Vai al contenuto

Popolamento ed emigrazione

    Il popolamento e la sua evoluzione

    Le componenti razziali

    Una Puglia come crocevia di popoli, spicca dalle vicende che i secoli di storia hanno riversato su questa regione. Popoli che vi hanno fissato la propria dimora in sedimentazioni successive, e che da nord e da sud hanno qui trovato il traguardo delle proprie migrazioni. L’ospite levantino o normanno, divenuto padrone, ha lasciato traccia somatica della propria presenza in una mescolanza di caratteri, che il mendelismo, con le sue note leggi, spesso ripresenta nella sua purezza d’origine.

    Veneti e Iapigi avrebbero costituito intorno alla metà del primo millennio a. C. un ceppo etnico e unitario, interrotto nella sua continuità spaziale — da nord a sud — soprattutto dagli Etruschi.

    L’accenno ad alcuni indici antropologici è necessario per individuare meglio i caratteri razziali pugliesi in rapporto ai valori medi ed estremi dell’attuale popolazione italiana. Cominciamo dall’indice cefalico, il quale consente di definire i pugliesi come prevalentemente dolicocefali e pertanto « mediterranei ». Invero non si giunge agli indici di dolicocefalia più marcata (Sardegna), ma il Salento meridionale presenta valori, che nella stessa Sardegna assumono maggiore diffusione (da 75.0 a 76.9). Dolicocefalia meno spiccata si nota in tutto il resto della Puglia, ove però la Murgia Alta, il Tavoliere meridionale e l’area gravitante su Lésina si distinguono per una maggiore accentuazione del carattere. Mesocefalia (indice da 81.0 a 82.9) si riscontra nella Murgia Bassa e soprattutto costiera, cioè in quei luoghi più aperti alle comunicazioni ed ai contatti di popoli diversi.

    Per l’altezza del cranio, la Puglia, escluso il Salento, presenta forme intermedie; il Salento invece si distingue per ortocefalia — cranio alto — tipica delle nostre popolazioni della montagna appenninica Tosco-Emiliana e delle Marche settentrionali. Più sorprendente è che analogo carattere si riscontra lungo tutta la costa dalmata. In conclusione quindi il cranio salentino si differenzia da quello pugliese più diffuso, per una maggiore dolicocefalia accompagnata da ortocefalia, che può indurre a ritenere una maggior capacità di volume cerebrale.

    La statura media dei pugliesi si mantiene nel giusto mezzo tra i valori medi più bassi (Sardegna, sino a 154,5 cm.) e quelli medi più alti (Alto Adige, oltre 168 cm.). V’è però da notare che nell’area barese e brindisina il valore medio qualifica una popolazione alta (da 163 a 165,4 cm.), mentre la cornice orografica dell’Appennino di Capitanata rivela stature medie da 158 a 160,4 cm lievemente al disotto del normale. Come avviene in tutta l’Italia, la statura delle nuove generazioni tende ad aumentare. La statura media degli iscritti alla leva nati nel 1932, era per tutta l’Italia di cm. 167,42 e per la Puglia di cm. 164,60; dei nati del 1933 era corrispondentemente di cm. 167,46 e per la Puglia di cm. 164,67; dei nati del 1934 di cm. 167,67 e per la Puglia di cm. 164,97.

    Donne pugliesi.

    Il biondismo è quasi ignoto nel Salento (da 2,5 a 4,9% di biondi), mentre nel resto della Puglia i valori percentuali vanno dal 5 al 7,4% : rapporto esteso a tutta l’Italia centrale, e, nell’Italia settentrionale, soprattutto alla Romagna. Non si posseggono altri risultati di ricerche somatologiche per inquadrare il tipo pugliese nel complesso dell’Italia antropologica.

    Pertanto concludiamo con osservazioni « a vista ». Il pugliese ha forme somatiche abbastanza proporzionate con tendenza brachilinea; ha corporatura robusta e lieve pinguedine. Colorito della pelle bruno, con accentuata pelosità; capelli ondulati e spesso ricciuti, con presenza di scarso rutilismo. Si può notare una prevalente mesoprosopia — volto regolare — nelle Murge e nel Gargano, mentre altrove si nota una forma dolieoprosopa. Zigomi abbastanza sporgenti e mento accentuato completano il carattere fisionomico del volto pugliese, che definisce una varietà della razza Mediterranea. Rodolfo Valentino, celebre attore del cinema muto, nativo di Castellaneta, impersona nei suoi tratti gli elementi somatici migliori del tipo pugliese.

    Un tipo pugliese: Rodolfo Valentino.

    L’entità della popolazione pugliese nel tempo

    Alla data dell’ultimo censimento, svoltosi il 4 novembre 1951, la popolazione presente in Puglia era pari a 3.193.164 ab., e la popolazione residente pari a 3.220.485 unità. Tale risultato classifica la Puglia all’ottavo posto tra le regioni d’Italia, dopo, nell’ordine, la Lombardia, la Sicilia, la Campania, il Veneto, l’Emilia-Romagna, il Piemonte e il Lazio. Se invece consideriamo la popolazione delle province, notiamo che la provincia di Bari, con 1.200.547 ab. è tra quelle alla testa della nazione dopo Milano, Roma, Napoli e Torino.

    Dal censimento 1861 a quello 1951 la popolazione è aumentata del 142,8%, con un costante ritmo ascensionale, non influenzato sensibilmente da variazioni territoriali. Solo nella provincia di Foggia, nel decennio 1912-21, la popolazione subi un decremento dell’1,8%, collegato con i vuoti della prima guerra mondiale, con l’emigrazione all’estero negli anni immediatamente successivi, con forte mortalità per malaria e cachessia palustre ed infine con un accentuato disagio economico. Una catena di cause, superate ove totalmente, ove parzialmente, con la forte natalità della prolifica gente di Puglia.

    A pochi mesi dalla proclamazione del Regno d’Italia, nel 1861 la popolazione residente, o di diritto — come allora dicevasi — era in Puglia pari a 1.316.576 abitanti. La Terra di Bari aveva il primato del numero e della densità pari a 93,37 ab./kmq., seguita dalla Terra d’Otranto, e infine dalla Capitanata.

    Dieci anni dopo l’incremento della popolazione è pienamente documentato, con la cifra di 1.420.892 ab. (popolazione presente), pari ad un incremento medio annuo di 1043 abitanti.

    L’ascesa continua negli anni successivi, e al traguardo del terzo censimento del Regno d’Italia, la Puglia, con la sua popolazione residente — dicevasi allora legale — ha superato il milione e mezzo. Si era raggiunta, infatti, la bella cifra di 1.588.317 abitanti. Si osservi inoltre che l’incremento medio annuo era di 1674 ab., con un aumento di 631 ab. all’anno rispetto al decennio 1862-71.

    Venti anni dopo, nel 1901, un’altra poderosa spinta in avanti porta la popolazione pugliese residente o legale alla soglia dei due milioni (1.964.180), con un incremento medio annuo di 18.793 abitanti. E molto importante notare che nel ventennio esso è stato pari al 23%, mentre quello corrispondente, esteso a tutto il territorio nazionale risulta del 14%. La Puglia inizia cosi a distinguersi con una caratteristica propria rispetto a molte altre regioni, che in un certo qual modo segnavano il passo, non per denatalità o aumento di mortalità, ma esclusivamente per un più accentuato fenomeno migratorio.

    Nel decennio successivo 1902-1911, l’incremento assume le punte massime assolute anteriori alla prima guerra mondiale, con un aumento medio annuo di 20.732 abitanti ed il superamento dei due milioni di residenti (2.171.504). Tuttavia v’è da notare che mentre l’incremento percentuale annuo dello Stato è sostenuto su una linea ascendente di identico valore (1882-91 = 7%; 1892-01 = 7%; 1902-11 = 7%), nella Puglia tende a diminuire (1882-91 = 11,5%; 1892-01 = 11,5%; 1902-11 =10%). La spiegazione si ricava dal fatto che è proprio in questo ultimo decennio che l’emigrazione assume in Puglia gli aspetti estremi dell’esodo in massa, mentre negli anni precedenti era stata sporadica ed occasionale.

    Questo valore percentuale, ha un ulteriore abbassamento durante il decennio in cui il salasso della prima guerra mondiale snervò lo slancio demografico di tutta la nazione. La Puglia, pur avendo raggiunto i 2.340.976 residenti nel 1921 vede il suo ritmo percentuale di incremento ridursi al 7%.

    Nel 1931 la popolazione residente raggiunge i 2.703.368 ab., con un incremento medio annuo di 36.239 ab.: è l’incremento massimo sinora registrato in Puglia, che si collega con un periodo di pace, di riduzione dell’emigrazione e di incremento al ritorno in patria dei nostri emigrati. In questo periodo alcuni centri minori pugliesi registrano una sensibile diminuzione di abitanti ; ma si tratta di un fenomeno circoscritto, dovuto a cause contingenti, che hanno ingrossato quei rivoli diretti ad inurbarsi a Roma e nelle maggiori città dell’Italia settentrionale.

    Nel 1936 il progressivo aumento della popolazione pugliese subisce un arresto repentino, perchè il censimento di quell’anno registra una popolazione residente di 2.637.022 abitanti. Il pensiero ricerca un motivo del calo nella particolare situazione politica di quel periodo, essendo allora l’Italia impegnata nella guerra etiopica. Ma il censimento tiene conto, nella popolazione residente, dei militari assenti.

    Le cause sono più complesse e riguardano la depressione economica che afflisse il mondo a partire dal 1930 in poi. La crisi determina un aumento della migrazione pugliese verso Roma, ove interi rioni suburbani come il Quadraro devono la loro impostazione e l’ulteriore sviluppo ai braccianti pugliesi. Milano e Torino nello stesso periodo di tempo furono mete agognate di energie pugliesi, purtroppo nè specificamente nè tecnicamente qualificate, le quali davano un contributo notevolissimo ad un elefantiaco urbanesimo.

    Il censimento del 1951 documenta un incremento cospicuo nonostante la seconda guerra mondiale. La Puglia — come è stato detto — supera i tre milioni di abitanti.

    L’incremento medio annuo dal 1932 al 1951 è di 25.850 unità, sebbene la seconda guerra mondiale vi gravi con i suoi lutti tremendi. Ma la popolazione pugliese ripara rapidamente le ferite, che più di una volta sembravano letali per la sua stirpe, e sa riprendere con più vigore i propri destini sulla strada maestra dell’avvenire.

    È legittimo chiedersi se l’incremento della popolazione pugliese sia stato caratterizzato da eguale ritmo durante i secoli che hanno preceduto l’unità d’Italia. Purtroppo non possediamo molti elementi statistici, nè, d’altra parte, essi possono essere più attendibili di quelli che, pur recentissimi, debbono ancora accogliersi con cautela.

    A cominciare dal secolo XVI, conosciamo i risultati di censimenti effettuati a scopo fiscale, che contavano non gli individui ma le famiglie, dette fochi. La comunità era tassata in relazione al numero dei fochi. Intorno a questi rilevamenti fiscali-demogra-fìci, gli studiosi i quali si sono assunti il compito di elaborarli, hanno formulato due gravi obiezioni : l’inesattezza dei risultati ; l’entità numerica dei componenti la famiglia.

    Troppo lungo sarebbe qui riassumere le discussioni (evitabili ed inevitabili) che sono state suscitate dal rigore della ricerca statistica, e pertanto faccio solo presente una mia ottimistica, ma non semplicistica, conclusione. I rilevamenti sono abbastanza accurati trattandosi di indagini a carattere fiscale, oculatissime, specialmente in alcuni periodi di maggiore necessità di danaro. Tuttavia ammesso che i risultati rientrino in una sufficiente approssimazione, a quanti individui corrispondevano i fuochi?

    L’entità numerica della famiglia può essere variabilissima, nè è lecito giudicare con le conoscenze relative alla famiglia di oggi la famiglia di ieri. In realtà non si conoscono ricerche particolari sull’argomento e si ha la sensazione che gli studiosi di statistica, formulando simultaneamente obiezioni e conclusioni, abbiano esaminato l’argomento con linee troppo generali. Non dobbiamo sottovalutare l’enorme groviglio della questione non appena ci si addentra in casi particolari, che sono dispersivi per l’enorme diversità degli indici numerici. Ulteriore difficoltà è presentata dalle esenzioni, ovviamente non comprese nei fuochi tassati. Tali esenzioni si riferivano ai preti, ai frati, ecc., allora abbastanza numerosi, alle vedove, ai pupilli, agli storpi, ed agli inabili al lavoro, ecc.

    Comunque il rapporto fuoco-teste, che ho ritenuto di adottare anche in altri miei lavori, sulla scorta della mia esperienza e sul conforto di autori competenti, è stato pari a 5. Questo modulo è da considerarsi abbastanza buono per definire un’approssimazione per difetto.

    Prima ancora di considerare la demografia pugliese dal secolo XVI è necessario fare un passo indietro, al secolo XIII (anno 1275), quando la Puglia era stata tassata in una certa misura da corrispondersi con moneta del tempo in Once, Tari e Grani.

    Questa tassazione secondo alcuni autori non permetterebbe di risalire alla conoscenza dell’entità della popolazione. Secondo G. Pardi, invece, questa tassazione sarebbe stata basata, almeno nella massima parte dei casi, sulla cifra complessiva degli abitanti della località tassata, e ripartita poi secondo le ricchezze dei capifamiglia.

    La tassazione doveva essere stabilita per testa dall’amministrazione centrale in ragione di 12 grana a testa. Ho accolto questa opinione e l’ho riscontrata non improbabile in un mio lavoro su una regione calabrese. Per la Puglia, adottando il criterio suggerito, si ricava che nel 1265 gli abitanti dovevano essere 630.133.

    Gli abitanti della Puglia nel 1505 sarebbero stati soltanto 241.300 (48.260 fuochi), ma si sarebbero all’incirca raddoppiati di numero 40 anni dopo. Nel 1595, anno di un rilevamento di fuochi che spesso ricorderò a proposito di qualche centro abitato pugliese, secondo J. Beloch gli abitanti erano 735.101, e secondo nuovi calcoli 718.275.

    Una contrazione notevole si registra nel secolo successivo, quando nel 1669 il numero degli abitanti era calcolato pari a 515.565, secondo il solito sistema. E da ritenersi che questa contrazione sia dovuta alla grave epidemia di peste che nel 1656 flagellò terribilmente la Puglia. Ad es. nel 1648 Apricena aveva 473 fuochi, ridotti a 176 nel 1669!

    Nel secolo XVIII, la situazione demografica in Puglia è abbastanza positiva, e l’incremento testimonia quel periodo storico di tranquillità generale che si ebbe con la venuta dei Borboni, i quali, in effetti, iniziarono una monarchia nazionale. Al termine del secolo (1790) la popolazione pugliese era di 1.086.267 ab., contati per teste e non più per fuochi. La popolazione pugliese aveva superato il milione! Le vicende politiche, soprattutto, ridurranno la popolazione nel 1801 a 1.041.840 abitanti. Sessanta anni dopo, come abbiamo detto, la Puglia aveva 1.316.576 abitanti. Se facciamo eguale a 100 la popolazione del 1595 — anno di quella numerazione di fuochi che merita maggior fiducia — nel 1669 essa diventa pari a 61, ma nel 1861, a quasi due secoli di distanza, essa è pari a 171. All’ultimo censimento (anno 1951) il valore è quasi 450, con un incremento che non dà segni di stanchezza.

    Il rapporto esprime sensibilmente questa ascesa, potenziatasi in seguito all’unità d’Italia, perchè tale avvenimento ha determinato possibilità di nuovi sbocchi economici. Nonostante la sovrasaturazione demografica, almeno per il momento, non esiste se non una preoccupazione teorica di eventuale squilibrio tra bocche da sfamare e disponibilità alimentari.

    Alla base dell’incremento demografico della popolazione pugliese troviamo la natalità e l’eccedenza dei nati. Cause, queste, vigorosamente persistenti, come è dimostrato dal fatto che le constatazioni anteriori alla seconda guerra mondiale non subiscono poi oscillazioni di notevole entità.

    Infatti nel quindicennio 1925-39 l’eccedenza era del 14,9 per mille, di fronte al valore nazionale pari al 10,1 per mille: la Puglia si classificava al terzo posto, dopo la Calabria e la Basilicata. Recentemente (1958) l’eccedenza pugliese era del 14,6 per mille, di fronte al valore nazionale pari all’8,3 per mille. Si può comprendere ancor meglio il contributo demografico pugliese, ricordando che fiorenti e vigorose regioni come la Liguria (0,5 per mille) e il Piemonte (0,6 per mille), presentano praticamente una stasi demografica. In Puglia la provincia di Foggia è quella che ha la più alta eccedenza (16 per mille), seguita da quelle di Taranto (15,5 per mille), Bari (14,7 per mille), Brindisi (13,8 per mille), Lecce (12,9 per mille).

    Un riflesso immediato del fenomeno si osserva nel numero dei componenti la famiglia, che — secondo i dati del censimento 1951 — era di 4,2 in Puglia mentre la media nazionale era di 3,9. Le famiglie numerose costituiscono ancora una situazione normale, che va però gradatamente cadendo in disuso nei centri maggiori, e che influisce negativamente sulla natalità. Questa era del 35,4 per mille nel quinquennio 1925-29, del 32,4 per mille dal 1930 al 1934, del 30,9 per mille dal 1935 al 1939, mentre i corrispondenti valori nazionali risultavano del 27,2 per mille, 24,5 per mille, 23,2 per mille. Il declino continua negli anni successivi con flessione irreparabile, sino a raggiungere il 23 per mille nel 1958, da un massimo del 24,2 per mille segnalato per Foggia ad un minimo di 20,6 per mille registrato per Lecce.

    Bambini pugliesi.

    In questi valori sono comprese le nascite illegittime, che sono di scarsa entità nella nostra regione e che pertanto non inducono ad alcuna riserva nel riconfermare che è proprio il gruppo famigliare che va assottigliandosi. A riprova si osserva che il numero dei matrimoni (media annua 1925-29, 17.054 matrimoni), è in aumento, avendo raggiunto nel 1958 il cospicuo numero di 25.832 celebrazioni.

    Vedi Anche:  Usi, costumi, feste, tradizioni e dialetti

    Tuttavia un’opportuna interpretazione statistica induce a considerare l’aumento stesso come normale e proporzionale accrescimento del numero dei matrimoni in relazione all’incremento della popolazione. Infatti dal 1925 al 1939 si registrava all’incirca il 7 per mille di matrimoni all’anno; identico modulo vige dal 1950 in poi. Non è quindi che ci si sposi forse di più in senso assoluto rispetto al passato, ma soltanto in senso relativo, perchè, ripeto, è aumentata la popolazione.

    In Puglia — statisticamente parlando — si comincia a morire di meno che in altre regioni d’Italia, perchè il quoziente di mortalità, pari all’8,4 per mille nel 1958, è inferiore a quello nazionale, pari a 9,1 per mille. Molto diversa era la situazione nel secolo scorso e negli stessi anni anteriori alla seconda guerra mondiale. Nel periodo 1868-77 il quoziente di mortalità nazionale era del 29,6 per mille, mentre la Puglia registrava il 33,6 per mille, con un triste primato per Foggia ove il quoziente era del 38,2 per mille. Così elevata mortalità traeva la sua origine dall’infierire della malaria e della cachessia palustre, finalmente debellata in questi ultimi anni.

    Man mano che la situazione igienica generale va migliorando, il tasso di mortalità diminuisce: dal 20,5 per mille degli anni 1925-29, si passa nel quinquennio successivo al 17,3 per mille, e si giunge alle soglie della guerra mondiale con un tasso del 16,2 per mille. I corrispondenti valori nazionali erano del 16,6 per mille, 14,1 per mille, 13,8 per mille. Il confronto consente di rilevare che la mortalità pugliese era notevolmente accentuata, come peraltro avveniva per tutte le regioni dell’Italia meridionale. Oggi il fenomeno è esattamente opposto tra l’Italia settentrionale e l’Italia meridionale, e nel 1958 la Puglia registrava un modulo di mortalità pari all’8,4 per mille (Piemonte 11,4 per mille; Liguria 10,8 per mille; Valle d’Aosta 10,7 per mille; Lombardia 10,1 per mille), essendo quello nazionale del 9,1 per mille.

    V’è però da osservare che la vita media è più lunga e tende ad aumentare nell’Italia settentrionale (valore massimo: Liguria, anni 66,80 nel 1956), mentre ancora più breve è nell’Italia meridionale (Puglia, anni 53,69), essendo la media nazionale pari a 61,56. Il già osservato progresso pugliese consiste soprattutto nella riduzione della mortalità infantile (primo anno di vita), sensibile sebbene non progressiva. Nel periodo 1925-29 su mille nati della stessa figliazione, legittimi e illegittimi, morivano ogni anno 196,6 (nello Stato 145,3); nel periodo 1955-57 ^ modulo è sceso a 67,7 per mille (nello Stato a 49,9 per mille).

    La « Casa sollievo della sofferenza » a San Giovanni Rotondo.

    Ma sempre più evidente è la contrazione dei morti per malattie infettive e parassitarie. Dal 1925 al 1929, moriva l’i,68 per mille (nello Stato 1*1,27 Per mille); nel 1935 al 1939, l’i,04 per mille (nello Stato lo 0,7 per mille); nel 1957, lo 0,35 per mille (nello Stato lo 0,33 per mille), per una recrudescenza parassitaria nel Brindisino.

    La Puglia presenta indici di mortalità superiori ai valori medi nazionali per le malattie dell’apparato respiratorio, dell’apparato digerente e per altre malattie non comprese nei grandi gruppi di cause. Infatti le morti per tumori, per malattie della mente, del sistema nervoso, del sistema circolatorio, che altrove infieriscono più che mai, sono sistematicamente inferiori a quelle espresse dai valori medi nazionali.

    La densità e la distribuzione della popolazione

    La densità della popolazione pugliese alla data del censimento 4 novembre 1951 era di 179 ab. per kmq. così distribuita: provincia di Bari 234 ab. per kmq.; provincia di Lecce 226 ab. per kmq.; provincia di Taranto 174 ab. per kmq.; provincia di Brindisi 170 ab. per kmq.; provincia di Foggia 92 ab. per kmq. Questi risultati statistici assumono un esplicito significato, ricordando che in pari data la densità della popolazione italiana era di 157 ab. per kmq. e che pertanto la maggior parte della Puglia supera la media nazionale. I valori espressi richiedono un particolareggiato commento, che abbiamo pure trasferito al linguaggio immediato della figurazione cartografica, ove la media statistica si manifesta come risultato di addensamenti quantitativamente molto diversi e variamente distribuiti.

    Gli elementi desunti dal censimento avevano già indicato il territorio provinciale di Foggia come il meno densamente abitato. Eccolo nella carta spiccare dagli altri per la diffusa bassa densità, eccessivamente contrastata da poche aree, disperse come oasi. Si contrappone un vivace dinamismo di contrasti nelle Murge e nel Salento, che forniscono al cartogramma una plasticità visiva di notevole effetto.

    Si osserva che spesso con transizione subitanea, si passa da una zona di alta densità a zone finitime scarsamente popolate: nel contrasto è ovvia la convergenza di cause fisiche ed umane, ovunque in preponderanza alterna, ma quasi sempre strettamente complementari tra loro. La più elevata densità della popolazione pugliese si riscontra nel comune di Bari (2311 ab. per kmq.) per il gran carico che ha sul medesimo la popolazione urbana. Altri valori cospicui di densità sono quelli dei comuni di Molfetta in provincia di Bari (961), di San Cesario di Lecce (856) e di Aradèo (851) in provincia di Lecce. Questi massimi regionali non hanno riscontro egualmente sostenuto nelle altre province pugliesi, per le quali ricordiamo Monteparano in provincia di Taranto, con 677 ab. per kmq., Rodi Gargànico, in provincia di Foggia, con 414 ab. per kmq., San Pietro Vernòtico, in provincia di Brindisi con 269 ab. per kmq. Densità minime sono segnalate per i comuni di Ascoli Satriano (35 ab. per kmq.), Volturara Appula (39 ab. per kmq.) e Otranto (45 ab. per kmq.).

    Densità della popolazione. (Sulla base delle circoscrizioni comunali al censimento 1951).

    Ad esclusione di quanto si osserva nel settore meridionale della penisola del Salento (provincia di Lecce), in tutto il resto della Puglia le maggiori densità di popolazione si distribuiscono quasi sempre lungo la costa, come nel Gargano, nel litorale a sud dell’Ofanto, nell’area di gravitazione sul Mar Piccolo e sul Mar Grande.

    All’omogeneità del fenomeno tuttavia non corrisponde l’uniformità delle cause. L’indagine diretta consente infatti di rilevare che il litorale garganico ad alta densità di popolazione (Rodi Garganico, 414 ab. per kmq.) è quello irrigato da numerose sorgenti, utilizzate per una coltura di alto reddito rispetto all’unità di superficie, come quella degli agrumi. Non bisogna però dimenticare che nell’alto valore statistico, addirittura esasperato nei confronti del valore medio della provincia, espleta un ruolo di notevole importanza l’esiguità della superficie comunale. Causa quest’ultima, del tutto determinante dell’alta densità di Anzano di Puglia (superficie di 11,12 kmq.; densità di 319 ab. per kmq.), che è situato nei rilievi dell’Appennino di Capitanata, ove la densità media è persino inferiore al già basso valore espresso dalla provincia di Foggia.

    Il litorale da Margherita di Savoia (provincia di Foggia) a Monopoli (provincia di Bari), è caratterizzato da una fascia abitata ad alta densità, che va attenuandosi nell’entroterra, e che addirittura manifesta una brusca caduta di valori nel settore di confine con la Basilicata. Il fenomeno è quanto mai eloquente negli aspetti generali e particolari, in quanto deriva da una pluralità di cause simultanee d’ordine fisico ed umano, che si concretizza in altrettanti micropaesaggi geografici finitimi e contrastanti.

    Lungo la costa si succedono grossi centri abitati fervidi di una vita imperniata sulle industrie della pesca, sull’agricoltura intensiva con orti, vigneto, mandorleto e oliveto, su traffici terrestri e marittimi, sul commercio attivissimo anche con l’estero. Nell’interno invece, nelle Murge Alte, l’economia perde di volume e di ritmo, i centri abitati si rarefanno, e l’incolto produttivo utilizzato come pascolo ovino e caprino va sempre più estendendosi prendendo un netto sopravvento.

    Alte densità di popolazione si riscontrano pure nella penisola del Salento, sino al Capo, non influenzate dalla nota minuscola superficie comunale, perchè vaste aree contigue risultano con densità superiore alla media. Da Squinzano, presso il confine settentrionale della provincia, sino a Santa Maria di Leuca (comune di Patù), la densità di popolazione è sempre sostenuta e persistente, con scarse soluzioni di continuità, determinate peraltro da aree periferiche, come è il caso di Ugento.

    Nel Salento costiero l’alta densità di popolazione è solo eccezionalmente collegata con l’economia marinara, com’è dimostrato dalle aree gravitanti su Taranto, Gallipoli e Otranto. Per il resto è l’intensa coltivazione di piante industriali come il tabacco, la vite e l’olivo, che favoriscono l’alta densità per il numero e il tipo di mano d’opera che richiedono e per il reddito che determinano.

    Abbiamo già osservato che, dove manca o sia molto ridotta la pianta industriale, come nelle Murge Alte, la densità diminuisce di colpo notevolmente. Nel medio Salento ionico (da Lizzano a Nardo) e nel basso Salento adriatico (da Vèrnole a Otranto), troviamo un’ulteriore conferma alla precedente constatazione, in quanto vi si estendono ampie aree a seminativo asciutto, a seminativo arborato ma sempre asciutto, a pascolo ed incolto produttivo. Penosa è l’impressione che si ricava dalla grama fertilità dei suoli calcarei e carsificati dell’Otrantino, spesso rivestiti da macchia molto degradata, sulla quale domina di tanto in tanto qualche albero contorto dall’aridità e curvato dalla violenza del vento. Il territorio di Canosa, con la sua densità di 230 ab. per kmq., allungato com’è lungo il basso corso dell’Òfanto, costituisce un esile diaframma che definisce tutta la fascia di bassa densità di popolazione, che dal Golfo di Taranto all’Ofanto caratterizza la media Puglia occidentale (Murge Alte).

    Soprattutto morfologia e carsismo rendono repulsiva ad un denso insediamento tutta questa regione, costituita dagli spalti murgiani sfiancati da profonde gravine precipiti sulla Fossa Bradanica, e da aree pianeggianti argillose, ove la recente trasformazione fondiaria non ha ancora potuto creare condizioni d’ambiente più propizie all’addensamento della popolazione. E questa la zona piana retrostante alla falcatura costiera che si origina dal Mar Grande — e che ci riguarda sino alla foce del Bràdano — costituita dalle piane dei comuni di Massafra, Palagiano, Palagianello, Castellaneta e Ginosa. In questo settore, però, la malaria che ha imperversato per secoli come il più terribile nemico dell’uomo, è stata eliminata e un rinnovato fervore di opere è sicuro auspicio di rivalorizzazione di una terra, che fu già meta agognata di colonizzatori ellenici.

    La provincia di Foggia è qualificata dalla più bassa densità media della regione. Neppure oggi, a circa dieci anni di distanza dal censimento 1951, il quadro generale che si osserva nella carta redatta per l’illustrazione della densità, ha subito modifiche generali degne di rilievo. La situazione non è affatto immobile, ma per una sensibile variazione fisionomica del fenomeno demografico è pure necessaria l’opera lenta di lungo tempo.

    In sintesi, quindi, la popolazione pugliese si addensa lungo una fascia costiera che si impernia sulla città di Bari e che risale variamente l’altopiano delle Murge con centri abitati numerosi, in genere massicci per numero di abitanti. Zone di alto addensamento si rinvengono nel Tarantino e nel Salento centro-meridionale.

    Dei geografi che si sono interessati della Puglia, soprattutto Carmelo Colamonico ha indagato le cause che determinano una così grande varietà fenomenica. Egli ha separatamente considerato la natura geologica dei suoli, la distanza dal mare ecc., secondo i criteri in auge nella scuola del RatzJ. In realtà, pur ponendo di volta in volta in giusta luce un lato del poliedro delle cause, si rischia pericolosamente di perder di vista la convergenza dell’azione concomitante delle medesime. V’è poi da osservare che la presenza o l’assenza del mare non è così determinante come suol ritenersi in relazione al fenomeno esaminato, che risulta invece condizionato principalmente — non certo esclusivamente — dal tipo di costa portuosa o importuosa, recettiva o repulsiva.

    Basti infatti notare la scarsa densità della popolazione costiera del Salento in relazione ad una costa senza sicuri approdi (da Otranto a Santa Maria di Leuca), in genere alta e a picco sul mare a guisa di un naturale muraglione uniforme. Ove la costa è bassa è egualmente repulsiva perchè sabbiosa o orlata da lagune. Il fatto specifico ha quindi energicamente agito sulla vocazione di un popolo, che, pur adatto alle audacie del mare qui affrontate singolarmente da Taranto e da Brindisi, da Gallipoli e da Otranto, si è chiuso nelle sue terre ed è diventato quasi esclusivamente agricoltore.

    Identico fenomeno presenta la popolazione garganica, pur con maggiore omogeneità di aspetto, nel senso che popolazione costiera e popolazione interna risultano di entità all’incirca eguale. Via osserveremo meglio a proposito dei centri (la densità altera il fenomeno perchè distribuisce omogeneamente sulla superfìcie comunale una popolazione che vive accentrata), che il Gargano spinge i suoi abitanti verso le aree perimetrali, climaticamente più favorite. La foresta Umbra con tutte le sue propaggini minori, il carsismo particolarmente sviluppato nell’area alta, in evidente connessione pure con la gelività della roccia, non consentono un’ospitalità generosa. Repulsione della terra e attrazione del mare si combinano per indurre la popolazione lungo la costa; repulsione della montagna e attrazione della pianura si combinano per ubicare Ischitella e Carpino, San Marco in Lamis, Rignano Gargànico e San Giovanni Rotondo in un’area di media altimetria, quasi in bilico fra i due fattori dominanti. Non dobbiamo dimenticare che fino a pochi anni or sono, la malaria della pianura neutralizzava il beneficio economico offerto dall’abbondanza del suolo agrario.

    Panorama della costa garganica.

    Abbiamo accennato all’altimetria, che è un’altra importante causa, la quale è emersa da sè, dimostrando la concomitanza simultanea di più agenti nella determinazione del fenomeno. Invero essa è accompagnata dalla variazione del clima e del rivestimento vegetale, che sono elementi condizionanti, in forma immediata e mediata, dell’insediamento umano.

    La distribuzione altimetrica della popolazione, sempre secondo il censimento del 1951, è dell’1,5% in montagna, del 29,7% in collina e del 68,8% in pianura. Questi rapporti possono indurre nel facile errore che la montagna pugliese sia disabitata. In realtà, come abbiamo visto, la superficie montuosa è esigua e si limita soltanto alla provincia di Foggia.

    Una forte aliquota di popolazione di collina si nota per la provincia di Bari, estesa nel piano inclinato delle Murge, mentre essa è scarsa nelle province di Taranto e Brindisi, e manca totalmente nella provincia di Lecce. In conformità della plastica regionale, è la pianura che accoglie gran parte della popolazione pugliese sia che abiti nei centri, che nei nuclei e nelle case sparse.

    Queste osservazioni vanno però ulteriormente chiarite, precisando che nella popolazione di pianura è inclusa la popolazione litoranea, che, considerata con criterio geografico, dovrebbe essere invece nettamente distinta. La densità nell’area montuosa è di 186,5 ab- Per kmq.; nell’area collinare di 121,8 ab. per kmq.; nell’area di pianura è di 228,7 ab- per kmq. Con questa precisazione si conclude il nostro sguardo alla densità ed alla distribuzione della popolazione, la quale trova nella pianura e nell’osmosi economica col mare, l’ambiente più idoneo per la sua esistenza e per il suo ulteriore incremento.

    Le correnti migratorie

    La convergenza di numerose cause antropiche permanenti ed occasionali, possono determinare il fenomeno migratorio e dare al medesimo quelle variazioni di entità e di direzione, che ormai da decenni sono oggetto di accurata indagine. Ma alla base del flusso di uomini che convogliano le proprie energie verso altri paesi, esiste una causa principe: l’eccedenza dei nati. Eccedenza che, abbiamo visto, è in Puglia la pietra d’angolo del suo incremento demografico.

    A parità di superficie coltivata, a parità di produzione, di giorno in giorno aumenta in queste terre il « carico » umano. La riorganizzazione delle colture, la più equa distribuzione della proprietà, la redenzione del suolo con la bonifica integrale, l’ansiosa ricerca e il non facile accaparramento di nuovi mercati di consumo, sono tutti mezzi altamente qualificativi di un’operante giustizia sociale ed economica, ma in pratica sono mezzi inefficaci a risolvere o almeno a dimensionare il grave problema di fondo, che costringe l’uomo ad abbandonare la sua terra in cerca di altra terra.

    Gino Arias fa risalire le cause dell’emigrazione all’inversione dell’ordine delle colture « E fu colpa — egli scrive — come sempre degli uomini e dei governi. Colpa dei proprietari montani, i quali non avrebbero dovuto ripetere il vecchio errore di sottrarre al bosco, per trasformarle in terre seminabili, codeste terre, inadatte, per la loro costituzione geologica, a queste colture; errore del Governo, il quale avrebbe dovuto sino dai primi anni del Regno, provvedere con norme rigorose alla conservazione dei boschi appenninici, particolarmente meridionali, anziché lasciare, con incuria, che non sarà mai abbastanza deplorata e contro cui più volte a ragione insorgeva Francesco Nitti, che il male si accrescesse spaventosamente e diventasse, come è oggi quasi irreparabile ».

    Vedi Anche:  Storia della Puglia

    La veemenza di queste osservazioni rivela la drammaticità della situazione, ma purtroppo si tratta di un grido che si perde nell’ardua complessità del problema. La crisi degli agrumi ha indotto ad abbandonare fiorenti zone del Gargano settentrionale, mentre la decadenza dell’olivete, ovunque esso era diffuso, è stato un altro incentivo di abbandono della terra. La fillossera, che ha colpito la Puglia in una delle sue vitali linfe economiche, ha pure avuto la sua parte, addirittura preponderante, nelle Murge di Bari. Anche la diminuzione dell’emigrazione interna per minore necessità di mano d’opera determinata dall’introduzione delle macchine, ha portato ad un aumento dell’emigrazione all’estero.

    A prescindere dagli elementi affettivi, sino alla prima guerra mondiale, l’emigrazione era considerata in Italia come un necessario livellamento del carico umano sulla superficie terrestre; come un toccasana dei più ardui ed aggrovigliati problemi di economia politica. A proposito dell’emigrazione, nell’Inchiesta agraria relativa alla Puglia, si notava : « Imperocché crediamo che (le migrazioni) debbono oggidì considerarsi come valvole di sicurezza, per cui si sprigionano da un ambiente ristretto, e senza esplodere, le forze esuberanti di una classe sociale, se non sempre più sofferente delle altre, certo la più insofferente ed ardita; e giudicarsi non altrimenti che alla stregua di quegli stessi fatti, i quali confermano il fondamento delle leggi proclamate dal Malthus ».

    Comunque la Puglia, rispetto alle altre regioni d’Italia, ha partecipato in forze, molto tardi al flusso migratorio. Anzi dal 1876 sino al 1900 — come per la Liguria e le Marche — si nota uno svolgimento del fenomeno sempre molto tenue e con tendenza alla contrazione.

    Non reputo eccessiva illazione affermare per l’emigrazione pugliese almeno fino al 1900, quanto in una inchiesta era stato detto per la provincia di Foggia nel 1882: l’emigrazione fu sempre limitatissima, e quei pochi individui che si recano ogni anno all’estero col pensiero di fare ritorno in patria, non vi sono spinti né dalla miseria né da speculatori interessati, ma dalla propria volontà di tentare migliore fortuna.

    Su una media annua di 210.316 emigrati italiani in quel periodo, i pugliesi sono soltanto 2011, cioè lo 0,9%.

    Dal 1901 al 1914 l’emigrazione assume carattere di esodo sia per l’Italia — 2.473.920 emigrati — che per la Puglia — 327.306 emigrati — la quale dà un contributo del 13,2%. A questa gran massa di pugliesi in cerca di lavoro e di fortuna oltre frontiera, la provincia di Lecce ha sempre partecipato esiguamente. Nel grande esodo nazionale pugliese del 1913, su 41.837 emigranti pugliesi, soltanto 4754, erano della provincia di Lecce, che allora comprendeva tutto intero il Salento. Per circa il 60% erano invece emigranti di Terra di Bari e delle Murge, e, per il resto, emigranti della provincia di Foggia: Appennino, Tavoliere e Gargano.

    Questa precisazione si è resa necessaria per definire l’areale pugliese in cui il fenomeno è stato grave e massivo, in misura che non compare dai semplici e soli confronti statistici con altre regioni italiane.

    Dal 1915 in poi, in coincidenza con gli anni della prima guerra mondiale, l’emigrazione pugliese cade quasi totalmente. Subito dopo, il flusso riprende con maggiore vigore e nel 1920 raggiunge l’entità di circa 38.000 persone. Tale numero si contrae nell’anno successivo (soltanto 6153 emigranti), per le limitazioni imposte dagli Stati Uniti e per l’indirizzo politico seguito dal governo fascista. Durante ventun anni, dal 1919 al 1939, l’emigrazione pugliese è pari a 151.224 unità su 5.366.814 emigrati nello stesso tempo dal territorio nazionale. Si ha quindi un modulo di poco inferiore al 3%-

    Dopo la prima guerra mondiale, dal 1920 al 1925, l’emigrazione pugliese si confermò prevalentemente transoceanica (67,28% del totale). Le direttrici principali sono state: Stati Uniti (37,91%), Francia (28,99%), Argentina (24,45%). Pertanto la corrente emigratoria pugliese si è riversata soprattutto nelle due Americhe, con grande preferenza per gli Stati Uniti e per l’Argentina. Ricorderemo a tale proposito che nell’anno del grande esodo, il 1913, ben 27.113 emigranti si diressero negli Stati Uniti (circa il 72% del totale) e 7929 nell’Argentina.

    Dopo la seconda guerra mondiale, il flusso migratorio pugliese si dirige a preferenza verso il Canada, il Venezuela e gli Stati Uniti. A grande distanza, buone aliquote di assorbimento si segnalano per l’Australia e per l’Argentina, specie da quando i turbamenti economico-politici venezuelani hanno indotto i nostri emigranti a scegliere sedi con maggiore tranquillità.

    V’è da osservare che l’emigrazione ha di recente assunto una diversa fisionomia per la maggiore frequenza e velocità dei mezzi di trasporto, che consentono espatri e rimpatri nel breve ciclo di pochi mesi. Il fenomeno si verifica soprattutto quando le condizioni economiche del paese di destinazione non sembrano e non sono tali da soddisfare le esigenze di immediata realizzazione, che costituiscono uno degli stimoli maggiori del fenomeno migratorio.

    La massa che migra compatta con i suoi nuclei familiari, come è avvenuto sostanzialmente dal 1945 al 1950, è ora un caso eccezionale. Poche sono le famiglie che si trapiantano altrove e molti sono invece gli individui che si spostano in cerca di lavoro e di fortuna. Naturalmente queste osservazioni non devono indurre a supporre che il fenomeno sia trascurabile e che non abbia lasciato i suoi strascichi d’ordine geografico. Infatti molti paesi dell’Appennino, specie dei Monti dalla Daunia, risentono nell’abbandono degli edifici e dei campi il vuoto lasciato dall’emigrazione. Monteleone di Puglia è un centro che va spopolandosi in seguito ad una recente migrazione massiccia diretta verso il Canada.

    Per dar luogo alla documentazione, ricorderemo che nel 1957 sono espatriati dalla Puglia 6784 persone, ma che, nello stesso anno, sono rimpatriati 2417 persone. Come numero di espatriati e di rimpatriati la Puglia è al sesto posto tra le diciannove regioni d’Italia. Poiché è all’ottavo posto come numero di abitanti, il fenomeno migratorio vi manifesta una vivacità ed un’entità ancora superiore alla media.

    Sempre nel 1957, maggior numero di emigrati (2569) è andato nel Venezuela. E un’emigrazione in grande prevalenza maschile. Il Canada è il paese classificato al secondo posto (1390), e gli Stati Uniti al terzo posto (1193). L’Australia (604) supera un tradizionale paese di emigrazione italiana, l’Argentina (537), mentre verso il Brasile si dirige un tenue rivolo di mano d’opera (268).

    Questo quadro statistico, in sostanza, definisce le due Americhe ancora come il paese verso cui a preferenza confluisce la nostra emigrazione, forte di 2583 unità verso il Nord America e di 3391 verso il Sud America. Però questo quadro ha le sue sintomatiche variazioni, e ci riporta all’esatta valutazione del fenomeno quando si considera che dal Nord America sono rimpatriate soltanto 475 persone e dal Sud America ben 1733. Il diverso movimento caratterizza la maggiore stabilità dell’emigrazione italiana verso il Canada e gli Stati Uniti, ove si trasferiscono ancora intere famiglie.

    I recenti accordi internazionali riguardanti il Mercato Comune Europeo (M. E. C.) hanno determinato un’emigrazione periodica, basata su un contratto di lavoro, avviata soprattutto nel Belgio e nella Repubblica Federale Tedesca. I pugliesi sono utilizzati principalmente nei lavori di miniera come manovalanza generica. Mentre questa soluzione risulta vantaggiosa per l’utilizzazione del bracciantato pugliese, ha in gran parte sguarnito la campagna delle forze necessarie, determinando un’altra crisi locale.

    La grande emigrazione incontrollata di un tempo appartiene al passato. L’emigrante pugliese analfabeta e non qualificato, è un ricordo ormai lontano. Peraltro l’emigrazione richiedeva soprattutto braccia e la qualificazione professionale si acquisiva all’estero. La responsabilità di una mancata o inadeguata preparazione ricade non nella gente di Puglia, ma su quegli organi di governo che avrebbero dovuto preoccuparsi di più dell’istruzione delle masse popolari italiane, costrette a cercare altrove pane e lavoro.

    Si può indulgere alla facile retorica nel ricordare quanto i pugliesi abbian saputo fare e realizzare in terra straniera con sobrietà ed onestà di vita, non solo nell’accumu-Iare sudati risparmi, ma anche nell’acquisire benemerenze artistiche e sociali. Numerosi risultano i pugliesi, come Fiorello La Guardia, affermatisi di fronte ad altri oriundi, educati materialmente e intellettualmente su ben diverso livello.

    L’emigrazione ha avuto positivi riflessi anche in patria, sia per le rimesse di valuta pregiata, sia per il gruzzolo con cui l’emigrante rientrava e che impegnava con ben diversa mentalità dei suoi avi. Carmelo Colamonico, un pugliese che conosce la sua gente e che ha vissuto da vicino questo fenomeno, ha scritto in proposito frasi veritiere, che trascrivo per non defraudare il lettore di una documentazione insieme precisa e preziosa. « Nella Puglia l’emigrazione per l’estero ha rappresentato veramente la valvola, che l’ha liberata per molti anni dalla disoccupazione. L’esodo dei lavoratori agricoli ha migliorato le condizioni del bracciantato locale, ha aperto larghi orizzonti anche alle menti dei contadini, li ha illuminati e dirozzati, ha fortemente contribuito a formare la coscienza popolare della grande necessità dell’istruzione per lo meno elementare, ha riversato nella regione il frutto dei risparmi, formato con lo stesso spirito di sacrificio con cui il lavoratore di Puglia ha fecondato per millenni le zolle della sua terra. E nelle lontane Americhe l’agricoltore non ha dimenticato la sua regione. E ritornato in patria appena ha costituito il peculio col quale ha potuto dissodare il pezzo di terra incolto, o riscattare il canone per un fondo tenuto ad enfiteusi, o migliorare con colture arboree lo sterile terreno ottenuto per quotazione tra i poveri. Trasformazioni agricole prodigiose sono state compiute in Puglia con l’impiego di piccoli capitali di provenienza americana; il più forte impulso all’opera di popolamento delle campagne è dovuto, come s’è visto, nella Murgia dei Trulli, all’influenza di questo fattore.

    «Il pugliese, peraltro — sia contadino che artigiano — non ha perduto fuori d’Italia le spiccate qualità di laboriosità e di buon senso, di tenacia e di frugalità, che gli derivano per virtù di razza. La vita all’estero costituisce per lui, più che per i lavoratori delle altre regioni d’Italia, non un mezzo per fare come che sia fortuna, ma una scuola di fatica e di stenti, attraverso la quale si affina ancor di più il suo spirito, si acuisce l’intelligenza e si tempra il carattere. Da un lato, quindi, la Puglia partecipa, con l’emigrazione, di tutti i vantaggi che questa ha apportati e apporta anche oggi alle rimanenti regioni d’Italia; dall’altro lato, per i limiti generalmente modesti del fenomeno e per la virtù della sua gente, la Puglia non lamenta il maggior numero degli inconvenienti che per l’emigrazione si sono lamentati in altre contrade del Regno, dalla forte riduzione della popolazione al rilassamento dei vincoli famigliari, dalla più larga diffusione di malattie al minor attaccamento al lavoro ».

    Le migrazioni interne a carattere permanente, costituiscono un altro notevole aspetto del movimento della popolazione pugliese. Specialmente durante il periodo fascista, quando l’emigrazione con l’estero era fortemente ostacolata, le masse pugliesi si riversarono nelle grandi città italiane, formando talvolta grossi sobborghi periferici. Si è trattato in genere di braccianti, che trovavano lavoro di manovalanza, in coincidenza della grande attività edilizia sviluppata in Italia tra la prima e la seconda guerra mondiale. Minore, ma più caratteristica, l’emigrazione interna artigiana, di sarti e di barbieri.

    Diamo la parola alle cifre, ed osserviamo in proposito i risultati del censimento 1951, i quali dicono che il maggior numero di Pugliesi era in Lombardia (59.912), ove costituivano il più forte raggruppamento dopo i Veneti, gli Emiliani e i Piemontesi. All’incirca un eguale contingente (57.088) figura nel Lazio, mentre nel Piemonte, il quale come regione ospitante è al terzo posto in Italia, i Pugliesi erano 30.254.

    Dopo tale anno si nota che il movimento migratorio è diretto in prevalenza verso la Lombardia (7501 iscrizioni anagrafiche nel 1956) e verso il Piemonte (7119 nello stesso anno). E un flusso che si convoglia in direzione delle regioni più industriali d’Italia, con reddito più elevato e dove queste giovani energie, tecnicamente educate, danno in genere risultati molto soddisfacenti. Si nota in questi ultimi tempi una corrente migratoria che da Bovino raggiunge la zona industriale di Prato, in Toscana.

    Scarse sono attualmente le migrazioni permanenti nell’ambito della stessa regione. Un fenomeno comune un po’ ovunque in Italia è determinato dall’inurbamento delle popolazioni della campagna. In Puglia questo movimento — oserei dire questa osmosi demografica attraverso i diaframmi amministrativi — è molto tenue, perchè la popolazione è praticamente già « inurbata » nei piccoli o grossi centri. I trasferimenti sono sempre collegati a motivi di comodità e di lavoro, ma risultano ben contenuti nell’ambito delle province e dell’intera regione.

    Spostamenti di una certa entità si manifestano per i due centri garganici di San Marco in Lamis e di Monte Sant’Angelo; nel primo caso lo spostamento della popolazione va dal basso verso l’alto; nel secondo caso va dall’alto verso il basso. San Marco in Lamis è un abitato ristretto nella parte più depressa di un bacino carsico, in condizioni di disagio e di scarsa salubrità, specialmente quando la tubercolosi polmonare era inguaribile. Un gruppo di abitanti ha preferito trasferirsi a Borgo Celano ora Villaggio San Matteo in posizione aperta a mezzogiorno, presso l’innesto della strada da Foggia con la strada San Marco-San Giovanni Rotondo. La popolazione si è pertanto man mano trasferita da una località sita a m. 550 s. m. in altra a m. 700 sul mare. Il Villaggio San Matteo conta oggi (censimento 1951) 412 ab., e la prima pietra fu benedetta il 6 aprile 1908.

    Il disagio economicamente grave in cui versa la popolazione di Monte Sant’Angelo, ha indotto gran parte della medesima a stabilirsi a Manfredonia, a pochi chilometri di distanza, ma scendendo da circa m. 800 s. m. all’incirca al livello del mare. Questo fenomeno di spopolamento della montagna, da me già segnalato nel 1937, ha un suo tipico aspetto di decongestione di un centro sovraffollato di montagna, nel quale la situazione economica ha assunto caratteri critici di saturazione. Tale fenomeno è ancora più evidente perchè i montanari — così si chiamano gli abitanti di Monte Sant’Angelo — hanno costruito un quartiere proprio alla periferia orientale di Manfredonia, denominato Monticchio. V’è da notare che tale massa di popolazione crea un problema economico e sociale molto preoccupante.

    Una migrazione permanente va assumendo consistenza anche nella Puglia meridionale, ove dal Salento numerose famiglie contadine si trasferiscono nella piana di Metaponto, al di qua (provincia di Taranto) e al di là del Bràdano (provincia di Matera), ove è stata introdotta la coltura del tabacco.

    Le migrazioni temporanee che interessano la Puglia, riguardano ancora lo sverno delle greggi, effettuato dall’Abruzzo e dal Molise con autotreni, provvisti di apposite gabbie a tre piani. Le zone di maggiore affluenza sono ormai limitate al Gargano settentrionale da Lésina a Cagnano Varano e al Tavoliere, nei soli riposi in rotazione agraria.

    Sempre meno consistente è l’affluenza dei braccianti nel Tavoliere per i lavori della semina e della mietitura, ormai affidati alle macchine. Il frazionamento della proprietà e l’insediamento del contadino nella campagna, tendono ad eliminare la necessità di mano d’opera, in genere proveniente dalla montagna. In altri tempi il fenomeno aveva altra importanza. Ad es. nel maggio-luglio del 1905 scesero nel Tavoliere circa 90.000 rurali, e nel 1911 circa 50.000!

    All’opposto, soprattutto dal Salento verso le campagne del Materano, migrarono nello stesso anno 1911, 25.000 persone per i lavori della mietitura.

    Tutto questo traffico — come è stato detto — risulta estremamente ridotto. Mancano poi le migrazioni caratteristiche di gruppi che si trasferiscono provvisoriamente ad esercitare determinati mestieri, come stagnini, vetrai, ecc., mentre vanno sviluppandosi movimenti di contadini che diffondono specifiche colture.

    Un fenomeno più importante del genere è collegato con la redenzione del Meta-pontino, e l’introduzione della tabacchicoltura. Gli emigranti portano con sè le famiglie nel mese di aprile e ripartono nel mese di ottobre. Appositi alloggiamenti provvisori, ove tutti i servizi sono in comune e le famiglie dispongono di una sola stanza, ospitano centinaia di persone, le quali vivono un periodo di intensa fatica e, purtroppo, di non adeguato guadagno. Questo tipo di emigrazione periodica apre la via all’emigrazione permanente, che ha nel Metapontino prospettive abbastanza buone quando la redenzione dei terreni sarà condotta a compimento.

    Vedi Anche:  Territori e rilievi

    Da pochi anni ha assunto cospicua consistenza la migrazione temporanea di mondariso pugliesi che si recano nel Vercellese. Durante il mese di maggio, Foggia è il centro di raccolta di manodopera così caratteristica.

    La composizione della popolazione. Condizioni sociali e culturali

    La ancora sostenuta natalità pugliese determina nell’ambito della popolazione regionale una prevalenza di forze giovanili. Infatti si ricava dal censimento del 1951, che la popolazione da zero a 14 anni (985.708 unità) rappresenta il 30,6% della totale. Questo valore (che in Calabria è pari a 36,8%), assume una portata di carattere nazionale, quando si confronti con altri, pur sostenuti, dell’Italia settentrionale — Veneto 25,8% — o eccezionalmente esigui, come si registrano per la Liguria (16,9%) e per il Piemonte (18,1%). La presenza simultanea di questa differenza tende ad essere equilibrata mediante le correnti di migrazione interna permanente, che risalgono la Penisola dal sud al nord.

    L’emigrazione insieme con la minore durata della vita media rispetto a quella delle regioni settentrionali, fan sì che la popolazione di età matura, da 45 a 65 anni, sia soltanto il 15,8% della totale, mentre nel Piemonte costituisce il 26,5% e nel Veneto il 21,3%. Non si riscontrano ampie oscillazioni tra i valori provinciali, ove il minimo è indicato da Taranto (14,1%), e il massimo da Lecce (16,3%). Si può intrav-vedere in questo divario un riflesso della minore emigrazione leccese; ma si tratta di sfumature, che risultano da una complessità di fenomeni sui quali non si ritiene indugiare.

    L’entità numerica nei due sessi tende all’equilibrio; infatti i maschi sono il 49.3% della popolazione totale e le donne il 50,7%. Si attenua in Puglia quel divario che è più forte tra gli indici nazionali, i quali attribuiscono il 48,1% agli uomini e il 51,9% alle donne.

    Come avviene per tutta l’Italia, nella popolazione considerata sino a sei anni di età, anche nella Puglia il numero dei maschi è superiore a quello delle femmine.

    In Italia, sempre secondo il censimento del 1951, gli uni erano 2.671.006, e le altre, 2.543.896; i corrispondenti valori pugliesi erano 239.142 e 227.466. La situazione con l’aumentare dell’età va poi assumendo forme di equilibrio, ed infine si capovolge con un netto prevalere delle donne per minore quoziente di mortalità.

    La famiglia numerosa è ancora una tipica prerogativa pugliese. Se consideriamo la composizione media della famiglia e dei membri aggregati, il valore medio pugliese è eguale a quello nazionale (4,2), riferito al censimento 1951. Se invece consideriamo soltanto coniugi e figli, il valore medio pugliese (4,8) supera quello nazionale (4,3). Per un opportuno riferimento si tenga presente che il valore medio dello stesso tipo di famiglia piemontese è pari a 3,7.

    La famiglia media pugliese in un’indagine più particolareggiata presenta le seguenti distribuzioni percentuali: famiglia con due membri, 18,4%; con tre, 18%; con quattro 17,3%; con cinque, 15,4%; con sei, 12,2%; con sette, 8,6%; con otto, 5,2%; con nove, 2,8%; con dieci ed oltre, 2,1%.

    Le condizioni economiche della famiglia contadina pugliese, sono espresse dal fatto che 1*85% all’incirca delle calorie consumate derivano da cereali, legumi e patate e che per le stesse si impiega il 60% delle spese destinate all’alimentazione. Giovanni La Sorsa, che ha svolto interessanti indagini sui bilanci delle famiglie contadine di Puglia e di Lucania, osserva che la constatazione anzidetta attesta chiaramente la particolare povertà dell’economia familiare pugliese, che usufruisce di principi nutritivi meno nobili ed i quali tuttavia determinano un’alta spesa proporzionale. Stabilito pari a 100 il potere calorico medio nazionale per abitante derivato dalla nutrizione, il Pugliese ne ha assunto l’89,2% nel periodo 1951-53, e il 91,2% includendovi le bevande alcooliche (vino). Il fenomeno della sottonutrizione o della cosiddetta fame specifica, si rileva inoltre dal fatto che i protidi consumati hanno origine prevalente dai legumi, conosciuti come la « carne dei poveri », mentre quelli derivati dal latte e dalla carne sono ancora in quantità del tutto insufficiente.

    Il reddito complessivo medio annuo prò capite, calcolato nel 1958 di 139.939 lire, è espressivo dell’ambiente meridionale, scarsamente industrializzato. Un semplice confronto con il reddito di una regione settentrionale, ad es., il Piemonte (360.170 lire), definisce due aspetti radicalmente distinti. Si spiega in tal modo, fra tanti fenomeni che ne derivano, la corrente migratoria sempre attiva ed intensa che dalla Puglia si indirizza verso il Settentrione.

    Però bisogna aggiungere che il costo della vita, che per lo Stato ha l’indice generale di 66,93 (anno 1958; anno 1938 = 1), è a Bari 63,81, mentre a Torino risulta essere 67,23 e a Genova 72,82: il più elevato indice d’Italia. La differenza è di pochi punti, ma attenua il concetto del livello del valore di vita medio, che scaturisce esclusivamente dal valore del reddito.

    L’impiego dell’energia elettrica è un buon elemento di giudizio per qualificare le condizioni economiche di una regione. Del complesso dell’energia disponibile in tutto lo Stato, il 49% è utilizzato per illuminazione il 51% per altri usi. Nel Piemonte il 39% è utilizzato per illuminazione e il 61% per altri usi, che, come è noto, sono prevalentemente industriali. In Puglia il 52% è utilizzato per l’illuminazione. Il Piemonte utilizza il 15% dell’energia elettrica italiana; la Puglia l’i,7%.

    La Puglia è al nono posto tra le regioni d’Italia per gli abbonati alla radio. La media italiana è di un abbonamento per ogni otto persone; la Puglia ha un abbonamento per ogni undici persone.

    La provincia di Bari ha il maggior numero complessivo di abbonati e il rapporto medio ad abbonato è pari a 9. La provincia di Foggia è al secondo posto come numero assoluto di utenti, ma passa al terzo nel rapporto anzidetto, che appare di 1 abbonato rispetto a 12 persone. Invece la provincia di Taranto, con il rapporto di 1 a 11, denunzia rispetto a Foggia una maggiore diffusione della radio tra i suoi abitanti. Brindisi e Lecce hanno rapporti rispettivi di 14 e 15, dimostrando una generale capacità di acquisto più limitata.

    Per la televisione in tutta l’Italia si calcola un abbonato ogni 46 abitanti; la Puglia ha un abbonato per ogni 88 abitanti. La provincia di Taranto è al primo posto tra quelle pugliesi, per il rapporto considerato, che è pari a 1/62 ab.; Bari è 1/72; Foggia 1/96; Brindisi 1/109; Lecce 1/192.

    La spesa media nazionale per abitante per spettacoli (teatro, cinematografo, trattenimenti vari) e manifestazioni sportive è di lire 2987 all’anno. Tra le regioni d’Italia, al primo posto figura la Liguria, ove — statisticamente parlando — ogni abitante ha speso nel 1958, 5843 lire; la Puglia è al dodicesimo posto con un indice medio di lire 1946, che supera quello della Campania, pari a lire 1928. Su tale indice incide soprattutto la spesa per il cinematografo (indice medio nazionale lire 2204), che è in Puglia di lire 1633. Rimane pertanto invariata l’anzidetta classifica, che pone la Puglia in testa a tutte le regioni meridionali della Penisola (Campania lire 1577).

    Queste spese, che si riferiscono a frequentatori di spettacoli e le quali esulano dai limiti del materialmente indispensabile (ma che speriamo possano essere di gran lunga superate entro brevissimo tempo, come indice effettivo di un superiore tenore di vita della popolazione pugliese), sembrano a prima vista contrastare con le basse retribuzioni in uso e con la dilagante disoccupazione bracciantile.

    Il salario giornaliero lordo di un bracciante avventizio (categoria uomini) non raggiunge le iooo lire nelle province di Foggia, Bari e Taranto. Le supera di poco (ma il netto è quasi sempre inferiore) nelle province di Brindisi e di Lecce, ove si richiede una qualificata esperienza, specie per il tabacco. Anche nel settore industriale, che a prescindere da quello edile, ha scarsa incidenza, le retribuzioni sono sistematicamente comprese tra quelle più basse (zone salariali da Vili B a IX).

    Il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale ha rilevato, che nel 1958, all’incirca un decimo dei quasi due milioni di disoccupati (1.954.471) apparteneva alla Puglia, preceduta nell’ordine dall’Emilia-Romagna, Campania e Sicilia. Il massimo di disoccupazione è nella provincia di Lecce, che con i suoi 80.894 disoccupati è al terzo posto in Italia, dopo la provincia di Napoli (maschi, 89.270 -j- femmine 39.512 = 128.782) e di Ferrara (maschi, 38.055 + femmine 55.562 = 93.617). Si noti la differenza per sesso tra i disoccupati di Napoli e di Ferrara; Lecce presenta un fenomeno identico a quello di Ferrara, perchè i maschi disoccupati sono 29.671 e le donne 51.223.

    La piscina di Noci

    Le disoccupate della provincia di Lecce — quella provincia ove gli utenti della radio, ecc. costituiscono l’indice minimo pugliese — sono le tabacchine. Massiccio e più preoccupante è il numero dei maschi disoccupati, destinato ad aumentare, perchè gli abitanti del Salento non emigrano facilmente se non costretti da necessità vitali.

    L’abitazione è un altro fondamentale elemento qualificativo delle condizioni sociali del nostro popolo, che alla data del 4 novembre 1951, disponeva di quasi 0,8 stanze a testa. Questo indice è stato di poco migliorato alla data del 31 dicembre 1958, perchè, pure essendo aumentato il numero delle stanze di ben 5.578.853 unità, la popolazione si è simultaneamente accresciuta di 2.755.128 abitanti.

    In Puglia, nel 1951, si disponeva di 0,5 stanze a testa, e nel 1958, di 0,6. Il miglioramento si effettua con un ritmo superiore a quello nazionale, specialmente nei capoluoghi di provincia. Bisogna riconoscere ai Baresi un’intraprendenza ed un’attività edilizia sorprendente: la città di Bari, da alcuni anni è un sonante cantiere. Dal 1951 al 1958 sono state costruite 14.983 stanze, e la disponibilità attuale è di 2,5 stanze a testa.

    Purtroppo la Puglia ha ancora un numero eccezionale di abitazioni sfornite di qualsiasi servizio: esse sono 3209. Tale cifra è superata dalla Sicilia, Calabria, Campania, Sardegna e Lazio. Pure numerose risultano le abitazioni sfornite di acqua potabile e latrina. Questa primitività ancora esistente in Puglia, riflette una condizione sociale che deve essere ovviamente sradicata, specie nelle città maggiori, ma ha pure radici di abitudine e di tradizione non rapidamente sormontabili, come sarà meglio chiarito in seguito.

    V’è di peggio: la popolazione troglodita. Le grotte occupate, rispetto alle altre abitazioni, costituiscono il 6,91% nella provincia di Taranto, il 3,25% in quella di Foggia; il 3 >23% in quella di Bari; lo 0,97% in quella di Brindisi e lo 0,59% in quella di Lecce. La percentuale nello Stato è pari 1,72%.

    L’alto valore percentuale notato nella provincia di Taranto è influenzato dal 27,77% che è stato rilevato a Martina Franca, superiore persino a quello molto noto, della città di Matera con i suoi Sassi (23,42%). Il comune di Foggia si distingue con l’i 1,21%, e quello di Bari con il 10,73%.

    Gli analfabeti pugliesi, dalla data dell’ultimo censimento (1951), erano 661.922: in minor numero dei Siciliani e dei Campani, ma in maggior numero rispetto ad ogni altra regione. Questa piaga va fortunatamente estinguendosi, purtroppo con lentezza esasperante, perchè molti analfabeti non sono più recuperabili, altri non sono facilmente reperibili. L’istruzione elementare non è ancora così capillare come dovrebbe e lascia molto a desiderare l’edilizia scolastica, che pure ha la sua gran parte nella formazione psichica e intellettuale dei ragazzi.

    Scarse le scuole professionali sebbene siano in Puglia sette Istituti Tecnici Agrari, più che in ogni altra regione d’Italia. Comunque la situazione va migliorando con la maggior affluenza della popolazione scolastica nei rami tecnici, mentre l’aspirazione quasi esclusiva sino a pochi anni or sono era di seguire l’istruzione classica. Per comprendere meglio l’indirizzo culturale prevalente nell’istruzione media e superiore, ricorderemo che il Piemonte ha (anno 1956) per l’insegnamento tecnico e professionale 121 scuole, tra statali e non statali, con 25.173 iscritti, e che la Puglia ha 49 scuole con 18.398 iscritti. Per l’insegnamento scientifico classico e magistrale il Piemonte ha 103 scuole con 15.621 iscritti, e la Puglia 81 scuole con 23.360 iscritti.

    Il Palazzo Ateneo sede di alcune Facoltà dell’Università di Bari.

    Non vale insistere sulla statistica con quozienti e percentuali essendo molto chiaro l’orientamento culturale e professionale dei due ambienti regionali che consideriamo, ciascuno altamente qualificativo per esprimere il Nord e il Sud.

    In sede universitaria, la specializzazione si attenua per la graduale introduzione delle Facoltà tecniche nell’Università di Bari, istituita nel 1925. A Lecce, nel 1960 è stata riconosciuta dallo Stato l’Università Salentina, formata dalla Facoltà di Lettere e Filosofia e dalla Facoltà di Magistero. Studenti pugliesi frequentano le università di Napoli (Legge), Roma (Lettere), Bologna (Medicina), Torino (Ingegneria), ove i laureati seguono corsi di specializzazione. L’Università di Bari è frequentata pure da Abruzzesi, Lucani e Calabresi. Numerosi sono gli studenti greci e laureati che vengono dalla Grecia per frequentare corsi di perfezionamento.

    Il Pugliese manifesta una sensibile attiva partecipazione alla vita politica, nella quale fonde con certo equilibrio le istanze spirituali e le forti pressioni economiche, esaltate nel paese da un’attività agricola che ha componenti negative di base, a cominciare dal suolo e dal clima. L’affluenza alle votazioni è notevole, ed i risultati finora ottenuti esprimono un cospicuo centrismo; massicio tuttavia si manifesta lo schieramento dei partiti di sinistra. La religione cattolica, che ha in Puglia tradizioni nobilissime specie per la graduale sostituzione al rito greco, è professata dalla quasi totalità della popolazione. La Puglia fa parte della regione conciliare: Puglia, Salernitano e Lucania, Calabria; la Chiesa vi è retta da 36 vescovi e le parrocchie sono 610.

    Altri gruppi confessionali sono di entità trascurabile. Gli Ebrei, già molto diffusi, non costituiscono gruppi numerosi.

    La Casa dello studente a Bari.

    Dopo la Campania, a distanza di poche unità, la Puglia è la regione ove si riscontra il maggior numero di minorenni denunciati. Questa grave situazione, riflette un disagio economico-sociale che colpisce alla radice le nuove generazioni pugliesi, ed è l’aspetto più preoccupante della criminalità locale. Per i delitti preveduti dal codice penale e dalle leggi commerciali, la Puglia non ha posizioni di rilievo nell’Italia meridionale. Il numero degli omicidi volontari è di gran lunga inferiore a quelli consumati in Sicilia, Calabria, Campania e Sardegna. Dei trantadue omicidi volontari denunciati nel 1958, cinque sono stati consumati da minorenni, che hanno purtroppo al loro attivo, nello stesso anno, altri cinque omicidi colposi. Alto pure il numero delle lesioni volontarie e colpose attribuito a minorenni.

    Su questa triste pagina pugliese di delinquenza minorile, incidono le condizioni di progressivo aggravato disagio economico e di scarsa efficacia di quelle istituzioni che dovrebbero aver cura maggiore, materiale e spirituale, dei fanciulli sin dalla più tenera età. Anche se il numero dei minori denunziati, in un confronto con le regioni dell’Italia settentrionale, va dimensionato sulla base della sola popolazione giovanile che è di gran lunga superiore nell’Italia meridionale, il problema non è meno grave e coinvolge tutta intera la nostra responsabilità.

    E a questo punto che si deve parlare delle scuole di grado preparatorio (giardini d’infanzia e simili), che in Italia sono 16.101 per 1.072.233 frequentanti, cioè una scuola per 66 alunni. Nel Piemonte si ha una scuola ogni 40 alunni, e in Puglia, una scuola ogni 124 alunni!

    Diremmo anche noi: «colpa del Governo! », se non conoscessimo quanto in altre regioni l’iniziativa privata ha fatto per la scuola materna, preoccupandosi giustamente di educare l’uomo sin dalla più tenera età. Non possiamo tuttavia ignorare che molte iniziative di zelanti parroci e di ottimi cittadini pugliesi hanno trovato ostacoli finanziari e indifferenza insormontabili, proprio in questa regione che più di ogni altra ha bisogno urgente di provvedere a sottrarre i bimbi al cattivo esempio ed alle cattive occasioni che offre la strada.