cielo aperto da giacimenti alluvionali, forse già ad opera dei primi abitatori della regione. Uno sfruttamento su vasta scala fu iniziato dal 1641 ad opera di Urbano Vili che vi inviò vari artefici, collegò la miniera al paese con una strada e costruì una ferriera che attingeva l’acqua dal fiume Corno per mezzo di una derivazione. La ferriera, perfetta per quei tempi, diede notevoli vantaggi alla Camera Apostolica, la quale incrementò sempre più la miniera. Il terremoto del 1730 distrusse le opere idrauliche con conseguente abbandono della ferriera. Nel 1797 la miniera venne riaperta per rifornire la ferriera sorta nel frattempo a Terni. « In Monteleone si operava sul minerale per averne il ferraccio nella quantità di un milione su tre milioni di minerale per ogni forno. Il ferraccio veniva inviato a Terni a dorso di mulo e rioperato per finire col ridurlo ad appena settecentomila libbre di ferro mercantile ». È evidente che in queste condizioni la miniera non potesse sopravvivere oltre la metà del secolo XIX.

    Le ligniti

    La risorsa mineraria più rilevante della regione sono le ligniti, che si trovano sparse in tutta la fascia pedemontana ai limiti della valle Umbra, nelle conche di Gubbio e di Terni, e nelle valli del Topino e del Nestore, ai margini del pliocenico lago Tiberino.

    I giacimenti di ligniti noti in Umbria sono una ventina, con una potenzialità accertata di oltre 100 milioni di tonnellate ed una presunta di 240 milioni. I giacimenti sono perciò al terzo posto tra le riserve di combustibile dell’Italia, dopo il carbone sardo del Sulcis e le ligniti della Toscana.

    La lignite xiloide umbra è di buona qualità e si utilizza da tempo, tuttavia alcuni ostacoli si sono sempre frapposti ad un intenso sfruttamento dei giacimenti. Anzitutto le condizioni dei giacimenti stessi, che richiedono quasi sempre l’escavazione in galleria, con l’impianto di un costoso armamento e l’impiego di numerosa mano d’opera con conseguente elevato costo di produzione. Poi lo scarso rendimento di questo tipo di combustibile, che ne ha sempre sconsigliato il trasporto a grande distanza, in quanto troppo oneroso per ferrovia e impossibile per via d’acqua.

    L’impiego delle ligniti umbre è stato pertanto sempre limitato all’àmbito locale, con la sola eccezione dei periodi di guerra, nei quali si è avuto un più intenso sfruttamento dei giacimenti, con l’apertura di nuove miniere.

    La produzione ha subito oscillazioni notevoli col variare della congiuntura, aggirandosi dalle 50.000 alle 200.000 tonnellate annue e superando le 300.000 solo in anni eccezionali.

    Cava di calcare nella valle del Tevere tra Perugia e Umbèrtide.

    A partire dal 1959, in sèguito alla utilizzazione del giacimento di Pietrafitta per la produzione di energia termoelettrica, si è registrato un sensibile aumento. In pratica, fino a quando non si è iniziato il moderno sfruttamento di quest’ultimo giacimento, la sola lignite estratta con continuità era quella del giacimento di Spoleto, nelle miniere di Morgnano (la più antica), di Santa Croce e di Sant’Angelo in Mèrcole, che davano lavoro ad un migliaio di operai. Gestite dalla Società delle acciaierie esse rifornivano di combustibile le acciaierie di Terni, dove il minerale veniva inviato per ferrovia, previo vaglio per separarne lo scarto. Quest’ultimo, intrasportabile per il suo basso valore, era ingente per quantitativo e la necessità di una sua utilizzazione indusse airimpianto, alla bocca delle miniere, di due fabbriche, una di laterizi e una di cemento artificiale che usavano il « polverone di lignite » come combustibile e rifornivano le miniere stesse di materiale murario, rivendendo l’eccedenza sul mercato. Dodici chilometri di ferrovia collegano miniere e fabbriche alla linea Orte-Ancona. Nel primo cinquantennio di attività le tre miniere avevano prodotto circa 5,5 milioni di tonnellate di lignite. La distruzione delle acciaierie di Terni, in conseguenza delle vicende dell’ultima guerra, aveva paralizzato le miniere di Spoleto. Esse hanno ripreso faticosamente la loro attività, ma se ne è prospettata più volte la chiusura per l’eccesivo costo di estrazione, dovuto alla profondità di circa 400 metri alla quale operano ormai i cantieri.

    Gli altri giacimenti sono stati sfruttati sempre saltuariamente. Nel triennio 1931-1933, ad esempio, furono date o confermate in concessione, per essere coltivate, 14 miniere; alla fine del triennio rimanevano aperte solamente le tre miniere gestite dalla Società Terni. Più recentemente, sono state in attività le piccole miniere del bacino di Acqua-sparta-Sangémini, quelle di Narni e quelle più settentrionali dei bacini di Collazzone e Gualdo Cattaneo. Per quest’ultimo si pensa di riprendere la coltivazione dei giacimenti di Bastardo per alimentare una centrale termoelettrica. Più a nord, unica miniera in attività fino a pochi anni or sono era quella di Branca nella conca di Gubbio.

    Il solo giacimento abbandonato in seguito alla totale utilizzazione del minerale estraibile è quello di Terni, posto subito a settentrione della città, a poche centinaia di metri dalla stazione ferroviaria, sulle pendici inferiori del Colle dell’Oro. La miniera produceva lignite torbosa e xiloide di buona qualità e, favorita dalla sua ubicazione, venne coltivata per il rifornimento diretto delle acciaierie.

    Attualmente, oltre alle tre miniere aperte nel giacimento di Spoleto, è in attività di sfruttamento solo il giacimento di Pietrafitta, ubicato a sud del lago Trasimeno, circa 30 km. a sudest di Perugia. Esso costituisce in Umbria il primo esempio di coltivazione a cielo aperto, metodo senz’altro più conveniente di quello in galleria, ma praticabile solo dove il « cappellaccio » di terra che ricopre il banco di lignite sia facilmente asportabile e dove sia contemporaneamente possibile impiegare per rescavazione macchine operatrici continue che riducano al minimo il costo di ogni tonnellata estratta. Nel caso in questione si tratta di un giacimento stimato sui 30-40 milioni di tonnellate, già sfruttato nel periodo della prima guerra mondiale, poi utilizzato saltuariamente e infine ricoltivato con intensità durante l’ultima guerra, come del resto si è visto per gli altri giacimenti umbri. La Società Mineraria del Trasimeno, concessionaria delle miniere dal 1938, cava oggi la lignite e la utilizza direttamente sul posto per produrre energia termoelettrica nella centrale « Città di Roma » che, con una potenza installata di 72.000 kW produce 400 milioni di kWh annui, interamente destinati alla Capitale, e consuma 7-800.000 tonnellate di lignite.

    Veduta della centrale termoelettrica « Città di Roma » che è alimentata con lignite della Società Mineraria del Trasimeno.

    La produzione di lignite umbra è così quintuplicata in brevissimo tempo, ma rimane sempre esiguo il numero dei giacimenti coltivati rispetto a quelli conosciuti. Le non buone condizioni nelle quali operano le miniere di Spoleto, pur inquadrate in un grande complesso industriale, e la storia passata e recente della utilizzazione delle ligniti dell’Umbria, ci dimostrano che questo combustibile, utilissimo nei periodi di emergenza, diviene poco conveniente in periodi normali, salve poche eccezioni e a condizione di essere impiegato a bocca di miniera, a basso costo. Pertanto le ligniti umbre, pur nella loro abbondanza, restano ancora una risorsa potenziale più che reale.

    Vedi Anche:  Caratteri fisici e pischici della popolazione, dialetti e cucina

    L’industria idroelettrica

    Importanza ben maggiore della lignite ha nell’Umbria la utilizzazione delle acque che copiose sgorgano dai calcari e scendono con forti dislivelli dai rilievi alle conche sottostanti.

    Dell’energia ottenibile dalle acque correnti si è sempre fatto largo uso anche prima dell’avvento dei turbogeneratori di elettricità. Nella nostra regione, come altrove, molini, cartiere, filande, segherie sfruttavano la forza delle acque, specie quelle dei bacini del Topino e del Nera, di afflusso più abbondante e regolare. Anche l’industria pesante di Terni, ai suoi inizi, alla metà del secolo scorso, azionava i macchinari con la sola forza idraulica. Col sorgere dell’industria idroelettrica l’utilizzazione delle acque assunse forma più razionale e completa, mediante la regolazione dei deflussi e la creazione di riserve idriche, la derivazione da bacino a bacino e, infine, col considerare le acque di differenti bacini idrici come un unico sistema coordinato ai fini della produzione idroelettrica.

    Distribuzione delle principali attività industriali.

    Canale fra Terni e Narni, attraverso la conca ternana.

    Questo è avvenuto soprattutto per il bacino del Nera, nel quale lo sfruttamento idroelettrico ha raggiunto una intensità e una importanza che non ha riscontro in nessuna parte della Penisola e si ritrova solamente nella zona alpina. Non è qui il caso di dilungarsi nella descrizione del sistema idroelettrico del bacino, in quanto la maggior parte di esso rientra nei limiti amministrativi del Lazio ed una parte minore appartiene alle Marche e all’Abruzzo.

    In Umbria operano una trentina di centrali idroelettriche, per una potenza installata di circa 390.000 kW e una produzione media annua di oltre 1,8 miliardi di kWh, pari ad oltre un terzo della produzione dell’Italia centrale. Delle centrali, una decina sono nel Perugino, il rimanente è concentrato nel Ternano, dove sta per entrare in funzione la nuova centrale di Recentino, della potenza di 44.800 kW, capace di produrre 152 milioni di kWh all’anno.

    Le centrali del Ternano sono di varia potenza, ma emerge quella di Galleto, che utilizza le acque del Velino e del Nera ed è la settima, per potenza installata (160.000 kW), fra quelle italiane. Segue, in ordine di importanza, quella di monte Argento (68.000 kW) che utilizza le acque del Nera, e poi quelle di Papigno-Velino, delle Màrmore, di Nera-Montoro, di Papigno-Pennarossa, di Cervara, di Collestatte, ed altre minori.

    Tutte le centrali citate sorgono nella conca di Terni o nelle immediate vicinanze, per modo che in essa si ha una grande concentrazione di energia elettrica disponibile, della quale solamente una parte viene consumata sul posto e il rimanente distribuito alle regioni vicine, principalmente al Lazio, ed a Roma in particolare.

    I consumi di energia elettrica della regione sono pari a circa i due terzi scarsi di quella prodotta: il grosso è assorbito dalle industrie elettrochimiche ed elettrometallurgiche del Ternano, seguite dairindustria siderurgica e dalle ferrovie; vengono poi le industrie metallurgiche, meccaniche ed alimentari, che però consumano ciascuna circa quanto i cittadini umbri per illuminazione privata.

    Le acciaierie di Terni.

    Le industrie

    La particolare abbondanza di acque della conca ternana è stata utilizzata fin dai tempi antichi. Lungo il corso del Nera, dalla cascata delle Màrmore alla gola di Narni, numerosi frantoi e molini impiegavano l’acqua per azionare le macine che lavoravano i prodotti del territorio circostante. A queste attività legate all’agricoltura e che furono sempre vive, pur nelle varie vicende economiche dei secoli passati, si aggiunsero quelle, artigianali e industriali, dei tessuti, delle concerie e dei metalli, che conobbero momenti di grande floridezza, ma non ebbero mai occasione di affermarsi e svilupparsi con continuità nel tempo.

    Il processo di sviluppo industriale che doveva tramutare la fertile piana agricola di Terni in uno dei luoghi maggiormente industrializzati di tutta l’Italia peninsulare ha origini molto recenti. Alla base di esso sta sempre la risorsa energetica rappresentata dalla abbondanza delle acque, ma l’impostazione delle produzioni è in rapporto con più ampi mercati, sia di approvvigionamento che di sbocco. Inoltre la moderna industria ternana nasce e sviluppa il suo nucleo più importante in preminente funzione strategica e militare, dopo l’unificazione politica dell’Italia.

    La «Regia Fabbrica d’Armi », iniziata nel 1875, è la prima di queste industrie; ad essa segue la «Società degli Altiforni, Fonderie e Acciaierie di Terni», che nel 1886 inaugura il primo grande stabilimento siderurgico che sia sorto in Italia, con il dichiarato scopo di fornire, in caso di bisogno, tutto quanto possa occorrere alla costruzione ed alla manutenzione delle artiglierie di terra e di mare nonché le corazze per il naviglio militare.

    La fondazione della società, che mantenne la primitiva ragione sociale fino al 1923, quando la mutò nell’attuale di « Terni, Società per l’industria e l’elettricità » in seguito all’assorbimento di altre attività, segna, nella storia economica del nostro Paese, il primo, deciso intervento diretto dello Stato italiano nel settore industriale, sia pure per fini connessi alla difesa nazionale.

    Con le acciaierie iniziò per la prima volta lo sfruttamento razionale della cascata delle Màrmore, in quanto l’energia occorrente non poteva più essere data in quantità sufficiente dal canale Nerino: fu pertanto costruita una derivazione, parzialmente in condotta, di circa 6 km., con una portata di 5 mc/sec., che convogliava le acque allo stabilimento, attingendo alla sommità della cascata.

    Papigno (Terni): lo stabilimento elettrochimico per la produzione della calciocianamide.

    Come combustibile si faceva largo uso delle ligniti dello Spoletino, la cui utilizzazione era conveniente per la vicinanza delle miniere alle fabbriche e costituiva un ulteriore elemento di sicurezza strategica per il caso di difficoltà di rifornimento dall’estero.

    L’audace, fortunata iniziativa di sfruttamento della cascata delle Màrmore ad opera della «Terni» segnava l’inizio dell’intensa industrializzazione della conca ternana: industrie che abbisognavano di forza motrice trovavano motivo di localizzazione nell’energia idroelettrica producibile ormai in gran quantità. Nel 1896 sorgeva a Colle-statte un primo impianto per la fabbricazione del carburo di calcio, cui se ne aggiunsero entro pochi anni altri due che portarono la produzione annua da poche centinaia a parecchie migliaia di tonnellate. Nel 1907 lo stabilimento di Collestatte iniziava la produzione in grande quantità della calciocianamide, e due anni più tardi si aprivano gli analoghi stabilimenti di Narni.

    Nel primo dopoguerra, ai citati prodotti si aggiungeva l’ammoniaca di sintesi, ottenuta a Nera Montoro. Negli anni precedenti il secondo conflitto mondiale la «Terni », assorbiti gli impianti chimici sorti nella conca, riordinava il sistema di produzione e trasporto dell’energia elettrica e concentrava la fabbricazione della calciocia-namide nel nuovo grande stabilimento di Papigno, capace di produrre 500 tonnellate di calciocianamide al giorno. In quegli anni la società dava lavoro in complesso a circa 20.000 persone.

    Temi: veduta parziale degli impianti dello stabilimento Polymer-Montecatini.

    Terni, stabilimento Polymer-Montecatini : finitura della fibra Meraklon.

    Inoltre si ingrandirono, sulle basi di quelle preesistenti, le industrie tessili — lanificio e iutificio — con circa 5000 dipendenti intorno al 1939, e le industrie poligrafiche con lo sviluppo dello stabilimento Alterocca, il primo per la stampa in grande serie di cartoline illustrate. Nel 1898 la « Pirelli » aveva aperto lo stabilimento del linoleum, unico in Italia fino alla seconda guerra mondiale; e nel 1890 erano state fondate le officine meccaniche e fonderie Bosco, grosso complesso con circa 4000 operai.

    Nel periodo fra le due guerre mondiali altre industrie si erano aperte e fra queste lo stabilimento della Montecatini per la produzione della gomma sintetica che, distrutto durante l’ultimo conflitto, fu poi ricostruito per produrre attualmente materie plastiche di sintesi, per il gruppo Polymer-Montecatini.

    Le vicende del secondo conflitto mondiale condussero alla sistematica spoliazione e alla distruzione delle industrie ternane. Ma soprattutto la guerra aveva indicato che i motivi strategici a favore di una industria pesante bellica a Terni erano mutati: il rapido progresso del mezzo aereo aveva ridotto, se non annullato, il vantaggio della posizione, come era stato precedentemente inteso.

    Un aspetto industriale della conca ternana: centrale elettrica e stabilimento elettrochimico sul fiume Nera, presso Papigno.

    Di conseguenza, mentre le industrie chimiche riprendevano rapidamente l’attività e potenziavano i loro impianti, le acciaierie devono ancora trovare un assetto moderno ed efficiente nel rinnovato quadro dell’industria pesante nazionale.

    Le industrie pesanti accentrate nei dintorni di Terni non costituiscono le industrie di base per la regione, quelle cioè con funzioni di rifornimento, o altrimenti propulsive, per le altre industrie dell’Umbria. Se si eccettuano i collegamenti fra gli impianti produttori e distributori di energia idroelettrica ed il collegamento esistente fra le acciaierie di Terni e le miniere spoletine — che è limitato all’àmbito di una sola azienda, sia pure di grandi dimensioni e di molteplici interessi nel settore produttivo — non esiste alcun rapporto diretto ed evidente fra le industrie ternane e le rimanenti industrie che operano entro i confini dell’Umbria.

    Fra queste ultime hanno particolare risalto quelle alimentari, cosa che si spiega facilmente con il carattere prevalentemente agricolo della regione, per cui molte di esse hanno la possibilità di rifornirsi sul posto delle materie prime. Le industrie alimentari assommavano ad oltre 1300 secondo il censimento del 1951, in gran parte a carattere artigianale o di modesta entità anche se talvolta rinomate, come gli oleifìci dello Spo-letino che, pur risentendo deiraleatorietà del raccolto delle olive, riescono ad esportare la produzione delle annate normali o buone, principalmente in Toscana e Liguria, per la buona qualità della produzione e l’eccellenza delle attrezzature.

    Stabilimento «Perugina» di Perugia-Fontivegge: una parte degli impianti essiccatoi e silos per il cacao.

    L’industria molitoria è molto diffusa, come pure il pastificio: le maggiori industrie di questo tipo si hanno a Foligno, Ponte San Giovanni e Terni; il biscottificio ha la sua maggiore fabbrica a Perugia ed il mangimificio a Bastia.

    Poco diffusa l’industria enologica, che conta una grande azienda dell’Orvietano, la quale produce, con sistemi classici di lavorazione e invecchiamento, il celebre vino bianco d’Orvieto, che ha un vasto mercato di esportazione.

    Lo zuccherificio conta un unico stabilimento, a Foligno, che lavora la barbabietola locale ed è più che sufficiente ad assicurare il fabbisogno della regione.

    A Perugia si trova l’unica industria alimentare che supera il migliaio di dipendenti e che pertanto si pone fra le grandi industrie della regione. E la famosa fabbrica di cioccolato della «Perugina» che ebbe origine nel 1907 con una piccola azienda artigianale per la fabbricazione dei confetti, sita in città, in uno scantinato di via Alessi. L’impresa diviene industria vera e propria intorno al 1910 e nel primo dopoguerra trasferisce la sua sede a Fontivegge, nei pressi della stazione ferroviaria. Negli anni successivi l’azienda si ingrandisce e afferma i suoi prodotti sul mercato nazionale e internazionale, mediante un geniale ed esemplare impiego della pubblicità. Nel 1932 impianta, sempre a Fontivegge, un’azienda collaterale, il Poligrafico Buitoni, oggi uno dei più importanti stabilimenti grafici e cartotecnici, con 300 dipendenti, che si aggiunge a quelli già ben noti dell’Umbria. Più tardi dà vita alle filiazioni estere — «Perugina France» di Parigi e «Perugina Inc. » di New York — per la divulgazione e la vendita dei propri prodotti.

    Plastico del nuovo stabilimento « Perugina » in costruzione a San Sisto presso Perugia.

    La fabbrica venne distrutta durante l’ultima guerra, successivamente ricostruita con criteri moderni e infine potenziata ulteriormente, di pari passo con l’espansione commerciale, fra il 1950 e il i960. In questo decennio l’area occupata passa da 12.300 a 45.000 mq.; le maestranze salgono da 900 a 1980 unità e la produzione annua da 24.500 a 84.500 quintali. La sua incidenza sul totale della produzione nazionale di cioccolato sale dal 5,80% al 20%. L’organizzazione commerciale, oltre alle due affiliate estere, comprende 55 negozi in Italia ed uno a New York per la vendita diretta al pubblico, nonché numerose filiazioni in vari Stati d’America. Dal 1951 forma un unico grande complesso aziendale con la Buitoni di Sansepolcro, sotto la sigla I.P.B.O. (International Perugina and Buitoni Organization).

    La continua espansione del mercato e le conseguenti sempre nuove esigenze di lavorazione richiedevano un ulteriore ampliamento della fabbrica che, d’altra parte, a Fontivegge è limitata dall’espansione dell’abitato urbano. Si è dato perciò l’avvio, nel giugno del 1961, alla costruzione di un complesso produttivo in località San Sisto, qualche chilometro in campagna oltre l’attuale, che si estenderà su un’area di un milione di mq. Il nuovo stabilimento avrà una superficie coperta di 70.000 mq. e una capacità produttiva di 1000 quintali al giorno, contro gli attuali 350.

    La « Perugina», industria alimentare che pur non ha legami con l’agricoltura locale, è divenuta la maggiore industria umbra, dopo quelle pesanti ternane, ed una delle massime italiane nel settore dolciario.

    L’industria poligrafica ha in Umbria antica origine e si è mantenuta in pieno sviluppo ed efficienza fino ai giorni nostri grazie alle tradizioni che vanta. L’arte della stampa venne esercitata neH’Umbria dalla sua prima introduzione in Italia; fin dalla fine del secolo XIV si stampò in Foligno, Trevi e Perugia, e nella tipografia di Emiliano Orfini in Foligno fu pubblicata nel 1472 la prima edizione della Divina Commedia. L’industria poligrafica ed editoriale conta attualmente una novantina di esercizi ed impiega oltre 1000 addetti. Diffusasi un po’ dovunque nella regione, ha i suoi centri più importanti, oltre che nelle località citate, a Spoleto, Terni e Città di Castello. In quest’ultima prevale la specializzazione libraria, collegata a grandi case editrici nazionali; a Terni, lo stabilimento Alterocca era divenuto la più importante fabbrica di cartoline illustrate d’Italia; Foligno è nota per le sue piccole ma attivissime tipografie specializzate nelle stampe a bassissimo prezzo, di diffusione popolare; celebre il lunario « Barbanera di Foligno », ormai in varie edizioni, che tutti i contadini umbri, ma non solo essi, consultano per le… previsioni del tempo, ed anche per le cure delle campagne o le notizie sulle fiere e mercati; e notissimi, a causa della loro diffusione nazionale, i colorati foglietti dei « pianeti della fortuna » contenenti oroscopi, predizioni e numeri per il lotto.

    Vedi Anche:  Val Tiberina e Gubbio

    Perugia: lo stabilimento « Luisa Spagnoli », situato nell’area collinare presso la città.

    La fabbricazione della carta è fatta da una decina di stabilimenti; i più importanti sono quelli accentrati nei dintorni di Foligno e si ricollegano, per origini e tradizioni, all’industria cartaria marchigiana.

    La lavorazione del cuoio e delle pelli, numerosa e fiorente in passato, ha oggi una sola fabbrica di valigie e calzature in Perugia; e presso Fontivegge vi è pure la sola industria dell’abbigliamento della regione, la « Luisa Spagnoli », che sorge nel mezzo di una vasta azienda agricola, alla quale è collegata. L’industria ebbe inizio per le confezioni in maglia d’angora, ottenute con lane filate a mano da esperta mano d’opera locale. La materia prima era fornita da otto allevatori, oggi saliti ad oltre 20.000 con più di 600.000 conigli. La fabbrica lavora anche lana e tessuti di cotone importati, dando lavoro ad un migliaio di dipendenti, e colloca direttamente la produzione sul mercato interno per mezzo di negozi aperti nelle maggiori città, oltre ad esportare in una cinquantina di nazioni. La fabbrica, assurta a fama internazionale nel campo delle confezioni femminili per lo stile e la qualità dei suoi modelli, si pone, come la «Perugina», fra le grandi aziende, non solo locali ma anche nazionali.

    Nel settore tessile sono in attività i lanifìci di Perugia e Terni e l’importante iutificio, pure a Terni, oltre a un gran numero d’imprese artigiane di men che modesta importanza.

    Diffusissime le aziende meccaniche, rappresentate per la quasi totalità da medie e piccole aziende per modeste produzioni e riparazioni, specie di veicoli e macchine agricole; fra queste ultime, notevole la moderna fabbrica di aratri di Selci, sorta dall’ingrandimento di una attività preesistente. La antica fabbricazione a mano delle lime e raspe di Sellano è sempre attiva per la bontà del prodotto, ottenuto con metodi tradizionali, che permette di esportare l’intera produzione.

    Di origine del tutto moderna è l’industria chimica che però, al di fuori della conca di Terni, conta solo alcuni stabilimenti per la produzione di concimi (Assisi) e di fiammiferi (Perugia, Foligno) oltre che per prodotti minori di consumo locale.

    Meritata fama godono anche al di fuori della regione le piccole industrie e le imprese artigiane che si dedicano alla produzione artistico-industriale. Il loro sopravvivere conferma una posizione di preminenza nel campo delle arti decorative mantenuta inalterata attraverso il tempo. Come in passato sono ancora in funzione, soprattutto nel Perugino, laboratori e piccoli opifici per l’arte del mobile in legno, del ferro, del fuoco, del cuoio e del ricamo.

    Un reparto dello stabilimento « Luisa Spagnoli » di Perugia.

    Lavorazioni di mobili secondo stili antichi si trovano a Gubbio, Assisi, Perugia e Todi e producono casse, stipi, tavoli, seggiole, armadi e candelabri nello stile del Rinascimento, con intagli e decorazioni pregiati per la finezza e la precisione di linea e figura.

    L’arte del ferro, che riprende i manufatti trecenteschi o più recenti, che ancora ornano taluni antichi palazzi, produce lampadari, torcieri, alari per camino, soprammobili, ecc. con figurazioni di puro stile. Il ferro e il rame sbalzati si lavorano a Perugia, Gubbio, Assisi e Città di Castello.

    L’arte del fuoco comprende quella della ceramica e quella delle vetrate artistiche. L’Umbria eccelle nelle ceramiche, mantenendo nei manufatti tutte le caratteristiche proprie degli antichi vasellami artistici, imitati a perfezione grazie all’abilità tecnica delle maestranze, specie femminili, che ancora si dedicano alla decorazione a mano, e all’impiego delle materie prime locali. Perfezione nella lavorazione, splendore e originale disposizione dei colori, ricercatezza nella decorazione sono i pregi delle ceramiche che oggi sono prodotte a Deruta, richieste per la delicatezza del disegno raffaellesco, a Gubbio e Gualdo Tadino, ove si riprendono modelli etruschi e le ceramiche dai riflessi metallici create dal genio di Mastro Giorgio, nonché quelle patinate dal delicatissimo disegno floreale. A Perugia eccelle la produzione di vasellame patinato con fregi di fogliami, figure umane e animali; a Orvieto quella su modelli etruschi o romani. Umbèrtide e Piediluco offrono lavori più moderni di linea sobria e decorazione piacevole.

    Le cartiere della valle del Menotre, presso Foligno.

    Deruta: una fabbrica di maioliche.

    L’arte del cuoio fornisce articoli lavorati a sbalzo ed ha il suo centro in Perugia. In passato era fiorente l’arte del tessuto e del merletto, con produzioni su disegni antichi. Oggi rimane, attivissima e fiorente, quella del ricamo; principalmente a Perugia, Assisi, Deruta, Città di Castello. Ciascun centro ha il suo punto tradizionale, con una produzione tipica molto pregiata nonostante una certa tendenza all’uniformità del disegno. Il ricamo è lavoro casalingo che permette di integrare, sia pure entro certi limiti, i modesti redditi delle campagne.

    Ricamo e ceramiche sono sorretti da una buona organizzazione commerciale che colloca il prodotto nelle località più frequentate dai forestieri e fuori dalla regione. Pertanto essi sono i rami più attivi dell’artigianato ed anche quelli più noti, mentre gli altri settori della produzione risentono, nell’Umbria come altrove, della difficoltà di collocamento del prodotto ed hanno di recente perso parte di quella vivacità che li caratterizzava.

    Nel quadro sommario, e per altro incompleto, che si è fatto dell’attività industriale, si è ripetutamente accennato allo scarso peso che essa ha sulla fisionomia economica generale. Secondo il censimento del 1951 gli addetti all’industria erano appena il 25,2% della popolazione attiva contro il 32,1% della media nazionale, nè da allora la situazione generale ha presentato segni di miglioramento. Sempre secondo il censimento, le unità locali dell’industria erano n. 133 e di queste 9.951 avevano meno di 10 addetti; non meraviglia il fatto che appena il 28,8% delle industrie fosse fornito di forza motrice.

    Ancora qualche cifra: sui 91 comuni dell’Umbria solo 18 hanno una percentuale di occupati in attività diverse dall’agricoltura che superi la media della regione; solo 7 hanno un numero di unità locali dell’industria superiore a 200, comprese le artigianali.

    Deruta: una bottega artigiana di maioliche.

    Maioliche di Gualdo Tadino.

    L’attività industriale di qualche rilievo si concentra dunque in pochi luoghi: la conca di Terni, Foligno e Perugia; in misura assai più limitata a Spoleto, Assisi, Bastia e Città di Castello. A Terni vi sono le grandi industrie produttrici di beni strumentali; nel rimanente della regione si ha un diffuso atomismo aziendale, che le poche eccezioni pongono vieppiù in risalto, e si producono beni di consumo.

    L’industria umbra non esiste come un’unica entità se non per mera coesistenza nello stesso ambito regionale. Le due parti non formano un complesso legato da interdipendenza, nè è possibile pensarlo, almeno attualmente. Terni vive infatti proiettata al di fuori della regione, fornendo a questa solo redditi di lavoro; le piccole industrie hanno limitate possibilità di reinvestimenti, e quindi di ampliarsi.

    L’industria umbra è attualmente in una fase di ristagno, con casi di pronunciato regresso, senza che nella regione si intravvedano ancora le condizioni di una ripresa. Alla scarsa disponibilità di capitali, alla carenza di materie prime, di tecnici e di mano d’opera specializzata, si aggiunge la posizione della regione, quella sua centralità che, or è un secolo, fu considerata una condizione di privilegio e che oggi la pone in condizioni di svantaggio rispetto alle regioni vicine.

    Il commercio

    Regione eminentemente agricola, con fisionomia industriale limitata ad alcune plaghe ben definite, l’Umbria ha commerci tradizionali e consolidati, che solo oggi mostrano per qualche senso di variare, sia pur lentamente, risentendo delle mutate condizioni generali dell’economia italiana.

    Le fiere e i mercati sono ancora le occasioni più usuali di contrattazioni dei prodotti della terra e dell’allevamento. Si tengono ovunque, nei paesi e nelle città, con varia frequenza e differente importanza, a seconda dei periodi dell’anno nei quali hanno luogo, e sono caratterizzate dalla prevalenza di questo o di quel prodotto, o da una genericità che ricorda l’antica funzione di questi ritrovi periodici.

    Oltre che un’occasione di scambio di merci, le fiere e i mercati sono un motivo di incontri per la popolazione che, numerosa, vive sparsa nelle campagne. Essi sono di conseguenza ancora molto affollati anche se non come in passato, perchè la facilità degli spostamenti individuali consente a chi vive in campagna di recarsi più di frequente nel vicino centro per fare gli acquisti.

    La diffusione dell’insediamento sparso e la congerie di piccoli e talvolta piccolissimi agglomerati di case con poche decine di abitanti che non darebbero sostentamento al commercio fisso, spiegano la frequenza del commercio ambulante, che è ancora ben vivo nella regione, con circa 6000 esercizi, quasi la metà di quelli che esercitano il commercio fisso. Le bancarelle situate ai margini delle vie o delle piazze più frequentate sono un elemento che fa ancora parte del quadro urbanistico di tutti i centri della regione. Confinate alla periferia nelle città più moderne, esse si trovano ancora nel centro di molti abitati, e non dei minori, o nei pressi di quei luoghi che richiamano turisti, come nelle strade di Assisi o di altri luoghi religiosi.

    Il mercato come luogo di acquisto quotidiano di derrate alimentari è pure molto frequentato ; nei medi e piccoli centri esso è più appariscente, ma è ugualmente presente e attivo nei centri maggiori. I luoghi di mercato per il bestiame sono oggi alla periferia degli abitati: bene attrezzati per accogliere bestiame e contraenti, presentano nei giorni delle contrattazioni un aspetto caratteristico e, in generale, molto vivace per la sempre crescente importanza che il settore zootecnico va acquistando nell’economia rurale della regione.

    Il commercio fisso conta attualmente, in cifra tonda, 12.000 esercizi, variamente distribuiti, con forte prevalenza dei maggiori centri urbani, ma ogni paese ha le sue botteghe per le necessità più immediate della popolazione ed anche per le spese meno

    urgenti e voluttuarie. Alla numerosità degli esercizi commerciali nei centri più grandi si unisce, come del resto avviene ovunque, la varietà e una maggiore specializzazione dei negozi. Botteghe con caratteri particolari sono quelle collegate con produzioni artigianali, come le ceramiche di Deruta, Gualdo Tadino e Gubbio, il ferro battuto a Perugia, Assisi e i merletti e ricami, ancora ad Assisi, o con il carattere di alcune città, come quelle di antiquariato a Perugia, ecc. Molte di esse sono sorte o si sono sviluppate in rapporto all’afflusso dei turisti.

    In una regione come l’Umbria, dove le famiglie contadine si alimentano per lo più con quanto producono, il commercio al minuto dei generi alimentari non può essere molto fiorente. Le botteghe di questo tipo non sono infatti molto numerose in proporzione a quelle di altri generi: il 22,6% sul totale della regione, contro il 36,6% dell’Italia. Come è logico esse sono relativamente più numerose nei grandi centri e specialmente in quelli a marcato carattere industriale.

    Gubbio: il mercato giornaliero sotto il porticato dell’antico Tiratoio dell’Arte della Lana.

    In Umbria si contano circa 300 abitanti per ogni negozio di alimentari al minuto, contro i 200 o poco più della media nazionale, e il rapporto è di 1 a 303 per la provincia di Perugia, mentre scende aia 265 per quella di Terni.

    Molto diffusi sono, di conseguenza, i negozi misti, che vendono cioè al minuto sia generi alimentari che non alimentari; questi evidentemente possono contare su di una clientela più numerosa e varia ed hanno più occasioni di guadagno. I negozi di questo tipo sono più diffusi nei piccoli paesi, dove l’acquisto di generi alimentari è occasionale o saltuario.

    La piazza del mercato di Gualdo Tadino

    Assisi : botteghe artigianali di oggetti ricordo.

    Ma i più numerosi in senso assoluto (quasi la metà del totale) sono i negozi di generi non alimentari, che soddisfano le esigenze più disparate degli abitanti, tanto delle città come delle campagne, vendendo quegli articoli che non si producono sul luogo e quelli prodotti dalle moderne industrie, che hanno sostituito, in genere, i manufatti correnti dell’artigianato anche nelle campagne.

    Il mercato del bestiame a Città di Castello.

    Il commercio all’ingrosso risente delle condizioni generali di quello al minuto. Meno numerosi in proporzione che nella media dell’Italia, gli esercizi commerciali all’ingrosso trattano, per una metà abbondante, generi alimentari. Al compito di distribuzione delle derrate di importazione, essi sommano sovente quello di acquisto del sovrappiù della produzione agricola locale. Appena 250 in tutta la regione sono invece i grossisti di generi non alimentari, più numerosi nel Perugino che nel Ternano, dove se ne contano appena una settantina.

    I commercianti all’ingrosso dell’Umbria risiedono per lo più nei centri maggiori, dove più frequenti sono le occasioni di scambi e più facili sono i trasporti e dove hanno sede gli sportelli bancari.

    Il commercio umbro è nel suo complesso, e salve le debite eccezioni, un commercio limitato a causa del basso livello dei redditi medi della popolazione.

    Secondo recenti stime il reddito medio prodotto per abitante è, in cifra tonda, di 142.000 lire in provincia di Perugia, di 204.000 lire in provincia di Terni, contro le 218.000 lire dell’Italia.

    Il calcolo delle spese per consumi non alimentari nello stesso periodo dà 68 per Terni e 90 per Perugia, facendo uguale a 100 la media nazionale per abitante.

    La debole struttura del commercio nella regione è confermata dall’esistenza di ben 15 centri di attrazione commerciale, che esercitano la loro influenza su altrettante aree, i cui abitanti fanno capo ai rispettivi centri per l’acquisto di beni di consumo non correnti.

    Vedi Anche:  Storia dell'Umbria

    Come è noto, centri e rispettive aree si individuano con l’osservazione di quanto avviene spontaneamente nella pratica quotidiana dell’attività commerciale: il consumatore quando non trova un prodotto nei luoghi in cui vive si sposta verso un altro centro più fornito e alcuni centri finiscono così per avere un’importanza maggiore di altri, esercitando un’attrazione commerciale su tutta un’area circostante.

    Nelle condizioni non brillanti in cui versa il commercio umbro, i centri maggiori dovrebbero avere, di conseguenza, uno spicco particolare ed esercitare la loro influenza su vaste porzioni della regione. Le aree commerciali individuate da recenti indagini nell’Umbria hanno, invece, tutte ampiezza limitata e solo cinque di esse possono contare su una massa di consumatori relativamente maggiore; esse fanno capo ai soli centri di importanza commerciale notevole o di qualche rilievo: Perugia, Foligno, Spoleto, Terni e Orvieto.

    I rimanenti centri di attrazione commerciale (Città di Castello, Gubbio, Norcia, Narni, Amelia, Ficulle, Fabro Scalo, Marsciano, Tavernelle di Panicale, Gualdo Tadino) sono inframmezzati ai precedenti. Essi non sono commercialmente molto qualificati e la loro numerosità è pertanto indice di scarsa propensione alla mobilità da parte degli Umbri. Diversi fattori influiscono sullo spostamento dei consumatori e sulla scelta del centro nel quale effettuare gli acquisti, quali l’abitudine o la necessità di frequentare un dato centro (particolarmente favoriti sono i due capoluoghi di provincia), la natura dei prodotti da acquistare, la facilità delle comunicazioni. Questo ultimo fattore sembra avere in Umbria un peso preponderante: la scarsa mobilità della popolazione influisce sul sistema dei trasporti, ma è anche vero che i trasporti poco comodi dell’Umbria non favoriscono gli spostamenti giornalieri degli abitanti.

    Le comunicazioni

    Il ristagno più volte lamentato dell’economia umbra, la lentezza dell’evoluzione di situazioni ormai diventate pesanti e la scarsa diffusione di prospettive locali di miglioramento a breve scadenza poggiano su un senso di isolamento, quasi un distacco dal resto del Paese, che è ormai entrato nell’animo degli abitanti. I contatti dell’Umbria con le regioni vicine non sono affatto agevolati. Posta nel cuore della Penisola, essa non affaccia al mare ; contornata da regioni con le quali ha pur affinità, anziché trarne respiro, appare quasi soffocata da esse.

    Comunicazioni stradali e ferroviarie.

    Il sistema delle comunicazioni ricalca i grandi lineamenti morfologici della regione. L’elevato spartiacque appenninico ad oriente la separa dal versante adriatico della Penisola; i rilievi occidentali che la limitano verso il Tirreno, l’andamento delle conche interne, racchiuse fra rilievi non sempre agevolmente transitabili, impongono alle comunicazioni direttrici obbligate, e sono alla base di una diffusa difficoltà di collegamenti, anche interni, accentuata dalla giacitura in collina dei principali centri abitati e dal carattere eminentemente agricolo del territorio, sul quale la metà della popolazione vive in case isolate o in piccoli agglomerati.

    L’Umbria è di fatto tagliata fuori dalle grandi direttrici delle comunicazioni terrestri della Penisola, e questa situazione non ha mancato di far sentire i suoi effetti su tutti gli aspetti della vita regionale.

    Il sistema delle strade dell’Umbria si impernia su tre grandi vie, che, con direzione generale da nord a sud, hanno un decorso, grosso modo, parallelo. Una sola trasversale le collega tutte, attraversando la regione nella parte centro-settentrionale. Da queste strade si dipartono le vie che collegano l’Umbria con le regioni vicine e su di esse si innestano le strade di importanza regionale e locale. Le tre strade meridiane dell’Umbria sono le statali n. 3 (Flaminia), n. 3 bis (Tiberina) e n. 71 (Umbro-Casentinese).

    La via Flaminia collega la valle del Tevere con la conca di Terni e questa città con Spoleto; da qui fino a Foligno percorre, al piede orientale, il tratto più meridionale della valle Umbra. Da Foligno si inoltra nelle montagne e, per Fossato di Vico, raggiunge il Colle di Scheggia (m. 575), addentrandosi nelle Marche.

    La via Tiberina ha inizio in Umbria, al km. 78 della Flaminia, poco a sud di Narni, e per Sangémini e Acquasparta giunge a Todi, per proseguire lungo la valle del Tevere attraverso Perugia, Umbèrtide e Città di Castello, fino a Sansepolcro in Toscana e più avanti, oltre il valico di Montecoronaro (m. 861), presso Bagno di Romagna, si congiunge con la via Umbro-Casentinese. Questa si stacca dalla Cassia presso il confine sudorientale della regione, a 12 km. da Orvieto, che raggiunge per inoltrarsi lungo la valle del Chiani fino a Chiusi, in Toscana. Da questa località rientra nell’Umbria, a costeggiare la sponda occidentale del lago Trasimeno, e ritorna nuovamente in Toscana presso Teròntola. Raggiunta Arezzo, la strada risale la vallata del Casentino, valica la catena appenninica al Passo dei Mandrioli (m. 1173) e si addentra nella Romagna.

    La trasversale è costituita dalla statale n. 75 (Centrale Umbra) che nel tratto da Foligno a Perugia, percorre la porzione settentrionale della valle Umbra e, oltre Perugia, attraversa la collina perugina per poi costeggiare la sponda settentrionale del Trasimeno e quindi terminare a Teròntola.

    Le ferrovie ripetono sostanzialmente il tracciato stradale descritto. Il percorso meridiano orientale è seguito dalla linea Roma-Ancona, nel tratto da Orte a Fossato di Vico; quello occidentale dalla linea Roma-Firenze, nel tratto da Orte a Teròntola; quello centrale, dai servizi della ferrovia secondaria Terni-Perugia-Sansepolcro. La direttrice trasversale è seguita dalla linea Foligno-Perugia-Teròntola.

    La direttrice trasversale e quella meridiana centrale sono quelle che attraversano il cuore della regione, incrociandosi a Perugia, dopo aver percorso le parti più abitate del territorio. Le due meridiane, orientale e occidentale, sono invece marginali rispetto alla regione, specialmente la seconda, che interessa praticamente solo l’Orvietano e la sponda occidentale del Trasimeno. E noto che le grandi correnti di traffico fra nord, centro e sud dell’Italia seguono di preferenza questa direttrice e pertanto l’Umbria, per le sue comunicazioni a grande raggio, deve gravitare ad occidente o, come sola alternativa, ad oriente. I grandi assi di scorrimento del traffico sono cioè spostati ai margini del territorio. In queste condizioni acquista maggiore evidenza la mancanza di collegamenti trasversali a nord di Perugia, per cui la conca di Gubbio e la vai Tiberina sono quasi isolate, e a sud, fra la valle Umbra e la valle del Tevere.

    Ben si comprendono quindi le continue richieste degli Umbri per veder migliorate le condizioni delle comunicazioni, e principalmente di quelle stradali, ora che le linee ferroviarie sono tutte elettrificate. La prossima costruzione del tratto Firenze-Roma dell’Autostrada del Sole avvicinerà di più l’Umbria al resto dell’Italia e forse riuscirà ad eliminare quel senso di isolamento di cui si è parlato. Ma l’influenza che la nuova autostrada avrà sulla vita della regione non dipenderà tanto dalla vicinanza o meno del suo percorso alle città, quanto dalla maggiore o minore facilità con cui il sistema stradale dell’Umbria potrà far capo ad essa, per mezzo di efficaci strade di raccordo, che potrebbero svolgere anche quella funzione di collegamento trasversale, oggi mancante.

    La ferrovia Roma-Ancona al ponte d’Augusto presso Narni.

    La stazione ferroviaria di Terni.

    Alle grandi direttrici fanno capo le vie secondarie, di importanza essenzialmente regionale o locale.

    Per quanto riguarda le ferrovie, soppressa ormai la secondaria Umbèrtide-Gubbio e la tranvia extraurbana Terni-Ferentillo, resta in attività la sola linea Spoleto-Norcia, che serve parte della montagna spoletina.

    Le strade statali hanno uno sviluppo complessivo di circa 700 chilometri e comprendono, oltre alle citate direttrici, diverse strade già provinciali, passate recentemente alla gestione dell’A.N.A.S. Come in molte parti d’Italia, anche in Umbria le strade statali ripetono ancora sovente tracciati e caratteristiche progettati per un traffico meno veloce e intenso dell’attuale.

    Le strade provinciali (circa noo km.) sono invece insufficienti al traffico regionale, sia per i percorsi che per le condizioni di manutenzione. Così pure dicasi delle strade comunali (2900 km.) e di quelle vicinali, che assicurano le comunicazioni capillari. Molto estesa la rete delle strade mulattiere, che in montagna fornivano i necessari collegamenti fra le località abitate e con le estese zone di bosco o pascolo. Adeguate in passato al movimento delle poche persone e dei molti animali, oggi sono state soppiantate dalle strade carrozzabili o carreggiabili e rimangono con il carattere di vie vicinali. In questi ultimi anni si è collegato con strada anche Castelluccio di Norcia, l’ultimo centro del Nursino che ne era sprovvisto.

    L’insufficienza attuale delle vie secondarie dipende in parte dal tracciato, quasi sempre previsto per il traino animale, che era il più diffuso fino a qualche decina d’anni or sono, e in parte dalle condizioni di manutenzione. Le strade sono sovente impraticabili dopo le piogge autunnali e nell’inverno. Le frane frequenti e la permanenza della neve al suolo in montagna le rendono inadatte ai veloci veicoli a motore e, d’altra parte, la scarsezza dei mezzi a disposizione delle amministrazioni locali non consente di affrontare costose opere di manutenzione e riparazione, specie nelle plaghe più povere.

    Intensità del traffico sulle strade principali.

    La ferrovia Centrale Umbra nei pressi di Ponte San Giovanni.

    L’Umbria, insieme alle Marche, detiene il non invidiabile primato, nell’Italia centrale, del più basso numero di automezzi in rapporto agli abitanti ma, in compenso, sono oggi rari i centri non ancora collegati da autolinee regolari.

    Il traffico stradale è poco intenso, particolarmente nelle aree periferiche e nella campagna. Esso aumenta notevolmente intorno ai maggiori centri, specie dove si accentra l’attività industriale e commerciale; più basso nei mesi invernali, aumenta grandemente nella tarda primavera e nell’estate, quando il movimento dei turisti raggiunge il suo massimo.

    Il turismo

    Il turismo ha un peso tutt’altro che trascurabile nel quadro dell’economia della regione, ma tuttavia esso è inferiore a quanto ci si potrebbe aspettare pensando a quanti e quali motivi di attrazione l’Umbria offra.

    Il suo territorio presenta in poco spazio una varietà di ambiente e di paesaggi, di monte e di piano, di città e campagna e offre un insieme di richiami — dai suoi tesori d’arte profusi nei centri maggiori come in quelli minori, ai centri religiosi e termali — che, se hanno un difetto, è quello della sovrabbondanza.

    Per contro le attrezzature ricettive sono modeste: un centinaio di alberghi e altrettante locande con circa 5000 letti in complesso, che non sono sufficienti ad ospitare i forestieri, i quali devono perciò ripiegare sugli alloggi privati, ben più numerosi anche se meno preferiti.

    Principali itinerari e centri turistici.

    Gli Umbri non alimentano molto il turismo della loro regione, un po’ perchè legati al lavoro agricolo, un po’ per i bassi redditi di cui dispongono e poi perchè chi dispone di tempo libero preferisce cambiare ambiente, recandosi appena possibile fuori della regione.

    Le maggiori città hanno i loro luoghi di villeggiatura estiva: il Trasimeno per Perugia, Monteluco per Spoleto, Piediluco per Terni; e località di soggiorno familiare che richiamano anche qualche forestiero si hanno in alcuni centri posti sulla ferrovia Roma-Ancona (Nocera Umbra, Gualdo Tadino ecc.) o nella montagna di Norcia. Le occasioni di movimento più importanti sono però date dalle feste religiose alle quali gli Umbri affluiscono in gran numero, dalle città come dalle campagne, e che di solito si concludono in giornata.

    La scarsità delle attrezzature e la inadeguatezza delle comunicazioni impediscono lo sviluppo degli sport invernali, che si potrebbero praticare principalmente nel Nursino e che oggi invece si svolgono sul Terminillo, agevolmente raggiungibile e meglio attrezzato.

    Più importante è il movimento dei forestieri, italiani e stranieri, che si manifesta soprattutto nel periodo che va dalla tarda primavera all’inizio dell’autunno.

    La basilica di San Francesco ad Assisi, mèta di pellegrinaggi da tutto il mondo.

    È un movimento molto vario, che raggiunge anche punte di notevole intensità e che negli ultimi anni ha segnato un continuo aumento. Tuttavia il numero degli arrivi, registrato negli alberghi e nelle pensioni, è il più basso dell’Italia centrale e le presenze medie si limitano ad 1-2 giorni soltanto. Il centro che conta il maggior numero di forestieri in sosta è Perugia, non solo per la città in sè ma anche per la sua posizione, che permette con spostamenti giornalieri di visitare le località che maggiormente interessano il turista e nelle quali, d’altra parte, le attrezzature ricettive sono insufficienti.

    Al turismo di breve o di brevissima permanenza si aggiunge quello di transito, ben più numeroso, con aspetti di turismo individuale e di massa, che interessa in continuazione le località di carattere religioso (Assisi, Cascia e Orvieto principalmente) e i centri maggiori posti sulle strade principali.

    Il turismo di transito è praticato dai turisti che, con mezzi di trasporto individuali e soprattutto collettivi, si recano a Roma. All’andata o al ritorno essi compiono una sosta di qualche ora per una breve visita e l’acquisto di un oggetto ricordo.

    Turismo di massa con meta neirUmbria si ha solo in occasione di feste o celebrazioni, come la Corsa dei Ceri a Gubbio, la processione del Corpus Domini a Orvieto la Festa delle Acque a Terni.

    Il turismo di qualità è molto limitato : tolta l’affluenza di studiosi ed amatori dell’arte, sempre meno numerosi, esso è limitato a qualche manifestazione culturale che si tiene a Perugia e a Spoleto.

    Sta di fatto che il turismo contemplativo, artistico o religioso, va sempre più scomparendo. Le scarse attrezzature non valgono a trattenere il forestiero che sosta fugacemente nell’Umbria per poi trovare a breve distanza, nel Lazio e in Toscana, centri turistici meglio preparati ad accoglierlo. In un’epoca fatta di velocità e di divertimenti collettivi l’Umbria non offre che la quiete dei suoi panorami, la raffinata semplicità della sua arte, il mistico raccoglimento dei suoi santuari. Non ha nulla che sia « di moda », non offre divertimenti. E il turista prosegue il suo viaggio.