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La grande Genova

    La grande Genova

    Lo sviluppo del centro urbano nel tempo

    Il punto più interno del Golfo Ligure corrisponde alla foce del torrente Leiro, dove si è formato il centro di Voltri; una decina di chilometri più a oriente, dove la costa comincia a piegare in direzione sudest, giunge al mare il torrente Polcèvera, che ha formato presso la foce un ristretto lembo pianeggiante alluvionale; circa cinque chilometri ancora ad est è la foce del Bisagno. Fra i corsi inferiori di queste due valli si insinua un anfiteatro di colline, che toccano a nord quasi 500 metri ma scendono a meno di 100 sui due lati che fiancheggiano la Polcèvera e il Bisagno: esse chiudono un’insenatura a forma semicircolare, larga meno di due chilometri, profonda poco più di uno, alla quale inviano brevissimi torrentelli che non hanno potuto riempirla; ripido è il versante di queste colline a nord, ripido anche il fianco occidentale — dal lato della valle della Polcèvera — che termina con lo sprone su cui è la Lanterna e che si affacciava al mare con una costa rocciosa; più basso e rotto in molli ondulazioni collinose separate da fossati il fianco orientale dal lato della valle del Bisagno. Intorno a questa piccola insenatura, aperta verso mezzogiorno ed esposta liberamente ai venti di ovest e sudovest, stretta fra il mare e i monti che con le loro ultime ondulazioni lambiscono le acque, si è sviluppata la parte più antica di Genova, la città veramente dominante della Liguria.

    Il motivo della preferenza toccata a questa località in confronto ad altre della Liguria — dove pur si offrivano più ampi spazi pianeggianti, più vaste e riparate insenature, più mite clima — va cercato nella posizione in fondo al Golfo Ligure, a dominio di tutta la costa, in situazione ottima per controllare il bacino occidentale del Mediterraneo, nel punto della costa ligure più vicino al centro della Pianura Padana, presso lo sbocco delle due valli della Polcèvera e del Bisagno, che segnano, specialmente la prima, vie naturali di penetrazione nell’entroterra, cui si aggiunge quella del Passo del Turchino che sbocca sul mare a Voltri.

    Lo sviluppo di Genova attraverso i secoli portò l’abitato, dal piccolo nucleo iniziale sorto sul colle di Sarzano, alla grande metropoli di oggi : essa dai quartieri che fanno corona alla insenatura del Porto Vecchio, si spinge coi suoi enormi tentacoli fino a Pontedecimo in vai Polcèvera, fino a Voltri sulla costa occidentale e a Nervi su quella orientale abbracciando in larghezza lungo la costa una fronte di 24 chilometri e in profondità, dalla costa a Pontedecimo, una lunghezza di 15 (lungo la strada dei Giovi).

    Il primo nucleo di Genova è anteriore al V secolo avanti Cristo. La Genua dei Liguri acquistò importanza ed emerse in primo piano quando navigatori greci ed etruschi presero a frequentare il Mar Ligure e i Liguri cominciarono essi stessi a sviluppare una marineria. Più di ogni altro centro Genova ricevette le nuove correnti di civiltà, crebbe fino a diventare nel V-IV secolo un vero emporio internazionale: la necropoli venuta in luce negli scavi di via XX Settembre ne è la principale testimonianza e la confermano i recenti scavi fatti a scopo archeologico. La primitiva Genova romana, anche dopo la ricostruzione seguita alla distruzione operata da Magone nel 205 a. C., occupò l’area che era già quella del precedente centro dei Liguri e ne conservò i caratteri, poiché la condizione di città federata che Genova ebbe fino al 90 a. C. esclude che possa esservi stato uno stanziamento coloniale o militare coi caratteri tradizionali romani della città quadrata. L’oppidum ligure romano occupava l’altura del Colle di Sarzano e il circuito di questo primo nucleo della futura metropoli è segnato da piazza Sarzano, via Santa Croce, salita Santa Maria di Castello e via Mascherona; quasi nel suo centro è la Chiesa di Santa Maria di Castello, che sorse con la pianta delle più antiche basiliche cristiane, fu ricostruita nel secolo XII e, accresciuta di opere d’arte e di nuove strutture nei secoli successivi, fu restaurata nelle linee architettoniche medievali nel secolo scorso. Ai piedi del colle sul mare, a nordovest, era Yemporium commerciale presso il primitivo approdo protetto da una penisoletta poi artificialmente prolungata col Molo Vecchio. A sud e sudest il Colle di Sarzano scendeva ripido sul fosso del Rivo Torbido, il cui solco lo divideva dal Colle di Carignano, che a sua volta scende ripido al Bisagno e volge al mare una ripa rocciosa.

    Divenuta municipio e poi porto del Basso Impero, l’abitato di Genova si estese molto più ampiamente dei limiti dell’oppidum romano più antico. Benché non si abbiano notizie dirette e segni archeologici sicuri sulla Genova romana, le sue caratteristici! e e la sua estensione si possono a un dipresso ricostruire valendosi delle notizie che si hanno sulla città dell’alto Medio Evo. La civitas romana, che fu cinta di mura, se non prima, nel secolo V, quando le invasioni barbariche minacciavano ormai da vicino la costa ligure, si sviluppò ai piedi del Colle di Sarzano, verso nord, dove vi fu poi il quartiere medievale detto di « Platealonga » o « piazza-lunga ». La via cardinale della città romana doveva scendere da Porta Soprana lungo le attuali vie Prione, San Donato, San Bernardo fino al mare, e il Foro era nell’attuale regione di San Giorgio; in questo quartiere è del resto riconoscibile ancora oggi la traccia di vie perpendicolari, là dove la movimentata morfologia lo permette.

    Le diverse cinte murate e l’antica e l’antica topografia di Genova.

    Genova.

    A, pre-romana; B, romana e paleo-cristiana; C, nel 1000; D, nel 1400.

    Ma la Genova del Basso Impero e dei primi secoli dell’èra cristiana, si stendeva al di fuori del recinto della civitas con due quartieri animati da vivace attività e dove confluivano genti di fuori per i commerci che già distinguevano il centro ligure. Anzitutto il suburbium cresciuto immediatamente fuori delle mura, nelle zone di San Lorenzo, Porta Soprana, Banchi; quindi al di là della cosiddetta vinca il sobborgo nordoccidentale, dove fu costruita la prima Cattedrale genovese, prima col titolo degli Apostoli, poi con quello di San Siro. In questo quartiere, che pur fu la culla del movimento cristiano, si stabilirono colonie siriache e per tempo anche una colonia ebraica che vi ebbe la propria Sinagoga; si sviluppò presso il mare, nella zona di « Ripa », che dovette in origine avere aspetto di spiaggia ove potevano trarsi in secco le navi, il traffico commerciale e marittimo, mentre il primitivo approdo, ai piedi del Colle di Sar-zano, conservò la funzione di rifugio.

    Nel periodo bizantino, in cui Genova ha parte tanto importante negli avvenimenti politici, l’abitato ha un ulteriore sviluppo mentre si afferma la vita marittima e ha inizio, come si è detto nel capitolo storico, l’attività di una libera marina genovese. Avvenimento importante per l’incremento urbano l’immigrazione dei Milanesi che qui si rifugiarono col loro Vescovo Onorato nel 569; essi si insediarono alla sommità e sulle pendici del Colle di Sant’Andrea, dove sorse il burgus sacherius, mentre furono costruiti la Chiesa di Sant’Ambrogio e il palazzo sede del Vescovo metropolita. Ma il titolo della Cattedrale genovese rimase a San Siro, che ricevette nuovo splendore dalle tombe dei vescovi e dei primati milanesi.

    Con la violenta conquista di Rotari nel 643, Genova ebbe distrutte le mura e rimase per due secoli città aperta, ma ugualmente distinta nei tre nuclei ormai affermatisi nel periodo precedente: la civitas che includeva l’antico oppidum, i sobborghi e il borgo oltre la vinca, sede della Chiesa-Cattedrale di San Siro. Liutprando fece costruire nell’oppidum dietro Santa Maria di Castello, il palazzo regio, dove risiedeva il gastaldio civitatis.

    Il campanile romanico di San Giovanni di Prè.

    Un’altra cinta di mura Genova la ebbe nel periodo carolingio. Sono comunemente dette le mura del 952, perchè è di questa data un diretto riferimento alla loro esistenza, ma dovettero essere costruite alcuni decenni prima, nella seconda metà del secolo IX. Queste inclusero, oltre la civitas romana, i sobborghi che si erano sviluppati intorno ad essa sulle pendici del Colle di Sant’Andrea, nella zona di San Lorenzo e verso il mare fino al Canneto, a Banchi e a Ripa, ma lasciarono fuori il popoloso borgo dov’era la Cattedrale di San Siro. La Cattedrale passò, infatti, alla fine del secolo IX, a San Lorenzo, entro le mura, sorta dove una cappella avrebbe ricordato una sosta di San Lorenzo nel suo viaggio dalla Spagna a Roma; San Siro conserverà il titolo di con-cattedrale. Il vescovo mantenne, anche nella nuova sede, il titolo originario di San Siro che è tuttora proprio dell’Archi -diocesi genovese. Chiesa con-cattedrale fu anche Santa Maria di Castello, nell’antico oppidum detto castrimi o palatium. Invece patrono e vessillifero del popolo nell’organizzazione militare che si andava formando, fu San Giorgio; la chiesa a lui dedicata sorse nel luogo dell’antico foro romano nell’età bizantina e vi si custodiva un grande vessillo con l’effige del Santo. Il suo culto, venuto dall’Oriente, testimonia, come del resto il nome di San Siro, l’intensità dei rapporti con quelle contrade.

    Un angolo di Genova medievale: il vico delle Vigne con la tomba dei Vivaldi (sec. XIII; la fronte del sarcofago è del II secolo) sotto l’arco del campanile della Chiesa delle Vigne.

    Un insigne monumento dell’arte gotica a Genova: il caratteristico chiostro triangolare e il campanile di Sant’Agostino con la guglia rivestita di piastrelle policrome di ceramica (secolo XIII).

    L’attività commerciale e marittima genovese si fa più intensa mentre già si delineano le strutture che daranno luogo al sorgere del Comune. Anche l’abitato si estende, soprattutto nella zona del borgo fuori le mura, nei settori di Sozziglia e di Porta. Si va cioè preparando la saldatura in un unico centro urbano dell’abitato entro le mura carolinge e del borgo rimasto fuori, a difesa del quale è sorto, sull’altura di Monte Albano, un castelletum che serve eia rifugio e che lascerà il nome all’attuale quartiere di Castelletto.

    Con la reazione seguita al saccheggio fatto dai Saraceni nel 935, la vita riprende più vivace di prima mentre si organizzano le « compagne » e con la compagna communis si gettano le basi del Comune; la Genova medievale si presenta divisa nelle tre parti ben distinte del castrum, della civitas e del burgus, ciascuna delle quali comprende una o più «compagne» rionali: il castrimi, che è l’antichissimo centro di Sarzano, comprende la « compagna » detta di Palasolo (per corruzione del nome palazzo); la civitas, le «compagne» di Piazzalunga, Machagnanis e San Lorenzo; il borgo, quello che più si espande, le « compagne » di Borgo, Sozziglia e Porta, da cui si staccherà Porta Nuova. Tutti i quartieri si affacciano al mare, che con i suoi traffici è il centro propulsore di tutta la vita genovese.

    Nel n55 Genova ha una nuova cinta murata, costruita rapidamente nel timore di azioni violente da parte del Barbarossa; tale cinta suggella l’aggregazione al centro urbano del popoloso borgo sviluppatosi fuori delle mura e lo include per intero toccando le zone delle attuali piazza De Ferrari, piazza Corvetto, Portello, Castelletto, Zecca, Annunziata fino alla Porta dei Vacca.

    I secoli XII e XIII sono i più gloriosi della storia di Genova e ad essi si accompagna nuovo fervore di opere edilizie, mentre la popolazione si accresce per il confluire di colonie anche permanenti di Italiani e di stranieri. Anzitutto l’abitato si rinnova e si addensa entro la cerchia delle mura: alle abitazioni in legno dei vecchi quartieri si sostituiscono case in muratura e su questa solida base si inizia un primo sviluppo in altezza con costruzioni di due o tre piani: furono adibite come abitazioni anche le Torri di difesa, alte fino a dieci piani. L’abitato si dilata anche in estensione, fuori delle porte, e si formano i rioni secondo i mestieri; così si sviluppa il quartiere dei lanaiuoli e tintori fuori Porta Sant’Andrea, nella valle del Rivo Torbido sotto Piccapietra e in Borgo Santo Stefano dove, fin dal secolo IX, è sorta la primitiva chiesa e nel XII vengono fondate la nuova chiesa e l’abbazia. Invece le concerie erano nella regione del « Campo » e di « Prè ». Nuovi quartieri si formano in località Carignano, in corrispondenza all’ultimo tratto verso mare del Rivo Torbido, e dal lato opposto, a nordovest, lungo il mare fino a piazza del Principe; infatti la cinta murata si amplierà, nella prima metà del secolo XIV, con nuove aggregazioni che includeranno questi sobborghi andando da Porta San Tommaso, oggi scomparsa, a Porta dell’Arco e includendo Carignano. Entro le mura però rimangono ancora orti e spazi vuoti e scorrono allo scoperto il Rivo Torbido e altri fossati; uno di questi formava uno stagno alla « Acquaverde ».

    Ma ancora nei secoli XII, XIII e XIV Genova si abbellisce di opere monumentali, anche se centro di interesse è soprattutto il porto dove si compiono infatti grandi lavori per accrescerne l’efficienza. Si costruiscono o ricostruiscono chiese: si ricostruisce in forme romaniche la Cattedrale di San Lorenzo che sarà poi completata nei secoli successivi con strutture in stile gotico e del Rinascimento; accanto a San Lorenzo si costruisce il palazzo del Vescovo ; viene fondata la Chiesa di San Giovanni di Prè e sorge vicino la Loggia dei Commendatori Gerosolimitani, vengono fondate, come si è detto, la Chiesa e l’Abbazia di Santo Stefano e ancora San Matteo col Chiostro, Sant’Agostino, Santa Maria del Carmine. Accanto alle chiese si costruiscono, dopo la metà del Duecento, grandi palazzi, da quello di San Giorgio al Palazzo di Lamba Doria in piazza San Matteo, che resta uno dei più suggestivi angoli medievali, al Palazzo Ducale, a quello dei Fieschi in Carignano, degli Spinola e dei Grimaldi a San Luca. Nelle chiese come nei palazzi è caratteristico l’impiego delle fasce bianche e nere.

    Dopo la seconda metà del secolo XIV segue una pausa nell’accrescimento edilizio, mentre però i nobili arricchiscono i loro palazzi e si diffonde la moda delle facciate dipinte che si protrarrà anche nel Cinquecento e nel Seicento. Un secolo dopo riprende un nuovo intensificarsi di costruzioni: non si formano nuovi quartieri ma si infittisce l’abitato entro le mura con un eccezionale sviluppo verticale per cui le costruzioni raggiungono anche 6-7 piani, mentre si eliminano orti e giardini, si chiudono logge e porticati; ne soffrono opere d’arte del periodo più propriamente medievale ma il centro di Genova acquista una nota inconfondibile che ancora oggi lo distingue da ogni altra città: è, in sostanza, la lotta per lo spazio che manca tra i colli e il mare, mentre tanta ricchezza e tanta potenza si sono accumulate nella città marinara. Sorgono anche nuovi palazzi tra cui quello per l’Ospedale di Pammatone, dove nel 1478 si trasferirà la santa gentildonna genovese Caterina Fieschi Adorno che consacrerà la sua vita alla cura degli infermi; è del secolo XV anche il Palazzo detto « Spinola marmi » in piazza Fontane Marose, a bande bianche e nere.

    Quale sia la caratteristica e l’estensione del centro urbano di Genova alla fine del Mevio Evo si può ben vedere da un notissimo quadro, opera di Cristoforo Grassi, che in realtà questi restaurò, nel 1597, su uno più antico, il quale riproduce la città com’era alla fine del secolo XV. E la migliore rappresentazione della Genova medievale che ha circondato tutta l’insenatura chiusa dalle colline che la serrano ad anfiteatro, dal Bisagno alla Polcevera, creando un porto col Molo vecchio e affittendosi soprattutto intorno ad esso ma estendendosi anche a nordovest dove la striscia abitata si fa più sottile perchè le colline scendono più ripide sul mare. Il grande numero di navi ancorate nel porto, da tutti due i lati del molo, sta a provare che l’attività maggiore di Genova è sul mare.

    Tramonta ormai il Medio Evo: un figlio di Genova sta aprendo nuove vie alla storia e all’economia europea, nuove vie che fatalmente segneranno il declino della potenza navale della città, ma questa ha accumulato tali ricchezze e tale esperienza nel campo commerciale e finanziario che la sua vita è ancora prospera e, per quanto l’attività artistica rimanga sempre in secondo piano, si apre al soffio rinnovatore del Rinascimento. Nel secolo XVI l’abitato si ingrandisce e soprattutto si arricchisce. Si hanno grandi trasformazioni urbanistiche in quella che può dirsi l’età aurea dell’arte genovese.

    La Chiesa di San Matteo, sec. XIII; a lato il Palazzo di Branca Doria

    Nell’architettura domina il nome di Galeazzo Alessi: questi, con gli altri più noti architetti del Cinquecento (Bernardino Cantore, Giovanbattista Castello, Rocco Lurago) e del Seicento (Bartolomeo Bianco, Taddeo Carlone e altri) dà un’impronta tutta particolare ai grandi palazzi e alle chiese di cui Genova si abbellisce. Sono note caratteristiche dei palazzi del Cinquecento e Seicento, nei quali gli architetti hanno saputo sfruttare il forte pendio del terreno ottenendo effetti scenografici, le grandiose scale ed i cortili col solenne movimento delle colonne: un insieme grandioso e pur austero, di grande armonia, che ben si inquadra in questa città ed esprime il carattere più autentico del Ligure, austero e contenuto anche se la sua attività è febbrile, anche se il suo cuore è profondamente generoso.

    I palazzi più belli del Cinquecento e del Seicento si allineano, quasi in una grandiosa e solenne Galleria, in via Garibaldi, la via Aurea — detta poi Maggiore e quindi via Nuova — aperta nel 1550, dove si spostarono, abbandonando i vecchi palazzi medievali dell’antico centro, i nobili patrizi. In questa, che non è esagerato dire una delle più belle vie d’Italia, si possono ricordare: Palazzo Cambiaso, dell’Alessi; Palazzo Gambaro, poi Spinola; Palazzo Parodi; Palazzo Carrega Cataldi; Palazzo Doria; Palazzo Spinola; Palazzo Podestà; Palazzo Doria Tursi, sede del Comune, con grandiose sale; Palazzo Rosso, cosiddetto per il colore della facciata, che accoglie un’importante Galleria di quadri del Seicento e dell’Ottocento; Palazzo Bianco, con la Galleria di quadri, che ha acquistato nuovo pregio nella moderna attrezzatura che vuole aiutare il visitatore all’intelligenza dell’opera d’arte vista nel suo momento artistico, eliminando ogni soprastruttura.

    Genova alla fine del sec. XV: dal quadro di un anonimo genovese ridipinto da Cristoforo Grassi nel 1597 (Museo Navale di Genova-Pegli).

    La via Garibaldi coi grandiosi palazzi del ‘500 e del ‘600; in primo piano a destra il palazzo Doria Tursi del sec. XVI, opera di Rocco Lurago attualmente sede del Comune.

    E del Cinquecento anche il Palazzo Doria Pamphily, costruito collegando e trasformando due precedenti palazzi, divenuto una delle più belle opere d’arte di Genova, non solo per le linee architettoniche con le grandi logge laterali e il grandioso giardino abbellito da terrazzi e scalinate, ma per la decorazione e i dipinti di Perin del Vaga. Nel 1571 il Banco di San Giorgio diede inizio alla costruzione di una nuova ala del Palazzo di San Giorgio, quella verso il mare, che fu adorna di affreschi ormai scomparsi, mentre nell’interno si ammirano il grandioso scalone e le sale.

    Accanto ai palazzi, l’Alessi e gli altri architetti del Cinquecento arricchirono Genova di chiese, prima fra tutte la grandiosa Chiesa di Santa Maria Assunta di Carignano, sorta sulla platea di un terrazzo naturale in posizione dominante, tanto cara ai Genovesi, che spicca nel panorama della città con la grandiosa cupola centrale e i due campanili; l’interno, a croce greca, con le volte e le cupole a lacunari, semplice e grandioso, si arricchisce di dipinti dei più bei nomi della pittura ligure. Pure alla fine del Cinquecento fu iniziata la Chiesa della Santissima Annunziata, che divenne poi la più ricca di Genova per le dorature, gli stucchi, gli affreschi dell’interno, mentre solo nel secolo XIX fu completata col grande pronao. I bombardamenti dell’ultima guerra la danneggiarono molto gravemente.

    Altre chiese fatte o rifatte nel Cinquecento: l’Immacolata, presso la Villetta Di Negro, l’antica Cattedrale di San Siro, Santa Maria delle Vigne, la Maddalena, per non ricordare che le più note.

    Il Palazzo di San Giorgio nel 1912 con la parte medievale e quella cinquecentesca nella quale sono visibili gli affreschi, ora scomparsi, rifatti da L. Pogliaghi su quelli seicenteschi del Tavarone.

    Furono anche costruiti, per esempio, nel tratto dall’Acquasola alla Porta dell’Arco, nuovi baluardi alle mura, rinnovata l’architettura delle porte, come la Porta del Molo, opera di Galeazzo Alessi. L’abitato però non si estese in complesso fuori delle mura medievali: è infatti entro il circuito di questa la via cinquecentesca più famosa, la già citata via Aurea o Nuova, ora via Garibaldi.

    E del Seicento l’aggregazione al nucleo urbano di due territori esterni, San Teodoro e San Vincenzo, rispettivamente a nordovest e a nordest del centro più antico; del resto l’abitato non si estese al di là dei limiti medievali. Ai margini della città fu aperta nel 1606 un’altra delle più belle vie che oggi Genova possa vantare, via Balbi, ricca di palazzi, con insigni affreschi e opere d’arte, grandiosi non meno di quelli di via Garibaldi: il Palazzo Durazzo Pallavicini, ora Negrotto Cambiaso; il Palazzo dell’Università; il Palazzo Reale, eretto in origine per la famiglia Balbi, completato ai primi del Settecento, con l’atrio, il grande scalone e il giardino a mare, giacche il palazzo è dal lato di Prè e prospetta perciò, dall’alto, il mare. E del 1665 l’Albergo dei Poveri.

    Copia del 1581 del « Disegno della nobilissima città di Genova » di A. Lafréry, Roma, 1573 (Genova, Palazzo Rosso).

    Ancora nel Seicento fu ingrandita un’arteria importante ai limiti della città medievale, la cosiddetta strada del Vento, detta da allora via Giulia, quella che poi alla fine del secolo XIX divenne la grande via XX Settembre, arteria madre pelle comunicazioni coi quartieri orientali, costruita in parte in trincea entro la collina.

    Ma soprattutto il secolo XVII dotò Genova di una nuova cerchia di mura, quella che ancora oggi corre con le sue fortificazioni sulla cintura di colline che circonda il centro urbano sottolineando il contrasto fra le nude pendici dei colli, sotto le fortificazioni, e l’abitato sottostante. La cinta delle mura fu costruita, secondo il criterio di quel tempo, in limiti molto più ampi dell’abitato; essa segue press’a poco il crinale della cintura collinosa che tra Polcevera e Bisagno circonda il centro di Genova, va cioè dalla Lanterna al Bisagno.

    Molte altre opere sarebbero da ricordare di questo secolo il quale però non ebbe in Genova quelle espressioni esuberanti che ebbe altrove: riflesso forse dell’austerità propria del carattere ligure.

    Genova. Piante del 1656 e del 1840.

    Il porto e la città in una veduta prospettica del 1682 (si noti la cinta delle fortificazioni del 1634); è stato costruito dal 1642 il Molo nuovo.

    Dei nomi più illustri che la pittura e la scultura vantano a Genova dal Cinquecento al Settecento, già si è detto nel capitolo storico.

    L’abitato urbano non si trasformò gran che nel Settecento, nè in estensione e nemmeno in grandi opere di rinnovamento edilizio. Fu tuttavia aperta la via Nuovissima, l’attuale via Cairoli, tra via Garibaldi e via Balbi. Opera importante il ponte di Carignano, per unire direttamente la piazza Sarzano alla Basilica di Santa Maria Assunta, al di sopra del solco del Rivo Torbido.

    E del 1760 la prima pianta vera e propria di Genova, dovuta a Giacomo Brusco. Essa mostra che l’abitato urbano non si è molto esteso oltre i limiti della città medievale, specialmente a sudest dove la Chiesa di Santa Maria Assunta di Carignano è circondata da terreni non fabbricati mentre di qui al Bisagno le costruzioni sono isolate fra la campagna; si vedono invece appendici che si prolungano dal centro in direzione della salita Sant’Anna lungo quella che sarà poi via Caffaro; al di là di via Balbi; al di là della Porta dell’Arco.

    Alla fine del secolo si rinnova l’illuminazione, viene sistemata la passeggiata dell’Acquasola; ma è nel secolo XIX che Genova, perduta l’indipendenza politica ma avviata a prospero avvenire nel nuovo Stato sabaudo, e poi nell’Italia unita, si rinnova e inizia la grande espansione urbana. Il primo periodo del suo rinnovamento e della sua espansione arriva fino al 1874, ci°è fino alle prime annessioni di Comuni limitrofi : fino a questa data la città si rinnova e si ingrandisce entro i limiti che sembrano irrevocabilmente segnati dalla natura: la cerchia di ripide colline, guardate dai forti e dalle mura, la Polcevera, il Bisagno.

    Nella prima metà dell’Ottocento presiede il rinnovamento urbano di Genova un grande architetto, Carlo Barabino, la cui opera sarà continuata da Giovan Battista Rezasco, mentre nella seconda metà del secolo un altro grande genovese, sindaco per ben sette volte dal 1866 al 1895, Andrea Podestà, darà alla città nuovo respiro con opera illuminata.

    E del tempo del Barabino la sistemazione di piazza De Ferrari con la costruzione del Teatro Carlo Felice e del Palazzo dell’Accademia; la sistemazione di piazza Fontane Marose, cosiddetta per una sorgente detta Fons marosus per il suo rigurgito; l’apertura di via Carlo Felice (oggi XXV Aprile); la sistemazione dell’Acquasela. E del 1825 il primo vero e proprio piano regolatore con l’apertura delle grandi direttrici dello sviluppo periferico sulle pendici della collina, via Assarotti e via Caffaro, e nella zona a sud verso Carignano e Brignole, via Fieschi e via Galata. Nella più vecchia Genova, vengono sistemate la via lungo il porto e la strada di penetrazione verso il vecchio centro segnata da via San Lorenzo.

    Lo storico Palazzo Ducale; la facciata fu rifatta nel sec. XVIII, dopo un incendio.

    Il territorio comunale della « Grande Genova ».

    Sestieri: i, Maddalena; 2, Prè; 3, San Vincenzo; 4, Molo; 5, Portoria; 6, San Teodoro. Comuni annessi nel 1874: 7, Foce; 8, San Francesco d’Albaro; 9, San Martino d’Albaro; 10, San Fruttuoso; n, Marassi; 12, Staglieno. Comuni annessi nel 1926: 13, Apparizione; 14, Bavari ; 15. Bolzaneto; 16, Borzoli; 17. Cornigliano Ligure; 1S, Molassana; 19, Nervi; 20, Pegli; 21, Pontedecimo; 22, Prà; 23, Quarto dei Mille; 24, Quinto al Mare; 25, Rivarolo Ligure; 26, Sam-pierdarena; 27, San Quirico in vai di Polcèvera; 2S. Sant’Ilario Ligure; 29, Sestri Ponente; 30, Struppa; 31, Voltri.

    E dovuto all’opera illuminata di Andrea Podestà il tracciato della bellissima circonvallazione a monte che con vari nomi si snoda a mezza costa lungo la collina, da piazza Acquaverde a piazza Manin, con una successione di panorami eccezionali; essa determina il sorgere della città alta che diviene un quartiere residenziale ricercato dalle classi più agiate. La completa la circonvallazione a mare. E ancora di questo periodo la sistemazione di piazza Corvetto, divenuta uno dei più tipici e frequentati punti della città; vengono aperte via Roma e la Galleria Mazzini e, mentre nuovi centri di attrazione del traffico sono determinati dal sorgere delle due stazioni ferroviarie di Principe e di Brignole, si affronta il problema dell’ampliamento di via Giulia che diviene l’ampia e moderna arteria di via XX Settembre.

    Il corso Podestà, che la valica col grandioso ponte monumentale, può dirsi la prima « sopraelevata » che risolve genialmente il problema di adattamento alla accidentata morfologia del territorio di Genova; esso congiunge l’Acquasola con le Mura di Santa Chiara e, continuando poi nella più moderna via Corsica, si snoda con una visione panoramica di eccezione dall’Acquasola alla zona di Carignano e alle antiche mura delle Cappuccine. In questa zona sorgerà dal 1878 il grande Ospedale Duchessa di Galliera.

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    Nasce la “Grande Genova,,. Il piano regolatore e lo sviluppo futuro.

    Il 1874 segna una data importante nella storia dello sviluppo urbano di Genova perchè viene annesso il primo gruppo di Comuni, fino allora indipendenti, il cui territorio è compreso nella valle del Bisagno, anche sulla sponda sinistra del fiume, al di là di quello che era stato uno dei limiti naturali segnati alla espansione di Genova: sono i Comuni di Foce, Albaro, Marassi, San Martino, Staglieno, San Fruttuoso.

    La città ormai si ingrandisce rapidamente ad oriente del Bisagno con nuovi quartieri residenziali che dal lembo pianeggiante lungo il fiume guadagneranno ben presto la collina terrazzata di Albaro. E del 1874 l’apertura del corso Buenos Ayres che, col corso Torino e via Casaregis, è al centro di un quartiere a strade ampie e perpendicolari, nota nuova per la Genova dei « caruggi » e delle « scalinate ».

    Genova che non è più: la collina di San Benigno con la Lanterna e il porto nel 1903.

    Gli avvenimenti incalzano: Genova vede rapidamente accrescersi il movimento del porto e svilupparsi le grandi industrie; ma il grande traffico scende alla metropoli genovese attraverso la via segnata dalla natura nell’ampia valle trasversale della Polcevera, alle cui foci prospera da tempo remoto un’industre cittadina, Sampierdarena, cui fanno seguito al di là della foce del fiume, Cornigliano, Sestri Ponente, e poi Pegli, Prà e Voltri; lungo la valle del fiume, Rivarolo, Bolzaneto, Pontedecimo. E qui che penetra il soffio novatore della grande industria; è da questa parte che dovrà estendersi il porto cui non sono più sufficienti gli specchi d’acqua dell’insenatura del vecchio porto: dal centro propulsore, finanziario e commerciale, di Genova antica, i rapporti sono sempre più stretti con Sampierdarena, la valle della Polcèvera e la costa occidentale. E allora il nuovo problema; superare la barriera naturale e amministrativa che chiude la città a ovest: la barriera naturale della collina di San Benigno che termina a mare con la grandiosa Lanterna, la barriera amministrativa, riunendo in un Comune solo quello che va diventando un solo organismo economico. Problemi difficili tutti e due, ma devono essere superati e lo sono; nel 1926, vinte ormai le ultime resistenze, vengono annessi al comune di Genova quelli di Sampierdarena, Cornigliano, Sestri, Pegli, Prà e Voltri sulla costa; Rivarolo, Bolza-neto, San Quirico, Pontedecimo in vai Polcèvera; Borzoli a monte di Sestri. Qualche anno dopo vengono operate le demolizioni nella zona di San Benigno e aperta la grande arteria di via Cantore per collegare più rapidamente Genova a Sampierdarena: da via Cantore si accede all’arteria sopraelevata elicoidale che, passando sopra alla via di Francia, collega il nuovo porto col piazzale della camionale per Serravalle Scrivia.

    Genova. Piante del 1890 e 1937.

    L’affermarsi della grande industria e lo sviluppo del porto e dei quartieri industriali a ovest non basta a risolvere il problema del nuovo grande centro urbano; c’è una popolazione in rapidissimo accrescimento, una sempre più numerosa borghesia che ha bisogno di nuovi quartieri residenziali, mentre anche la borghesia mercantile del passato abbandona i vecchi quartieri, troppo ristretti e malsani. Ed ecco allora l’espansione rapida, non sempre ordinata e razionale, a oriente, che raggiunge anche qui vecchi centri che hanno una loro storia, la quale però ormai si fonde, non solo nel campo politico ma anche in quello demografico ed economico, con Genova; devono dunque risolversi il problema di superare quello che un tempo era stato il confine naturale, il corso del Bisagno, di fatto già sorpassato, e il problema di far cadere barriere amministrative ormai anacronistiche. La soluzione del primo non è facile nel senso che il Bisagno troppo spesso minaccia con le sue alluvioni la zona della Foce e non basta qualche ponte ad allacciare la città nuova e nuovissima alla vecchia; ed ecco allora il progetto della copertura del basso Bisagno. Sull’area conquistata al fiume si apre la grande piazza della Vittoria, al centro della quale si innalza l’imponente Arco dedicato ai Caduti, mentre le fa da sfondo scenografico il pendio che sale verso l’altura di Carignano, sistemato a giardino con grandi scalinate. Di fianco alla piazza un amplissimo viale scende alla Foce, là dove fino al 1928 sorgevano ancora i Cantieri Terni-Orlando e dove, dopo la guerra, si svilupperà intorno a piazza Rossetti un modernissimo quartiere residenziale.

    Sulla collina di Albaro si è intanto ingrandito tutto un nuovo quartiere che si è adattato alla topografia anche qui movimentata di un terrazzo — quello che si continua da Albaro a Quinto e a Nervi — inciso da una serie di vallecole; sono state tagliate strade in trincea con muraglioni di sostegno, mentre lungo la costa si snoda la bellissima passeggiata a mare di corso Italia, che ha di fronte il pittoresco Promontorio di Portofino mentre sulla Riviera di Ponente la vista spazia fino al Capo Mele. Presso Sturla è sorto il grande Ospedale per bambini Giannina Gaslini e, nella zona del Bisagno, l’Ospedale di San Martino.

    Le barriere amministrative coi Comuni dell’est cadono insieme a quelle dell’ovest: nel 1926 vengono aggregati a quello di Genova i Comuni di Quarto, Quinto, Nervi, Sant’Ilario, sulla costa; Apparizione e Bavari nel retroterra; Molassana e Struppa in vai Bisagno.

    Intanto nel centro si risolvono alcuni più urgenti problemi viari e di risanamento; ai primi provvedono soprattutto le quattro gallerie: Garibaldi e Bixio da piazza della Zecca a Corvetto attraverso la piazza del Portello; C. Colombo sotto Carignano; G. Mameli sotto via Nizza e la collina di Albaro. Proprio dietro la storica Porta Soprana viene aperta la moderna piazza Dante e vengono costruiti moderni edifici tra cui due grandi e discussi grattacieli: comunque, il contrasto tra il vecchio ed il nuovo mette qui una nota singolare.

    Così è nata la « grande Genova » che, fino ad un certo punto è, potrebbe dirsi, la Liguria: entro i suoi limiti, infatti, sono come riassunte tutte le attività della regione, dalla vita marittima alla grande industria, dall’attività finanziaria al movimento turistico che ha tradizioni vivaci ai due estremi di Nervi e di Pegli. Sono vivi nella grande Genova i contrasti tipici del paesaggio ligure, dai giardini lussureggianti alla montagna nuda, dalle colture dei fiori in serra all’agricoltura più povera; i contrasti del clima, dal tepore di Pegli e di Nervi al rigore della vai Polcèvera e di Sampierdarena; i contrasti ancora del vecchio e del nuovo nei centri abitati, non solo in Genova ma anche nelle cittadine ormai inglobate nella Metropoli, delle quali ciascuna conserva il pittoresco nucleo antico. Il mare, con tutta la suggestione dei suoi colori, e con la vita pulsante del commercio le è dinnanzi.

    La « grande Genova » (1959).

    Il « Centro storico » visto dall’aereo in alto a destra piazza De Ferrari, il Palazzo Ducale e piazza Matteotti sono visibili nei vecchi quartieri del centro le distruzioni della guerra.

    Da questo insieme e da questi contrasti che la città deve alla natura ed alla storia, nasce il fascino maggiore di Genova, così ricca di motivi naturali, storici, artistici, urbanistici, per cui ciascuno può trovarvi il « suo » motivo preferito, sia che lo cerchi nella bellezza della natura e nella varietà dei panorami, o nella umana conquista del lavoro, nell’espressione della fede, nelle manifestazioni dell’arte, nella voce della storia e delle vittorie della Patria, o anche nella comodità della vita di una stazione climatica.

    La grande Genova era nata da poco più di vent’anni, i maggiori problemi del centro urbano e dei rapporti coi nuovi quartieri avevano appena trovato l’inizio della soluzione quando sopraggiunse la guerra che, a parte la stasi nelle costruzioni e nei progetti di sistemazione e risanamento, ha inflitto gravissimi danni oltreché al porto, praticamente distrutto, al centro urbano di Genova. Antichi e pregiati monumenti sono andati distrutti o gravemente danneggiati, come la Chiesa di Santo Stefano, la Santissima Annunziata, il Palazzo Doria Pamphily, per non dire che i più noti. San Lorenzo è salvo e appare veramente un miracolo perchè una bomba ad alto potenziale vi è penetrata senza esplodere; vie del centro antico e della Genova moderna sono mutilate e tra queste via XX Settembre. Ma Genova risorge e l’accrescimento urbano riprende ben presto con grande rapidità; si ingrandiscono i quartieri residenziali nella zona della collina di Albaro e della Foce; a Sampierdarena, nella vai Polcèvera, nei centri industriali di Cornigliano e di Sestri nuovi quartieri residenziali popolari, imposti da un urgente ed essenziale problema sociale, cominciano a sorgere, ad opera di enti pubblici ed anche di privati, accanto agli stabilimenti industriali, sulle pendici delle colline.

    Nuovi problemi si affacciano, oltre a quelli del porto: la futura espansione urbanistica, l’allacciamento tra il centro e i quartieri periferici, l’attraversamento della città antica dove troppo si ingorga il grande traffico moderno, la valorizzazione e il risanamento insieme del glorioso « centro storico », l’approvvigionamento idrico. Urge lo studio e l’approvazione di un piano regolatore generale; urge la soluzione dei problemi collaterali.

    Il piano regolatore generale viene approvato nel 1956 e, dopo alcuni ritocchi, definitivamente accolto nel i960. Esso contempla uno schema viario per i grandi allacciamenti, la sistemazione dei servizi di pubblica utilità e lo studio di una « zonizzazione » per separare le zone industriali da quelle residenziali ; prende in considerazione ancora la tutela del verde e delle località panoramiche.

    La parte più tipica del piano regolatore è quella che si collega alla topografia della zona urbana della grande Genova e insieme alla storia del suo sviluppo: esso dovrà infatti accordarsi coi piani regolatori parziali in atto o allo studio per le cosiddette delegazioni, cioè per i vecchi centri che sono rimasti inglobati nella città ma avevano posizione geografica, fisionomia, funzioni, servizi propri. L’organismo auspicato del grande cuore (il vecchio centro) che alimenta il battito di altri minori è certo in parte ancora in formazione e ne affretteranno la maturazione le grandi arterie viarie che sempre meglio li collegheranno e cementeranno.

    La prima delle arterie previste dal centro alle delegazioni periferiche è la cosiddetta « pedemontana » da Genova a Nervi, che correrà a mezza costa tra l’Aurelia e il più alto tracciato di previsione della camionale per il Levante. Lungo la valle del Bisagno è progettato un ampliamento della copertura che metterà a disposizione nuove aree fabbricabili, due strade lungo i due margini della valle, una sopraelevata che dovrebbe raccordarsi a Molassana con la suddetta camionale; mentre ancora dalla valle del Bisagno è prevista una strada ordinaria di allacciamento con la Polcèvera. E pressoché ultimato lo spianamento della collina di San Benigno (il materiale serve per il riempimento della zona dell’aeroporto) ed è previsto un complesso viario per il collegamento tra la camionale e il porto, fra Genova centro e Sampierdarena. Due nuove arterie correranno lungo la Polcèvera; un’altra attraverserà Pegli e una strada dovrà correre a quota intermedia fra l’Aurelia e la camionale per Savona; di quest’ultima deve essere sistemato l’allacciamento tra il centro e l’attuale inizio della camionale a Prà.

    Genova è ricca di attrattive offerte da motivi storici e artistici. Una bella veduta di Genova medievale: Porta Soprana e la Casa-Torre degli Embriaci (sec. XIII); in basso a destra il medievale « chiostrino di Sant’Andrea ».

    La cattedrale di San Lorenzo: la facciata è del sec XIII ma il torrione a destra è del sec. XVI, la loggia del torrione monco di sinistra è del sec. XV.

    Quanto al problema, discusso sin dalla fine del secolo scorso e diventato sempre più vivo, degli attraversamenti del centro urbano vero e proprio sono previsti : l’allargamento, di immediata esecuzione, di via Serra per facilitare le comunicazioni fra il sistema di gallerie del centro e la stazione di Brignole; una nuova galleria da Brignole a piazza della Zecca e quindi la sistemazione di un’ampia strada moderna dall’Annunziata al mare; la tanto discussa strada sopraelevata, che dovrà raccogliere il traffico veloce, correndo alcuni metri più alta dell’attuale piano stradale, come un vero viadotto in cemento armato dalla Foce, lungo il porto, fino a Sam-pierdarena; per il traffico pesante le si affiancherà l’altra futura strada di attraversamento che dovrà correre a monte completando il tracciato della progettata camionale diretta dal Levante, per Genova e Savona, fino a Ventimiglia. Il piano regolatore prevede infine la costruzione di una metropolitana che da Sampierdarena raggiungerà Sturla allacciando i quartieri dell’ovest con quelli dell’est.

    A parte altri problemi del centro, come la costruzione di parcheggi nel sottosuolo, il rinnovamento del quartiere di Prè, quello del quartiere di via Madre di Dio, il rinnovamento e ampliamento della stazione di Principe, sono stati studiati a parte e sono già in atto i lavori per la sistemazione di due antichi quartieri genovesi : quello della collina di Piccapietra e quello del più vasto e, per tanti aspetti, prezioso « Centro storico ».

    Piccapietra, il cui nome si ricollega alla presenza di antichissime cave di pietra, è il vecchio quartiere, che include anche quello di Portoria ben noto per lo storico episodio di Balilla, situato, in grandi linee, tra piazza De Ferrari, via Roma, piazza Corvetto, l’Acquasola e via XX Settembre. Quartiere con un insieme caotico di vecchie abitazioni del tardo Medio Evo, non privo di grandi costruzioni di pregio artistico e storico, come il Palazzo di Pammatone, la Chiesa di San Camillo e, ai suoi margini, la Chiesa di Santo Stefano; alle difficoltà dovute alla morfologia accidentata e alle forti pendenze, si sono aggiunte le distruzioni della guerra accrescendo la gravità di un disagio già insostenibile. Per la sua posizione il quartiere è la naturale continuazione di quello che è divenuto il centro urbano della Genova moderna e, se già il problema della sua sistemazione fu sentito e studiato dagli urbanisti dalla fine del secolo scorso, urgeva una radicale soluzione. Soluzione ormai quasi attuata secondo un piano che, pur salvando alcuni più insigni monumenti del passato, ne prevede il completo rinnovamento, con lo sbancamento della collina, la costruzione di grandi e modernissimi edifici, l’apertura di strade, piazze, parcheggi, non tanto per l’attraversamento dei veicoli, quanto per la circolazione pedonale.

    Sono previsti gli allacciamenti, non facili per i dislivelli del suolo in collina, con le zone del vicino centro e con Brignole e, tra questi, l’arteria che dovrà utilizzare una grande rampa elicoidale e una nuova galleria per assicurare rapide comunicazioni con la rinnovata via Madre di Dio e il porto.

    Il « Centro storico » si è lasciato fuori delle grandi opere di rinnovamento e di attraversamento e si è limitato ad una zona più ristretta di quella compresa entro le mura del Barbarossa. E la zona di Genova più ricca di storia perchè comprende l’area del primitivo oppidum ligure romano e quella dei quartieri romani e medievali con la Cattedrale di San Lorenzo, la Cattedrale primitiva di San Siro, San Giorgio, il vecchio quartiere commerciale e degli affari, mentre si affaccia al mare su quella che è stata l’area portuale più attiva del Medio Evo e nei primi secoli dell’età moderna; comprende infatti anche i portici di Sottoripa dove si andò formando, per le successive soprastrutture, la ben nota « galleria ». E ai suoi margini la Genova monumentale del Cinquecento e del Seicento, con via Garibaldi, via Cairoli, l’Annunziata. Secoli di storia ricchi d’attività, di lotte, di ombre e di luci, rivivono in questo quartiere, hanno trovato la loro espressione non solo nei palazzi e nelle chiese più insigni ma nel sovrapporsi e affittirsi di costruzioni con quel caratteristico sviluppo in altezza e quel dedalo di viuzze strette e strettissime, i « caruggi » e i « caruggetti » che formano la caratteristica più tipica di Genova. Caratteristica che merita di essere non solo conservata ma valorizzata perchè i « caruggi » non sono soltanto la conseguenza della topografìa del suolo genovese, e nemmeno soltanto una curiosità folcloristica, completata dalle friggitorie di Sottoripa e dal commercio più o meno clandestino dei marittimi d’ogni parte del mondo, ma sono il risultato di un succedersi di eventi storici, di vita umana in tutte le sue espressioni di lavoro, di avidità, di passione di patria, di fede, di arte, che parlano si può dire da ogni pietra. Era questo il quartiere degli « scagni », gli uffici di un tempo, fondachetti scavati a grotta sotto le logge e chiusi da un cancelletto, a cui dalla strada si appoggiava il cliente.

    Nella vecchia Genova: vico delle Murette.

    Genova che non è più: salita nel quartiere di Piccapietra (attualmente demolito e sostituito con un modernissimo quartiere).

    La popolazione del « Centro storico » ha mutato col tempo : è stata dapprima formata dalla borghesia e anche dall’aristocrazia arricchita nei traffici durante il Medio Evo; poi l’aristocrazia è passata ai nuovi grandi palazzi della via Nuova e di via Balbi mentre qui restava la borghesia del commercio e dei traffici marittimi; nel secolo scorso anche questa ha abbandonato sempre più i vecchi quartieri dove alle abitazioni mancano aria e luce e non è facile introdurre le comodità della vita moderna. Perciò le condizioni sanitarie ed igieniche si sono aggravate e la loro soluzione ha dominato gli studi urbanistici della Genova dei secoli XIX e XX, ma una distruzione o sventramento di questo quartiere, già troppo provato dalle rovine della guerra, sarebbe la distruzione di un prezioso patrimonio di arte e di vita e certe affrettate ricostruzioni del dopo guerra, come il « grattacielo » di Sottoripa, lo hanno sciupato senza risolvere i problemi di un vero risanamento.

    Vecchia Genova: piazza Caricamento nel 1900; sono visibili i portici di « Sottoripa » (collezione della Direzione Belle Arti del Comune di Genova).

    Un approfondito e sereno studio ha portato alla soluzione più logica, che sarà attuata, si spera, al più presto: risanare senza distruggere, far riaffiorare costruzioni e opere d’arte del Medio Evo sacrificate da quelle posteriori (come la riapertura di logge e bifore), senza però ridurre il centro all’espressione di una sola epoca perchè la sua originalità è proprio quella di essere l’espressione di una serie di epoche storiche: è questo che ne fa una realtà viva. Nemmeno isolare alcuni monumenti distruggendo il resto, perchè non avrebbero grande valore in sè, avulsi dalla cornice in cui si sono formati, e si perderebbe l’unità di questo singolare paesaggio urbano ; i monumenti più insigni saranno invece restaurati. E, non museo, ma realtà viva deve essere anche oggi il « Centro storico », dove alla popolazione stabile di circa 30.000 ab., si aggiunge quella diurna di almeno 15.000, sottolineando la qualificazione funzionale che si è venuta determinando negli ultimi decenni e che dipende dalla sua posizione geografica vicino a quello che rimane pur sempre il cuore del porto di Genova: basti ricordare che è qui il Palazzo San Giorgio. La qualificazione è anzitutto quella di centro delle attività marittime e commerciali (agenzie commerciali e marittime, agenzie di borsa, istituti bancari) — cui si associano la funzione molto vivace di commercio al minuto ed alcune attività artigianali — non disgiunta da quella di un quartiere residenziale della popolazione legata a queste attività; altra caratteristica dovuta alle vie così strette e ben intonata alle funzioni economiche del Centro è la circolazione prevalentemente pedonale.

    Un grande problema è stato per Genova quello dell’approvvigionamento idrico: i vecchi acquedotti ormai non bastano più, nemmeno il De Ferrari-Galliera che provvedeva ad oltre metà del consumo e derivava l’acqua dai laghi artificiali dell’alta valle del Gorzente; nemmeno l’acquedotto di vai Noci. Ma è stato attuato il nuovo acquedotto che utilizza le acque del Brugneto, affluente dell’alto Trebbia; per sfruttarlo è stata costruita una grande diga e creato un lago artificiale lungo 1700 metri e profondo 80; esso assicura una portata media di 1200 litri al secondo.

    Prima di fare un cenno della zonizzazione e funzionalità dei quartieri, ricordiamo ancora che, per una futura espansione urbanistica, Genova, pur nella accidentata morfologia del territorio, troverà nella vastità di questo un ampio respiro: è nelle delegazioni periferiche che si svilupperà sempre più la Genova del futuro, perciò la necessità di affrettare tutto ciò che contribuirà a fare del grande agglomerato urbano della « grande Genova » un organismo che viva una vita armonica.

    La cementazione tra Genova centro e le località aggregate non è ancora del tutto maturata; lo prova l’uso, così comune fra gli abitanti, di distinguere il proprio rione — sia questo Sampierdarena o Sturla, Cornigliano o Rivarolo, per non ricordare che i più vicini al centro — da Genova, che è ancora la città dalla Lanterna al Bisagno o, tutt’al più, ad Albaro; ma di fatto l’organismo urbano della grande Genova è una realtà: realtà economica, finanziaria, geografica, col centro propulsore del porto e delle industrie, ed espressione di questa realtà è, dal punto di vista esterno, il fatto che il servizio autotranviario urbano ne raggiunge con servizi rapidi, a tariffe normali, gli estremi fino a Voltri, Pontedecimo, Nervi, Molassana, mentre ascensori e funicolari assicurano comunicazioni rapide con i quartieri più alti e con le zone panoramiche sopra l’abitato (come il famoso Righi).

    I quartieri della Grande Genova

    In questo grande complesso urbano si può riconoscere una zonizzazione in quartieri che del resto si tende a sottolineare sempre più anche negli intenti del nuovo piano regolatore.

    Le varietà sono grandissime — e nella qualificazione funzionale, e nell’aspetto esterno — nella stessa delegazione di Genova. Varia molto anche la densità: dal minimo di circa 200 ab. per ettaro ad Albaro, dove prevalgono abitazioni signorili e vi sono ampi spazi liberi o a parco, a quella di circa 400 ab. alla Foce, di oltre 500 a Prè, fino al massimo di circa 800 nel « sestiere » del molo.

    Il quartiere del centro, nel senso moderno della parola, ha il suo punto principale di riferimento in piazza De Ferrari, su cui prospettano il Palazzo Ducale e i moderni palazzi a portici del secolo XIX e XX — dell’Accademia, della Società Italia, della Borsa, del Credito — ; sulla Piazza si affaccia anche il Teatro Carlo Felice; di qui il quartiere del centro si estende verso sud, da un lato fino a San Lorenzo conducendo nei quartieri della Genova medievale e del porto; dall’altro alla piazza Dante. Si ricollega a nord a piazza Fontane Marose e a piazza Corvetto e, attraverso le due direttrici — di piazza Fontane Marose, via Garibaldi, via Cairoli e delle Gallerie con le piazze del Portello e della Zecca — raggiunge l’Annunziata e quindi via Balbi e la Stazione Principe. Da piazza De Ferrari e piazza Corvetto, verso est e sudest il centro si ricollega, per via XX Settembre e via Serra, a Brignole e alla grande piazza della Vittoria sulla quale, o nelle vie adiacenti, sono sorti edifici pubblici in sedi moderne e modernissime. Con la completa trasformazione della zona di Picca-pietra e la sistemazione della zona di via San Vincenzo e piazza Colombo, il centro avrà più ampio respiro e continuità spaziale. Sono in esso raccolti tutti i più importanti edifici pubblici, istituti culturali, sedi centrali delle grandi banche, la Borsa, gli uffici direzionali delle maggiori società commerciali e industriali. Invece il glorioso Palazzo San Giorgio è in posizione periferica, vicino al mare, al margine del « Centro storico », là dove pulsa più vivace e pittoresca la tradizionale attività marittima. Anche in questo quartiere del centro, che è naturalmente, in via subordinata, anche quartiere residenziale, sono vivi i contrasti tra le grandi piazze e le ampie vie da una parte, dall’altra le vie strette del tipo dei « caruggi » e le tipiche salite in pietra e mattoni che sono un’altra caratteristica di Genova, insieme alle scalinate; la tecnica moderna vi ha portato invece le grandi gallerie di attraversamento.

    La vecchia Genova: nello sfondo Santa Maria Assunta di Carignano.

    Genova nuova: particolare di piazza De Ferrari con il Palazzo della Borsa; nello sfondo uno dei due grattacieli di piazza Dante; in primo piano la fontana dell’architetto Crosa di Vergagni.

    Il Molo Giano e il Violo Cagni con il porticciolo per il naviglio da diporto; lungo il mare i quartieri della vecchia Genova e al di sopra di questi i « quartieri alti » residenziali. A ovest la ripida collina, dove l’abitato ebbe sempre limitata estensione; nello sfondo le fortificazioni del sec. XVII.

    Un posto a sè ha il « Centro storico », del quale si è già parlato ; esso si affaccia sulla grande arteria che corre lungo il porto da Caricamento a via Gramsci a nord del Molo Vecchio, e a sud su un tratto della Circonvallazione a Mare. Ricordiamo il caratteristico movimento di Sottoripa dove converge il mondo dei marittimi di ogni provenienza.

    Un altro quartiere abbastanza ben individuato è quello che può dirsi di « Genova alta»: si sviluppa sotto e sopra la Circonvallazione a Monte, con ampi spazi verdi, ed è un quartiere residenziale signorile; può dividersi nel settore meno recente della fine del secolo scorso e del principio di questo, più in basso — dal Castelletto a via Caffaro, via Assarotti — e in quello modernissimo più in alto. Quartiere residenziale che gode di una varietà ed ampiezza di panorami eccezionale e al quale non sono estranei i contrasti, perchè fra le vie moderne e modernissime si incuneano le gradinate e le vecchie salite dell’antico suburbio: particolarmente suggestive le caratteristiche salite con la striscia di mattoni nel mezzo, i due acciottolati e i gradini ai lati, dove non è arrivato il rumore della vita moderna; esse riserbano al visitatore la sorpresa di quiete piazzette romantiche col loro ciuffo di alberi, la chiesa silenziosa, lo scorcio panoramico sulla città, a pochi passi, si può dire, dal febbrile movimento delle vie del centro. Funicolari e ascensori servono al traffico insieme alle strade.

    Si può dire un quartiere residenziale anche quello di Carignano, fino alla Circonvallazione a Mare e alle Mura delle Cappuccine, che riceve lustro artistico dalla monumentale Chiesa dell’Assunta e attrattiva di eccezione dagli ampi panorami sul porto e sul mare visti dall’alto. Vi si trova il grande Ospedale di Galliera.

    Un quartiere residenziale, dove prevale la popolazione delle classi medie, è quello che si è sviluppato dal secolo scorso a oriente del Bisagno; quartiere che ha una nota di regolarità, ma molto più monotono in confronto agli altri di Genova per il tracciato generalmente regolare delle strade e perchè si distende su un’area pianeggiante.

    La « grande Genova »: i nuovi quartieri residenziali delle « delegazioni » orientali, da Albaro a Nervi.

    Invece dalla Foce alla Collina di Albaro si è sviluppato un quartiere residenziale signorile tra i più belli di Genova, non solo per il tipo delle abitazioni, ma perchè queste sorgono sul mare o sulla collina in vista del mare, là dove, lontano dal porto e dai suoi bacini, la vista spazia sulla libera distesa delle acque; altra nota pittoresca lo sfondo del Promontorio di Portofino. Accompagna dal lato del mare il corso Italia una spiaggia abbastanza ampia, con moderni stabilimenti, molto frequentata in estate dalla popolazione genovese. Vi è rimasto inglobato il piccolo pittoresco centro di pescatori di Boccadasse («Bocca d’ase») con la sua ciazza: pennellata di vita semplice e tradizionale sullo sfondo di un quadro di vita ricca e signorile.

    Vedi Anche:  Le vallate del versante padano

    Questi i quartieri di Genova. Poi vi è tutta la serie dei quartieri periferici, ognuno dei quali, come ha una sua storia, ha proprie caratteristiche e anche una propria vita.

    Anzitutto i quartieri o delegazioni orientali: Sturla, Quarto, Quinto possono dirsi in complesso quartieri residenziali, in cui però sopravvive il singolo centro locale con gli uffici più necessari, i negozi, le succursali delle banche e la stazione ferroviaria, anche se ormai vi sostano soltanto più pochi treni accelerati. Ciascuno ha pure il vecchio centro con la tipica ciazza sul mare, mentre gli abitati residenziali moderni tendono a guadagnare sempre più la collina, dove ancora qua e là sopravvivono antiche ville e le tipiche strade liguri di periferia fra gli alti muri che circondano i giardini e gli orti. Quarto vanta lo storico scoglio dei Mille, la cui leggendaria impresa è ricordata da un monumento e dai nomi delle strade. Le spiagge, separate da pittoreschi promontori, sono poco ampie e sassose, tuttavia frequentate in estate. Due grandi Istituti servono la grande Genova, anzi l’intera provincia: l’Ospedale psichiatrico e l’Ospedale per bambini Giannina Gaslini.

    La «grande Genova»: il porticciolo di Nervi nel centro antico con lo sfondo della collina ridente di abitati e i grandi parchi della flora sub-tropicale.

    La « grande Genova » città di contrasti ; i quartieri industriali della bassa val Polcevera : Bolzaneto con le fabbriche e le grandi costruzioni residenziali, nella cornice delle pendici ancora verdi della valle.

    Carattere diverso ha Nervi (cui fa seguito Sant’Ilario) perchè conserva la funzione di stazione di soggiorno e di cura coi grandi alberghi e i parchi dalla flora lussureggiante. Nervi ha più degli altri centri una sua autonomia perchè vive dell’industria turistica, favorita dal clima mitissimo; la stazione ferroviaria è servita anche dai treni diretti e tutti i servizi più essenziali sono indipendenti da Genova. Anche qui sono in sviluppo grandi edifìci moderni che soffocano, forse fin troppo, le antiche ville signorili mentre permane l’antico centro.

    Un quartiere del tutto diverso è quello che si è sviluppato nella valle del Bisagno : qui la qualificazione funzionale è più difficile perchè è al tempo stesso quartiere industriale e residenziale; il suo sviluppo, tuttora in atto, è stato piuttosto caotico, tanto più che vi sono rimaste inglobate zone del vero e proprio suburbio campagnolo, noto un tempo per gli orti feraci. Come si è già detto, è prevista la parziale copertura del Bisagno e, più a monte, il suo arginamento. Vi si trovano alcuni complessi di servizio generale: il ben noto cimitero di Staglieno, col suo mondo di statue che fanno rivivere negli atteggiamenti della vita mortale il mondo ottocentesco delle classi agiate; inoltre l’Istituto delle Carceri di Marassi, santificato dal martirio dei prigionieri politici dell’ultima guerra, e più a valle l’Ospedale di San Martino con la Città Universitaria e il Liceo Artistico presso la Villa Imperiale.

    Per le delegazioni occidentali valgono considerazioni analoghe a quelle già fatte: ogni località conserva ancora una certa autonomia funzionale coi propri servizi più essenziali in quello che può dirsene il centro, con la stazione ferroviaria, anche se solo quella di Sampierdarena ha un movimento importante, perchè vi si smistano le linee per la Riviera e per i Giovi; qualcuno conserva il proprio cimitero e anche l’ospedale. Però i legami economici con Genova sono molto vivi perchè il porto si è esteso da questo lato e le direzioni delle grandi industrie sono a Genova.

    Sampierdarena, Cornigliano e Sestri sul mare; Rivarolo, Bolzaneto e Pontedecimo nella vai Polcevera, hanno caratteri simili di quartieri al contempo residenziali e industriali. Le due funzioni si compenetrano, ma si tende ad una zonizzazione che diventerà più evidente col crescere dei quartieri residenziali, a carattere specialmente popolare, sulla collina prospiciente il mare o sui versanti della vai Polcevera, mentre gli stabilimenti sono vicino al mare o lungo il fiume. I vecchi abitati hanno scarso interesse e le zone più vicine alle fabbriche soffrono dell’aria pesante di esalazioni. Il centro più unito a Genova, senza soluzione di contiguità, è Sampierdarena: ma poiché era il più importante, è stato anche il più restio all’unione. Scriveva di Sampierdarena il Giustiniani nel secolo XVI « una spiaggia lunga un grosso miglio, tanto comoda al varar delle navi che non potrebbe esser più ». Il mare distrusse poi la spiaggia. Sulla spiaggia di Cornigliano vi erano già nel Medio Evo cantieri e scali. Sestri Ponente si sviluppò da due borghi medievali sorti ai piedi dei monti e si andò estendendo in forma allungata su un lembo alluvionale pianeggiante: esso sarà più intimamente collegato al centro col completo funzionamento dell’aeroporto. La zona industriale ha ormai guadagnato anche Multedo coi grandi impianti petroliferi. Invece Pegli conserva diverso carattere e maggiore indipendenza dalla metropoli per la sua qualifica di stazione di soggiorno. È a destra della foce della Varenna e nel Medio Evo vi si esercitò la marineria. Vi si possono anzi distinguere i diversi quartieri con marcata zonizzazione: il vecchio centro, il quartiere residenziale di soggiorno climatico, un quartiere residenziale a villini, il nuovo quartiere con grandi costruzioni moderne. Vanta le due bellissime Ville Doria e Durazzo Pallavicini o Villa Comunale, col grande parco e il Museo civico di Archeologia ligure, in cui è stato raccolto il prezioso materiale delle caverne preistoriche della Riviera e delle necropoli scoperte negli scavi per la sistemazione di via XX Settembre. A Pegli ha sede anche il Museo Navale. La spiaggia, danneggiata dalla vicinanza degli impianti petroliferi e della rada dei petroli, è frequentata ora soprattutto dai Genovesi.

    Voltri è l’ultima delegazione della « grande Genova » ad ovest e ripete carattere di centro industriale e residenziale insieme, mentre è nodo stradale importante per la carrozzabile del Passo del Turchino. Già ricordata in epoca romana, deve probabilmente il nome a quello dei Liguri Veituri ; è distinto in due borghi : Sant’Erasmo sulla destra del Leiro e Sant’Ambrogio o Gattegà sulla sinistra.

    Pegli conserva ancora il carattere di stazione climatica e balneare.

    Lo sviluppo demografico

    Non si hanno dati sulla popolazione di Genova nell’epoca medievale. Calcolare il numero degli abitanti deducendolo da quello degli uomini d’arme vuol dire avere dei risultati estremamente incerti. Motivo di incertezza maggiore è per Genova anche il continuo affluire di colonie di Italiani di altre regioni e anche di forestieri, molti dei quali finirono per fermarsi in città. Primi fra tutti i Milanesi, venuti col loro Vescovo nel secolo VII: formarono un quartiere ben distinto, ma si fusero poi col resto della popolazione. L’afflusso degli immigrati forestieri fu particolarmente intenso nei secoli della maggiore floridezza economica, il XII e il XIII, quando fu intensissimo anche il movimento fluttuante dei mercanti che frequentavano la città. Genova era allora centro di scambi fra due grandi mercati, quello delle città del Levante e quello dell’Europa occidentale e centrale, con le grandi fiere della Provenza e della Sciampagna. I mercanti dell’Italia centro-settentrionale facevano tappa a Genova per rifornirsi dei capitali necessari, in questa città che era un mercato finanziario di primissimo ordine.

    Lo sviluppo demografico e urbanistico soffoca ormai i vecchi centri caratteristici, come quello famoso di Boccadasse (« Bocca d’ase »).

    Stranieri di tutti i paesi, da Oriente e da Occidente, frequentano allora Genova, ma non è meno interessante l’affluenza di Italiani di ogni regione, dai Piemontesi ai Napoletani e ai Siciliani, dai Sardi ai Corsi, dai Lombardi ai Toscani e ai Piacentini, che formano la colonia più numerosa. Molti vanno e vengono ma ve ne sono che risiedono a Genova e finiscono per rimanervi; si fondono infine con la popolazione locale la quale aumenta per queste immigrazioni anche se vi è la contropartita dei Genovesi emigrati in tutta l’Europa e il bacino mediterraneo per esercitarvi attività mercantili e finanziarie. Tra le colonie più caratteristiche immigrate a Genova merita di essere ricordata quella dei cosiddetti « Maestri Antelami » venuti dalla valle d’Intelvi, prima come carpentieri, poi come costruttori e scultori, diventati monopolisti di questa industria.

    Una punta massima del numero degli abitanti è stata certamente raggiunta alla fine del secolo XIII, forse avvicinandosi ai 100.000, ma non si hanno cifre attendibili. Le prime cifre sono posteriori di quasi due secoli : una numerazione dei «fuochi», cioè delle famiglie, nel 1531 ne avrebbe annoverato 20.000; attribuendo 5 abitanti ad ogni «fuoco», si avrebbe una popolazione di circa 100.000 abitanti in quella che era allora la cinta muraria, cioè in Genova centro, dove oggi è di poco più che 170.000 abitanti. Il calcolo sembra errato in eccesso; è vero che verrebbe confermato dal computo di pochi anni posteriore del Giustiniani (1535) desunto dal numero delle case, ma è la cifra di 5 abitanti per « fuoco » che sembra eccessiva.

    La popolazione sarebbe molto diminuita alla fine di quel secolo, del resto molto agitato della storia di Genova, mentre si andava profilando una stasi economica sempre più sentita. Un computo della fine del secolo (1597) darebbe, sempre per il territorio dell’attuale centro di Genova, cioè prima delle aggregazioni dei secoli XIX e XX, poco più di 60.000 abitanti.

    Molto oscillante dovette essere il numero degli abitanti nel secolo XVII, per le vere e proprie decimazioni operate dalla peste, specialmente a metà del secolo: la popolazione che, prima della pestilenza più grave del 1656, avrebbe toccato quasi 90.000 ab., si sarebbe successivamente più che dimezzata e sarebbe poi rimasta poco numerosa per tutto il restante secolo e nella prima età del secolo XVIII. La fine di questo secolo segna un nuovo aumento, mentre si cominciano ad avere cifre più attendibili: gli abitanti sarebbero stati circa 80.000 nel 1797; 86.000 nel 1802. Nuove oscillazioni furono provocate dagli avvenimenti dell’inizio del secolo XIX; poi comincia l’ascesa che non si interromperà più. Nel 1838 Genova contava nel Centro 113.677 abitanti, così suddivisi per quartieri: San Vincenzo, 12.290; Prè, 20.600; Maddalena, 13.232; Portoria, 31.000; Molo, 29.497; San Teodoro, 7058. Il primo censimento italiano trovò in quello che era il territorio dell’allora comune di Genova, cioè negli attuali quartieri centrali, 128.000 abitanti, che salgono a 237.000 se si aggiunge la popolazione dei Comuni che saranno successivamente annessi a quello di Genova.

    Per l’affollarsi di case e l’atmosfera satura di vapori, nei quartieri industriali le nuove abitazioni devono spostarsi sulla vicina collina (in primo piano lo stabilimento della Società Cornigliano).

    Nel 1901, in questo che è il territorio della «grande Genova», la popolazione era già salita a 395.000 abitanti; il mezzo milione era ormai superato nel 1921 e nel 1936, quasi alla vigilia della guerra mondiale, gli abitanti erano 631.000; il censimento del 1951 ha trovato 687.480 abitanti presenti; alla fine del 1959 la popolazione risulta di circa 750.000 abitanti.

    Della popolazione censita nel 1951, più della metà (il 54%) abitava nel territorio del vecchio centro e dei Comuni annessi nell’anno 1874, che ne sono praticamente la diretta continuazione; gli altri nelle delegazioni esterne, delle quali le più popolose sono Sampierdarena, Sestri, Cornigliano, Rivarolo, cioè quelle più intensamente industriali e più strettamente unite in un sol corpo urbano col centro.

    Il dato demografico più significativo della popolazione di Genova è il bassissimo tasso di natalità. Se consideriamo gli ultimi 25 anni, vediamo che esso, già molto basso in partenza, è andato sempre più diminuendo: prima della guerra si aggirava tra il 13 e il 15°/00; passato il periodo anormale della guerra e dell’immediato dopoguerra, col fenomeno comune di una diminuzione seguita da un aumento, l’indice è rimasto dopo il 1950 inferiore sempre al i2°/0o. Poiché la mortalità si aggira intorno a cifre poco differenti, anzi leggermente superiori, da diversi anni ormai il numero dei morti supera quello dei nati; del resto anche nel periodo precedente l’eccedenza era minima.

    La popolazione di Genova aumenta pertanto per eccedenza dell’immigrazione sulla emigrazione: il massimo di immigrati si è avuto nel 1954, con 24.000, e in quello stesso anno l’eccedenza positiva è stata di circa 18.000 abitanti.

    Per questa crescente immigrazione la composizione della popolazione di Genova per luogo di provenienza è molto eterogenea; del resto si ripetono, in nuove forme, condizioni analoghe a quelle dei secoli di maggiore attività commerciale e finanziaria.

    La popolazione nata nel Comune comprende il 54% del totale, a cui possono aggiungersi un altro 6% di nati in provincia o in altri Comuni liguri. Resta ai nati fuori della Liguria ben il 40% ; il gruppo più numeroso di immigrati è quello dei Piemontesi, seguiti dagli Emiliani, dai Toscani e dai Lombardi (in tutto oltre il 20%): questi e gli altri immigrati settentrionali si sono però più facilmente fusi con la popolazione; molto più sentito è ancora il distacco della colonia meridionale, formata soprattutto da Siciliani e Calabresi.

    Il complesso aereo portuale di Genova.

    Il porto di Genova e il suo sviluppo

    Genova, lo si è detto più volte nel corso di questo lavoro, accentra la massima parte dell’attività economica ligure e domina, fino ad un certo punto almeno, quella degli altri centri minori. Sarebbe un’inutile ripetizione parlare qui delle grandi industrie che hanno sede nel Comune di Genova, della sua attività armatoriale e finanziaria perchè se ne è già parlato nel capitolo sull’economia ligure. Ma si è appena accennato al suo porto, riservandone la descrizione al presente capitolo dedicato alla città.

    Il porto è veramente oggi, come nei gloriosi secoli medievali, una cosa sola con Genova; la vita più caratteristica della città non si comprende se non si considera l’attività portuale e tutto il movimento che il porto determina. Vi è tutto un mondo di gente che lavora nel porto, e per il porto; di gente di ogni paese che sosta a Genova per imbarcarsi o perchè vi sbarca. Il movimento più caratteristico è quello dei marittimi della marina mercantile: degli stranieri che approfittano della sosta a Genova per trafficare, degli Italiani che qui fanno capo come centro armatore, non solo, ma come porto di partenza e di arrivo. Questo movimento svolge soprattutto nei quartieri più vicini al porto, che sono considerati, per buona parte a ragione, una delle note folcloristiche più tipiche di Genova.

    Porto di Genova 1912: i «coffinanti» con le « coffe », ceste di vinchi a campana, trasportano il carbone.

    Sorto in epoca preromana, il porto ebbe il suo inizio nella estremità sudorientale dell’attuale Porto Vecchio in una piccola insenatura formata dal Colle di Sarzano, a nord delle pendici di questo presso la radice dell’attuale Molo Vecchio dov’è la zona del Mandraccio. Il suo ampliamento e la sua manutenzione furono in ogni tempo, soprattutto dal secolo XI in poi, il più assillante problema di Genova, affidato ai « consoli del mare », ai « salvatori del molo e del porto », ai « conservatori del mare», agli «edili del porto»: può dirsi loro erede il Consorzio Autonomo creato con legge del 12 febbraio 1903.

    Il porto di Genova non ha subito, almeno nella parte vecchia, il dànno degli insabbiamenti, nonostante si sia talvolta temuto delle alluvioni della Polcevera o del Bisagno (ma, a quanto pare, senza fondate ragioni), perchè vi sfociano solo dei piccoli torrenti; ma l’ostacolo naturale contro cui si è dovuto in ogni tempo lottare, superato solo in sostanza dal secolo scorso, è il fatto che il porto è aperto ai venti di sud e soprattutto a quelli di sudovest, non frequenti, ma violenti e temibilissimi, che molte volte sollevarono mareggiate di tale violenza da distruggere tutte o quasi le navi ancorate nel porto. Nè le difese di oggi sono del tutto sufficienti a contenerle: ne è stata testimonio la spaventosa mareggiata del febbraio 1955 che ha distrutto anche parte della grande diga foranea, provocando danni gravissimi.

    A questo secolare problema, dopo il 1860 si aggiunge l’altro, della insufficienza della insenatura naturale per gli aumentati bisogni del traffico, e l’ostacolo fu superato costruendo un nuovo porto artificiale a ovest, di fronte alla costa di Sampierdarena. Al traffico, in rapidissimo aumento dopo la distruzione e la stasi della seconda guerra mondiale, non basta più nemmeno il porto in queste raddoppiate dimensioni; ed ecco in atto quella che può dirsi la terza fase dello sviluppo portuale: l’estensione al di là della foce della Polcevera davanti a Cornigliano e Sestri Ponente.

    Come si è detto, il primo approdo ligure-romano fu nella zona del Mandraccio là dove dal Colle di Sarzano si protendeva un piccolo sprone che formava un’area di mare protetta. Ma già nel Basso Impero e nel periodo bizantino il movimento marittimo si andò spostando verso nordovest, dove sorgeva l’attivo borgo rimasto fuori dalle mura carolingie, mentre il primitivo approdo rimaneva come rifugio. Le prime opere di banchinamento sembra risalgano al secolo XI. Nel secolo XII il movimento cresce e urge una più organica sistemazione del porto: nel 1130 dirige nuovi lavori Frate Oliverio da Sestri. Si comincia a delineare la costruzione del Molo Vecchio, che per quattro secoli formerà la base del porto di Genova, il quale perciò si sviluppa nella parte orientale dell’attuale Porto Vecchio mentre rimane scoperta ai venti di sudovest l’altra metà chiusa dallo sprone della Lanterna.

    Il Molo Vecchio in senso vero e proprio fu completato nel 1283 ad opera di Marino Boccanegra, mentre alcuni anni prima, nella zona del Mandraccio, si era iniziata la costruzione di una darsena. Alla fine del secolo un’altra darsena più ampia, destinata alla marina da guerra, veniva costruita più a nord, di fronte alla Porta dei Vacca.

    Nei due secoli successivi non avvengono trasformazioni di grande entità: i lavori sono diretti a migliorare l’area portuale formata dal Molo Vecchio, che viene a più riprese prolungato, mentre si sistemano pontili e banchine. Le mareggiate danneggiano più volte il porto e le navi che vi sono ancorate; fra tutte grave quella del febbraio 1448: nell’intento di studiare nuovi mezzi di riparo e di difesa, al seguito di Ludovico il Moro sarebbe venuto a Genova e avrebbe visitato il porto Leonardo da Vinci; comunque questi ne fa menzione nei suoi scritti.

    Segnacolo del porto di Genova, anche se il movimento delle navi si svolge nello specchio d’acqua orientale, è già in questi secoli la Lanterna, cioè la celeberrima torre sorta al Capo di Faro. Fu chiamata dapprima « Torre di Capo Faro » e fu costruita forse fin dal secolo XII. In un Breve Consolare del 1161 si parla della torre « prò igne fadendo in capite fari », ma può alludere solo all’usanza di accendere i fuochi per le segnalazioni marittime nello spiazzo dove poi sorse la torre. Certo questa era già costruita all’inizio del secolo XIV. La prima immagine è disegnata a penna sulla copertina in pergamena di un Manuale « dei Salvatori del Porto e del Molo» del 1371. La torre fu incorporata dai Francesi nella fortezza della Briglia e durante l’assedio del 1512 fu distrutta la parte più alta; fu ricostruita dalle fondamenta, ancora più alta, nel 1543. Si hanno tracce in diversi documenti delle disposizioni per le segnalazioni di giorno e di notte, dei danni molte volte subiti a causa dei fulmini e delle vicende di guerre e bombardamenti.

    Una svolta decisiva nella costruzione del porto di Genova si ha nel 1638 con l’inizio della costruzione del Molo Nuovo, finanziata dal Banco di San Giorgio; sarà terminata quattro anni più tardi. La soluzione del problema della difesa del porto da ponente è avviata e il Molo Nuovo, di cui si dimostra l’efficacia, verrà a più riprese prolungato nel secolo XVIII.

    Per oltre cinquantanni, dalla fine del secolo, non vengono eseguite altre opere importanti; intanto è passato il periodo della dominazione francese e, caduta la Repubblica, Genova con la Liguria è stata incorporata al Piemonte. Nel 1821 una gravissima tempesta, che causa la distruzione di una quarantina di navi, riapre la questione della sistemazione del porto e nel 1835 si decide il prolungamento del Molo Vecchio per altri 100 metri. Ma le tempeste sono ancora troppo minacciose dal lato di ponente e, negli anni dal 1846 al 1868, viene a più riprese prolungato il Molo Nuovo per circa 500 metri complessivi. Contemporaneamente venivano eseguite nuove opere di attrezzatura, tra cui il primo bacino di carenaggio, e costruiti i Magazzini generali in concessione al Comune di Genova.

    Intanto erano avvenuti i fatti nuovi che apriranno un nuovo avvenire al porto di Genova, che era stato nei secoli precedenti soprattutto un porto « di ridistribuzione»: la costruzione delle ferrovie, di cui fu prima la Genova-Torino nel 1851; l’unificazione italiana per cui Genova da porto del Piemonte divenne sbocco della Pianura Padana lombardo-piemontese; il sorgere, qui e nella stessa Liguria, delle grandi industrie. Il porto non era più sufficiente. È allora che si affaccia alla storia la figura di un grande genovese, Raffaele De Ferrari, duca di Galliera, che nel 1875 offre un contributo finanziario per quei tempi favoloso, venti milioni di lire. I lavori, iniziati due anni dopo secondo il progetto dell’ingegnere Adolfo Parodi, e durati undici anni, segnarono una svolta decisiva per l’ampliamento dell’area portuale, con la costruzione di nuove banchine e di difese foranee.

    Fu costruita, a prolungamento del Molo Nuovo, una grande diga, formata da due tratti: il primo volto a sud, il secondo più lungo volto a sudest (il Molo Duca di Galliera). Dall’altro lato, a sudest del glorioso Molo Vecchio, sorse il Molo Giano con direzione sudovest: si ottenne in tal modo un nuovo bacino: il Bacino delle Grazie. Nell’interno del porto vennero costruiti dodici grandi sporgenti, sistemate le calate dotandole con gru, magazzini e altre nuove attrezzature, completati gli impianti ferroviari.

    Nel 1903 si costituisce il Consorzio Autonomo del Porto cioè « il consorzio autonomo delle rappresentanze di tutti gli Enti interessati nel porto di Genova, consorzio che viene sostituito allo Stato in tutto quanto concerne l’amministrazione del porto medesimo ». Al Consorzio fu data degna sede nello storico Palazzo di San Giorgio, già sede di quel Banco di San Giorgio che era stato l’animatore dei traffici marittimi di Genova. Non è qui il caso di ricordare le vicende attraverso le quali si arrivò alla costituzione di questo Ente, il quale del resto è stato in certo senso l’erede della Magistratura dei salvatores portus et moli del secolo XIII, alla quale fece seguito quella dei conservatores maris incaricata di provvedere a quanto occorreva al miglioramento e all’esercizio del porto, coprendo le spese con l’esazione di particolari diritti sulle navi e sulle merci.

    Oltre cinquant’anni di vita del Consorzio Autonomo ne hanno dimostrato, pur attraverso inevitabili critiche e difficoltà, il grande benefìcio; e tanto più se ne vede l’efficacia se si considera che questi cinquantasette anni hanno conosciuto le gravissime crisi di due guerre — di cui la seconda lasciò nel porto distruzioni immani — quella delle depressioni economiche che le seguirono, senza contare le difficoltà naturali che nel porto di Genova sono particolarmente gravi : la mancanza di spazio che l’uomo deve, per così dire, creare, e la furia devastatrice del mare, che talvolta riesce ad aver ragione anche delle più solide difese.

    Primo compito del Consorzio fu quello di provvedere a un ampliamento del porto che, nonostante le opere patrocinate dalla munifica offerta del duca di Galliera, e qualche altro lavoro di urgenza eseguito alla fine del secolo, era del tutto inadeguato al traffico in rapida ascesa. Prima della guerra 1915-18 furono eseguiti numerosi lavori, ma il porto non ebbe ancora un decisivo ingrandimento. Si iniziò però la sua estensione a ovest coi primi lavori preparatori di quello che sarà l’attuale Bacino della Lanterna, fra il Molo Nuovo e lo sprone dal Colle di San Benigno con la Lanterna: fu tagliato il primo braccio del Molo Galliera e prolungato a ovest il secondo braccio, aprendo così la comunicazione tra il vecchio e il nuovo porto e iniziando le opere di difesa del nuovo bacino. Dopo la guerra si completarono numerose opere, con la costruzione e sistemazione dei ponti, l’attrezzatura delle banchine; entrò difatti in funzione il braccio della Lanterna coi ponti Rubattino e San Giorgio; fu costruito il Molo Cagni ottenendo cosi il porticciolo Duca degli Abruzzi per le navi da diporto; furono costruiti la Stazione Marittima al Ponte dei Mille e il terzo bacino di carenaggio.

    Il pontile dei silos per lo sbarco dei cereali; vi possono ormeggiare due navi contemporaneamente.

    Il primo bacino di carenaggio costruito in Italia (1849) è detto « bacino della darsena » ed è lungo m. 83.

    Ma il progetto che segnò una vera trasformazione del porto fu quello approvato dall’Assemblea del Consorzio nel 1927, che preparò la costruzione di un nuovo grande porto artificiale davanti a Sampierdarena. Doveva proteggerlo a sud una grande diga foranea e a ovest il Molo Ronco alla foce della Polcevera, delimitando così un grande bacino oggi detto di Sampierdarena sul quale prospettano ben cinque nuovi ponti. Il complesso di questi grandiosi lavori veniva compiuto nel 1936, ad eccezione del riempimento degli ultimi due ponti. Si crearono intanto nuove attrezzature, tra le quali la Stazione Marittima al Ponte Andrea Doria, ed entrò in esercizio la camionale Genova-Serravalle Scrivia, raccordata al porto con la nota pista elicoidale. Vengono costruiti il terzo e quarto bacino di carenaggio.

    Alla fine della seconda guerra mondiale di tanto lavoro di decenni e di secoli sembrava fosse rimasto solo un cumulo di rovine: e di fatto le acque del porto erano impraticabili per la presenza di oltre 130 mine magnetiche e di circa 900 natanti di ogni tipo affondati; le banchine erano distrutte per quasi il 40%, per più dell’85 gli impianti meccanici e i magazzini; la grande diga foranea era spezzata da una breccia di 80 metri. Pure fu rapida la ricostruzione, che non fu solo tale: perchè in questi ultimi anni sono stati ampliati, moltiplicati, modernizzati i mezzi meccanici e le attrezzature per il carico e lo scarico; sono stati costruiti gli oleodotti; ampliate le officine di riparazione e di allestimento. E queste sono soltanto opere di dettaglio: ma sono in costruzione e in progetto nuove grandi opere che allargheranno l’area portuale a ovest della Polcevera fin quasi a Pegli. La più importante è la grande diga foranea, lunga 2800 m., che forma il riparo all’area dove sarà ultimato il grande aeroporto: area che potrà dirsi una creazione del lavoro umano perchè guadagnata col riempimento di uno specchio d’acqua, come già a oriente, fra il costruendo aeroporto e la Polcevera, la platea occupata dagli impianti della Cornigliano. A ovest dell’aeroporto e degli scali dei Cantieri Navali Ansaldo di Sestri è in sistemazione il porto dei Petroli, dopo la distruzione della darsena petroli fatta dalla mareggiata del 1955; è posto all’estremità ovest del porto, riparato dalla nuova diga foranea e dal Molo di Multedo, perpendicolare alla costa.

    Così, dov’era il porto iniziale accolto in una piccola insenatura naturale, si è creato un organismo portuale grandioso, superando l’ostacolo dell’ambiente naturale, che, se ha qui aperto vie di accesso all’interno, ha conteso lo spazio come non mai: il porto di Genova è testimonianza al mondo del lavoro coraggioso, tenace, intelligente dei Liguri.

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    Le attrezzature e il movimento attuale

    Si può citare qualche cifra per dare un’idea della attrezzatura del porto: le opere foranee si stendono per circa 5 km.; gli specchi acquei misurano 330 ettari, a cui devono aggiungersi i 200 delle aree a terra. Venti sono i ponti o sporgenti; i muri di banchina misurano oltre 20 km. e lo sviluppo delle banchine consente le operazioni di sbarco e imbarco merci a circa 100 navi contemporaneamente, mentre la ricettività complessiva del porto raggiunge le 200 unità. E ancora: i magazzini di deposito delle merci coprono un’area complessiva di oltre 300.000 mq. ; le tre Stazioni Passeggeri (divenute tre con l’affiancarsi alla Stazione Doria di una nuova Stazione per la Sardegna) consentono l’accosto contemporaneo di sei navi e hanno una capacità giornaliera di smistamento fino a 4000 passeggeri. Le gru idrauliche, elettriche, semoventi, gli elevatori e montacarichi (senza contare le gru « private ») sono in complesso più di 300 con una potenza di oltre 800 tonnellate; il porto dispone di 30 pontoni a «bigo» e a gru, di 450 galleggianti da carico per una portata complessiva di oltre 70.000 tonnellate, di 50 galleggianti cisterne, di due depositi galleggianti per il latice di gomma, senza contare tutti gli altri impianti e mezzi minori, i servizi di pilotaggio e di rimorchio, le quattro Stazioni ferroviarie, i servizi sanitari, il servizio fitopatologico. Non si entra qui in particolare nella descrizione dei silos granari, dei magazzini per cotone, oli e grassi, sale; imponenti i depositi per oli minerali, mentre dal ponte Libia parte l’oleodotto che porta il petrolio a Rho. Si ricordano ancora gli stabilimenti e officine di allestimento e riparazioni navali e la centrale termoelettrica della Edison-Volta al Ponte San Giorgio.

    Gru elettriche da banchina del tipo unificato da 3 a 6 tonn. di portata, per lo sbarco e l’imbarco delle merci.

    Movimento delle merci nel porto di Genova dal 1900 al 1959 (dati forniti dal Consorzio Autonomo del Porto).

    Anche da quanto si è detto in questa rapida rassegna si vede come il porto si vada organizzando sempre più verso la specializzazione dei vari settori, bacini, ponti, banchine. Ma le cifre dicono in sostanza poco. Meglio si giudica la grandiosità di questo grande organismo portuale osservandone la pianta; ma per farsene un’idea più adeguata bisogna vederlo, abbracciarne dall’alto il panorama, in tutta la sua estensione — troppo invalsa è l’abitudine di limitarlo al solo Porto Vecchio! — sentirne la vita operosa e pulsante che dai ponti, dalle banchine, dalle officine di riparazione, dai magazzini, dal succedersi delle navi, dal movimento delle gru, dei camions, dei vagoni ferroviari, dice ad ogni ora che la grandezza marinara di Genova non è spenta, anzi è più viva che mai. Si può ancora accennare che un delicato settore è quello del lavoro portuale. Non è il caso qui di entrare in merito alle questioni e al modo della sua organizzazione; ma non si può non ricordare la più celebre delle corporazioni che organizzarono in passato la mano d’opera portuale e furono soppresse nella seconda metà del secolo XIX, la « Caravana » fondata intorno al 1340 con privilegio esclusivo di appartenenza per i Bergamaschi. La forza media degli operai portuali iscritti nei ruoli consortili ascende oggi a circa 5000.

    Il movimento del porto negli ultimi cinquant’anni, pur attraverso a mutamenti dovuti a fatti contingenti e a elementi nuovi che si sono via via manifestati, mostra alcune fondamentali caratteristiche permanenti, che a loro volta sono la conseguenza della struttura geografica ed economica del retroterra. Le stesse due guerre che tanto gravemente hanno sconvolto il movimento, e la seconda anche le attrezzature del porto, non ne hanno mutato tali caratteristiche fondamentali; lo stesso si dica delle crisi economiche che nei due dopoguerra hanno significato un travaglio meno appariscente, ma profondo. Anche le forze naturali hanno minacciato di distruzione il porto, come già si è detto, con uno dei più gravi fortunali che la storia ricordi, ma il porto ha sempre ripreso la sua vita, chè infatti è organismo vivo e vitale, nonostante le molte questioni e difficoltà di ordine tariffario, rapidità di sbarco, organizzazione del lavoro portuale, ecc.

    La sua caratteristica è quella di porto commerciale a servizio di un retroterra, povero di fonti di energia e di materie prime, ma ricco di industrie, deficiente anche di alcuni prodotti alimentari, sia di prima necessità che voluttuari. Da questa caratteristica consegue anzitutto il fatto che il peso delle merci allo sbarco è sempre stato di gran lunga maggiore che all’imbarco; in secondo luogo il primato che spetta, nelle merci allo sbarco, alle fonti di energia; seguono le materie prime e i prodotti alimentari. I mutamenti sono legati a trasformazioni di struttura delle industrie e dell’agricoltura, ma non deviano da queste caratteristiche generali. Così nelle fonti di energia, mentre fino a tutto il periodo precedente alla seconda guerra mondiale, ha un posto, dapprima esclusivo, poi dominante il carbon fossile, e ancora prevale nei primi anni del dopoguerra, dal 1950 si inizia la rapida ascesa degli oli minerali, che nel 1959 hanno rappresentato il 48% del movimento complessivo all’entrata e quasi quattro volte il peso del carbon fossile (11% del movimento totale allo sbarco).

    Nel gruppo delle materie prime, mentre è stazionario l’andamento delle fibre tessili, e si è alquanto accresciuto, pur attraverso notevoli oscillazioni, quello dei semi oleosi e grassi, è aumentato, soprattutto negli ultimi 5-6 anni, lo sbarco dei minerali metallici e metalli (ivi compresi i rottami di ferro), in relazione col rapido incremento della siderurgia; infatti la massima parte dei minerali di ferro viene sbarcata al Molo Ronco e destinata alle acciaierie della « Cornigliano » ; per conto di questa è di nuovo aumentato anche l’arrivo di carbone.

    Quanto ai prodotti alimentari il mutamento più sensibile è quello della diminuzione delle importazioni di cereali e farine che, a parte le punte massime dei due periodi di dopoguerra, avevano sempre avuto una parte di primo piano nel movimento del porto e hanno visto ridursi sempre più in questi ultimi anni la loro importanza sia assoluta che relativa, in rapporto all’aumentata produzione granaria nazionale. Delle merci di minor rilievo vanno ricordate, nel gruppo delle materie prime e semilavorate, la gomma, il legname e sughero, la cellulosa, le pelli, i minerali non metallici, i materiali da costruzione. Nel gruppo dei prodotti di consumo alimentare: animali vivi e carni; uova e latticini; prodotti della pesca; banane e altre frutta; alimenti nervini e spezie; vini e altre bevande. Figurano poi, carne e anche prodotti finiti.

    Le principali merci sbarcate nel porto di Genova dal 1900 al 1959.

    Movimento delle navi arrivate nel porto di Genova distinte per bandiera, nel 1938 e nel 1958 (sulla base dei dati forniti dal Consorzio Autonomo del Porto).

    Molto meno importante il volume del movimento all’imbarco, legato ugualmente alla struttura industriale e agricola del retroterra. In esso figurano prodotti lavorati e semilavorati, dai filati, tessuti e prodotti di abbigliamento ai prodotti chimici, alle ceramiche e vetrerie, alle macchine e veicoli, ai metalli lavorati e semilavorati, ecc. Vengono quindi i prodotti alimentari, particolarmente ortaggi e frutta; vino e vermouth, formaggi ed anche carbone e oli minerali, compresi quelli in bunkeraggio; infine pure prodotti coloniali (caffè, cacao, the) e gomma in trasbordo, diretti sia a porti nazionali, sia all’estero.

    Sulle provenienze delle navi in arrivo si ripercuotono le variazioni segnalate nelle merci, ma anche le condizioni politiche. In confronto all’anteguerra sono in aumento quelle dei paesi dell’Asia Occidentale e del Levante Mediterraneo, che riflettono il tanto accresciuto commercio degli oli minerali, provenienti soprattutto da queste regioni: hanno raggiunto il primo posto nel 1958-59. Più oscillante, ma in deciso aumento negli ultimi anni, il Nordamerica, al secondo posto nel 1958 (al quarto nel 1959); più stazionario il Centro e Sudamerica; in diminuzione il Nord-europa, e in aumento invece i porti nazionali; in aumento anche l’Africa occidentale. Ma le importazioni provengono, si può dire, da ogni paese del mondo. Le destinazioni degli imbarchi sono più egualmente distribuite nelle varie direzioni: nel 1959 precede il Nordamerica, seguono il Centro e Sudamerica, l’Asia orientale, il Nord-europa, il Levante mediterraneo e il Mar Nero, l’Africa, la Francia, la Penisola Iberica; elevata la percentuale dei porti nazionali.

    La bandiera delle navi arrivate al porto di Genova dipende oltreché dalle correnti di esportazione e importazione, dalle vicende internazionali del mercato dei noli. Il primato spetta alla bandiera italiana, ma la percentuale rispetto al tonnellaggio complessivo è molto diminuita in confronto all’anteguerra, passando dal 65 al 40%; molto aumentata la bandiera statunitense, passata al secondo posto, ma nel 1959 scesa al quinto; segue il gruppo delle bandiere scandinave, in forte aumento dall’anteguerra (la bandiera norvegese è al secondo posto nel 1959), quindi le bandiere olandese, inglese, francese, greca ; ben rappresentate le bandiere « di convenienza » liberiana e panamense, inesistenti prima della guerra; invece molto diminuita, in confronto all’anteguerra, per ovvie ragioni, la bandiera germanica.

    Il retroterra naturale del porto di Genova si estende alla regione lombarda, a parte di quella piemontese e di quella emiliana; interferisce a ovest col retroterra del porto di Savona, a sudest e a est con quelli di La Spezia, di Livorno e coi porti adriatici. Attraverso le vie transalpine che partono da Milano il retroterra si estende alla Svizzera, dove interferisce con quello dei porti del Mare del Nord. Il retroterra economico coincide in complesso con quello geografico, ma ne supera i confini interessando, sia pure per piccole percentuali del movimento totale, Toscana, Italia centrale, e tra gli Stati esteri, Francia e Austria. Anche nella ripartizione regionale del traffico, come per il movimento delle merci, è evidente il perdurare delle fondamentali caratteristiche derivanti dalla posizione geografica di Genova e da quelle vie segnate dalla natura, che sono sostanzialmente sempre state le stesse, anche se accanto alle strade si sono costruite le ferrovie, poi le autostrade, quindi gli oleodotti : anche le grandi gallerie transalpine che si apriranno al traffico auto-camionistico non se ne discosteranno. Naturalmente, pur perdurando le caratteristiche fondamentali, fatti contingenti e nuove strutture economiche hanno fatto variare le percentuali della ripartizione regionale del traffico, ma sono solo variazioni di modesta entità o a carattere contingente. Così vediamo aumentare notevolmente negli ultimi due o tre anni la percentuale della Liguria, che nel 1959 incide per circa il 45% sul movimento delle merci (comprese quelle ad essa destinate e da essa in partenza): influisce evidentemente su questo aumento l’importazione dei minerali metallici destinati al complesso siderurgico della « Cornigliano ». La Lombardia è al secondo posto col 30% ; segue il Piemonte col 14%, in diminuzione rispetto alla percentuale degli anni precedenti. Queste due regioni, con la Liguria, rappresentano perciò il sostanziale retroterra economico di Genova. A grande distanza, fra le regioni italiane, vengono Emilia, Romagna, Toscana e poi Veneto e Italia centrale.

    Merci trasportate da e per il porto di Genova a mezzo ferroviario, a mezzo autocarri e a mezzo oleodotti.

    Quanto al movimento di transito per Stati esteri, il primato spetta alla Svizzera con circa il 4% del totale; con percentuali minime vengono l’Austria e la Francia. Per la Svizzera Genova riceve soprattutto oli minerali, seguiti da cereali e altri prodotti alimentari, e poi semi oleosi, fosfati, cotone; ne accoglie per esportarli, macchine, prodotti chimici, prodotti alimentari, tessuti e filati, ecc. Molto spesso si parla del transito svizzero e delle cause della sua modesta entità. Ma, a parte questioni tariffarie e finanziarie, intervengono altri fattori collegati col tipo di economia della Svizzera e con le condizioni geografiche. Le regioni meridionali della Svizzera, che sono le più raggiungibili dal porto di Genova, sono anche le meno industrializzate e popolate. La Svizzera possiede una flotta renana e il Reno rappresenta una via conveniente di trasporto per le pesanti ma non deperibili merci di massa di cui la Svizzera ha bisogno: per queste perciò è un’ottima via d’accesso lo sbarco nei porti di Rotterdam e Anversa e quindi l’inoltro, via Reno, fino a Basilea. Comunque il progettato oleodotto da Genova alla Svizzera potrà in parte mutare le sorti di questo commercio.

    L’entità del movimento del porto di Genova si può dedurre con maggiori particolari dalla tabella n. 14 e dai grafici. Da circa 5 milioni nel 1900, già raddoppiati in confronto a quindici anni prima, si passa a più di 8 negli anni di maggior traffico del periodo tra la prima e seconda guerra mondiale, fino al rapidissimo crescendo che si inizia col 1953 e arriva ai 16,4 milioni del 1957; una lieve flessione nel 1958, naturale conseguenza della recessione, ma il movimento delle merci è di poco inferiore ai 16 milioni di nuovo superati nel 1959; nel primo semestre del i960 sono stati superati i 10 milioni. Queste cifre sottolineano il primato di Genova nel complessivo movimento dei porti italiani: il secondo porto dopo Genova, per il movimento delle merci, è Napoli, che ha avuto nel 1959 un movimento di 9,8 milioni di tonnellate, cioè poco più della metà del movimento di Genova; segue con una cifra di poco inferiore il porto di Venezia. Nel quadro dei porti di tutto il mondo Genova è per il movimento delle merci al io-ii° posto; nel Mediterraneo occidentale resta di poco inferiore a Marsiglia, considerando per questa anche il movimento dei porti annessi: il confronto perciò dovrebbe farsi sommando almeno al movimento di Genova anche quello di Savona-Vado.

    Il porto di Genova e il suo retroterra: ripartizione percentuale del traffico da e per le regioni italiane e Stati esteri nel 1959.

    Il movimento delle navi all’entrata è cresciuto di pari passo con quello delle merci, raggiungendo i 20,5 milioni di tonnellate di stazza netta nel 1959, di contro agli 11,6 del 1938, e ai poco più di 4 milioni del 1900.

    Il movimento dei passeggeri è pure in aumento ed ha raggiunto, dal 1957, quasi i 300.000, rimanendo però inferiore alla cifra massima raggiunta nel 1913, l’anno della più forte emigrazione dall’Italia. Per questo movimento però il porto di Genova rimane inferiore a quello di Napoli.

    Il quadro statistico del porto dovrebbe essere completato dalle cifre del peso delle merci inoltrate all’interno attraverso i vari mezzi di trasporto: ferrovia e camions, a cui sono da aggiungere gli oleodotti. Nel 1958 il movimento ferroviario rappresenta, sommando le merci caricate e scaricate, il 40% sul movimento delle merci trasportate per vie terrestri (incidenza sul movimento del porto 30%), è aumentato rispetto all’anteguerra il traffico camionistico che rappresenta il 27% (incidenza sul movimento del porto 20%); è divenuto molto importante il movimento degli oleodotti, a mezzo dei quali sono stati avviati alle raffinerie del Genovesato e di Rho, oltre metà degli oli minerali sbarcati nel porto; sul totale delle merci inoltrate con vie terrestri, agli oleodotti spetta il 33% e questo movimento è destinato a un grande incremento con l’esecuzione dei nuovi oleodotti in progetto.

    L’importanza del porto di Genova nel quadro della economia italiana è messa in evidenza anche da un’altra statistica: la partecipazione del porto al totale delle importazioni ed esportazioni italiane, partecipazione che assomma a circa un quinto rispetto alla quantità, ma sale a un terzo rispetto al valore: l’incidenza è infatti di circa il 30% del valore sia delle esportazioni che delle importazioni (nel 1959 sul totale valore di 2088 miliardi di lire, le importazioni effettuate attraverso il porto di Genova toccarono i 694 miliardi; sul totale valore di 1809 miliardi di lire alle esportazioni quelle effettuate attraverso il porto di Genova toccarono i 535 miliardi). Quanto ai gruppi merci, le percentuali più elevate sono quelle relative ai nervini (cacao e the per oltre il 90% del valore delle importazioni italiane), alle frutta, alle fibre tessili (oltre il 60% del valore del cotone importato e circa il 90% della lana), ai semi oleosi, agli oli e grassi, al caucciù (oltre il 95%), alla nafta ed oli combustibili, ai minerali di ferro, rottami e ghisa.

    Si è cercato di lumeggiare, anche attraverso alle indispensabili cifre, integrate dai grafici, quella che è oggi la funzione del porto di Genova. Si può accennare ancora che è vero che si è ridotta sempre più la funzione di mercato e il traffico di cabotaggio. Ma sono inevitabili conseguenze dell’evolversi della economia nazionale, col formarsi di nuovi distretti industriali che provvedono direttamente attraverso i porti più vicini al proprio rifornimento, mentre una parte del traffico di cabotaggio è sottratta dalle ferrovie e dagli autotrasporti. Non mancano esempi di incremento recentissimo dato a depositi-mercato, come quello dei legni esotici. La funzione di porto di ridistribuzione, che caratterizzò Genova nei secoli passati, è ormai sostituita da quella di porto commerciale. E sempre auspicata però la sistemazione di un porto franco, che dovrebbe trasferirsi nell’area a occidente della Lanterna. Per ora funziona, sul luogo dell’antico Porto Franco, il Deposito Franco San Giorgio, di proprietà della Camera di Commercio: il suo traffico maggiore è costituito da caffè, cacao, droghe e altri coloniali.

    La montagna litoranea di Genova

    Lasciando il centro urbano della « grande Genova » inoltriamoci in quella che si è chiamata la « montagna litoranea di Genova » formata dalle valli dei due corsi d’acqua che ben possono dirsi genovesi, la Polcevera e il Bisagno, oltre alla valle, brevissima, tutta inclusa nel Comune della metropoli, del torrente Leiro che dal Passo del Turchino scende a Voltri.

    Molto diverso dall’una all’altra valle il paesaggio naturale, e diversa pure l’impronta che l’uomo vi ha dato con le colture, le industrie, le strade; carattere comune è la vicinanza con la metropoli: ad essa vengono inviati, se pur non ricchi, i prodotti agricoli e dell’allevamento (latte), nelle sue industrie o per le sue industrie lavora la popolazione operaia, ad essa questi paesi offrono uno sbocco immediato per il soggiorno estivo dei suoi abitanti. L’altro carattere comune è la posizione interna rispetto al mare anche se su questo si aprono le valli: perciò l’industria turistica, se pure è brevissima la distanza dal mare, non vi ha portato il soffio rinnovatore che ha trasformato la costa.

    I vincoli che legano i vari paesi che si succedono nelle vallate al complesso industriale e commerciale di Genova sono diversi, e ciò si riflette nell’andamento demografico, perchè la popolazione diminuisce là dove vive quasi soltanto delle risorse agricole, aumenta o per lo meno rimane stazionaria nelle zone più vicine a Genova, dove la popolazione lavora nelle industrie di questa o in industrie locali che debbono considerarsi come una dipendenza di quelle del capoluogo.

    La valle della Polcevera (la « Porcobera » della « Tavola di Polcevera ») con gran parte di quelle dei maggiori affluenti, il Verde da destra il Secca da sinistra, è scavata entro una formazione scistosa che si insinua tra i massicci calcarei a est e le prime montagne della formazione delle pietre verdi a ovest, perciò il profilo regolare della valle principale e i pendii generalmente non ripidi. Il solco vallivo è nettamente trasversale e il clima, fresco e ventilato in estate, è soggetto a violenti colpi di freddo in inverno, perchè la bassa insellatura del Passo dei Giovi lascia la valle esposta alle correnti del nord, tanto più violente quando si formano basse pressioni sul mare. Infatti l’olivo compare solo a Sant’Olcese, in posizione più riparata, a est della valle principale; altrove le colture arboree sono date dalla vite e dagli alberi da frutta, molto frequenti, a cui si alternano, specie verso l’alto, seminativi e prati; i campi si spingono fino al culmine dei monti, mentre i boschi e le macchie si trovano anche in basso dove il pendio è più ripido o meno ben esposto. Molto estesi i prati e pascoli; infatti l’allevamento è associato all’agricoltura e dà una buona produzione di latte; i castagni sono minati dal cancro della corteccia; qualche zona a orti e giardini. In complesso la valle è verde e riposante là dove l’industria non l’ha invasa con le sue costruzioni; ma appunto il pittoresco nasce oggi da questo contrasto tra il fondovalle con le costruzioni industriali e le pendici ricche di verde coi vecchi paesi, mentre gli estesi prati, i pendii dolci coi terrazzi appena accennati già annunciano il paesaggio di « oltregiogo ».

    Veduta panoramica di Genova-Pontedecimo.

    Importanza eccezionale hanno le vie di comunicazione che percorrono la valle: carrozzabile, camionale, ferrovia, che salgono verso i Giovi; un’altra importante strada è quella che, staccandosi dalla strada dei Giovi presso Campomorone, raggiunge la bassa soglia del Passo della Bocchetta per scendere a Voltaggio in Piemonte; è un’antica via di comunicazione fra Genova e i territori transappenninici, costruita nel 1583. La bassa valle della Polcevera è inclusa nel Comune di Genova, coi sobborghi industriali da Rivarolo a Pontedecimo; qui la nota dominante è data dagli edifici delle fabbriche e dai grandi depositi di petrolio.

    Risalendo la valle si incontra anzitutto Campomorone, situato a 120 m. circa su uno sprone tra la Polcevera e il Verde, la cui popolazione (6267 ab.) lavora in gran parte nelle industrie del capoluogo e in svariate industrie locali situate nella ridente valle del Verde, disseminata di piccoli centri, che ne dipende amministrativamente. E punto di partenza per raggiungere i laghi del Gorzente, al confine piemontese. Prima di Campomorone, sulle colline a destra della Polcevera, a 307 m., è Ceranesi, ma la popolazione (3451 ab.) non è raccolta nel capoluogo, bensì dispersa in numerosi piccoli centri e ancora più in case sparse fra frutteti, vigneti, boschi, e più in alto prati e macchie. E compreso in questo Comune il Santuario della Madonna della Guardia, il più venerato fra i tanti che la pietà dei Liguri ha dedicato alla Vergine, sulla cima del Monte Figogna, donde si gode uno dei più grandiosi panorami della Liguria: la vista spazia dalla città e dal mare alle valli della Polcevera e del Verde con tutto uno scenario di colli e di monti; particolarmente vivo il contrasto tra la popolatissima vai Polcevera e le montagne nude e spopolate a ovest. Il Santuario è raggiunto da una guidovia in partenza da Pontedecimo. I Genovesi che lo hanno caro quanto mai vi salgono numerosissimi specialmente il giorno della festività, 29 di agosto, e sotto lo stesso titolo di Madonna della Guardia, la Vergine è invocata in numerosi altri Santuari delle due Riviere. La popolazione di Ceranesi si divide fra l’attività agricola e quella industriale (47%).

    Le pendici della val Polcevera, verdi di prati e di boschi

    Sul fondovalle, a 18 km. di carrozzabile da Genova, si adagia Mignanego, il cui Comune abbraccia l’alta valle del fiume fino ai Giovi; i pendii dei monti sono disseminati di piccoli centri, lungo la valle il centro di attrazione maggiore è rappresentato dalle strade; la popolazione (3650 ab.), che è in aumento, lavora nelle industrie e trasporti (45%), nel commercio e nell’agricoltura. A est della Polcevera il bacino del torrente Secca appartiene al Comune di Serra Ricco: la popolazione (5723 ab.) si suddivide in alcuni piccoli centri e si dissemina in numerose case sparse (70%) attendendo per metà ai lavori agricoli, il resto alle industrie e trasporti, ed è in aumento. All’estremità orientale del bacino della Polcevera è il Comune di Sant’Olcese, la cui popolazione (5262 ab.) è pure disseminata in piccoli centri e case sparse specialmente nella parte alta (fra 300 e 500 m.) lungo lo spartiacque con la valle del Bisagno, dove il pendio più dolce favorisce le colture; l’attività è mista, agricola e industriale; compare anche l’olivo, ma sono fiorenti soprattutto frutteti, vigneti, orti; vi passa la ferrovia Genova-Casella ed è frequentato come località di villeggiatura estiva. Prima di lasciare la vai Polcevera ricordiamo ancora che ne sono caratteristiche le numerosissime capanne, usate come depositi per il fieno e gli attrezzi agricoli.

    Il Passo della Scoffera.

    La valle del Bisagno presenta un ambiente geografico molto diverso dalla vai Pol-cevera, meno riposante forse, ma più variato per quanto si riferisce al paesaggio naturale. Lo deve all’irregolarità ed eterogeneità della formazione geologica: infatti ai calcari marnosi eocenici, che formano ripide pendici e montagne brulle, si alternano affioramenti scistosi che determinano pendii meno ripidi. Irregolare anche l’orientamento: dopo un primo tratto trasversale, ancora compreso entro il Comune di Genova, la valle ha percorso longitudinale per poi volgere di nuovo a nord. La bassa valle è inclusa nel Comune di Genova e i sobborghi urbani sono in rapido incremento. Boschi, pascoli e incolti produttivi occupano nei Comuni di Bargagli e Davagna, che abbracciano la media e alta valle, più di quattro quinti della superficie agraria-forestale; minima l’estensione delle colture arboree specializzate, ma la vite si coltiva insieme ai seminativi; manca quasi del tutto l’olivo. La popolazione, che viveva per la maggior parte dell’agricoltura (circa il 60%), è in diminuzione. Qualche prospettiva ha il turismo come località di villeggiatura estiva. La valle è percorsa dalla strada nazionale della vai Trebbia, che corre lungo la riva sinistra del fiume, di rado sul fondo, stretto e chiuso a guisa di gola, quasi sempre più in alto dove il pendio si addolcisce: ha di fronte l’altro versante, più ampio e ben esposto, perciò più abitato; anche su questo corre una carrozzabile a mezza costa. La strada nazionale conduce, presso la testata della valle, al Passo della Scoffera, e poco prima in località Boasi se ne stacca la strada che scende nella valle della Fontanabuona. Il passo è in posizione dominante e, per la freschezza delle estati, è già frequentato come villeggiatura estiva o come mèta di gite. Gli abitati e le case sparse del Comune di Bargagli (3113 ab.) si trovano sul lato sinistro della valle del Bisagno, ma non sul fondovalle — quasi sempre stretto e rivestito di boschi, macchie, incolti — bensì in valli laterali o sul pendio terrazzato, con il capoluogo che si adagia in un aperto anfiteatro di colli; invece gli abitati di Davagna (2684 ab.) si trovano sul fianco destro, anch’essi più in alto rispetto al fondovalle specialmente nella parte più alta, là dove il pendio, dominato da alti monti, si addolcisce e si allarga formando quasi un terrazzo al disopra del solco in cui scorre il fiume.

    Terza delle valli genovesi può dirsi la breve valle trasversale del torrente Leiro incisa in una formazione scistosa che dal Passo del Turchino scende a Voltri. A monte del Comune di Genova, di cui fa parte Voltri, il territorio della valle è compreso nel Comune di Mele (3054 ab.). Si potrebbe chiamare la valle delle cartiere, come già si è detto. Accanto a questa antica e tradizionale, sono sorte altre industrie ; in complesso oltre il 60% degli abitanti lavora nelle industrie e trasporti, ma la popolazione che, oltreché nel capoluogo vive in alcuni altri piccoli centri e in case sparse, è in diminuzione. Due terzi della superficie è occupata da boschi (castagneti) e macchie, sicché scarsa estensione hanno le colture. Nella frazione Acquasanta è nota da tempo antico una sorgente sulfurea. La valle è percorsa dalla carrozzabile del Passo del Turchino, che per Masone e Campo Ligure scende nella valle della Stura in Piemonte.