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Usi, costumi, feste, tradizioni e dialetti

    Voci e figure della vita regionale

    Il dialetto e la musa vernacola

    La lingua madre è la lingua del cuore e non potremo aver mai cognizione completa di un popolo se non conosciamo il mezzo di immediata espressione dei suoi sentimenti.

    E dal secolo X che abbiamo la prima documentazione del dialetto pugliese, con vive scaturigini dal latino volgare. Nonostante tutti gli sforzi bizantini per sottrarre all’occidente l’Italia meridionale, la stirpe, permeata di latinità, oppone i suoi parlari derivati dalla grande opera politica di Roma. La voce del popolo dalle piazze giunge sino al trono con quella dinastia che ci ostiniamo a chiamare sveva, la quale però, con Federico II è una dinastia di civiltà latina dalla base al vertice, nella sostanza e nella forma. Questa dinastia itinerante, sensibile alle arti belle, alla poesia e alla letteratura in genere, diffuse in Italia molte parole del vernacolo pugliese, che ebbe notevole influenza nello stesso volgare toscano. Per questo tramite il dialetto pugliese diede un suo cospicuo contributo lessicale alla bella lingua d’Italia, attingendo da parte sua al patrimonio linguistico di altre regioni.

    Il dialetto pugliese fa parte dei dialetti centro-meridionali caratterizzati, ad es., dall’assimilazione di nd in nn (quando —> quanne), e di mb in mm (gambe —> gamme). Il Salento centrale mantiene invece i suoni italiani, o meglio fiorentini: chi può dimenticare che Lecce è stata definita la Firenze della Puglia?

    Un esito generale è quello di più diventato chjù. Analogamente si confrontino i due verbi : piove —> chjove. Ma esistono differenze ben chiare tra il dialetto della Puglia settentrionale e centrale, e il dialetto della Puglia meridionale, che coincide con il Salento. In relazione al vocalismo osserviamo che le vocali finali atone dal Fortore all’istmo salentino vanno affievolendosi fino ad estinguersi in vocali mute. Nel Salento invece le vocali finali hanno esiti diversi e sempre ben marcati. La frase: «quando so stare zitto », si esprime in dialetto foggiano « quann(e) sacc(e) star(e) citt(e) », e in dialetto leccese « quandu sacchi stare cittu ». A Lecce queste c hanno poi una lieve aspirazione.

    Vecchi costumi meridionali.

    Il confine tra il dialetto settentrionale e quello meridionale impostato sul vocalismo distinto e indistinto, cade fra Ostuni, Ceglie e Taranto a nord e Grottaglie, Francavilla e Brindisi a sud (Clemente Merlo). Inoltre il dialetto salentino ha numerosi altri elementi di differenziazione che lo avvicinano ai dialetti siciliani e calabresi, dove i e ù accentati in latino diventano i e u, come si desume dalle parole pilu (pelo) e jugo (giogo). In identica posizione è diventa i:tila (tela), ò diventa u: spuso (sposo), secondo alcuni esempi portati da Giulio Bertoni. Spusu è invece spose nella Puglia centro-settentrionale.

    Gli alloglotti pugliesi sono in numero molto limitato, nonostante le alterne vicende determinate da invasioni di popoli tanto diversi. Cominciando da settentrione ricordiamo il franco-provenzale parlato a Faeto e a Celle San Vito, mentre tracce persistenti si riscontrano a Volturara Appula e a Monteleone di Puglia.

    I dialetti albanesi fan la loro comparsa in provincia di Foggia a Chièuti, San Paolo di Civitate, Casalnuovo Monterotaro, Casalvecchio di Puglia, Castelluccio dei Sauri,

    Panni. L’Albania salentina, in provincia di Taranto, non conserva più il suo dialetto a San Giorgio Ionico, Roccaforzata, Faggiano, Monteparano. Tracce persistono a San Marzano.

    Nella « Grecia » salentina si parlano dialetti introdotti durante il periodo bizantino, o — come afferma il Rohlfs — ivi persistenti sin dall’antichità classica. I centri principali sono Calimera, Martignano, Sternatìa, Zollino, Martano, Castri-gnano, Corigliano, Soleto, Melpignano.

    L’individuo e la collettività

    Seguiamo l’uomo nella sua vita singola e nei suoi rapporti con la collettività, nella quale egli si inserisce condividendone ogni tradizione.

    Quando nasce è vestito di celeste se è maschio e di rosa se è femmina. Si preferisce un maschio; se è una bambina… si fa festa lo stesso, a meno che non sia nata di martedì, di venerdì e il diciassette del mese. La scelta del compare ricade a preferenza sul « compare d’anello ». Mentre il battesimo si compie entro i primi quindici giorni di vita, la cresima si celebra anche simultaneamente al matrimonio (Foggia e provincia).

    Centri esistenti dell’Albania salentina (Carosino) e della Grecia salentina (Calimera). Nei centri sottolineati si parla ancora il dialetto originario.

    Se manca la scuola materna — come nella maggior parte dei casi — signorine di una certa età accolgono nella propria dimora ragazzi e ragazze ed hanno cura di loro, anche per tutta la giornata. Si cantano filastrocche, si propongono indovinelli, si concertano giochi, si apprende qualche nozione religiosa in forma rimata per aiutare la memoria.

    Il lavoro porta i ragazzi in campagna non appena è possibile utilizzarli.

    Allora il giovane si alza all’alba (questo oggi non accade più) va nella ex piazza Sant’Anna (a Foggia) o va nella piazza di San Giuseppe (Monte Sant’Angelo), o nella piazza principale di qualsiasi altro centro abitato pugliese, a prumett, a contrattare cioè il suo eventuale ingaggio per la giornata o per la settimana. In taluni centri maggiori la massa dei braccianti si suddivide in più piazze. Ad es. ad Andria i braccianti rurali i quali vogliono prestare la propria opera in quella parte del territorio che va verso Trani, si riuniscono a piazza Porta Castello; per il territorio verso Barletta si riuniscono a piazza Municipio; per il territorio verso Canosa e Minervino Murge si riuniscono a piazza Porta La Barra. Il sabato sera e la domenica i braccianti rurali accorrono anche a piazza Catuma, la quale però è destinata principalmente al prelievo di muratori, fabbri, falegnami, ecc. E questa la piazza degli artigiani

    Puglia che se ne va: il banditore

     

    Se il giovane diventa pastore apprenderà quanto compete al suo mestiere, e man mano diventerà esperto di mungitura, saprà preparare il presame, confezionerà il formaggio. Se dedica la sua attività al vigneto, apprenderà a zappettarlo, potarlo, ecc. e diventerà esperto enologo; se attenderà alla cura dell’oliveta, apprenderà come si propagano gli olivastri, come si potano, come il frutto può essere meglio o totalmente utilizzato.

    Pure la donna espleta in campagna lavori pesanti, portandovi una nota di silenziosa abnegazione e di intelligente remissività. Qui più che altrove, essa manifesta la sua funzione di compagna dell’uomo, condividendone la fatica, e indulgendo a canti d’amore o di dispetto, che ingentiliscono la durezza del lavoro. La mietitura, la vendemmia, la brucatura a mano delle olive, sono tutte buone occasioni per le forosette per gareggiare con l’uomo in piena vivacità.

    Vedi Anche:  Popolamento ed emigrazione

    A Taranto, nel Mar Piccolo

    Le ragazze che stanno a casa, oltre che preoccuparsi del desinare, attendono a tessere il proprio corredo nel telaio orizzontale interamente di legno. Il merletto viene lavorato col tombolo oppure con l’uncinetto.

    La lavorazione dei giunchi per fare i « fiscoli » è pure femminile, ed impegna un periodo lavorativo che va da giungo a dicembre. Le donne sono impegnate pure in una parte della lavorazione delle funi. I funai di Monte Sant’Angelo sono molto noti in Puglia, in Campania e in Abruzzo ed hanno un gergo speciale riguardante il proprio lavoro.

    Siamo ormai all’età dei balli, delle serenate e dell’amore. Taranto e la tarantella non hanno forse quello stretto legame voluto dai nomi, ma è certo che la tarantella è il ballo pugliese tradizionale, in cui la persona balla, suona il tamburello o schiocca le dita a ritmo e canta simultaneamente. Un ballo di completa estrinsecazione estetica, vivacissimo sino alla frenesia.

    Carri del Tavoliere

    Udiamo come dalla viva voce del popolo si esprime l’amore. Durante i lavori agresti lui canta (Apricena):

    Sciore de rene !

    Lu core sbatte se me stai vicine,

    e sempe chiagne se me stai lutitene.

    Se io re de rise !

    I’ sola quanne ved’a lu mio spose,

    me pére ca me trovo ‘m paravise.

    Il desiderio che affretta e vuole anticipare la conoscenza del futuro, induce la ragazza a chiedersi chi e come sarà il suo sposo. La risposta è affidata ad un albume d’uovo messo al sereno, in un bicchiere, durante la notte che precede la festa di San Giovanni. Altro responso vuole essere ottenuto dalla prova del piombo, fatta durante la festa di San Pietro e Paolo. Il piombo fuso si getta in una bacinella d’acqua, ove assume le forme più strane e più diverse.

    Si arriva man mano al fidanzamento: la dichiarazione è espressa dal dono di un garofano rosso; nel Leccese il primo dono consiste in un coltellino dalle molteplici allusioni. La giovane donna ricambia con un fazzoletto che ha ricamato con simboli e frasi. Si giunge cosi alle nozze, che danno inizio ad una nuova famiglia, che è opportuno seguire nella soluzione dei più immediati problemi domestici.

    Il costume maschile e femminile è ormai tramontato: la pacchiana si adegua ai tempi moderni!

    La «pacchiana» di Monte Sant’Angelo.

    Più persistente è il tipo di alimentazione, basata essenzialmente su vegetali cotti, abbondantemente conditi con olio. Le minestre asciutte (‘rrecchietelle; maccaruni cu la chitarre-, maccaruni a firre) sono riservate alle domeniche. Si consumano molti legumi (fagioli e fave), olive e pomodori con il buon pane casareccio. Si fa inoltre molto consumo di pesce salato.

    Diversa è invece la gastronomia riguardante le festività: è un codice tradizionale dal quale diffìcilmente si deroga. La carne insieme con minestre asciutte vi è prevalente. Comunque nei banchetti nuziali i ceci erano il cibo di prammatica; oggi c’è l’antipasto (nel Salento si mangia zucca in brodo), al quale fan seguito i maccheroni della zita (la zita = la sposa).

    Il dolce, più che il pasto — tenuto conto della stagione — caratterizza la circostanza del pranzo. A Pasqua il dolce consiste in un grosso tarallo di pasta frolla, coperto di uova sode colorate, detto ove « pudhica », ove « scarcedde », ove « cuddura ».

    Malanni e malattie non mancano mai, e l’uomo difende la sua salute come meglio può, adattandosi ad una medicina popolare ormai non più in uso. La sugna di cavallo (per il morso di serpe), la testa del serpe o del ramarro schiacciata (per i foruncoli), la ruta (per rinforzare i bulbi piliferi), l’aglio (per il dolore di ventre), ecc., sono mezzi terapeutici efficaci solo se accompagnati da adeguati scongiuri!

    A Noci, un’antica terapia dell’ernia infantile è collegata con preghiera in chiesa e con pratiche svolte in un vicino boschetto, ove si stabilisce un’irrazionale corrispondenza fra la sanità del bimbo e il rigoglio di un virgulto tagliato longitudinalmente.

    Non mancano i giorni del dolore… La salma rimaneva in casa al massimo per mezza giornata, durante la quale si avvicendavano amici e parenti per le lodi all’estinto. La vergine, se è fidanzata, indossa una veste nuziale; con essa è usanza inumare la corona di Santa Chiara: una ghirlanda di fiori artificiali.

    La cerimonia funebre può essere conclusa da un banchetto detto consolo, offerto dagli amici più cari. Il lutto comporta osservanze strettissime, ed ha inoltre ostentazioni vistose, come ad es. la porta d’ingresso ornata di panni neri per molte settimane.

    Feste e tradizioni.

    Dal primo all’ultimo giorno dell’anno si svolge l’intero ciclo della vita della collettività. A Deliceto, ma un po’ ovunque, un gruppo di persone canta presso la porta dell’amico facoltoso per buon augurio… con relativo compenso. Il contadino ricava dal tempo di capodanno un pronostico valido per l’intero anno. Nel Salento i coloni dànno ai padroni donativi in natura, e ne sono gentilmente contraccambiati.

    Il carnevale inizia con la festa di Sant’Antonio Abate, e diventa chiassoso soltanto l’ultimo giorno, quando si brucia un pupazzo, detto « Paolino » a Lecce, « Tome » a Bari, ecc. Attualmente il carnevale è soprattutto spettacolo, come a Gioia del Colle, a Putignano, a Bari.

    Il primo giorno di quaresima può essere festeggiato da una scampagnata detta sarsana. In alcuni paesi si espongono alle finestre sette pupattole, ognuna delle quali vien ritirata in corrispondenza di ciascuna domenica di quaresima. Questo periodo può essere interrotto dalla rottura della pignatta.

    Putignano: il carnevale.

    Durante la settimana santa, a Taranto.

    Le celebrazioni della Pasqua sembrano fatte apposta per fare assumere a tutti la partecipazione indispensabile e viva ai misteri della passione, della morte e della resurrezione di Cristo. Tutto il popolo è nelle strade, muto, commosso, attivamente inserito con pieno sentimento nelle immagini di dolore che sfilano in lenta processione, alle quali i costumi delle confraternite, le corone di spine sui capi scoperti, i piedi nudi, il manto nero della Madonna dal volto cereo, conferiscono un’atmosfera di angosciato sgomento.

    Vedi Anche:  Territori e rilievi

    La domenica delle Palme dà inizio al periodo celebrativo della Pasqua. A Brindisi si svolge il Saunà (l’Osanna). Presso il convento dei Cappuccini è una piccola altura, sulla quale esistono ancora i ruderi di una cappella basiliana. Ivi si recano processio-nalmente il Capitolo della cattedrale e varie confraternite, e si leggono in greco epistola e vangelo. All’osanna il popolo esulta, innalza l’olivo benedetto o la palma benedetta, e al termine della cerimonia si rientra processionalmente in cattedrale.

    Una tradizione ancora in uso si svolge nei paesi « greci » del Salento : è detta « Lazzaro ». Un vecchio e due giovani, a cominciare da Martano e percorrendo i soli paesi greci, in dialetto greco cantano la passione del Signore.

    La visita al « sepolcro » fatta dalle congreghe, conferisce particolare commozione. I Perduni a Taranto, i Pappamusci a Francavilla Fontana, procedono con ieratica ed estenuante lentezza. A Noicàttaro, a Toritto, ecc. i penitenti si percuotevano a sangue. La sacra rappresentazione della Passione di Gesù è svolta a Muro Leccese secondo un testo che sembra risalire al Quattrocento.

    Le processioni di penitenza si effettuano con grande realismo: i fedeli lanciano dileggi e sassi all’indirizzo della statua di Giuda (Carovigno), dei flagellatori di Cristo (Gioia del Colle), ecc. La processione del venerdì santo è basata sull’incontro della madre col Figlio, che strappa ai presenti alte invocazioni e fervide preghiere. La processione dei misteri (Cristo che suda sangue, Cristo flagellato, l’Ecce Homo), è un’altra manifestazione di intenso sentimento di fede.

    Al suono giulivo delle campane che annunziano la resurrezione di Gesù, frotte di ragazzi (Foggia) con bidoni, trombe, ecc., facendo più chiasso che sia possibile, vanno in giro per la città. A Cerignola si rompono cocci vecchi, a Molfetta si gira con campanacci….

    Maggio è il mese in cui ricorre il più gran numero di feste, appunto per l’iniziale assestamento della buona stagione. Il « maggio di Bari » s’incentra nella Sagra di San Nicola, mentre è pure durante il mese di maggio che frotte di pellegrini si recano a venerare l’arcangelo Michele a Monte Sant’Angelo.

    A Bari il sette maggio si svolge il corteo storico che culmina nel momento in cui i marinai consegnano il quadro di San Nicola ai Padri Domenicani, che officiano la basilica. Il corteo storico costituisce un indimenticabile spettacolo, con il basilèos a cavallo, gli sbandieratori, i timpanisti, i fiaccolai, le ancelle che gettano petali di fiori… Il giorno otto la statua di San Nicola prende il mare, prima su una chiatta e poi su un motopeschereccio. La processione si snoda nel mare, vibrante come la commozione che invade tutti, mentre il motopeschereccio si ferma in un punto stabilito.

    Inizia allora un pittoresco pellegrinaggio eli barche, un affrettato movimento di natanti di ogni genere per l’intera giornata. A sera la statua del Santo ritorna, mentre mare e cielo si riempiono di luci multicolori. A terra si forma la processione che ha come prima tappa la chiesa di San Ferdinando.

    Processioni a mare si svolgono anche a Brindisi (San Teodoro), a Molfetta (Vergine dei Martiri), a Trani, a Tricase.

    L’Ascensione è ricordata a Bari con una processione che esalta la vittoria che il doge Pietro Orseolo II riportò nel 1002 sui Saraceni che assediavano la città. Il Corpus Domini determina un’altra processione a mare a Otranto, ove il vescovo col Santissimo si reca al largo per benedire la città.

    Ancora a proposito di processioni, un cenno meritano gli artistici « carri », come quelli di Cerignola (Madonna del Carmine e Madonna di Ripalta), di Terlizzi (Madonna di Sovereto), di Capurso (Madonna del Pozzo), di Bitonto (Immacolata), di Galatina (Crocefisso), ecc.

    L’8 maggio a Bari, quando San Nicola è sul mare.

    Un calvario (Diso).

    Il mese di agosto si incentra sull’esaltazione della Madonna. L’Assunzione è la festa principale di molti centri abitati, anche importanti, come Foggia.

    L’intimità del mistero natalizio conclude la vita di un anno. Il presepe non manca in nessuna casa; ma in alcuni paesi del Salento si rappresenta e si canta pure il mistero, come a Sava. Nella « masseria » e nello lazze si fa il presepio con grossi pupi di paglia, e ponendo un bue ed un asino presso la mangiatoia diventata culla del divino infante.

    I pellegrinaggi costituiscono una frequente manifestazione di fede delle popolazioni pugliesi. Tra i più noti sono quelli di San Michele a Monte Sant’Angelo, di San Matteo a San Marco in Lamis, della Madonna Incoronata a circa io km. da Foggia, di San Nicola a Bari, della Madonna del Pozzo a Capurso, di San Paolo a Galatina, della Madonna della Serra in quel di Tricase, della Madonna di Finisterre nel Capo.

    II pellegrinaggio a San Michele (maggio e settembre) è tra i più antichi e celebri ed aveva la stessa importanza di quello di San Giacomo di Campostella.

    Alla Madonna dell’Incoronata si reca soprattutto la popolazione di Foggia e provincia nel mese di maggio. San Nicola, era come San Michele, oggetto di venerazione internazionale: il primo richiamava pellegrini dall’oriente slavo; il secondo dall’Europa germanica.

    Il pellegrinaggio della Madonna del Pozzo a Capurso, si inserisce nel complesso delle feste che si svolgono nell’area di gravitazione su Bari, come il pellegrinaggio alla Vergine dei Martiri a Molfetta, dei Santi Medici a Bitonto, ecc. Le feste si svolgono tutte nella buona stagione con grande concorso di forestieri.

    Il pellegrinaggio a San Paolo a Galatina, viene effettuato da ogni parte del Salento il 29 giugno. Presso la chiesa è un pozzo con acqua ritenuta miracolosa, che i tarantolati bevono con la fiducia di ottenere immediata guarigione. Alla Madonna della Serra presso Tricase vanno i pellegrini il 15 di agosto.

    Maggior fama, rispetto agli altri del Salento, aveva ed ha il pellegrinaggio al santuario della Madonna di Finisterre per le numerose indulgenze concesse da Innocenzo XI (31 agosto 1682) perchè vi «accedono pellegrini da regioni lontane, viaggiando per terra e per mare ». Il 15 agosto le funzioni vi sono celebrate dal vescovo e vi è gran folla di popolo. Anche qui Santi, Papi e Re han piegato il loro ginocchio in preghiera. Nella biblioteca nazionale di Bari c’è un resoconto manoscritto di un pellegrinaggio. Altro resoconto manoscritto è nella Gattiana di Manduria: è in poesia, tre canti costituiti da ottave in lingua leccese; è opera di Don Geronimo Marciano nativo di Sàlice e il testo si riferisce ad un anno compreso tra il 1692 e il 1714:

    Vedi Anche:  Agricoltura, pesca, allevamento e vita economica

    Cantu de Leuche jeu lu viaggiti santu

    Un cenno all’arte

    Attraverso la produzione vascolare pugliese-italiota, è pervenuto fino a noi un eclettismo tipico che fuse motivi indigeni con ispirazioni elleniche, nel solare respiro di una civiltà e di un’arte che si imponeva in tutto il Mediterraneo. Il Pugliese manifesta un estetismo sobrio e misurato ed indulge raramente al figurativo grottesco od irreale. Gli piacciono invece le proporzioni maggiorate e la linea robusta: il cratere apulo-italiota assurge a specifico intendimento estetico, che diventa conquista originale e tangibile espressione di un ricco mondo interiore.

    Nella raccolta vascolare conservata nel museo di Taranto la grecità ha un netto sopravvento, soprattutto con l’elegante ceramica di stile corinzio e di evidente importazione. L’arte indigena salentina si impone invece con lo schema lineare della troz-zella messapica, nella quale i manichi figurano a gomito. Il disegno è geometrico, così stilizzato e così ripetuto da sembrare privo di inventiva. I colori predominanti sono il rosso e il bruno, nè mancano decorazioni in bianco sfumate nel giallo; l’effetto è consegnato alla vivacità e al contrasto.

    La ceramica indigena peuceta e dauna condivide con quella messapica la linearità della sintesi figurativa, ma esclude la trozzella. Ruvo, Canosa ed Erdonia — tanto per citare le località che hanno dato e dànno tuttora prodotti ceramici di scavo — offrono esemplari sempre più semplici nella forma e nella linea.

    L’abilità dei figuli pugliesi si manifesta negli ex-voto; da una stipe lucerina si è ricavata una grande quantità di ex-voto riproducenti pezzi anatomici dotati di un impressionante realismo.

    La Peucezia (Canosa e Ruvo) ama l’ornato plastico e sovrabbondante, il disegno policromo e vivace: un complesso che oggi diremmo barocco, stilisticamente discutibile.

    L’arte italiota, che fonde queste tendenze pugliesi con le suggestioni elleniche, liberandosi da ogni eventuale grettezza di indigenato, produce manufatti di grande pregio, come anfore e crateri, ravvivati dalla lucida cornice scura su cui spiccano le rossastre figure degli uomini e degli eroi.

    Nulla rimane dell’architettura greca se non attraverso la romanità, che ha lasciato monumenti degni della sua grandezza nell’anfiteatro e nel teatro romano di Lecce, nella torre della Leonessa, nell’anfiteatro di Lucera. Qui gli scavi nel 1872 hanno restituito una copia della Venere di Policleto.

    L’arte in età bizantina ha in Puglia una documentazione molto diffusa, di notevole sensibilità religiosa, espressa dalla pittura nelle laure basiliane, la quale riesce a fissare col colore e con la linea uno stile privo di impeto, ma superlativamente ascetico.

    Ancora romanamente imperiale è il bronzeo Arrè detto anche il Colosso di Barletta; ma già le porte bizantine della cattedrale di Troia e del santuario di San Michele, rivelano un totale abbandono del grandioso ed una maggiore ricercatezza dell’effetto, affidato all’accurata minuzia dei particolari.

    Figure d’oggi stagliate nei secoli.

    Gli scarsi resti dell’architettura bizantina costituiscono in pratica una diminuzione dei volumi sferici e cubici che la superba e violenta classicità aveva saputo raggiungere. E in Puglia un’architettura in tono minore, ma che sa solidamente costruire con padronanza degli accorgimenti estetici e degli effetti stilistici.

    La maturazione dell’architettura pugliese e la fusione delle influenze bizantine, normanne, lombarde e pisane, avviene con lo stile romanico, che ebbe qui particolari modi interpretativi, tali da generare uno stile esclusivo romanico-pugliese, ricco di soluzioni estremamente originali. Le cattedrali più belle della Puglia si esprimono in romanico dalla cattedrale di Bari, dal San Nicola di Bari, alla cattedrale di Bitonto, di Trani, di Ruvo, di Troia…

    Più genuina tra tante, la cattedrale di Molfetta, stupenda nella sua spontanea ispirazione affidata alla nudità della pietra geometricamente sagomata, alle lisce pareti cadenti a piombo sul vuoto di un arco, nel quale trova la sua base di staticità una cupola che spicca nell’alto come una magica materializzazione di cielo.

    Il gotico non offre esempi di molto rilievo: rimane come stile di importazione, non popolare in Puglia e invero realizzato in forme molto dimesse. In realtà più che un effettivo orientamento esso costituisce una transizione, che giuoca di compromesso persino col Rinascimento. E durante il secolo XVII che l’arte pugliese, già soverchiata da influssi di schiacciante potenza intellettuale, emerge con una propria ben distinta vitalità.

    Leone « romanico » della cattedrale di Altamura.

    Lo slancio dello stile romanico-pugliese nella cattedrale di Ruvo.

    Il barocco trova in Puglia suolo ferace soprattutto a Lecce. Mi sembra un barocco spagnolo — non mancano innovazioni di scuola lombarda — attenuato con molto garbo, bilanciato nell’effetto di massa, temperato nell’equilibrio della decorazione particolare nella proporzione dell’insieme. Il barocco leccese piace anche dove sovrabbonda la tecnica figurativa, come nella chiesa di Santa Croce.

    Non dispiace neppure quel barocco settecentesco, sobrio e misurato, come si osserva nella cattedrale di Foggia, esempio unico — anche se non raro — di armoniosa simbiosi tra una parte inferiore romanica e una superiore barocca. Oggi, in simili casi, parliamo di deturpazioni stilistiche ed architettoniche; ma non si pensa alla preoccupata necessità del clero del tempo, che doveva riparare e ricostruire le chiese lesionate e diroccate dai terremoti prima di curarsi della conservazione dell’antico stile.

    Concludiamo questo sguardo rapidissimo ricordando due pittori del secolo scorso, che hanno bene espresso il temperamento pugliese: Saverio Altamura da Foggia (1826-97) e Giuseppe De Nittis da Barletta (1846-84). La musica ha i suoi maggiori esponenti in Giovanni Paisiello da Taranto, Nicolò Piccinni da Bari e Umberto Giordano da Foggia.

    Maturità dell’architettura barocca a Santa Croce (Lecce)