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Lo sviluppo industriale del Piemonte

    Lo sviluppo industriale del Piemonte

    Sebbene quasi privo delle grandi materie prime che sono alla base del moderno sviluppo industriale, il Piemonte è riuscito a crearsi in questo campo una posizione di primo piano e, per alcuni aspetti, di avanguardia. Oggi, sia per il numero degli esercizi industriali (65.705 al 4 novembre 1951), sia per quello degli addetti agli esercizi stessi (622.295 data dello stesso censimento), la nostra regione non è superata che dalla ben più popolosa Lombardia. Gli esercizi industriali del Piemonte rappresentano un decimo di tutta l'Italia: gli addetti alle industrie, un quindicesimo della massa operaia italiana. Anche sotto questi rapporti, davanti al Piemonte, non c'è che la Lombardia. Sempre secondo il censimento del 1951, la popolazione attiva del Piemonte, occupata nelle industrie e nei trasporti, costituiva il 46,6% della popolazione attiva totale. Anche qui, la proporzione più alta, dopo la Lombardia. E, come vedremo, la preminenza industriale del Piemonte si afferma nella produzione di beni che hanno importanza basilare nell'economia della Nazione intera.

    In grazia di quali fattori e attraverso quali vicende si è venuta configurando la fisionomia industriale del Piemonte? Basterebbero gli stupendi bronzi di Industria e il tesoro di Marengo, per testimoniare dell'eccellenza raggiunta in epoca romana dagli artigiani locali, nella lavorazione artistica dei metalli. A quell'epoca avevano pure conseguito una certa notorietà, anche in Italia, centri piemontesi della industria figulina. Altri erano caratterizzati dall'industria della lana, come Pollenzo, altri ancora della fabbricazione di vasi vinari e di dolciumi. Ma solo nel tardo Medio Evo si profila una specializzazione di attività industriali, in determinate zone del Piemonte. Comincia allora il Biellese a fabbricare ed a smerciare tessuti di lana; il Chierese a distinguersi per i panni di lana e per i fustagni largamente esportati all'estero. Torino, Pinerolo, Asti, Vercelli, in relazione al fiorire dei commerci per le strade « francigene » e lombarde e alle nuove possibilità di approvvigionamento, attesero esse pure alla filatura e alla tessitura della lana.

    L'industria sta diventando il pilastro dell'economia piemontese.

     

    Ma la vera vocazione tessile, chiamiamola così, del Piemonte, fu quella che lo volse alla lavorazione della seta. Vocazione, veramente, è dire un po' troppo, perchè, se fattori naturali favorevoli risultarono il facile attecchire dei gelsi e l'abbondanza di mano d'opera femminile e minorile nelle campagne, è anche certo che, soprattutto per ovviare alla disoccupazione, duchi e re sabaudi misero un grande impegno a proteggere e a diffondere, con la bachicoltura, la lavorazione completa della seta. Si arrivò persino ad impedire l'importazione di manufatti di seta dall'estero e, quel che più conta, ad ostacolare in ogni modo l'industria laniera, per lasciare la strada libera a quella della seta. Nei secoli XVI e XVII, insieme con i « moroni » (così si chiamavano da noi i gelsi), si moltiplicarono le filande, tanto che nel 1708 se ne contavano in Piemonte 125, concentrandosene 67 in Torino, 34 in Cuneo, 20 a Mondo vi, 15 a Cambiano, 12 a Venaria Reale, 11 in Asti, 10 a Chieri. Le persone impiegate ammontavano a 6990. Nel 1787 le filande erano salite a 272 e gli operai a 16.143. Si trattava, nella grandissima maggioranza dei casi, di piccolissimi impianti, ma non mancavano le filande che, dando lavoro a 200-300 operai, già assumevano le caratteristiche della grande industria. Più frequentemente presentavano queste caratteristiche le manifatture da cui uscivano drappi di seta, damaschi, broccati, veli, nastri, calze, stringhe, ecc.

    La buona qualità della canapa e del lino indigeni favorivano non solo la lavorazione domestica delle tele, ma anche quella concentrata in opifici, particolarmente numerosi nei dintorni di Torino, nel Cuneese, nella Valsesia. Le tele di Piemonte e le « marchesane » (così si chiamano quelle provenienti dal Saluzzese) erano particolarmente apprezzate per la confezione di vele a Venezia e a Genova. Il cotone, già da secoli lavorato a Chieri e a Vercelli, andò prendendo piede nella seconda metà del secolo XVIII, sicché diverse fabbriche di cotonate e di fustagni sorsero da allora in più centri del Piemonte. Nello stesso periodo di tempo, nostri imprenditori aprirono fabbriche di calze, guanti, berretti, soprattutto a Torino. Quanto alle industrie metallurgiche già s'è fatto cenno, parlando delle risorse minerarie. Alle vecchie, ma sempre efficienti cartiere di Pinerolo, di Margarita, di Bagnasco, di Caselle, di Ser-ravalle, di Beinette, altre se ne aggiunsero di nuove. Vita assai difficile ebbe, invece, l'industria vetraria, cui poco giovarono anche i più drastici interventi governativi. Numerosi altri rami di attività industriale erano rappresentati nel Piemonte del Settecento, ma si trattava, per lo più, di imprese sporadiche ed isolate, o di specialità locali, frutto di una tradizionale attitudine degli abitanti, o di particolari condizioni eli clima o di materia prima, godenti spesso, sull'intero mercato nazionale, di una larga rinomanza.

    Per la formazione di una mentalità industriale in Piemonte, già nel secolo XVIII, sono fatti significativi il moltiplicarsi delle imprese capitalistiche all'ombra della tutelare protezione governativa, il timido affermarsi di una classe di salariati industriali, i primi istituti di mutuo soccorso, la creazione di case operaie, i progetti di assicurazione contro le malattie e la disoccupazione, la frequenza di nobili e di titolati fra i possessori di fabbriche. Quanto alla distribuzione degli opifici piccoli e grandi, è interessante, soprattutto, osservare la loro dispersione in ogni parte dello Stato, eccezion fatta per la montagna, dove scarsa era l'attività manifatturiera non puramente domestica. Fattore importantissimo poi, per la ubicazione dei singoli stabilimenti, era l'acqua, sia come forza motrice, sia quale materia prima, coadiuvante nella lavorazione di certi manufatti, specialmente tessili. Nonostante gli innegabili progressi nel Piemonte settecentesco dell'attività industriale, non si può però dire ch'essa fosse saldamente radicata nel suolo e nel popolo, e che la buona sorte le arridesse. La quasi totalità dei patrimoni conservava carattere terriero, e la mancanza di capitale formato col risparmio, la riluttanza ad ottenerne con la vendita delle terre, l'ancora esigua e modesta borghesia, s'aggiungevano a quella prima causa, nel rendere, secondo l'acuta analisi del Prato, precaria e stentata la vita di parecchie delle industrie piemontesi.

    La massiccia costruzione dell'antica manifattura dei tabacchi a Torino.

     

    La fortuna industriale del Piemonte si prepara nel secolo XIX, e si afferma decisamente nel XX. Dalla Restaurazione al 1829 non passano che tre lustri, pure l'esposizione di Torino di quell'anno appare una rivelazione, e da essa balza l'immagine di una regione che ha ormai trovato nell'industria un campo di prospero lavoro e di benessere. Da allora, di fatto, il progresso ha poche soste, e il suo ritmo si fa più rapido e marcato nella seconda metà dell'Ottocento. Segni dei tempi nuovi furono il lento declinare dell'industria serica, il rinvigorirsi della giovane industria cotoniera, e specialmente l'avanzata della siderurgia. Questa ebbe come nucleo di partenza l'Arsenale di Torino, con fonderia e lavorazioni d'armi, dove lavoravano 360 operai, e le fabbriche d'armi di Valdocco, con 586 operai nel 1861. A questo complesso si aggiungevano le Regie officine per il materiale d'artiglieria, dove lavoravano, in 72 diverse fucine, 580 operai. Importante era ancora l'Officina strade ferrate dello Stato, dove circa 300 operai erano impiegati nella riparazione del materiale ferroviario. Valendosi di una mano d'opera già pratica nel trattare il ferro e l'acciaio, una schiera di industriali torinesi cominciò a costruire macchine utensili, mentre per opera di altri industriali — gli Sclopis, il Lanza, il Rossi, lo Schiapparelli — anche l'industria chimica iniziava la sua brillante ascesa.

    Avvenimento decisivo per le sorti dello sviluppo industriale del Piemonte fu il trasporto della capitale del Regno da Torino a Firenze (1865). Gravissimo fu il colpo morale e materiale di cui ebbe a soffrire la detronizzata città subalpina. Ma i suoi uomini migliori reagirono allo scoramento e alla stasi incipiente, puntando, con arditezza e con preveggente chiarezza di vedute, sul futuro industriale di Torino e del Piemonte. L'avvenuta meccanizzazione dell'antica industria laniera del Biellese e l'apporto di tecnici e di capitali francesi e svizzeri a quella cotoniera, permisero al complesso tessile piemontese di superare la crisi del 1872-80 e nel 1884 Torino poteva realizzare il piano grandioso di offrire una rassegna di tutto il progresso industriale dell'Italia negli ultimi anni.

    Nel campo siderurgico e meccanico l'industria torinese, che nel 1881 contava poco più di 10.000 addetti, si distingueva per l'alto pregio della produzione. Decker, Bollito, Torchio, Carena, Operti erano notissimi, e non solo in Italia, come fabbricanti di macchine e di attrezzi, mentre i Barberis, i Negro, i Polla, i Poccardi, i Diatto, i Locati, eredi della tradizionale abilità tecnica che aveva reso famosi nel Seicento e nel Settecento i fabbricanti torinesi di carrozze, eccellevano nella creazione di carrozzerie per omnibus e per tram a cavalli, aprendo così la strada alla futura specialità delle carrozzerie per automobili. Intanto altri pilastri dell'industria metalmeccanica sorgevano a Sa vigliano, con le officine omonime, ad Avigliana, con le ferriere ed acciaierie Vandel, e ancora a Torino, con la bulloneria Assauto, le officine Diatto, la fonderia di caratteri tipografici Nebiolo. La comodità delle comunicazioni e dei trasporti con Genova e Savona, per l'approvvigionamento di carbone, e la vicinanza della Francia, fornitrice oltre che di carbone, di rottami di acciaio e di ferro, preparavano discrete basi allo sviluppo di un'industria pesante, che beneficiava pure del disegno cavouriano di fornire ai porti vicini gli impianti siderurgici occorrenti per riattivare e rammodernare l'industria cantieristica. Ma una nuova preziosa fonte di energia stava ormai approntando l'ingegno umano, e nel 1896-99 si costituivano le società donde trarrà origine la seconda grande impresa idroelettrica italiana, la S.I.P. All'alba del secolo XX, l'elettricità prodotta dalle nostre montagne veniva ad aprire all'industria torinese e piemontese nuove allettanti prospettive.

    Vecchia fabbrica di ceramiche a Mondovì.

     

    Delle accresciute possibilità di sviluppo e di razionalizzazione di lavoro s'avvalse particolarmente la nascente industria automobilistica — incoraggiata anche dalle esperienze francesi — grazie soprattutto allo slancio impressole dalla fondazione della FIAT, avvenuta a Torino nel 1899, per la geniale e tenace volontà di Giovanni Agnelli. Il sempre più accentuato incremento dell'industria metalmeccanica, cui la FIAT dette un contributo essenziale, segnò veramente l'inizio di una nuova èra nell'economia piemontese ed italiana. A Torino sorsero nel giro di pochissimi anni una ventina di fabbriche d'automobili, tra cui nel 1906 la Lancia, l'altra grande casa torinese, che sùbito dette alla sua produzione l'impronta di altissima qualità. Pure nel 1906, Giovanni Agnelli creava la Società « Officine di Villar Perosa », che oggi col marchio RIV continua a diffondere nel mondo quel fondamentale elemento delle costruzioni meccaniche che è il cuscinetto a rotolamento. Contemporaneamente venivano fondate importanti carrozzerie, fabbriche di freni, di ruote, di fari e di accessori vari, e con la W. Martini e la Michelin s'introdusse l'industria della gomma, e in particolare dei pneumatici.

    Dalla crisi mondiale del 1906-07, l'industria automobilistica torinese esce con una cinquantina di ditte, tra cui principali, oltre alla FIAT, l'Itala, la SPA, la Ceirano. Impossibile è qui continuare a seguire gli eventi di questo importantissimo ramo dell'attività industriale piemontese. Ricorderemo soltanto l'imponente apporto della produzione automobilistica ed aeronautica torinese alla vittoriosa conclusione della guerra 1915-18, la nascita dello stabilimento del Lingotto e lo sviluppo della sezione « Grandi Motori » per il macchinario propulsore delle navi. Nel contempo si progrediva anche in altri rami dell'industria. Quella enologica, per esempio, e in particolare quella del vermouth, sorta a Torino fin dal 1786, ad iniziativa di G. B. Carpano, trovava nei Cinzano, nei Cora, nei Martini, nei Rossi, nei Ballor, nei Bosca, nei Gancia, nei Calissano, degli abili imprenditori, che dovevano fare rinomati in tutto il mondo prodotti tratti dalle zone classiche dei vini piemontesi. E parimenti si dica dell'industria dolciaria, che andò imponendo i nomi ben noti di Talmone, Baratti e Milano, Moriondo e Gariglio, Venchi.

    Per tornare all'industria meccanica, è da segnalarsi la nascita, avvenuta ad Ivrea nel 1908, dell'industria delle macchine da scrivere, ad opera di un pioniere della meccanica fine, l'ingegnere Camillo Olivetti. Nel primo quarto del secolo esaurisce, si può dire, il suo ciclo, l'industria del cinematografo, che specialmente con l'Ambrosio e la « Pasquali Film » legò il nome di Torino ad una produzione non ancora dimenticata. La crisi, più politica che economica, del 1920-22 e quella mondiale del 1927-33, pur mettendo in gravi difficoltà l'apparato produttivo dell'industria piemontese, non ne fiaccarono la prepotente vitalità. Durante la prima, caratterizzata da gravi conflitti sindacali e sociali, sorse e prosperò rapidamente l'industria della seta artificiale, con i grandi stabilimenti di Venaria Reale e di Chàtillon. Al termine della « grande crisi », su di un'area di un milione di mq., si espandono i vastissimi stabilimenti della FIAT Mirafiori. Neppure la seconda guerra mondiale, con le distruzioni provocate da massicci bombardamenti aerei, valse ad intaccare profondamente la struttura e le energie dell'industria piemontese, la cui capacità di ripresa si rivelò superiore ad ogni umana previsione.

    Vedi Anche:  Marchesati e Langhe

    Le maggiori classi d'industria

    Il fenomeno, dal punto di vista geografico, più cospicuo, che caratterizza l'evoluzione dell'industria piemontese nel secolo scorso, è la sua crescente concentrazione dimensionale e territoriale. All'aumento, cioè, della potenza del capitale, dei mezzi tecnici, dell'energia e della mano d'opera impiegata, con il conseguente ampliamento degli stabilimenti, si è accompagnato un graduale trapasso dall'uniforme distribuzione dell'attività industriale, in quasi tutto il territorio del Piemonte, alla sua riduzione in alcune aeree, più particolarmente rispondenti alla nuova organizzazione produttiva, e soprattutto alle necessità della grande industria, molto esigente in fatto di comodità e di rapidità dei trasporti. Ad accelerare e ad accentuare questo processo di disformità distributiva dell'industria è intervenuto un succedersi di circostanze che hanno inferto colpi su colpi, alla più diffusa, frazionata e dispersa attività industriale piemontese, quella della seta. Intendiamo, cioè, accennare alla concorrenza della produzione lombarda, alle malattie del baco da seta, alla vittoriosa avanzata del cotone, e più tardi a quella delle fibre tessili artificiali. Molte delle filande, numerose soprattutto nei centri della provincia di Cuneo, finirono per chiudere, e tacquero pure i moltissimi telai, che nelle case di campagna scandivano il ritmo delle laboriose giornate. Più rapida ancora fu la transizione dalla piccola siderurgia locale delle forge e dei martinetti, alle fonderie e alle ferriere impiantate con criteri moderni. Il trasporto a distanza dell'energia elettrica, permettendo a certe industrie di svincolarsi dalla servitù dell'acqua corrente, e quindi consentendo una più elastica scelta ubicazionale, favoriva, con la maggior mobilità delle industrie, il loro concentrarsi territoriale. Insomma, con l'abbandono delle precedenti forme di attività industriale o artigiana, le zone già fondamentalmente agricole, divennero ancora più specificatamente agricole, e quelle in cui l'industria aveva già fatto notevoli passi, divennero ancor più industriali. L'importanza del fenomeno si misura anche e soprattutto dalla più volte accennata frattura, avvenuta nella fisionomia demografica ed economica del Piemonte: frattura che, in termini spaziali amministrativi, oppone province agricole a province industriali, e che è una manifesta conseguenza della diversa distribuzione geografica assunta dagli opifici e dalle fabbriche.

    Industria pesante per eccellenza, quella siderurgica e metallurgica in genere non potè, pure nel considerevolissimo aumento delle sue dimensioni, allontanarsi di molto dalle originarie ubicazioni in vicinanza della materia prima e dell'acqua, anche se portata a trasformare la sua forza di caduta in energia elettrica. Così, sull'ubicazione della vicina magnetite di Cogne e insieme sulla possibilità di usufruire di ingenti quantitativi di energia elettrica, prodotta in proprio od acquistata a buon prezzo, fecero assegnamento i fondatori del maggior stabilimento siderurgico del Piemonte, quello della Società Nazionale Cogne, facendolo sorgere ad Aosta. Tale stabilimento occupa quasi la metà degli addetti alle industrie metallurgiche di tutto il Piemonte, addetti che sommavano nel 1951 a 20.000 circa. La «Cogne» lavora il proprio materiale in due altiforni per ghisa (dei tredici esistenti in Italia), in tre forni elettrici, pure per ghisa, e in tredici forni per acciaio, tutti elettrici, ottenendone acciai speciali assai pregiati, per una quantità di applicazioni meccaniche, chimiche, aeronautiche (140.000 tonnellate di ghisa e 140.000 tonnellate di acciaio nel 1958). Da queste cifre, passando a quelle complessive per il Piemonte, appare come esso fabbrichi poca ghisa, ma in compenso molto acciaio, tanto da ottenerne poco meno della Lombardia.

    Distribuzione dell'attività industriale nel Piemonte (ditte con più di 100 addetti).

    Veduta parziale delle officine siderurgiche della Società Nazionale Cogne ad Aosta.

     

    Tale produzione (1.231.700 tonn. nel 1958), si effettua oltre che in vai d'Aosta, anche in vai di Susa e in vai d'Ossola, per evidente tendenza delle fonderie ad avvicinarsi alle fonti di energia elettrica. Allo sbocco della valle di Susa è il grande complesso (ora proprietà della FIAT) di Avigliana, che impiega più di 1000 operai: nel primo tratto della valle ecco gli stabilimenti di Bussoleno e di Susa. In vai della Toce sono diventati importanti centri metallurgici Villadossola e Domodossola, alle quali si può collegare Omegna, sul lago d'Orta. Si tratta di complessi siderurgici poco numerosi, ma che raggiungono dimensioni discrete. Una buona maggioranza degli stabilimenti metallurgici è accentrata nella città di Torino, dove serve più direttamente ai bisogni delle industrie meccaniche colà sorte. Si deve, infatti, allo sviluppo della loro produzione se grandi imprese, come la FIAT, hanno preferito, dandosi una struttura verticale, partire dalla lavorazione delle materie di base. Così si sono moltiplicate fonderie e ferriere — in parte, come le ferriere FIAT, vicine alla Dora — cui l'essere in un importante nodo ferroviario giova sia per l'importazione del carbone, ma anche, come abbiamo già accennato, per l'importazione dei rottami metallici, che costituiscono la quasi totalità dei materiali ferrosi lavorati. Possiamo ormai includere nell'area cittadina, anche i tre discreti impianti di Settimo Torinese.

    Particolare del gruppo di alti forni della Società Nazionale Cogne ad Aosta. Nello sfondo la Becca di Nona e il Monte Emilius.

     

    Una ventina eli piccoli e medi stabilimenti siderurgici risulta distribuita in diversi centri del Canavese (Castellamonte, Ciriè, Collereto Castelnuovo, Forno Canavese, Pont Canavese, Prascorsano, Rivarolo, Favria, Ronco Canavese, Sparane). Si tratta di aziende che si riattaccano ad antiche tradizioni metallurgiche: quelle della lavorazione del rame per oggetti domestici, massime di cucina, tutt'ora vive nella valle dell'Orco e in vai Soana, cioè nel paese dei magniti (stagnari), e quelle della lavorazione del ferro, che molto probabilmente si alimentava al minerale della vai Chiu-sella (Traversella). Possiamo ricollegare a questa serie d'impianti lo stabilimento di Borgofranco per la produzione di alluminio elettrolitico, colà richiamato dall'abbondanza ed al buon mercato dell'energia elettrica, necessaria alla produzione dell'alluminio in pani. All'infuori delle zone sin qui ricordate, solo a Novi Ligure si annovera un grande complesso siderurgico, strutturato in due unità produttive, che occupano i tre quarti degli addetti del settore della provincia di Alessandria. In provincia di Cuneo è degna di menzione unicamente una ferriera sita a Fossano.

    Ma l'ossatura dell'economia piemontese contemporanea è rappresentata, come è noto, dalle industrie meccaniche. Non vi è quasi Comune della regione che non abbia almeno una di quelle che il più recente censimento chiama unità produttive. Dalla bottega artigianale che ripara attrezzi agricoli al complesso FIAT, dalle carrozzerie alle fabbriche per macchine da ufficio, s'intesse tutta una rete di iniziative e di rapporti che ha fatto del Piemonte una delle regioni più industrializzate d'Italia.

    Stabilimenti della « Snia Viscosa » a Venaria Reale, presso Torino.

     

    L'imponente complesso degli stabilimenti Mirafiori della FIAT, a sud dell'agglomerato urbano torinese.

     

    I 188.667 addetti alle industrie meccaniche piemontesi costituiscono di fatto il 21% della massa degli operai meccanici di tutta Italia, e gli esercizi sono quasi il 9% del totale nazionale degli esercizi. E un campo in cui il Piemonte non è superato che dalla Lombardia e si stacca notevolmente dal restante delle regioni d'Italia. Quanto ai vari settori, quello dei mezzi di trasporto e lavori affini, con circa 62.000 operai, raccoglie da solo quasi un terzo delle maestranze meccaniche della regione, ma per numero di esercizi viene primo il settore delle officine meccaniche, che sommavano nel 1951 a più di 10.600, con 27.600 operai. Tengono dietro, per numero di esercizi, la meccanica di precisione, l'oreficeria, e le produzioni meccaniche non qualificate: per numero di addetti, le fonderie di seconda fusione, le macchine motrici (escluse le elettriche), le apparecchiature elettriche e per telecomunicazioni.

    Quanto al grado di concentrazione della nostra industria meccanica, esso è stato ottimamente analizzato dal Milone, il quale osserva che in appena 18 esercizi si riunivano, secondo l'ultimo censimento industriale, 80.000 addetti, con una media di 4900 per esercizio: 15 esercizi se ne dividevano 11.000 e 145 altri esercizi comprendevano 30.000 addetti. Nel suo insieme la grande industria meccanica, al di sopra dei 500 addetti per esercizio, contava da sola, una metà della massa lavoratrice meccanica, mentre altri 30.000 operai si riunivano in stabilimenti dai 100 ai 500 lavoratori. Se si escludono gli artigiani, che sono appena un nono di questa massa operaia, si riscontra una media di una cinquantina di addetti per esercizio, più alta che nella stessa industria meccanica lombarda (40), e da tale media, conclude il Milone, si può intendere la concentrazione della industria meccanica piemontese.

    E tale concentrazione non si manifesta soltanto nelle proporzioni delle ditte e degli stabilimenti, ma anche nella ristretta area di più intensa diffusione. In effetti si può dire, che quasi quattro quinti degli operai metalmeccanici piemontesi lavorano a Torino e nei centri attornianti la grande città, e a sua volta, quasi un terzo di questa massa cittadina o suburbana è impiegata nelle industrie automobilistiche. Assorbe 71.000 addetti la sola FIAT: tanti quanti gli abitanti di un popoloso capoluogo di provincia. Insieme veramente mastodontico e di alta capacità produttiva quello della FIAT, che comprende oggi 25 complessi di stabilimenti e officine, quasi tutti a Torino o nelle sue vicinanze. La produzione, a ciclo completo, parte dalla ghisa e dagli acciai prodotti dalla sezione Ferriere Piemontesi e dagli stabilimenti di Avigliana, per arrivare alle automobili, ai veicoli industriali, alle trattrici agricole e industriali, fabbricati, per ricordare soltanto gli stabilimenti piemontesi, nelle officine del Lingotto e di Mirafiori e nella sezione delle produzioni ausiliarie, SPA, ricambi. Motori di aviazione e aeroplani a pistone e a reazione, escono dagli stabilimenti velivoli e dalle officine di Caselle. Automotrici, locomotori Diesel ed elettrici, carrozze passeggeri, vagoni merci, vetture tramviarie, sono approntati dalla Sezione materiale ferroviario. Grossi motori Diesel per impianti fissi, per propulsione navale e per trazione ferroviaria, sono compito specifico della Sezione grandi motori. La lavorazione di questa svariata e ingente massa di prodotti richiede mezzi finanziari altrettanto ingenti (la FIAT ha 100 miliardi di lire di capitale sociale), e impone, tra l'altro, un consumo di energia elettrica pari, per lo meno, a un terzo di quella che ordinariamente consumano tutte insieme le industrie piemontesi. Ma la produzione automobilistica, che, come si sa, è largamente apprezzata in tutto il mondo, rimane il fulcro dell'attività della FIAT, che nel 1959, sfornando 430.282 unità (422.216 vetture e 7.966 veicoli industriali), al ritmo di 2000 vetture al giorno, ha totalizzato il 92% della produzione automobilistica nazionale. Quasi un terzo delle automobili prodotte viene esportato per un valore di circa 140 miliardi di lire. Alcune decine di migliaia di macchine di piccola e media cilindrata sono state collocate sul mercato americano, e l'esportazione verso gli Stati Uniti, effettuata con circa 1000 vetture ad ogni viaggio in apposite navi-garages, è in continuo aumento.

    Non è qui il caso di analizzare le cause di un così brillante e quasi ininterrotto cammino ascensionale. Evidentemente, accanto ai fattori d'ordine generale che hanno presieduto allo sviluppo delle industrie in Torino e in parte del Piemonte, hanno molto giovato la qualità del materiale impiegato e la perfezione tecnica dei meccanismi. E qui sembra che l'ordine inflessibile, la tenacia, la pazienza, la meticolosa precisione e persino la « pignoleria », per cui andavano famosi… e caricaturati i militari e i burocrati piemontesi, siano diventati retaggio di esperte e ben istruite maestranze. Mentre la raffinatezza e la sobrietà, l'eleganza di gusto e di linea, che distinguono tanti altri prodotti dell'industria torinese, si ritrovano — ed è pregio altamente considerato — nella presentazione estetica delle nostre automobili. Come s'è già accennato, tale cura della bellezza, oltreché delle qualità tecniche, ha conferito particolari attrattive alla produzione della Lancia, volta ad un mercato più limitato, ma più esigente. Il grattacielo della Lancia, svettando in Borgo San Paolo, è diventato uno dei simboli della potenza industriale di Torino e ricorda, tra l'altro, che Vincenzo Lancia ha introdotto il primo tipo di carrozzeria portante che sia apparso nel mondo. La RIV, la cui produzione di cuscinetti a rotolamento era stata iniziata come ausiliaria dell'industria automobilistica, è andata via via estendendosi ad altri campi di applicazione, e i suoi stabilimenti di Torino e di Villar Perosa, presi a modello per analoghi impianti in Russia ed in altri paesi, hanno ormai raggiunto una produzione di 20 milioni di cuscinetti all'anno.

    Distribuzione dell'attività industriale nel Piemonte (ditte con più di 100 addetti).

    Vedi Anche:  Le Fonti D'energia

     

    Ad un altro capo di Torino, la FIAT ha le sue ferriere. In mezzo è visibile un tratto della Dora Riparia. In secondo piano l'imbocco della vai di Susa.

     

    Eleganza e funzionalità di linee in un reparto delle officine Olivetti ad Ivrea.

     

    Sorta in una regione prevalentemente agricola, la Olivetti di Ivrea ha saputo accuratamente formarsi una sua maestranza altamente specializzata, attingendo alle masse contadine dei dintorni, e curandone l'istruzione professionale, e poi creando una rete di iniziative sociali e culturali, che si estese a tutto il Canavese, nell'intento di edificare una « comunità di fabbrica ». La produzione della Olivetti si è allargata alle addizionatrici, alle calcolatrici scriventi, alle telescriventi, alle macchine contabili, alle macchine utensili di precisione, ai mobili ed accessori per ufficio, ma ha tratto e continua a trarre la sua maggiore rinomanza dalle macchine da scrivere, che coprono l'8o% della produzione nazionale, calcolata per il 1958 in 397.000 macchine, delle quali una buona aliquota viene esportata. Le officine di costruzione e di riparazione del materiale ferroviario rappresentano un terzo degli addetti al settore in Italia ed appaiono concentrate in Savigliano, Torino e Pinerolo.

    Grande industria in Piemonte continua ad essere quella tessile, nonostante che tra gli ultimi due censimenti industriali il primato per il numero di addetti sia passato alle industrie meccaniche. Gli addetti all'industria tessile in Piemonte sono oggi (149.884) quanti erano nel 1927, mentre gli esercizi sono passati da 1241 a 1552. Sono mutati anche i rapporti di importanza tra le varie sottoclassi delle industrie tessili. Nell'industria della seta, che ancora una cinquantina d'anni fa impiegava più di metà della mano d'opera tessile del Piemonte, oggi non lavora che il 4% degli addetti ripartito in 71 esercizi su 4109, quanti ne conta nella classe tessile la regione. E si spiega, quando si tenga presente che la produzione piemontese di bozzoli, sommante allora a 6 milioni e mezzo di chilogrammi, nel 1958 si è ridotta a poco più di 44.000. I non molti stabilimenti di filatura, di trattura, di torcitura della seta, che continuano a lavorare, si trovano in centri rurali del Torinese, del Cuneese e nel Novarese. Ben diversamente distribuita, e cioè tanto concentrata in grandi unità operative, quanto l'antica industria serica era frazionata in piccoli opifici sparsi tra le campagne, la fabbricazione delle fibre tessili artificiali, sintetiche e cellulosiche, è venuta in parte a compensare gli effetti della declinante fortuna della seta naturale. Gli stabilimenti di Venaria, Ivrea, Chàtillon, Vercelli, Gozzano, Pallanza (nylon e terital), tutti di dimensioni cospicue, hanno ridato al Piemonte la posizione di punta perduta nel campo del prodotto del baco da seta.

    Vita ben diversamente vigorosa e prospera, pur attraverso le crisi nazionali e mondiali, quella dell'industria laniera, che si è sviluppata principalmente nel Biellese. In complesso il Piemonte comprende un quinto abbondante degli esercizi e una metà circa dei lanieri di tutta Italia, e due volte e mezzo i lanieri del Veneto, l'altro grande distretto laniero nazionale. Ove si faccia eccezione per alcuni stabilimenti in provincia di Torino e per un grandioso opificio nel Novarese, la grande maggioranza degli esercizi lanieri è dunque raccolta nelle verdi vallate del Biellese, e all'imbocco della Valsesia, dove dà lavoro a circa 50.000 operai in più di 350 opifici. Una decina di questi occupano ciascuno un migliaio e mezzo di addetti, mentre altri 15 ne impiegano dai 700 agli 800 ciascuno e un centinaio più modesti ne contano 250 ciascuno. Effettivamente, sul fondo dei solchi vallivi dell'Elvo, del Cervo, della Strona, della Sessera, della Sesia, che si allargano a ventaglio addentrandosi nelle colline e nella prima montagna, si sgranano teorie di fabbriche, che fanno noto per il mondo il nome di attivi centri abitati (Cossato, Trivero, Valle Mosso, Mosso Santa Maria, Pettinengo, Quarona, Vigliano, Veglio, Bioglio, Andorno Micca, ecc.) e di dinastie industriali (Sella, Rivetti, Reda, Zegna, Piacenza, Lesna, Bertotto, Bozzalla, Garbaccio, Cerutti, ecc.).

    Abbondanza di mano d'opera in un paese povero di terreni produttivi e inizialmente dedito alla pastorizia; abbondanza di acque, e qualità di acque chimicamente adatte al lavaggio e alla lavorazione delle lane; facilità di comunicazioni con la sottostante pianura, hanno indubbiamente favorito l'addensarsi della filatura e della tessitura della lana nel Biellese. Ma si deve, soprattutto, all'abilità manuale di maestranze tradizionalmente addestrate e alla iniziativa e all'accortezza di imprenditori se, anche dovendo ricorrere all'importazione quasi totale della materia prima, l'industria laniera del Biellese, non solo si è saldamente e fruttuosamente radicata, ma anche specializzata nella produzione di filati e di tessuti di alta classe.

    La più giovane delle industrie tessili, la cotoniera, si è venuta rapidamente e gagliardamente diffondendo in Piemonte, tanto da essere lievemente inferiore a quella laniera, per numero di esercizi (433) e di addetti (55.540). Con tutto ciò, l'industria cotoniera piemontese è oggi di gran lunga superata da quella lombarda, che dispone di un numero triplo di stabilimenti e di operai. In Piemonte le maggiori filature e tessiture di cotone sono situate all'interno delle valli di Susa e di quelle di Pinerolo, o allo sbocco di valli minori, come quelle dell'Orco e del Sangone, e su lembi dell'alta pianura, oltre che in Torino stessa, dove i primi cotonifici traevano la forza motrice da canali derivati dalla Dora. Successivamente l'ubicazione dei cotonifici si è soprattutto informata alla disponibilità di mano d'opera femminile libera dai lavori agricoli, e alla vicinanza di torrenti e di fiumi montani, utilizzabili per trarne energia elettrica, mediante impianti autonomi. Qualche importanza può pure avere avuto l'abbondante umidità della zona di passaggio dalla montagna alla pianura.

    La manifattura di Grignasco (Novara), come esempio di stabilimento tessile piemontese.

     

    In val di Susa, centri cotonieri importanti son diventati Susa stessa, Borgone, Sant'Antonino, Bussoleno; in vai Chisone e in vai Pellice sono sedi di grandi opifici cotonieri San Germano Chisone, Luserna San Giovanni, Torre Pellice; allo sbocco del Sangone ecco Giaveno e Coazze; allo sbocco della valle dell'Orco, ecco Pont e Cuorgnè. Poi, nell'alta pianura torinese e canavesana, Ciriè, Chivasso, Noie, Mati, Caselle. Sono queste le sedi in cui continua, oggi un po' stagnante, l'attività dei Poma, degli Abegg, dei Wild, dei Mazzonis, dei Turati, per non prendere che qualche nome a spizzico. Questo gruppo di cotonifici che, con qualche estensione del termine, potremo chiamare torinese, abbraccia metà circa degli stabilimenti e dei cotonieri occupati in Piemonte. Altri stabilimenti si trovano affiancati ai lanieri nelle valli del Cervo e dell'Elvo, ed altri ancora, più numerosi, e con un numero di addetti pari ad un terzo delle maestranze cotoniere piemontesi, in centri della pianura intorno a Novara (Galliate e Trecate), ad Oleggio, a nord del lago d'Orta, sulle sponde del lago Maggiore e, ad alquanta distanza, nella valle della Scrivia.

    Distribuzione dell'attività industriale nel Piemonte (ditte con più di 100 addetti).

     

    Una parte della Manifattura lane di Borgosesia,

     

    Industrie minori e tipiche. Zone industriali.

    Tra le industrie che chiameremo minori solo perchè non occupano un numero di addetti così elevato come quelle sin qui accennate, ve ne sono alcune che sono loro strettamente collegate, e che, avendo raggiunto espressioni qualitative altrove non conseguite, possono considerarsi come tipiche. Si è già avuto occasione di dire che, parallelamente allo sviluppo della produzione automobilistica, si è affermata quella complementare della carrozzeria. E un settore questo, in cui l'elegante buon gusto degli ideatori e dei disegnatori ha conquistato al Piemonte, e principalmente a Torino, un primato oggi largamente apprezzato anche, e soprattutto, negli Stati Uniti. Spostatasi dalla campagna alla città, questa attività manifatturiera rifluisce ora nuovamente verso il contado, alla ricerca specialmente di nuove sedi economiche e di mano d'opera. Così, importanti stabilimenti del ramo si sono stabiliti a Carmagnola, La Loggia, Moncalieri, Grugliasco, nelle immediate vicinanze di Torino. E tuttavia in atto un processo di concentrazione, per effetto del quale numerose, piccole carrozzerie, lasciano il posto ad aziende aventi struttura e dimensioni veramente industriali, come la Viberti. A tutti è noto come le esigenze d'alta classe siano soddisfatte da carrozzieri quali Pinin Farina, Bertone, Casaro, Viotti, Ghia.

    Alle industrie tessili sono massimamente legate quelle del vestiario abbigliamento e arredamento, che, fra le industrie manifatturiere, vengono al terzo posto per numero di addetti in Piemonte, e al secondo dopo la Lombardia, per numero di addetti della classe in tutta Italia. E evidente anche qui l'influenza di un grande centro urbano, perchè quasi la metà degli addetti del Piemonte risulta censita nella provincia di Torino. L'antica produzione locale di stoffe e di passamanerie d'alto pregio, la raffinatezza della vita aristocratica in una piccola, ma importante e vivace città capitale, il gusto della moda, ivi coltivato, hanno dato e danno, alle confezioni torinesi di vestiti, di cappelli, di pellicce, soprattutto per signora, una linea di grazia e di signorilità che è diventata tradizionale. Le manifestazioni torinesi della moda sono un richiamo di portata anche internazionale, sebbene sempre più suadente si faccia la concorrenza di Roma e di Milano, ma soprattutto di Firenze.

    Tessuti al sole delle convalli biellesi

     

    Tra i generi di abbigliamento, il cappello è quello cui il Piemonte dà il maggior contributo. Per essere più precisi, si tratta della fabbricazione del cappello di feltro di pelo, che ha, com'è noto, il suo maggior centro in Alessandria (Borsalino), ed altri stabilimenti nel Biellese, a Sagliano Micca (Barbisio), Andorno Micca, Biella, Chia-vazza; nel Novarese a Intra e a Ghiffa, e a Chivasso. Di assai antica origine è a Torino l'industria delle maglie e delle calze, che importando le prime macchine circolari e poi vieppiù ingrandendosi, ha saputo attrezzare importanti stabilimenti anche nei dintorni di Torino e a Chivasso. Fabbriche del genere sorgono pure a Biella, Alessandria, Vercelli (maglierie). Di calzifìci vanno ricordati principalmente quelli di Arona, Borgomanero, Novara, Oleggio, Trecate, Omegna. Quanto alle confezioni in serie, la loro diffusione trova un duro ostacolo nella permanenza di un abile artigianato, ed è specialmente affidata ad alcuni discreti stabilimenti, come quello della « Caesar » a Torino. Buonissime posizioni — in genere le seconde dopo la Lombardia — ha il Piemonte nella produzione di nastri anelastici, di nastri e tessuti elastici, di passamanerie, di trecce e stringhe, di tulle, pizzi, veli e ricami, di manufatti impermeabili.

    Una delle carrozzerie da cui escono illeggiadrite le automobili torinesi.

     

    Stabilimento della Pirelli a Settimo Torinese per la produzione di pneumatici.

     

    Dalle prime fabbriche di superfosfati a quelle di derivati sintetici della serie acetica e delle resine sintetiche, l'industria chimica in Piemonte ha fatto sensibili progressi. Ma solo in alcuni rami conta impianti di notevoli dimensioni. E il caso dell'industria della gomma, concentrata a Torino (Michelin, Ceat, Pirelli), della raffineria del petrolio (Trecate), di derivati sintetici della serie acetica (Villadossola), di derivati dell'azoto (« Montecatini », a Novara), di materie plastiche (RIV, a Torino), mentre assai numerosi, specialmente nel campo farmaceutico, sono i piccoli stabilimenti. Relativamente più decentrata appare l'industria della carta, che preferisce, ancor oggi, le antiche ubicazioni sui corsi d'acqua. Tra le maggiori cartiere ricorderemo quelle di Verzuolo, in provincia di Cuneo (della « Burgo »), di Borgosesia e di Serravalle Sesia; di Caselle Torinese, di Noie, Mathi, Ciriè, Balangero, Germa-gnano; di Giaveno e di Coazze. In genere la caratteristica della regione è la produzione di carta bianca su grosse macchine continue. Nella classe delle arti grafiche ed editoriali, solo le arti grafiche s'impongono per numero di unità locali e di addetti (in Piemonte un'unità locale arrivava nel 1951 a 855 addetti). Per contro l'attività editoriale, nel senso odierno della parola, ha nella nostra regione, i più antichi precedenti. Basterà ricordare che la Casa Paravia è stata fondata a Torino nel 1728 e che la Casa Bocca ha iniziato la sua attività nel 1775. Oggi gli esercizi poligrafici ed editoriali assicurano al Piemonte il terzo posto, dopo la Lombardia ed il Lazio, per quel che riguarda il numero delle pubblicazioni, col 13% delle opere stampate in tutta Italia. Massimo centro della produzione giornalistica e libraria è naturalmente Torino, dove case editrici, come Paravia, la S.E.I., e soprattutto l'U.T.E.T., hanno attrezzature moderne e larghissima rinomanza anche internazionale.

    Una moderna tessitura ad Alba.

     

    Anche nell'assai più vasto campo delle industrie alimentari ed affini, che, raggruppando 31.159 addetti, vengono, per questo aspetto, al quarto posto tra le varie classi di industrie manifatturiere del Piemonte, troviamo attività produttive tipicamente piemontesi. Così è, per esempio, di alcuni rami dell'industria enologica. Indubbiamente si produce tutt'ora in Piemonte una cospicua serie di eccellenti vini: dal Barolo e dal Barbaresco ai vini di Gattinara, Lessona, Ghemme, Carema (tutti vini da arrosto, ottenuti dal nobile vitigno Nebiolo), al Grignolino, al Freisa, al Dolcetto, alla Bonarda, per restare nel campo dei vini rossi, fini e superiori, ai vini aromatici, come il Moscato ed il Brachetto, ai Passiti di Caluso e di Canelli, per arrivare all'Asti Spumante e agli spumanti bianchi secchi. Ma la produzione di vini degni di essere considerati pregiati, nel senso più rigoroso della parola, non supera forse il milione di ettolitri sui 4-5 che si producono annualmente e per i quali il Piemonte viene normalmente terzo tra le regioni d'Italia, dopo la Puglia e la Sicilia. Alla diminuita ricerca di così eletta produzione vinicola e alla sua fiacca valorizzazione si contrappone la sempre maggior fortuna del vermouth, alle cui origini abbiamo già accennato.

    Vedi Anche:  Confini, forma e area

    Il parco legname di una grande cartiera.

     

    Una cartiera nel Monregalese.

     

    Partendo dai vini bianchi più o meno alcoolici e zuccherini di sapore neutro e delicato, come i Moscati di Canelli e quelli di Gavi e di altri vini fini del Piemonte, ma poi allargando alla Puglia e alla Sicilia l'area di approvvigionamento della materia prima, e arricchendo via via la gamma di droghe aromatiche impiegate nella fabbricazione del vermouth, e prima anch'esse di origine quasi esclusivamente locale, si è perfezionata e diffusa un'industria che ha i suoi principali centri di produzione intorno a Torino, lungo la linea ferroviaria di Genova (Moncalieri, Cambiano, Tro-farello, Pessione); nell'Astigiano (Alba, Asti, Canelli); nel Canavese (Chivasso, Riva-rolo). Le maggiori società produttrici, come la Cinzano e la Martini e Rossi, hanno esteso la fabbricazione in Europa e nelle Americhe, ma il vermouth piemontese conserva pur sempre qualità di gusto e di fragranza ineguagliabili. Altri aperitivi e molti generi di liquori sono prodotti dalle stesse fabbriche che danno il vermouth, alle quali s'aggiunge uno stuolo assai numeroso di minori stabilimenti, di analoga ubicazione.

    Come si decanta l'« Asti Spumante » nelle cantine degli stabilimenti Gancia a Canelli.

     

    Caramelle e cioccolato, in Torino, costituivano, fino a qualche tempo fa, una specialità locale, ma che tuttavia aveva preso una diffusione nazionale, non incontrando che una timida concorrenza interna. La sparizione di alcune tra le più rinomate fabbriche torinesi ed il loro assorbimento in più vaste aziende non è bastato a conservare all'industria dolciaria torinese le antiche, quasi monopolistiche posizioni. Nello stesso Piemonte sono sorti discreti stabilimenti per la fabbricazione del cioccolato (ad Alba, ad Aosta, a Verbania) e delle caramelle (Novi Ligure), mentre alla forte penetrazione di prodotti austriaci e svizzeri fa bordone il crescente affermarsi della ben attrezzata e dinamica industria dolciaria milanese e genovese. Il Piemonte condivide con la Lombardia un altro suo tipico ramo di industrie alimentari, quello risiero. Sulle più di 600 riserie, che l'Italia contava nel 1950, più della metà spettavano alla Lombardia, e un 200 al Piemonte. Di queste ultime, più di un centinaio si trovavano nella bassa vercellese, una sessantina nella pianura novarese, e le poche restanti sorgevano nella zona risicola della provincia di Alessandria.

    E passiamo alle attività manifatturiere alimentari non tipiche. L'industria molitoria si è naturalmente accentrata in stabilimenti di notevoli dimensioni, ubicandosi intorno ai maggiori centri urbani: quella delle paste alimentari non ha fatto grandi progressi. Considerevole sviluppo sono andate, invece, assumendo, in concomitanza con l'incremento dell'allevamento del bestiame e della produzione lattiera, le industrie dei derivati del latte. Alle aziende casearie, che nel Novarese danno una buona produzione di gorgonzola e di altri formaggi, si sono aggiunte di recente, specie nella bassa pianura cuneese, confinante con quella di Torino, vari caseifici, in parte succursali di grandi stabilimenti lombardi. In valle d'Aosta ci si occupa per industrializzare la produzione della rinomatissima fontina. Fabbriche di carni in scatola, di verdure e di ortaggi conservati (cipollini, sottoaceti, funghi), di marmellate, di conserva di pomodoro, sono sorte e altre via via si stabiliscono di preferenza nelle campagne cuneesi. Si tratta, però, di aziende di modeste dimensioni, come sono di modeste dimensioni i salumifici, diffusi un po' dovunque. Dal 1903 funziona l'unico zuccherificio del Piemonte (fallito il recente tentativo di installarne un altro) a Spinetta Marengo, presso Alessandria, nella cui pianura ha propagato la coltura della barbabietola. Per numero e per grandezza di impianti, l'industria della birra ha assunto in Piemonte un posto di primo piano. Si hanno fabbriche di birra ad Aosta, Ver-bania, Biella, ma le maggiori sono le torinesi: Boringhieri, Metzger, Bosio e Caratsch. L'antica manifattura tabacchi di Torino costituisce pur sempre uno dei più efficienti complessi produttivi del Monopolio.

    Cantine di invecchiamento in uno stabilimento vinicolo dell'Albese.

     

    Antiche tradizioni ha in Piemonte, e segnatamente a Torino, l'industria conciaria. Anche attualmente in città e in alcuni centri della vicina pianura canavesana (Caselle, Ciriè, Chivasso, Brandizzo, Favria, Castellamonte, Valperga), la concia dei cuoi e dei pellami annovera importanti stabilimenti, e centro specializzato in questa industria continua ad essere Bra. Via l'attuale decina di modesti stabilimenti che vi si contano è quanto rimane di una più larga, passata attività. Rinomata è la lavorazione delle pellicce, quale si effettua ad Alessandria ed a Torino (Rivella).

    Nell'industria del legno sono occupati più di 28.000 addetti, e cioè quasi quanti ne impiega l'industria chimica. Naturalmente si tratta di una attività frazionatissima (le unità locali sommano a 9013), ed abbastanza uniformemente distribuita, con qualche maggiore addensamento a Domodossola, Borgosesia, Borgomanero, Aosta, Cuneo, e cioè nei centri di raccolta del legname grezzo. Quanto alla fabbricazione dei mobili si nota un particolare infittirsi di esercizi nel Novarese, senza tuttavia che ne risulti una vera e propria specializzazione locale e tanto meno zonale. Tranciati e compensati si ottengono in alcune grossi stabilimenti prossimi a Torino.

    Questo panorama, tutt'altro che completo, dell'industria piemontese potrebbe terminare con qualche cenno a parecchie altre sottoclassi e categorie. Ne ricorderemo soltanto tre: quella delle lampadine elettriche, che vanta il grandioso stabilimento della « Philips » ad Alpignano ; quella della ceramica in terraglia dolce ad uso domestico, con fabbriche a Mondovì; e quella delle penne stilografiche, che dall'Abbadia di Stura (stabilimento « Aurora ») si stende a Settimo Torinese, che ne è il massimo centro. I nostri censimenti dell'industria e del commercio staccano dalle industrie manifatturiere le attività che riguardano le costruzioni e le installazioni di impianti, facendone un ramo a parte. Ramo assai importante, per il numero degli addetti (53.000), estremamente vario quanto alle categorie di professioni che comprende, ed ancora in espansione, nonostante i chiari sintomi di un rallentamento della domanda. Effettivamente la riparazione dei danni subiti dagli immobili della città durante la guerra, e il continuo afflusso di piccoli commercianti, di impiegati, di operai dalla campagna e dal Mezzogiorno, hanno dato un vistoso impulso all'attività edilizia nelle città, e particolarmente in Torino. Non per nulla nella provincia di Torino appare censito poco meno della metà degli addetti del ramo.

    L'industria del cioccolato ha uno dei suoi centri maggiori in Alba.

     

    L'accenno fatto nel corso di questo capitolo alla crescente concentrazione dimensionale e territoriale che caratterizza l'evoluzione dell'industria piemontese, e più ancora la presenza di un complesso industriale veramente gigantesco, che polarizza su di sè l'attenzione di tanti ceti di persone, non devono far dimenticare che, all'ombra del colosso e accanto ad organismi industriali veramente cospicui, vive tutta una miriade di piccoli esercizi, che, in realtà, conservano, anche sotto vesti moderne, le più spiccate caratteristiche dell'azienda artigianale. Si pensi, ad esempio, che nella stessa classe dell'industria meccanica, dove si riscontra la massima assoluta delle dimensioni, la media dei dipendenti per azienda si aggira sui 13: che nel ramo delle costruzioni e delle installazioni di impianti — comprendente insieme ai muratori, decoratori, fabbri, elettricistici, vetrai, falegnami, ecc. — la media degli addetti per esercizio non arriva a 9; che nella classe delle industrie del legno non è che di 3, e che in quella del vestiario abbigliamento e arredamento tale media scende a poco più di 2 addetti per esercizio. In sostanza, si può calcolare che un buon terzo della mano d'opera censita come industriale, in realtà, lavori in piccole ditte a carattere artigiano. Si profila così uno degli aspetti più tipici dell'industria piemontese, e cioè quello della coesistenza — e non di rado della collaborazione — di gruppi industriali aventi proporzioni grandiose, e di botteghe artigiane. Evidentemente l'eredità del passato continua ad esercitare una sua forte influenza sull'attività manifatturiera, soprattutto attraverso una domanda assai esigente in fatto di qualità. Non è qui il caso di passare in rassegna le svariatissime forme di produzioni, nelle quali continua ad affermarsi l'abilità manuale di tanti artigiani. Sarà sufficiente un accenno alle piccole case di moda, così frequenti e frequentate a Torino, e alla lavorazione delle argenterie e delle oreficerie, che hanno come centri principali rispettivamente Vercelli (una quindicina di ditte) e Valenza (un trecento esercizi).

    Come conseguenza del più volte accennato processo di concentrazione delle industrie, sono venute configurandosi entro il territorio piemontese delle zone, o meglio dei distretti, caratterizzati da un più o meno fitto addensarsi di attività industriali, che possono essere assai varie oppure specializzate. Così non viene difficile distinguere:

    un distretto ossolano, con industrie elettriche, siderurgiche (Domodossola, Villadossola) ; metallurgiche (Domodossola, Vogogna); meccaniche (Piedimulera, Pieve Vergonte); alimentari (Crodo, Bognanco); chimiche (Varzo, Pieve Vergonte);
    un distretto dei laghi (Maggiore e lago d'Orta), con industrie meccaniche (Verbania, Casale Corte Cerro, Omegna, Invorio, San Maurizio d'Opaglio); tessili (Verbania, Gravellona Toce, Omegna, Gozzano, Borgomanero, Castelletto Ticino); del legno (Verbania, Gravellona Toce, Valstrona, Quarna Sotto, Omegna, Gri-gnasco, Borgomanero); del marmo, granito, ecc. (Baveno, Mergozzo, Gravellona Toce); alimentari (Meina, Arona, Maggiora);
    un distretto novarese, con industrie meccaniche (Novara, Cameri, Galliate); tessili (Novara, Galliate, Trecate, Cesano); alimentari (Cressa, Ghemme, Varallo Pombia, Novara, Trecate, Galliate); dell'abbigliamento (Novara, Casalvolone, Trecate, Carpignano Sesia);
    un distretto vercellese, massimamente caratterizzato dall'industria risiera (Cigliano, Crescentino, Santhià, Trino Vercellese, Vercelli);
    un distretto biellese, con larghissima, quasi assoluta preminenza dell'industria tessile (Biella, Cossato, Ponzone, Pray, Trivero, Vallemosso, Borgosesia, Romagnano Sesia) ;
    un distretto valdostano, configurato soprattutto dalle industrie elettriche, estrattive (Cogne, La Thuile, Chàtillon), e metallurgiche (Aosta, Pont-Saint-Martin, Borgofranco) ;
    un distretto casalese, ugualmente caratterizzato dall'industria estrattiva (Casale, San Giorgio Monferrato, Ozzano Monferrato, Camino, Pontestura) e dalla produzione del cemento (Casale Monferrato);
    un distretto canavesano, tra la Stura di Lanzo e la Dora Baltea, con industrie estrattive (Brosso, Traversella, Balangero, Castellamonte) ; metallurgiche (Pont Canavese, Rivara, Fiano, Valperga, Rivarolo); meccaniche (Ivrea, Rivarolo, Ciriè, Settimo Torinese, Brandizzo); tessile (Ciriè, Chivasso, Cuorgnè, Noie, Mati, Caselle, Pont Canavese); cartarie (Caselle, Balangero, Mati, Germagnano); conciarie e dei pellami (Castellamonte, Chivasso, Favria, Caselle); edili (Rivarolo); chimiche (Settimo Torinese, Brandizzo);
    un distretto torinese strido sensu, con appendici nel Carmagnolese (industrie alimentari, meccaniche), nel Chierese (tessili) e nelle valli del Sangone (industrie tessili e cartarie con centri a Coazze e a Giaveno);
    un distretto valsusino, con industrie estrattive (Sant'Ambrogio, Chiusa San Michele) ; meccaniche (Condove, Susa, Bussoleno) ; tessili (Borgone, Susa, Sant'Antonino) ;
    un distretto pinerolese (vai Chisone, vai Germanasca e vai Pellice), con industrie estrattive (Porte di Malanaggio, Roreto Chisone, San Germano Chisone, Perosa Argentina, Perrero); tessili (San Germano Chisone, Luserna San Giovanni, Torre Pellice); meccaniche (Perosa Argentina); dolciarie (Pinerolo).

    Una fabbrica di argenteria ad Ivrea.

     

    Il fatto che, pur dovendosi riconoscere a città come Asti, Alba, Bra, Alessandria, Tortona, Fossano, Savigliano, Mondovi, un certo sviluppo industriale, riesca impossibile distinguere nelle province di Asti e di Alessandria e di Cuneo distretti come quelli sopra ricordati, è una ennesima riprova della frattura operatasi nella compagine produttiva del Piemonte in conseguenza della rivoluzione industriale. Ma sarebbe un errore credere che, anche là dove l'attività manifatturiera maggiormente addensa i suoi capannoni, le sue ciminiere, le sue case operaie, si ritrovi quel tipo di paesaggio grigio e squallido, che la grande industria ha creato in tante contrade dell'Europa nordoccidentale. Qui in Piemonte, la campagna non è mai, nè cancellata, nè soffocata dall'avanzare della civiltà industriale. Qualche chiazza di verde, qualche orizzonte aperto rimane sempre a dar respiro alle costruzioni delle fabbriche. E difficile immaginare un ambiente naturale spirante pace e serenità più di quello in cui pure si agita la febbrile attività del lanificio biellese. E in ogni caso lo sfondo onnipresente di nevose montagne e la ridente visione di colline morbidamente ondulate sotto un cielo brumoso solo per breve stagione dell'anno bastano a circondare fabbriche ed opifici di un'atmosfera ampia e riposante.