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Storia dell’Umbria

    Sguardo storico

    La preistoria

    Numerose testimonianze indicano che la regione umbra fu abitata dall’uomo fin dalle epoche più antiche: l’abbondanza di acque scorrenti nelle ampie vallate e la vegetazione indubbiamente più rigogliosa dell’attuale favorirono la diffusione degli insediamenti umani, dei quali sono giunte a noi tracce cospicue in ogni parte del territorio. Infatti non solo nel fondo delle valli e sui terrazzi che fiancheggiano il corso dei fiumi, ma sulle stesse pendici delle montagne sono stati rinvenuti i segni delle prime civiltà umane, dalle selci grossolanamente scheggiate del primo Paleolitico ai più raffinati oggetti in pietre dure levigate dell’età neolitica. Di tali resti abbondano sia i dintorni del lago Trasimeno che il territorio perugino, e sono state trovate stazioni preistoriche con ricco corredo di suppellettili anche sull’elevato altopiano di Norcia, tra le aspre montagne dell’Appennino.

    Le maggiori testimonianze di antichi insediamenti umani provengono naturalmente da località all’aperto, di più agevole esplorazione, ma l’uomo primitivo sfruttò spesso come rifugi anche le grotte che in buon numero si aprono nei fianchi dei monti calcarei, in gran parte ancora inesplorate.

    I numerosi oggetti rinvenuti nelle diverse località sono riuniti oggi nel ricco museo preistorico « G. Bellucci » di Perugia. Appare molto abbondante soprattutto il materiale dell’epoca paleolitica, che comprende esemplari fra i più notevoli per conservazione e grandezza rinvenuti in Italia. Sono in gran parte raschiatoi e punte di frecce ricavati da ciottoli e schegge di selce o di diaspro e dai quali appare il progressivo affinamento della tecnica di lavorazione della pietra. I ritrovamenti del territorio di Norcia, particolarmente nella montuosa frazione di Abeto, appartengono quasi tutti al periodo paleolitico, che si dovette prolungare, in quell’ambiente isolato ed impervio, mentre nelle altre parti della regione si erano ormai affermate le tecniche più evolute.

    Tombe etrusche nei pressi di Orvieto.

    Con la civiltà neolitica compaiono oggetti ottenuti levigando rocce dure, generalmente di importazione; il materiale di questo periodo, trovato in molte stazioni preistoriche, soprattutto della valle del Tevere, comprende asce, scalpelli ed utensili, ed anche pendagli ed oggetti ornamentali, l’uso dei quali si era andato diffondendo con l’evoluzione dei costumi. L’epoca neolitica vedeva, con l’introduzione di nuovi elementi culturali, l’inizio della coltivazione dei cereali e l’addomesticamento di alcuni animali. La caverna detta « le tane del diavolo » presso Parrano, in territorio di Orvieto, ha custodito, con numerosi avanzi neolitici, anche i primi oggetti metallici, piccoli pugnali e asce di rame, che attestano il trapasso diretto dalla civiltà della pietra a quella dei metalli.

    L’età del bronzo è rappresentata principalmente dai materiali rinvenuti a Beiverde, sulla montagna di Cetona, ai confini tra Umbria e Toscana, dove si riscontrarono i resti di un vasto abitato trogloditico a ridosso di una grande scogliera di travertino, con abitazioni all’aperto tagliate nella roccia. Nell’interno delle caverne si trovarono anche basi di focolari in terra battuta, cumuli di cenere e di carbone e una certa quantità di cereali, oltre a ossa di animali e resti scheletrici di antichi abitatori. I manufatti, assai abbondanti, sono costituiti da asce, utensili vari e oggetti ornamentali; notevoli sono i resti dell’industria ceramica che doveva aver già raggiunto una certa perfezione, pur senza che fosse ancora introdotto l’uso del tornio; le decorazioni venivano fatte mediante incisioni nell’argilla tenera e rappresentavano motivi ornamentali geometrici. I ritrovamenti di Bel verde, come altri di stessa età di altre località umbre, hanno permesso di stabilire l’esistenza di una civiltà del bronzo prettamente italica, con caratteri propri.

    Perugia. La Porta Etrusca, o Arco d’Augusto, porta principale della cinta etrusca della città. La parte inferiore, con l’arco, è etrusca (III-II sec. a. C.), come le due torri che fiancheggiano la porta; la parte superiore è romana e si deve al restauro della porta dopo l’incendio del 40 a. C.

    Tra il declinare dell’età del bronzo e prima dell’apparire della civiltà etrusca nell’Umbria, stanno i resti delle popolazioni della prima età del ferro, che rivelano aspetti di parentela con quelli di altre regioni dell’Italia centrale e che rappresentano il ponte di passaggio alle grandi civiltà storiche. I materiali di questo periodo sono dati in special modo da suppellettili rinvenute in grandi sepolcreti a Terni (presso le Acciaierie), a Colfìorito, a Norcia (presso le sorgenti del Torbidone), a Bevagna ed in altre località; nella necropoli di Monteleone di Spoleto, ai margini della conca di Leonessa, è stato scoperto il famoso carro da guerra, esempio cospicuo dell’arte del rilievo metallico.

    Umbri ed Etruschi

    Delle primitive popolazioni ben poco si può sapere. Già si è accennato che la tradizione indica gli Umbri come i più antichi abitatori della regione e come una delle prime tribù italiche. Quali siano state le loro vicende anteriormente ai primi contatti col mondo romano, non è possibile ricostruire dai pochi indizi sulla loro vita, e del resto sono incerti pure i confini del territorio da essi occupato. Probabilmente le valli e i monti dell’Appennino centrale in cui questo popolo abitava in epoca storica non erano che un’area di rifugio e gli Umbri erano stati costretti a ritirarvisi sotto la pressione di nuove popolazioni sopraggiunte forse dal nord, alle quali avevano dovuto abbandonare le più vaste e fertili terre della pianura padana. Passati in Toscana, gli Umbri finirono col ridursi ad oriente del corso del Tevere, spingendosi fin nelle aree più impervie della montagna appenninica, a contatto con un altro popolo italico, gli Oschi, che si stanziavano più a sud.

    L’area nella quale si sono rinvenute documentazioni della lingua umbra appare del resto limitata in questi ristretti confini, tra l’Appennino ed il Tevere, su un territorio corrispondente a quello degli antichi comuni di Ameria (Amelia), Bettona, Tuder (Todi), Asisium e Iguvium. Da quest’ultimo provengono, come si è già accennato, le Tavole Eugubine, che rappresentano l’unica fonte diretta per la conoscenza della civiltà degli antichi umbri e la testimonianza più cospicua riguardo al loro linguaggio. Sono sette lastre di bronzo, scoperte nel XV secolo presso il Teatro Romano di Gubbio, delle quali due, più antiche, si fanno risalire all’inizio del III secolo a. C., all’epoca cioè dei primi contatti col mondo romano, le rimanenti a circa due secoli più tardi. Le prime sono scritte negli stessi caratteri dell’alfabeto etrusco, le seconde in caratteri latini, ma in tutte la lingua è umbra, e il contenuto di carattere religioso: vi sono descritte cerimonie sacre, e si enumerano tutti gli atti e le prescrizioni da osservare, che rivelano una notevole analogia con le norme del culto romano. Esse contengono inoltre la lista delle tribù partecipanti al sacrificio e di quelle che ne sono escluse, e gli statuti della corporazione sacerdotale dei fratres Atiedii, fondata, come quella dei fratres Arvales nel Lazio, sul culto delle stesse divinità campestri, dalle quali si invocava, con sacrifici propiziatori, la prosperità della terra.

    Càrsulae: l’Arco di San Damiano, forse il resto di un arco trionfale sulla Flaminia romana.

    Ad occidente del Tevere si erano insediati gli Etruschi (detti Tirreni dai Greci), la cui provenienza, come è noto, è ancora incerta. Essi, che avevano esteso il proprio dominio dalla valle del Po alla Toscana e al Lazio settentrionale, stabilitisi nelle nuove sedi dell’Italia centrale raggiunsero ben presto una notevole prosperità economica e potenza politica. Le miniere di rame del territorio toscano furono intensamente sfruttate; si svilupparono i commerci, sia terrestri sia soprattutto marittimi; la costa tirrenica e quella adriatica videro sorgere alcune fiorenti città portuali che allacciavano sempre più intensi rapporti economici e culturali con il mondo greco, dal quale la civiltà etrusca ebbe senza dubbio un largo contributo. Neirinterno si formavano intanto centri relativamente ragguardevoli di popolazione. Nel secolo VII a. C., quando Roma contava pochi decenni di vita, le città etrusche fiorivano nell’interno della Toscana e dell’Umbria occidentale. Dello splendore e della prosperità di questi antichi centri restano cospicue testimonianze, sia negli avanzi delle imponenti mura di cinta costruite con enormi blocchi quadrangolari di pietra, sia nella numerosa serie di tombe ipogee, ricche di preziose suppellettili, rinvenute nelle vicinanze delle maggiori città.

    Caratteristica era la situazione degli abitati, su alture non troppo elevate, in posizione sicura e da cui si potessero controllare le principali vie di comunicazione: così Orvieto, su di un poggio dominante la confluenza del Paglia con il Tevere, e Perugia, il principale avamposto verso il territorio degli Umbri, al punto di incontro di alcune strade tra le più importanti dell’Italia centrale, e facilmente collegata, attraverso il passo di Scheggia, con l’altro versante appenninico.

    Il corso del Tevere rimase per secoli il confine tra Umbri ed Etruschi, e queste due popolazioni si divisero il dominio di quasi tutto quello che è oggi il territorio della regione; solo l’estrema parte sudorientale, l’area montuosa compresa tra le valli del Nera e del Tronto, era abitata da un’altra stirpe, i Sabini, assai affini agli Umbri (o forse discendenti dagli stessi Umbri), che dalle loro sedi elevate scesero poi ad occupare anche le terre poste più ad occidente, fino al corso dell’Aniene e alla bassa valle del Tevere, dove vennero in contatto con la nuova potenza romana.

    Il dominio romano

    La prima penetrazione dei Romani nella regione degli Etruschi e degli Umbri avveniva sul finire del IV secolo a. C. : gli Etruschi avevano posto l’assedio a Sutri, colonia romana, e gli eserciti consolari, accorsi a difendere la città, varcavano in seguito i monti Cimini, spingendosi nell’alta Etruria verso il lago Trasimeno; presso Perugia si combattè un’aspra battaglia in cui le legioni romane sbaragliarono le milizie avversarie. La vittoria di Perugia indusse gli Etruschi ad una tregua, da rinnovarsi di anno in anno, coi Romani. Questi entrarono allora in contatto con alcune città umbre e, secondo la tradizione riportata da Livio (IX, 41), vi sarebbe stata anche una vittoria romana presso Mevania (oggi Bevagna), seguita dalla sottomissione di tutti gli Umbri. Tuttavia l’Umbria si ritrova poi ancora indipendente da Roma, la cui influenza su questo territorio si limitava ad un patto di alleanza con Camerino e con Otricoli, la più meridionale delle città umbre, e alla fondazione della colonia di Narni. Ma, collegatisi in seguito con altri popoli italici contro Roma nella terza guerra sannitica, gli Umbri dovettero subire la sorte degli alleati sconfitti e passarono definitivamente sotto il dominio romano. Non tutte le città umbre ebbero però uguale trattamento, forse per il diverso apporto dato da ciascuna di esse alle forze dell’eser-cito nemico: Foligno e Spoleto furono private dell’autonomia e incorporate nel territorio romano; altre città strinsero invece con Roma trattati di pace e di alleanza, e particolarmente favorevole fu quello ottenuto dalla potente Gubbio.

    Poco dopo anche gli Etruschi cedevano agli eserciti romani, e le loro città, tra le quali Perugia, rinnovavano l’alleanza con Roma. La completa sottomissione della Sabina, il cui territorio fu incorporato nello Stato romano con la cittadinanza senza suffragio (Rieti e Norcia diventarono prefetture), seguiva a poca distanza, cosicché alla metà del III secolo tutta la regione umbra era ormai passata sotto il dominio di Roma.

    Narni: resti del grandioso ponte d’Augusto sul Nera.

    Vennero allora fondate nel territorio degli Umbri e degli Etruschi numerose colonie, le quali testimoniano dell’importanza che assumeva per i Romani il controllo della regione, attraverso la quale necessariamente passavano le vie colleganti la bassa valle del Tevere con il Piceno sulla costa adriatica e con la pianura padana: vie di notevole interesse per il commercio di transito, ma di ancor maggiore importanza militare, per gli spostamenti degli eserciti consolari verso la parte settentrionale della penisola. E di questo periodo la costruzione della via Flaminia, che risaliva in parte la valle del Nera fiancheggiandone il corso sulle alture, attraversava il fiume presso Narni, valicava la catena del monte Martano per raggiungere a Foligno la valle Umbra, s’inoltrava poi nella valle del Topino fino a Gualdo Tadino, quindi per il passo di Scheggia raggiungeva l’opposto versante appenninico e, passando per Cagli, Fano e Pesaro, terminava a Rimini. Lungo questa grande arteria transappenninica furono creati luoghi fortificati detti valium, da cui sembra derivare l’odierna denominazione «Gualdo» di alcuni centri della regione: Gualdo di Narni presso Otricoli, Gualdo Cattaneo presso Bevagna, Gualdo Tadino; e si svilupparono centri di commercio e di sosta: Forum Novum (vicino ad Otricoli), Càrsulae (sulle alture ad occidente di Terni), Forum Boarium (a nord di Spoleto). Le strade e i centri preferivano le alture, rifuggendo dal fondo delle conche, probabilmente paludoso e malsano. Si ebbe allora il primo tentativo di bonifica della piana reatina, compiuto dal console Curio Dentato, con il taglio del canale di scolo delle acque del Velino, chiuso dallo sbarramento naturale delle Màrmore.

    L’Umbria romana.

    Dal III secolo a. C., Umbri ed Etruschi rimasero legati alle vicende di Roma, alla quale ebbero più volte a dimostrare la loro fedeltà, sia durante la campagna di Annibaie in Italia nella seconda guerra punica, sia nelle guerre civili e nelle insurrezioni di altri popoli italici. D’altra parte le popolazioni dell’Umbria non rimasero estranee alle lotte interne della repubblica. Nella guerra civile tra Mario e Siila, appoggiarono la parte democratica e dopo le sconfitte di Chiusi e di Spoleto dovettero subire confische di territori e fondazione di colonie militari. Nella guerra tra Antonio e Ottaviano, Etruschi ed Umbri divisero le loro preferenze tra i due contendenti, ed i primi, alleati con Antonio, furono sconfitti nella battaglia di Perugia, terminata con l’incendio della città.

    Durante la prima età imperiale, il territorio dell’Umbria dovette godere di un periodo di pace che favorì i commerci e lo sviluppo dell’agricoltura. La fertilità delle terre e la ricchezza delle sue campagne sono spesso ricordate dagli scrittori di quell’epoca. Ma nei secoli successivi la trasformazione sociale ed economica dell’Impero, con la graduale decadenza della classe degli agricoltori e la diffusione del latifondo, specie nelle regioni più vicine a Roma, fu causa di un progressivo abbandono delle campagne. Le invasioni barbariche e le conseguenti devastazioni che il territorio subì, non fecero che accelerare un processo già in atto: le piane bonificate e intensamente coltivate divenivano deserte e s’impaludavano, mentre la popolazione si rifugiava sulle alture, nei centri più sicuri e lontani dalle vie percorse dalle schiere degli invasori.

    L’importanza strategica dell’Umbria, sulla strada fra Roma e Ravenna, attraversata da una delle più importanti vie consolari, la Flaminia, e dalla valle del Tevere, via naturale di penetrazione verso il cuore della penisola, ebbe naturalmente il suo peso in queste vicende. Il possesso della regione, che già era stato determinante per i Romani nell’estensione delle loro conquiste verso il nord dell’Italia, divenne condizione essenziale per i nuovi regni barbarici che volevano consolidare il loro dominio con il controllo su Roma e sulle vie che dalla pianura padana davano accesso alla città.

    Vedi Anche:  Agricoltura e allevamento

    L’Umbria medioevale

    I maggiori centri deH’Umbria si trovarono allora coinvolti in aspre lotte e subirono distruzioni e saccheggi. Durante la guerra greco-gotica tutta la regione ebbe ingenti danni da parte degli eserciti del generale bizantino Belisario, che nel 537 vinceva le milizie di Vitige a Perugia e Spoleto; dieci anni dopo Perugia era ripresa dai Goti, a seguito di un lungo assedio, ma, a Spoleto e Gualdo Tadino, Totila era definitivamente sconfitto da Narsete, successo a Belisario nel comando della campagna d’Italia.

    L’antica abbazia di San Severo presso Orvieto.

    Al breve dominio bizantino seguì ben presto l’invasione dei Longobardi, i quali lasciarono una notevole impronta nella storia dell’Umbria medioevale, costituendo quel Ducato di Spoleto, che diede ad almeno una parte della regione un’unità politica conservatasi poi per diversi secoli. Le sue origini si possono porre nella seconda metà del VI secolo, quando un’ondata di conquistatori longobardi si spingeva fino all’Italia meridionale e vi stabiliva un altro Ducato, quello di Benevento. Quasi tutta l’Umbria sulla sinistra del Tevere cadde sotto il nuovo dominio; ne fu esclusa Perugia che, salvo brevi periodi di occupazione longobarda, rimase nelle mani dei Bizantini, come alcune città e fortezze sulla via Flaminia (Amelia, Narni, Terni), disputate, per la loro importante posizione, tra i due contendenti.

    Il Ducato di Spoleto si rese indipendente, almeno di fatto, dal regno longobardo d’Italia, ed ebbe una vita autonoma, favorito dalla posizione facilmente difendibile, fra le montagne dell’Appennino e le valli chiuse da gole di difficile percorso e sorvegliate dai numerosi castelli sorti sulle alture. Ad isolarlo dagli altri possessi longobardi contribuiva inoltre l’estensione del dominio bizantino nell’Italia centrale e la serie di città fortificate lungo la Flaminia, che limitò sempre da questo lato il territorio spoletino. L’espansione del Ducato si rivolse soprattutto ad oriente, alle terre di là dall’Appennino, dove pare giungesse fino a Fano e ad Osimo, e a sud verso le montagne abruzzesi; ma i confini in questa direzione furono assai variabili ed incerti, e solo in parte documentabili. Certamente, oltre al territorio spoletino, con l’alta valle del Nera e la conca di Norcia, vi furono comprese la conca di Leonessa e, almeno per un certo tempo, il Reatino con gran parte della Sabina. In queste aree l’impronta del periodo longobardo si rivela ancor oggi nella frequenza dei piccoli centri fortificati, nei ruderi dei castelli e delle torri di difesa poste a guardia dei passaggi più importanti, infine nella frequenza di antiche abbazie e monasteri: infatti i Longobardi, già seguaci dell’eresia ariana, dopo il loro insediamento nelle terre d’Italia si convertirono ben presto al cattolicesimo, ed alla prima fase della conquista, con distruzioni e saccheggi, seguì un periodo di assimilazione alle popolazioni sottomesse, delle quali si rispettarono e si conservarono le tradizioni e il patrimonio religioso e culturale. Questo processo ebbe modo di svolgersi particolarmente nel territorio del Ducato spoletino, per la sua lunga durata ed anche per il caratteristico ambiente in cui esso si era formato.

    L’abbazia di San Pietro in Valle presso Ferentillo: fondata da Faroaldo II al principio del secolo Vili, è il monumento più importante che si ricolleghi alla storia del Ducato longobardo di Spoleto.

    Abbazia di San Pietro in Valle: l’abside della chiesa e il campanile, del XII secolo.

    Tra i duchi longobardi è da ricordare Faroaldo I (vissuto alla fine del VI secolo), che avrebbe conquistato Classe e Fermo, spingendosi a sud fino alla conca aquilana. Col successore Ariulfo, il Ducato raggiunse la massima estensione, comprendendo quasi tutta la parte montana dell’Italia centrale. NeH’VII secolo Faroaldo II riconquistò per breve tempo Classe e s’impadronì della Sabina, diventando protettore della celebre abbazia di San Pietro in Valle, parzialmente conservatasi fino ad oggi, nella quale in seguito egli stesso si ritirò e morì.

    L’inizio del potere temporale dei papi, con le donazioni di Liutprando, e l’intervento dei Franchi in Italia contribuirono a staccare del tutto le sorti di Spoleto e del suo Ducato dalle vicende del regno longobardo di Pavia, al quale potè sopravvivere per lungo tempo, restando solo nominalmente soggetto ai nuovi dominatori. Già poco dopo la metà del secolo Vili, il duca Alboino giurava fedeltà al Papa e al re dei Franchi, e quando giunse la notizia della disfatta di Desiderio gli abitanti di Spoleto fecero atto formale di sottomissione al Pontefice, ed accettarono la nomina papale del nuovo duca Ildebrando, che riconosceva la sovranità di Carlo Magno.

    Entrato a far parte del Sacro Romano Impero, il Ducato riuscì a conservare la sua autonomia dallo Stato della Chiesa, nonostante che Carlo    Magno avesse donato al Papa « cunctum ducatum Spoletanum seu Beneventanum » ; e Ludovico il Pio nel-l’8i7, mentre riconosceva alla Chiesa il possesso effettivo del comitato di Sabina (che dipenderà poi sempre direttamente dal Papa), accordava ad essa solo « i donativi che annualmente erano soliti esser portati al palazzo dei Re longobardi, sia della Tuscia longobarda, sia del ducato Spoletano…, in modo che ogni anno si paghi alla Chiesa di San Pietro il predetto censo, salva in tutto la nostra dominazione sui medesimi ducati ». In questo periodo il ducato potè anche continuare la sua espansione territoriale, giungendo fino a Chieti e ad Ortona; e sul finire del secolo IX, alla dissoluzione dell’impero carolingio, acquistò in Italia una posizione di primo piano, quando i duchi di Spoleto Guido III e poi suo figlio Lamberto divennero re d’Italia e cinsero la corona imperiale.

    Dopo il Mille cominciava anche in Umbria a rifiorire la vita cittadina, sia nelle città del Ducato, sia a Perugia e negli altri centri che erano rimasti, attraverso varie vicende, sotto l’autorità nominale del Pontefice. Tra la fine dell’XI secolo e il principio del XII sorsero nella regione i comuni, fra i quali ebbero particolare importanza Perugia, Assisi, Foligno, Spoleto, Terni, Todi, Orvieto, Gubbio e Città di Castello. Seguirono lotte violente per la supremazia fra le città, e fra esse ed i numerosi e potenti feudatari delle campagne. In sostanza, da questo periodo la storia dell’Umbria si frazionò nelle particolari vicende delle singole città: il Ducato di Spoleto conservava bensì formalmente la sua unità, sostenuto dall’Impero, ma le città facevano politica propria, spesso in urto con gli imperatori, appoggiate dal Papa, che continuava a riaffermare i suoi diritti sulla regione.

    Quando Federico Barbarossa scese per la prima volta in Italia per rivendicare i possessi imperiali, Spoleto cercò di resistergli, ma fu presa e distrutta (1055); cominciò così la sua decadenza, mentre Perugia si andava sempre più affermando sui comuni vicini ed estendeva i propri domini per buona parte dell’Umbria.

    Resti del Castello di Bazzano inferiore, presso Spoleto.

    Nel 1198 infine Innocenzo III riaffermò il suo effettivo dominio sul Ducato, sostituendo il duca con un rettore, e tutte le città umbre si sottomisero spontaneamente alla Chiesa. Lo stabilirsi del dominio pontificio non mutò d’altra parte, almeno nei primi tempi, le effettive condizioni della regione: continuò lo sviluppo delle autonomie locali, si accentuò il frazionamento del territorio in un gran numero di comuni e di piccoli feudi, e seguitarono le guerre tra città vicine e rivali: Perugia combatteva con Assisi e Foligno, Spoleto con Trevi, Terni con Narni.

    Queste lotte si inserirono ben presto nelle nuove contese tra Papato e Impero. Gli imperatori non volevano rinunciare al Ducato di Spoleto, che controllava la via per Roma e per l’Italia meridionale: dopo il vano tentativo di Ottone IV, anche Federico II tentò di recuperarlo. Contro di lui si formò, nel 1237, una lega capeggiata dalla guelfa Perugia, alla quale aderirono Todi, Gubbio, Foligno e Spoleto; ma le gelosie interne indebolirono la lega: Foligno e poi Spoleto accolsero l’imperatore; e i perugini furono infine sconfìtti a Spello. Solo dopo la caduta della dinastia sveva, si ristabilì su tutta la regione il dominio papale, ma non cessarono le aspre lotte fra guelfi e ghibellini.

    Narni: la Rocca trecentesca, una delle numerose fortificazioni fatte erigere dall’Albornoz a consolidare il possesso dell’Umbria.

    Lo sviluppo costituzionale dei comuni umbri seguiva intanto quello degli altri comuni italiani. Nei primi decenni del ’200 si trovarono anche qui i podestà, che ricevevano generalmente una conferma papale, e poi i capitani del popolo. A Perugia,

    Perugia: il Palazzo dei Priori, eretto nel Trecento.

    al principio del secolo XIV erano a capo del comune i priori delle arti come a Firenze, di cui Perugia fu quasi sempre alleata. Del resto era notevole l’influsso toscano sulla attività sociale e politica, ma anche su quella culturale e artistica dei comuni umbri, per i frequenti rapporti commerciali tra le città delle due regioni. Il fervore di vita che animava in questo periodo le popolazioni dell’Umbria si manifestò anche nel campo religioso. Movimenti e sette ereticali erano penetrati e si erano diffusi nel territorio già fin dal secolo XII; nel ’200 lo spirito religioso del popolo umbro dava vita al grande movimento francescano che in breve tempo pervase tutta la vita della regione. Con il francescanesimo, che ne fece il suo punto principale d’irradiazione, Assisi divenne uno dei maggiori centri della vita religiosa europea e l’Umbria acquistò un’importanza di primo piano nell’Italia del secolo XIII.

    Umbèrtide: la Rocca trecentesca, nella quale fu prigioniero Braccio da Montone.

    I palazzi comunali di Todi, eretti nel XIII secolo a sinistra il Palazzo del Capitano e il Palazzo del Popolo a destra il Palazzo dei Priori

    Lo stesso spirito mistico era alla base delle prime manifestazioni letterarie, scaturite dall’anima popolare e pervase di ingenuo sentimento religioso: le Laudi, che ebbero il più ispirato cantore nel francescano Iacopone da Todi, e le sacre rappresentazioni che in Umbria e in Toscana videro le loro origini. Molte città umbre divennero importanti centri culturali; prima fra tutte Perugia, con la sua Università sorta nel Duecento e che ebbe i più ampi riconoscimenti dal Papa e dall’Imperatore; già nel Trecento si era acquistata grande fama, e richiamava studenti da ogni parte d’Europa, grazie a maestri insigni quali Cino da Pistoia, Bartolo da Sassoferrato e il perugino Baldo degli Ubaldi.

    Ben presto si sviluppò in Umbria anche l’arte della stampa, per le quali Trevi e Foligno furono tra le prime città italiane. Nel 1471 a Perugia usciva la prima edizione del Digesto, e, per le esigenze didattiche dell’Università, si succedettero poi numerose le edizioni di opere giuridiche. A Foligno, nel 1472, si stampava per la prima volta la Divina Commedia.

    Nel secolo XIV Perugia continuava la sua espansione, giungendo a controllare, direttamente o indirettamente, gran parte della regione. Contemporaneamente cominciavano a formarsi in Umbria le prime signorie, sia per opera di famiglie locali, come i Trinci a Foligno e i Gabrielli a Gubbio, sia per opera dei signori di territori vicini, come i Malatesta e i Montefeltro, che più volte intervennero nelle lotte interne fra le città dell’Umbria. I territori meridionali erano invece spesso in mano di famiglie romane, come gli Orsini, che in diversi periodi ebbero la signoria di Terni e di Narni. La sovranità del pontefice era ancora quasi sempre nominale, specie durante il periodo della cattività avignonese. Di tanto in tanto i legati pontifici tentavano di ristabilire l’autorità papale, ma con risultati effimeri e in complesso negativi per la stabilità politica della regione; infatti essi non riuscirono ad affermare in modo definitivo il governo pontificio e d’altra parte impedirono la formazione di signorie estese e durature.

    Nel 1347 Perugia, benché fosse stata quasi sempre guelfa, aderì con entusiasmo al governo instaurato in Roma da Cola di Rienzo, al quale inviò dieci ambasciatori e fornì aiuti. Ma, caduto il tribuno, il nuovo papa Innocenzo VI, preoccupato per lo sfacelo verso il quale si avviava lo Stato della Chiesa, inviò a riordinarlo il cardinale Egidio Albornoz. Questi, giunto in Italia nel 1353, si propose anzitutto di eliminare o ridurre al minimo le signorie locali, riponendo le città quanto più era possibile sotto il dominio diretto della Santa Sede; combattè contro il potente signore Giovanni di Vico, che aveva costituito un vasto dominio signoreggiando parecchie città del Lazio settentrionale e dell’Umbria occidentale, e riuscì in breve tempo ad occupare Narni, Rieti, Terni, Spoleto e quindi Orvieto.

    Vinto Giovanni di Vico, l’Albornoz ottenne in dedizione altre due città ribelli, Spoleto e Gubbio. Solo Perugia cercò di resistergli, contrastando al cardinale la signoria su Spoleto, Gualdo e Bettona. Infine, ristabilito in tutto il territorio il dominio papale, l’Albornoz provvide ad assicurarlo sul posto, collocando governatori nelle fortezze dominanti le città, parecchie delle quali fortezze furono costruite da lui, come l’imponente Rocca di Spoleto; e, a coronare il riordinamento, egli emanò una serie di buone leggi, da valere al di sopra di ogni statuto locale, le cosiddette Costituzioni Egidiane, che rimasero parzialmente in vigore fino al secolo XIX.

    Ma lo Stato Pontificio era solo apparentemente pacificato. Partito il cardinale, le tendenze autonomistiche, i rimpianti delle famiglie potenti per l’antica grandezza, i particolarismi municipali, le passioni di parte covavano ancora vivissimi nel dominio ecclesiastico. Particolarmente Perugia, oltre ad essere dilaniata dalle lotte interne fra la ricca borghesia e i nobili (Raspanti) e il popolo minuto (Beccherini), continuava a far politica propria, appoggiandosi ad altri comuni, della Toscana e dell’Italia settentrionale. Nel 1369 fu ancora in guerra col Papa e, vinta, dovette accettare i legati pontifici; cadde poi sotto il governo dell’Abate di Monmaggiore, che le tolse ogni libertà e in meno di quattro anni vi fece sorgere, per opera di Matteo Gattaponi da Gubbio, due fortezze; ma infine il popolo si ribellò, cacciandolo e distruggendo la fortezza di Porta Sole, dalla quale egli aveva dominato la città.

    Bevagna: il Palazzo dei Consoli, costruito nella seconda metà del Duecento.

    Dopo le lotte che ancora seguirono a questo episodio, Perugia trovò pace per breve tempo sotto la signoria di Biordo Michelotti, un capitano di ventura perugino che però, dopo anni di saggio governo, fu assassinato dagli avversari, forse sobillati dal Papa stesso; la città passò poi, negli ultimi anni del secolo XIV, a Gian Galeazzo Visconti, e in seguito fu per qualche anno, insieme con altre città umbre, sotto il re Ladislao di Napoli. Anche Gubbio si era ribellata, nel 1376, ai legati pontifici, e poco dopo, per sotti arsi alla signoria del vescovo Gabrielli, si diede ai duchi di Urbino e seguì poi sempre le sorti di quel Ducato, prima sotto i Montefeltro, quindi sotto i Della Rovere.

    Vedi Anche:  Origine nome Umbria

    Il quattrocentesco castello di Prodo, sulle colline fra Todi ed Orvieto.

    Le aspre lotte di questo tormentato periodo avevano stimolato nella popolazione lo spirito di avventura e si era diffusa la consuetudine di arruolarsi fra le truppe mercenarie. Le condizioni economiche della regione, sostanzialmente agricola e nell’insieme ancora arretrata, non furono probabilmente estranee alla diffusione del fenomeno. L’Umbria diede così un largo contributo alla formazione delle compagnie di ventura e molti dei suoi condottieri divennero famosi: Braccio Fortebraccio da Montone, Erasmo da Narni detto il Gattamelata, Nicolò e Iacopo Piccinino, Bartolomeo d’Alviano, i Vitelli, i Baglioni. Alcuni di essi ebbero parte anche nelle vicende della regione, soprattutto Braccio da Montone, che tentò di unire sotto il suo dominio tutto il territorio umbro e di creare un vasto Stato nell’Italia centrale; ma nella mira di estendere sempre più i suoi possessi, Braccio si trovò a urtare contro le forze del Papato e del Regno di Napoli, e la sua impresa si concluse con la sconfitta e la morte nella battaglia dell’Aquila (1424). Altri tentativi di riunire in un’unica signoria le terre dell’Umbria, compiuti dai Trinci di Foligno e da Iacopo Piccinino, fallirono per l’intervento papale; rimase però ai Comuni una larga autonomia e alcune città si mantennero ancora per un secolo quasi completamente indipendenti dallo Stato Pontificio: Perugia contesa fra le famiglie degli Oddi e dei Baglioni, Gubbio sotto Montefeltro e Città di Castello dominata dai Vitelli.

    L’età moderna e contemporanea

    Il periodo medioevale aveva visto la lunga supremazia di Spoleto su gran parte dell’Umbria, e poi l’affermazione di Perugia, che mirava al predominio nella regione, opponendosi in più riprese ai tentativi fatti dal Papato per limitarne l’autorità. Con l’inizio dell’età moderna, la potenza di Perugia si avviava ormai al declino. Al principio del XVI secolo, dopo cruente lotte tra le due famiglie rivali degli Oddi e dei Baglioni, la città venne in potere, come tutta l’Umbria, di Cesare Borgia. Alla morte di questi, i Baglioni riuscirono a riprendere il potere, ma poco più tardi il papa Giulio II, che mirava all’instaurazione di un forte dominio papale, e poi Paolo III diedero un colpo decisivo all’autonomia perugina.

    Paolo III si adoperò particolarmente a fiaccare ogni resistenza dei Perugini, con l’abolizione di privilegi e l’imposizione di nuove tasse; stabilì inoltre che essi dovessero acquistare il sale dalle saline pontificie, ad un prezzo superiore a quello corrente. Quest’ultimo provvedimento, che colpiva le classi più povere della popolazione, in un momento in cui le condizioni economiche erano tutt’altro che floride, esasperò i Perugini e offrì il pretesto per la ribellione: il Papa rispose dapprima con la scomunica e poi con l’invasione del territorio da parte delle sue truppe, guidate da suo figlio, il duca Pier Luigi Farnese. Scoppiò così la guerra detta « del sale », che terminò, nel 1540, con l’assedio e la resa della città. I liberi ordinamenti di Perugia furono aboliti; i Priori, che da quasi 250 anni reggevano la città, furono dichiarati decaduti. «Fu quella veramente” annota uno storico locale, il Bonazzi ” l’ultima ora della libertà perugina ». Le case dei Baglioni vennero rase al suolo, e nel luogo dove esse sorgevano fu eretta, su disegno del Sangallo, « ad coercendam Perusinorum audaciam », la Rocca Paolina, simbolo del potere papale ristabilito su tutta la regione.

    Spoleto: la Rocca dell’Albornoz e il Ponte delle Torri.

    Qualche anno più tardi, una bolla di papa Giulio III restituiva a Perugia i suoi magistrati e gli antichi diritti, ma le fortune politiche della città non si risollevarono più. L’Umbria seguì da allora le sorti dello Stato della Chiesa: le autonomie locali vennero progressivamente ridotte, e il comune si trasformò in un semplice organo amministrativo; i feudatari superstiti della campagna perdevano le loro terre e le più potenti famiglie cittadine decadevano, mentre si costituiva una nuova nobiltà legata alla Chiesa e appoggiata dai Papi e dai loro rappresentanti al governo della regione. Cessarono le lotte interne nelle città e si inaugurò un periodo di tranquillità che non giovò, per altro, a migliorare le condizioni economiche e sociali della popolazione; il Seicento e il Settecento segnarono indubbiamente un periodo di decadenza per l’Umbria e ne dànno testimonianza i numerosi viaggiatori italiani e stranieri che in tale periodo ebbero occasione di percorrerne le contrade. L’agricoltura era sempre la risorsa principale della regione ma, per quanto fosse assai più progredita di quella del Lazio, era ostacolata nel suo sviluppo dal ristagno del movimento commerciale, e restava molto al disotto di quella toscana, nonostante che le condizioni naturali, il frazionamento della proprietà, il tipo delle colture e la diffusione del contratto di mezzadria tendessero a creare una situazione molto simile a quella della regione vicina.

    L’isolamento dell’Umbria e le scarse relazioni commerciali con le regioni più evolute dell’Italia centrale non mancarono di influire anche sull’evoluzione culturale della popolazione. Sul finire del ’700 tuttavia l’invasione francese provocava un risveglio di attività e un fermento di idee nuove: l’Umbria fece parte della Repubblica Romana, poi fu occupata da Austriaci e Napoletani e ritornò al Papa nel 1800. Sotto l’Impero napoleonico costituì il « Dipartimento del Trasimeno » con capoluogo Spoleto. Il Congresso di Vienna riconsegnava la regione al pontefice.

    Come in tutto lo Stato della Chiesa, anche in Umbria si diffusero ben presto le idee liberali e nazionali. I liberali umbri si tennero in contatto con quelli del resto dell’Italia, soprattutto marchigiani e romagnoli, ma la vicinanza di Roma e il controllo del governo pontificio rendevano difficile ogni iniziativa rivoluzionaria. Durante i moti del 1831 in Romagna molte città umbre, tra le quali Perugia, Spoleto e Foligno, insorsero; forze romagnole, unite a volontariumbri, tentarono anche di dirigersi verso Roma, ma furono fermate a Rieti e l’insurrezione fu soffocata con arresti ed esilio di patrioti. Ancora Perugia si sollevò nel 1848, iniziando la demolizione della Rocca Paolina, ma pochi mesi dopo fu occupata dagli Austriaci che ricondussero tutta l’Umbria sotto il dominio papale.

    Nel 1859, alle prime vittorie franco-piemontesi nella seconda guerra d’indipendenza, mentre cadeva il governo pontificio nelle Legazioni, anche a Perugia si costituì, il 14 giugno, un governo provvisorio, ma il 20 la città fu ripresa, nonostante un’eroica quanto vana resistenza, da un esercito di duemila mercenari svizzeri, non senza saccheggi e uccisioni d’inermi cittadini, che ispirarono al Carducci uno dei più forti sonetti (« Per le stragi di Perugia »), e che il Cavour seppe abilmente sfruttare per suscitare ed accrescere ostilità al governo pontificio. Altre agitazioni nell’Umbria furono facilmente represse.

    Poco più di un anno dopo, il 14 settembre 1860, il generale Fanti entrava in Perugia al comando delle truppe piemontesi e, in seguito alla vittoria di Castelfidardo, tutta la regione, con le Marche, passava allo Stato italiano, al quale fu annessa, col plebiscito, nel novembre dello stesso anno.

    Uno sguardo alla storia dell’arte

    L’Umbria è tra le più famose regioni d’Italia per la ricchezza del suo patrimonio artistico: tutte le età della sua storia vi hanno lasciato le loro testimonianze, dal periodo etrusco a quello della colonizzazione romana, dall’alto Medio Evo bizantino e longobardo all’epoca dei Comuni e delle Signorie. Posta quasi al centro della penisola, e attraversata da importanti vie di transito, la regione è stata aperta in ogni tempo ai molteplici influssi che le venivano dalle regioni vicine, e ha dato essa stessa, con l’opera di valenti architetti, pittori e scultori, un notevole apporto all’arte italiana.

    Perugia e Orvieto, che furono i due maggiori centri della civiltà etnisca nell’Umbria, ne conservano i resti più cospicui: a Orvieto e nel suo territorio hanno un interesse particolare le tombe e gli avanzi del Tempio del Belvedere (risalente con probabilità agli inizi del V secolo a. C.), scoperto presso il margine della rupe sulla quale sorge la città. A Perugia rimangono tratti considerevoli delle mura etnische con alcune porte, e nei dintorni si trovano alcuni ipogei, tra i quali è famoso quello dei Volumni, il più insigne tipo di tomba gentilizia etrusca, contenente, insieme con una ricca suppellettile, nove bellissime urne cinerarie. Un altro notevole ipogeo è presso Bettona che, come Todi, vanta ancora alcuni tratti delle antiche mura etru-sche; questi due luoghi attestano che la civiltà etrusca tendeva a penetrare anche sulla sinistra del Tevere.

    Perugia: la chiesa di Sant’Angelo, a pianta circolare, costruita probabilmente alla fine del V secolo e recentemente restaurata.

    Nell’Umbria orientale e meridionale si conservano, più che in quella che subì l’influsso della civiltà etrusca, assai numerose le tracce dell’attività costruttiva romana. Ad Assisi è il tempio di Minerva, dei primi tempi dell’Impero, uno dei meglio conservati tra i templi antichi. Oltre ad archi e porte in numerose città, ed ai resti dei ponti di Foligno e di quello d’Augusto, presso Narni (forse il più ardito ponte dell’Italia romana, con l’arco centrale, amplissimo, estremamente abbassato sui piloni), vestigia di anfiteatri si trovano a Terni, Spello, Spoleto, Gubbio e nell’antico centro di Càrsulae, presso Sangèmini, distrutto forse dai Goti nel VI secolo, e che gli scavi stanno riportando alla luce.

    Il chiostro a due ordini dell’abbazia di San Pietro in Valle presso Ferentillo.

    Assisi: il Duomo, con il massiccio campanile romanico dell’XI secolo.

    Lungo il percorso della via Flaminia, il Cristianesimo penetrò ben presto in Umbria, come attestano i resti di catacombe e di sepolcri nei territori di Otricoli, Spoleto e Terni. Forme della più pura tradizione romana si accostano ai motivi ornamentali derivati dall’arte orientale, nei primi monumenti paleocristiani, che sorsero nel territorio di Spoleto: la basilica di San Salvatore, eretta nel IV secolo, che, nonostante sia stata più volte restaurata, conserva parzialmente intatti l’interno e la facciata originaria; e il tempietto del Clitunno, forse di poco posteriore, costruito in parte con elementi architettonici di sacelli pagani già esistenti presso le sorgenti del fiume. In questi due edifìci si ritrovano anche le più antiche pitture cristiane dell’Umbria: al VII secolo si attribuiscono infatti gli affreschi del tempietto del Clitunno, e resti di pitture del IX secolo, tra cui una croce monogrammata, si conservano nella basilica di San Salvatore a Spoleto.

    Esempi di chiese paleocristiane a pianta circolare si hanno a Perugia, con Sant’Angelo, della fine del V secolo, e a Terni, con la chiesa di San Salvatore, della quale recentemente è stata riconosciuta la costruzione originaria, anch’essa del V secolo, sorta su un più antico edificio romano, forse un tempio del Sole.

    L’arte del periodo longobardo ha lasciato il suo maggior monumento, tra Spoleto e Terni, nell’Abbazia di San Pietro in Valle, che nelle sue parti originarie risale all’VIII secolo. Della chiesa primitiva, costruita in stile basilicale romano-bizantino, a una sola navata, rimangono la pianta, le tre absidi, il transetto e i resti di un rozzo mosaico pavimentale; l’altare maggiore è stato ricomposto con pezzi marmorei originali, e nel paliotto è raffigurato l’autore dei fregi ornamentali, del quale è tramandato il nome, Ursus, con una scritta che permette di assegnare l’opera agli anni 739-740. Altri frammenti di rilievi marmorei appartenenti alla chiesa originaria ornano il bel campanile, di scuola lombarda, del XII secolo.

    Di grande interesse sono gli affreschi che ricoprono la parte alta delle pareti laterali e che si attribuiscono alla fine del 1100; nonostante la loro parziale rovina, ciò che di essi rimane costituisce uno dei più importanti monumenti pittorici di quel periodo: gli affreschi, che raffigurano scene del Vecchio e del Nuovo Testamento, rivelano un senso del rilievo e un’animazione delle figure che erano ignoti allo stile bizantino e che fanno presentire già i caratteri della pittura romanica.

    Il rinnovamento dell’arte, che si collega al nuovo fervore di vita diffuso dopo il Mille, trova neH’Umbria un ambiente particolare: con la tradizione classica, che durante l’alto Medio Evo non si era mai del tutto spenta nella regione, si fondono nuovi elementi di varia provenienza, specie lombardi, e ne risulta uno stile originale, che unisce alla purezza e sobrietà delle linee un suggestivo effetto di decorazione. Tra gli edifici più rappresentativi dell’architettura romanica umbra, è da ricordare

    il Duomo di Assisi, ricostruito nel XII secolo, la cui facciata, opera di Giovanni da Gubbio, presenta, nella parte inferiore, dei riquadri che fiancheggiano il grande portale dell’arco a tutto sesto, e nella parte mediana tre bellissimi rosoni ; la costruzione è completata dal maestoso campanile, dell’XI secolo, a doppie bifore. L’influsso romano, che affiora dall’armonia deirinsieme, riappare con forme affini anche nella facciata della basilica di San Pietro a Spoleto, riedificata in gran parte nel XII secolo, sul luogo di una più antica basilica paleocristiana.

    E in tutta l’Umbria l’architettura romanica ha lasciato pregevoli esempi, nelle numerose chiese che il fervore mistico ha fatto sorgere nella regione, e nella trasformazione e nel rinnovamento di quelle già esistenti: dal Duomo di Foligno a quello di Spoleto, alle chiese di Orvieto, Perugia, Narni, Trevi, Bevagna, Lugnano in Teve-rina, San Felice di Narco e di altri luoghi ancora. Di quest’epoca sono pure il bellissimo chiostro a due ordini, e il campanile, dell’abbazia di San Pietro in Valle, e il chiostro dell’abbazia benedettina di Sassovivo, presso Foligno, una delle più eleganti opere dovute alla scuola dei marmorari romani.

    Il Duomo di Spoleto.

    Assisi: le chiese e il convento di San Francesco.

    Al principio del ’200 cominciano a penetrare anche nell’Umbria gli influssi gotici che, come in tutta l’Italia centrale, si sovrappongono e si fondono, più che sostituirsi, airaffermato stile romanico. L’accordo delle due tendenze è attestato anche da uno dei monumenti in cui i caratteri nordici sono più palesi: la basilica di San Francesco ad Assisi. Essa è formata di due chiese sovrapposte, perchè il declivio del monte non offriva un’area sufficiente ad un unico vasto edifìcio. Iniziata nel 1228, cioè due anni dopo la morte del Santo, nel ’30 ne accoglieva la salma: ciò fa supporre che la chiesa inferiore, dove questa fu tumulata, fosse finita. Alla superiore si dava principio qualche anno appresso, e nel 1253 era pur essa consacrata. Entrambe le chiese hanno pianta cruciforme ad una sola navata, con volte a crociera. Ma, mentre la chiesa inferiore è depressa e pesante come una cripta, aperta in grandi arcate a tutto sesto, sostenute da tozzi pilastri, la superiore è slanciata, luminosa, e rivela l’adesione al gotico nella struttura come nei particolari decorativi (finestre, capitelli, basi dei fasci di colonne, ecc.). Airesterno i fianchi possenti presentano enormi contrafforti a sezione semicircolare; la facciata a cuspide, con rosone, ricorda le facciate romaniche dell’Umbria, ed è gotica soltanto nel bel portale bipartito. Nonostante la varietà degli elementi stilistici, la basilica di San Francesco perviene tuttavia ad una rigorosa unità.

    Vedi Anche:  Perugia, Assisi, Foligno e Folignate

    La chiesa superiore ha servito di modello a molte costruzioni dell’Ordine francescano: in Assisi stessa ha ispirato la chiesa di Santa Chiara e a Terni quella di San Francesco. Più intima è l’aderenza alle forme gotiche nel Duomo d’Orvieto che, concepito quale imitazione delle basiliche di Roma e iniziato con stile schiettamente romanico, si è andato trasformando, durante i lavori, in tal modo che nel coro, nel transetto e nella facciata i motivi gotici diventano dominanti. In particolare la facciata, opera del senese Lorenzo Maitani, può dirsi, con i suoi contrafforti che si slanciano arditamente verso l’alto da una base adorna di rilievi, il massimo sforzo fatto in Italia per accordare lo stile gotico con piani larghi e chiari.

    L’accordo tra elementi gotici e romanici si manifesta anche nei palazzi pubblici che sorgono in vari centri della regione: il Palazzo dei Consoli a Gubbio, il Palazzo del Capitano del Popolo ad Orvieto, il Palazzo dei Priori a Perugia, il Palazzo del Popolo e quello del Capitano a Todi, e numerosi altri. I maggiori architetti umbri di questo periodo sono Angelo da Orvieto, che lavora a Gubbio e Città di Castello, e Matteo Gattaponi, da Gubbio, uno dei più possenti artisti del ’300, che in qualche particolare delle sue opere sembra anticipare l’arte del Brunelleschi ; il suo nome è legato a diverse costruzioni sia a Gubbio, sia in altre città e soprattutto alle Rocche che egli edificò, per ordine dell’Albornoz, a Spoleto e a Terni, e alla fortezza di Porta Sole a Perugia.

    Nel campo della scultura, troviamo a Perugia, alla fine del ’200, Nicola e Giovanni Pisano, che lavorano soprattutto, pare con la collaborazione di Arnolfo di Cambio, alla Fontana Maggiore, sorta su disegno di fra’ Bevignate da Perugia. Ad Orvieto operano, tra gli altri, fra’ Guglielmo da Pisa ed Arnolfo, che lascia nella chiesa di San Domenico un capolavoro, la Tomba del cardinale di Braye, nella quale si accostano elementi decorativi derivati dai Cosmati al possente rilievo ed all’armonia delle figure.

    Particolarmente notevole è nell’Umbria, dalla fine del XII secolo, la vitalità della pittura: mentre a Foligno e a Spoleto si trovano ancora nel ’200 opere pittoriche di chiara ispirazione bizantina, il rinnovamento stilistico appare già in atto negli affreschi, sopra ricordati, dell’Abbazia di San Pietro in Valle. Altre reazioni allo stile bizantino si palesano agli inizi del XIII secolo negli affreschi della chiesa di San Paolo a Spoleto e di quella di San Prospero a Perugia. Nel 1236 lavora nella basilica di San Francesco, in Assisi, Giunta Pisano, ancora legato al gusto bizantino, e quindi due suoi scolari, noti come « maestro di San Francesco » e « maestro di Santa Chiara ». Più tardi, sempre ad Assisi, opera Cimabue, sia nella chiesa inferiore che nella chiesa superiore: in quest’ultima lascia una serie di affreschi, le Storie della Passione, culminanti nella Crocefissione. In questi affreschi, purtroppo oggi molto alterati, egli raggiunge, attraverso il chiaroscuro ed il forte contorno, un grandioso effetto plastico ed infonde nelle immagini un’intensa energia drammatica.

    L’influsso romano, che cominciava ad affermarsi in Umbria, continuò attraverso i contributi di altri pittori, provenienti da Roma e appartenenti alla scuola romana, che si recarono a lavorare in Assisi, e tra questi probabilmente fu anche il Cavallini, per quanto nessuna opera sua si sia potuta identificare con certezza. Forse con i pittori romani si è recato la prima volta ad Assisi Giotto, ed è appunto in una serie di affreschi (purtroppo molto rovinati) di scuola romana nella chiesa superiore di San Francesco, rappresentanti Storie del Vecchio e del Nuovo Testamento, che si è creduto di poter individuare gli inizi dell’attività del grande rinnovatore della pittura italiana. Ma nelle Storie di San Francesco, della stessa chiesa superiore, Giotto lascia veramente la prima compiuta testimonianza della sua grandezza. Sono ven-totto quadri, ispirati alla leggenda francescana di San Bonaventura, eseguiti in parte con la collaborazione di scolari, sui quali l’influsso di Giotto fu tuttavia così forte, che il ciclo ha una rigorosa unità di stile. La figura di San Francesco grandeggia in ogni scena, sullo sfondo di uno scarno paesaggio o di una folla anonima; ma la potenza miracolosa del Santo non è mai rappresentata da Giotto sotto forme impressionanti: Egli, che fu in vita tanto vicino all’uomo e a tutte le cose create da Dio, che ebbe per tutti tanta comprensione, tanta pietà, tanto amore, viene dal pittore esaltato nella sua umanità; non gli è posto a sfondo l’oro del Paradiso, ma la terra, con gli uomini, i monti e le case.

    La chiesa superiore e quella inferiore di san Francesco ad Assisi.

    La chiesa di San Francesco a Terni.

    Gubbio: la chiesa di San Giovanni Battista, del XIII secolo,

    Molti discepoli di Giotto lavorano ancora ad Assisi dopo di lui; ed il suo influsso si ritrova nelle opere degli stessi pittori senesi che più tardi operano nella chiesa di San Francesco, specie in Simone Martini e in Pietro Lorenzetti. Tuttavia i motivi dell’arte senese, che valorizzava soprattutto la linea e il colore, finirono per prevalere, forse anche perchè più rispondenti, con la loro poetica grazia, al carattere degli artisti umbri; e la scuola senese, che ha nell’Umbria il suo maggior centro ad Orvieto, dove si continua a lavorare al Duomo, domina la pittura umbra per tutto il Trecento e fin verso la metà del Quattrocento, sia ad opera di artisti toscani che di imitatori locali.

    Perugia: la Fontana Maggiore.

    Nei secoli XV e XVI l’attività artistica continua la sua vigorosa fioritura, favorita dal mecenatismo delle famiglie signorili, che gareggiano nell’arricchire le città di splendidi edifici, ornati di insigni opere d’arte. Il rinascimento penetra nell’Umbria soprattutto dalla vicina Toscana: Fieravante Fieravanti da Bologna, che opera a Perugia, vi fa conoscere per primo l’architettura rinascimentale, e dopo di lui verranno, nel Quattrocento e nel Cinquecento, molti altri artisti dalla Lombardia, dal Veneto, dalla Toscana e da Roma. Fra tutti è degno di particolare menzione Agostino di Duccio, che porta a Perugia un vivo riflesso dell’arte di Leon Battista Alberti, costruendo l’Oratorio di San Bernardino, una delle opere più suggestive del Rinascimento umbro, per i finissimi bassorilievi che lo rivestono e la delicata policromia.

    Influssi fiorentini si rilevano nei palazzi di molte città, soprattutto, oltre che a Perugia, a Foligno, a Spoleto e a Città di Castello, dove nel ’500 furono chiamati a lavorare Antonio da Sangallo il Giovane ed il Vasari. A Gubbio, sotto i Monte-feltro, si costruisce, forse su disegno del Laurana, il Palazzo Ducale, che si ispira a quello più grandioso di Urbino. Reminiscenze bramantesche si trovano anche in più parti della regione, specie a Spoleto e a Todi, dove si attribuisce al Bramante stesso il disegno della chiesa di Santa Maria della Consolazione, costruzione a pianta centrale di squisita eleganza ed armonia. Altri edifici di gusto bramantesco sono la Madonna dei Miracoli a Castel Rigone e il Santuario di Mongiovino, presso Panicale.

    Ad Orvieto lavorarono al Duomo, in questo periodo, il Sanmicheli e Antonio da Sangallo il Giovane, che lasciarono saggi della loro arte anche in altri edifici della città, ed ai quali si ispirò, in vari palazzi, l’orvietano Ippolito Scalza. Il Sangallo si ritrova attivo in molti altri centri dell’Umbria, particolarmente come architetto civile: si devono a lui, tra l’altro, il Pozzo di San Patrizio ad Orvieto e la Rocca Paolina di Perugia. Il Vignola opera a Norcia, innalzatovi la Rocca detta la Castellina; G. Domenico Bianchi costruisce il bellissimo Palazzo Cesi ad Acquasparta. Tra gli architetti di origine umbra del Cinquecento, occupa un posto di rilievo il perugino Galeazzo Alessi che, per quanto la sua maggiore attività si sia svolta nell’Italia settentrionale, ha lasciato a Perugia e nei centri vicini alcuni edifici notevoli per l’eleganza e la sobrietà dello stile; e il suo nome è legato anche alla grandiosa basilica di Santa Maria degli Angeli, presso Assisi, per la quale fornì il progetto.

    La scultura ha nel Quattrocento il maggiore rappresentante in Agostino di Duccio, autore dei rilievi del San Bernardino di Perugia. Altri scultori toscani operano in varie città dell’Umbria ; Città di Castello, sempre orientata verso la Toscana, ha qualche opera dei Della Robbia e della loro scuola. Intenso centro di attività plastica è stato il Duomo di Orvieto, che ha chiamato a sè molti maestri di fuori. Ma la produzione locale si limita in gran parte, nel Rinascimento, a sculture in legno, continuando una tradizione che era già stata viva soprattutto nel periodo romanico. Nel Cinquecento raggiungono tuttavia una discreta notorietà due scultori umbri, seguaci di Michelangelo, l’orvietano Ippolito Scalza, che fu anche valente architetto, e il perugino Vincenzo Danti.

    Ma soprattutto con la pittura l’Umbria conquista un posto di rilievo nella storia del Rinascimento italiano, e si afferma con una propria individualità per merito di un gruppo di pittori nelle cui opere si esprime mirabilmente il fervore religioso dell’anima popolare e la dolce serenità del paesaggio.

    La scuola pittorica umbra si innesta in origine sul grande ceppo della pittura fiorentina del ’400, di cui, mentre era ancora vivo l’influsso senese, giunsero in Umbria alcuni tra i maggiori rappresentanti: primo forse Masolino da Panicale, che nella prima metà del secolo eseguisce un affresco nel San Fortunato di Todi; poi il Beato Angelico, che lavora nel Duomo di Orvieto, Benozzo Gozzoli, attivo in molti centri della regione, Filippo Lippi, al quale si devono i bellissimi affreschi nell’abside del Duomo di Spoleto. Benozzo Gozzoli, con le opere lasciate ad Orvieto, a Narni, a Foligno, a Montefalco (affreschi dell’abside di San Francesco), contribuì in maniera decisiva a produrre un nuovo orientamento della pittura, e la sua opera fu continuata da numerosi allievi, specie a Foligno e a Spoleto. Ma l’influsso toscano si manifesta in ben differente misura a Perugia, che dalla seconda metà del Quattro-cento diventa la capitale artistica della regione. Qui sorge una pittura che, ispiratasi dapprima ai grandi maestri fiorentini, si evolve poi con caratteri propri, ed ha la più rigogliosa fioritura per circa un sessantennio, tra la metà del XV secolo e l’inizio del XVI.

    Iniziatori della scuola umbra si possono considerare due pittori perugini, Benedetto Bonfigli e Bartolomeo Caporali, che già acquistano uno stile personale; ma i maggiori e più originali rappresentanti ne sono il Pinturicchio, elegante e fantasioso decoratore, e soprattutto Pietro Vannucci, detto il Perugino, che esprime nelle sue opere un profondo senso religioso e compone armonicamente le scene, in un intimo accordo tra le figure e gli ampi e luminosi paesaggi dello sfondo. Ben diversa è l’arte di Luca Signorelli, che nello stesso periodo, tra la fine del ’400 e i primi anni del ’500, lavora nel Duomo d’Orvieto al grandioso Giudizio Universale anticipando lo stile drammatico di Michelangelo.

    Il chiostro dell’Abbazia di Sassovivo presso Foligno.

    Della grande produzione del Perugino si conservano in Umbria solo alcune delle numerose pitture su tavola, oltre i bellissimi affreschi del Collegio del Cambio a Perugia; ed il Pinturicchio ha lasciato la sua opera più significativa altrove, con la decorazione della Libreria del Duomo di Siena; tuttavia ambedue hanno dato all’arte umbra un’impronta che sarà seguita dai loro numerosissimi allievi, sia locali che provenienti da altre regioni. Lo stesso Raffaello, che fu per quattro anni a bottega dal Perugino, ne subì grandemente l’influsso, in particolare nelle opere dell’età giovanile. E nell’arte di Raffaello si continuava, anche se trasformata e fatta più complessa, la tradizione della scuola pittorica di Perugia: nella sua orbita finirono per essere attratti molti degli scolari stessi del Perugino, e tra questi Giovanni di Pietro, detto lo Spagna, artista fecondissimo che ebbe numerosi seguaci per tutto il XVI secolo.

    Orvieto: il Duomo.

    Norcia: la Castellina, eretta dal Vignola nel XVI secolo.

    Alla metà del ’500 la scuola umbra è al tramonto: prevalgono ormai gli influssi dei manieristi e di Michelangelo, al quale si ispira anche il maggior pittore umbro della seconda metà del secolo, Dono Doni d’Assisi. Del resto, dopo il periodo di fiorente attività degli ultimi due secoli, l’importanza dell’arte nell’Umbria andava sempre diminuendo, a partire dalla fine del Cinquecento; e contribuirono senza dubbio alla progressiva decadenza anche le nuove condizioni politiche e sociali della regione: era cessato il potere dei signori locali, spesso mecenati delle arti, ed era sopravvenuta, con la perdita dell’autonomia, una stasi nella vita cittadina, di cui risentì soprattutto Perugia, che era divenuta il maggior centro artistico dell’Umbria.

    Anche le arti minori subirono la stessa sorte. Fra esse è da ricordare particolarmente, per la sua importanza fin dall’alto Medio Evo, quella della miniatura, coltivata da insigni artisti, come Oderisi « l’onor d’Agobbio », immortalato da Dante, e che ebbe una notevole fioritura anche nel Quattrocento e nel Cinquecento, con opere che rivelano una grazia e una finezza decorativa che le avvicinano allo stile dei grandi maestri della pittura.

    Insieme alla miniatura, altre arti minori erano state in grande onore nell’Umbria, specie nel fortunato periodo che va dal ’200 al ’500: dalla pittura su vetro, di cui sono saggi cospicui nella Basilica di Assisi; all’intaglio e all’intarsio in legno, che diedero i rinomati cori, di esecuzione perfetta e di armonia squisita, delle chiese di Perugia, di Gubbio, di Assisi, di Todi; all’oreficeria che seguì specialmente i modelli senesi nei capolavori del Duomo di Orvieto (tra cui il bellissimo reliquiario del Corporale) e del San Francesco in Assisi, ed ebbe poi una fiorente scuola in Perugia; alla ceramica, con le fabbriche di Deruta, Gualdo Tadino, Città di Castello, Umbèr-tide, e di Gubbio, dove lavorava, nella prima metà del Cinquecento, Mastro Giorgio, famoso per i riflessi perlacei e i lustri metallici cangianti con i quali arricchiva di effetti fantastici le sue maioliche.