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La Riviera del Golfo Tigullio e la montagna Chiavarese

    La Riviera del Golfo Tigullio e la montagna Chiavarese

    La Riviera del Golfo Tigullio

    La tozza sporgenza del Promontorio di Portofino, che si avanza nel mare verso mezzogiorno, frastagliandosi all’estremo sudest nel Capo o Punta di Portofino, chiude il Golfo Tigullio o di Rapallo, che prende nome dai più antichi abitatori di questo lembo di Riviera, i Liguri Tigulli, o da quello della città che ne occupa la parte più interna e dei Tigulli fu forse il centro. Una quindicina di chilometri a sudest del Promontorio di Portofino sporge sul mare per 700 m. la piccola penisoletta di Sestri Levante (alta 80 m.), detta localmente « isola ». Da essa si domina il panorama del Golfo Tigullio, chiuso dal Promontorio e dalla Punta di Portofino, e fin qui erano insediati i Liguri Tigulli, sicché si può considerare come « Riviera del Golfo Tigullio » quella che da Portofino e da Santa Margherita giunge fino a Sestri Levante. Il paesaggio fisico e antropico vi presenta varietà di aspetti perchè nel centro si apre la pianura alluvionale dell’Entella, che si affaccia al mare con una costa rettilinea e sabbiosa, mentre in fondo al golfo i monti serrano da vicino la costa articolata in piccole e piccolissime insenature. Il clima è dovunque mitissimo perchè al di là delle montagne, alte al massimo poco più di 700 m., che dividono la Riviera dalla valle della Fontanabuona e dalla vai Graveglia, si innalzano le più alte giogaie dell’Appennino; anche Chiavari e Lavagna, nonostante si apra qui il solco della valle dell’Entella, beneficiano di questo riparo e ancora più privilegiata è la posizione di Rapallo e Santa Margherita, fasciate da presso dalla cintura montuosa che scende sulla costa. Le temperature di queste località sono di poco inferiori a quelle della Riviera dei Fiori e pochissimo se ne discosta anche Chiavari, mentre più abbondanti che nella Riviera di Ponente sono le piogge. La vegetazione dà al paesaggio un tono di riposante dolcezza per la fascia di oliveti che riveste i colli, mentre di frequente ricorre la nota pittoresca dei cipressi; l’altra nota paesistica è data dai pini che formano boschi e macchie al di sopra degli olivi o anche presso il mare; frequenti anche i lecci, mentre ricca quanto mai la fascia di vegetazione tropicale intorno ai centri e nei giardini pubblici e privati. Anche la coltura dei frutteti con la loro fioritura primaverile e la ricchezza dei frutti aggiunge una nota di bellezza a questo paesaggio che è fra i più belli della Liguria. Nelle parti più alte dei monti, il bosco, molto degradato, lascia spesso il posto alle macchie o a magri pascoli.

    Pini d’Aleppo presso Santa Margherita Ligure.

    Motivi comuni in questo lembo di Riviera, quelli che ritornano in quasi tutta la costa ligure: il contrasto tra il vecchio e il nuovo nei centri abitati che l’industria turistica ha fatto rapidamente crescere dal secolo scorso, e la vivacità del traffico turistico che raggiunge cifre elevatissime. La popolazione è cresciuta dal 1901 al 1951 del 42%, raggiungendo una densità fra le più elevate di tutta la costa ligure: oltre 700 abitanti per kmq. Vive prevalentemente accentrata, ma non mancano le abitazioni sparse, case e ville, numerose sui colli, dove pure mettono una nota pittoresca i vecchi paesetti che conservano il fascino del passato, mentre quelli della costa sono divenuti città moderne, pulsanti di vita.

    La popolazione vive solo in piccola parte dell’agricoltura (la percentuale è inferiore a quella della Riviera dei Fiori), che si dedica principalmente alle colture arboree, specialmente olivi (colture arboree specializzate circa il 35%), dominanti sulle pendici delle colline, mentre in piano si sono sviluppati gli ortaggi, soprattutto intorno a Chiavari e nel Sestrese, i frutteti (peschi e anche agrumi) e in questi ultimi anni i fiori e le piante ornamentali. La vite si trova in pianura come in collina. Numerosi, come in tutta la Riviera, i « marittimi », ma decaduto il traffico marittimo. Invece è sempre più vivace il movimento delle imbarcazioni da diporto. La vita dei centri costieri si è rinnovata per l’industria turistica, divenuta la maggiore ricchezza, ma anche l’industria — nella fase di grande industria come in quella di lavoro artigiano — è ben rappresentata in questa regione ligure, che pertanto riunisce in sè una vivace varietà di aspetti e di problemi e testimonia l’industriosità del popolo ligure. La grande industria è rappresentata dai Cantieri navali di Riva (frazione di Sestri Levante), dalla « Tubifera » di Sestri, dal canapificio, dal cotonificio e possiamo includervi anche le miniere di Libiola (rame) e di Gambatesa (manganese); quella artigiana vanta i famosi velluti di seta, tessuti a mano, di Zoagli, i pizzi al tombolo di Rapallo, Santa Margherita e Portofino, il macramè (cioè frange per asciugatoi, fatte a mano) di Chiavari, e ancora le sedie di Chiavari, la fabbricazione di reti, di prodotti alimentari; vi appartengono i cantieri per la costruzione e il raddobbo di piccole imbarcazioni ; infine si estraggono nella zona o si lavorano le note ardesie provenienti dalle cave della Fontanabuona, e ancora si esercita la pesca, che ebbe già in passato molta importanza.

    La penisoletta di Sestri Levante.

    Molti gli aspetti comuni, ma ogni centro ha una sua fisionomia e una sua funzione. Sestri Levante si suole identificare con la Segesta Tigulliorum di Plinio e, per quanto poco si sappia delle sue origini, fu certamente un centro romano; risorse nel Medio Evo, dopo la distruzione operata forse da Rotari. Divenne genovese nel secolo XII quando l’isola fu tolta al Convento di San Fruttuoso. La sua posizione è unica nella Riviera. L’abitato più antico, medievale, si sviluppò sulle pendici dell’isola, montuosa e fortificata, dal lato dove un istmo, più sottile di quello di oggi, la saldava alla terraferma. Di qui si estese, specialmente dopo il secolo XV, sull’istmo, si affacciò all’insenatura a sudest, il Porto Bello, chiuso dalla Punta Manara, si saldò con un altro nucleo più interno a sud del Gromolo, mentre dall’altro lato, a nordovest, era il porto che fu difeso da un molo nel secolo XV. In questo si svolgeva un traffico abbastanza attivo sia per la pesca, che si esercitava anche sulle lontane coste di Barberia, sia per l’importazione di vini, formaggi e altri prodotti dall’Elba, dalla Corsica, dalla Sardegna. Con l’interno sembra siano stati abbastanza vivaci i rapporti con l’Emilia attraverso i passi di Velva e delle Cento Croci. Lo sviluppo moderno, iniziato nel secolo scorso con la sistemazione della via Aurelia e col passaggio della ferrovia, ebbe incremento per il sorgere della grande industria, coi cantieri della vicina Riva e con lo stabilimento della « Tubi-fera». Intanto, si intensificava il movimento turistico, divenuto particolarmente vivace in questi ultimi anni.

    Il centro moderno si è esteso nell’interno lungo il Gromolo e la via Aurelia, con un quartiere industriale e residenziale operaio, mentre lungo la spiaggia al di là del porto è sorto un elegante quartiere residenziale e alberghiero che ormai si spinge con le caratteristiche di una moderna città fino alle Rocche di Sant’Anna, Il centro cittadino è nella piazza Sant’Antonio dove si inizia l’istmo presso il porto. Questo è stato soggetto ad un intenso insabbiamento, mentre al di là del Gromolo la costa è minacciata dall’erosione marina; perciò si sono costruite opere di difesa. Frequentano ancora il porto i caratteristici barconi detti « leudi » che trafficano soprattutto il vino dell’isola d’Elba; è sempre attiva la flottiglia peschereccia che alimenta l’industria della conservazione delle alici; ma il traffico più vivace va diventando quello delle navi da diporto, in relazione col movimento turistico, che si svolge preferibilmente in estate (circa 400.000 presenze). Nell’isola, distrutto il castello genovese, sono stati costruiti i moderni « Castelli Gualino », poi trasformati in un grande complesso alberghiero. Ma l’attrattiva maggiore dell’isola è, insieme alla bellezza del paesaggio, offerta dalla bella Chiesa romanica di San Nicola. Nel punto in cui l’istmo si salda all’isola, è la Parrocchia di Santa Maria di Nazareth del secolo XVII, con pregevoli opere d’arte. Da ricordare anche la Pinacoteca Rizzi. La popolazione di Sestri era di circa 9000 abitanti nel 1951; l’intero Comune ne contava circa 17.000: nel 1901 erano poco più di 12.000.

    La spiaggia occidentale di Sestri Levante.

    La pittoresca Chiesa romanica di San Nicolò a Sestri Levante.

    Incornicia la città una cintura di colli che si apre, in corrispondenza alla valle del Gromolo, su uno scenario di monti, ricchi di pinete in primo piano, rocciosi e dal profilo severo sullo sfondo. E in Comune di Sestri, Riva, centro costiero nell’ampia insenatura a sud della Punta Manara, diviso in due parti, Ponente e Levante, dal torrente Petronio. E cresciuta da quando, nel 1900, divenne sede dei cantieri del Tirreno e può dirsi la succursale al mare del più vecchio paese di Trigoso. E in Comune di Sestri anche la miniera di Libiola. Tra i dintorni pittoreschi è il Santuario della Madonna della Guardia, al Passo di Velva, dal quale si scende nell’alta valle della Vara.

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    Un breve tratto di costa ripida che anche l’Aurelia sottopassa in galleria, le Rocche di Sant’Anna; quindi si inizia in località di Cavi un tratto di costa diritta e sabbiosa, frequentata per i bagni, mentre agglomerati e case sparse popolano la collina. Come già si è detto, è di formazione molto recente e offre un ampio arenile anche se dal secolo XIX si è iniziato l’avanzamento del mare. Ben presto la costa sabbiosa si allarga in una vera e propria pianura alluvionale: l’ha formata l’Entella che ora divide l’abitato di Chiavari da quello di Lavagna: quest’ultimo si stende in piano sulla riva sinistra e accompagna verso monte l’Entella, ma ormai non c’è più soluzione di continuità — anche se persiste il confine amministrativo — con l’abitato di Chiavari, che si allunga invece nel piano alluvionale a destra della foce, tra il mare e le vicine colline dove si prolunga coi sobborghi di Bacezza, San Pier di Canne, Ri, mentre in piano si continua lungo la riva destra dell’Entella per oltre un chilometro. Chiavari-Lavagna forma un’unica « conurbazione » che, con circa 30.000 abitanti, è divenuta il sesto centro urbano della Liguria.

    Lavagna fu capoluogo della contea omonima che nel periodo di maggior fiore, dal secolo XI al XIII, dominò su un vasto territorio costiero e interno, fino alla Fontanabuona e alla valle della Vara; diede origine alla potentissima famiglia dei Fieschi e vi ebbe i natali il Papa Innocenzo IV. Oggi è centro balneare e sede di industrie (tessili, lavorazione dell’ardesia), ma conserva un prezioso monumento che ricorda il nome dei Fieschi: la Basilica di San Salvatore, detta dei Fieschi, fatta costruire nel secolo XIII da Innocenzo IV e dal nipote che fu Papa Adriano V. E nell’interno, sul versante collinoso che scende all’Entella, a circa 3 km. dalla costa; è una delle chiese meglio conservate di questo periodo, col tipico motivo a fasce bianche e nere e la bella rosa di stile gotico; imponente e snella insieme la torre campanaria.

    Si può passare l’Entella sull’ampio ponte moderno vicino al mare o anche, più a monte, sul ponte della Maddalena che risale al secolo XIII, ma fu ampliato in seguito, dove la tradizione vuole che passasse Dante, ammirando l’ampia e placida corrente della « fiumana bella ».

    La costa a Cavi di Lavagna.

    Resti del Palazzo dei Fieschi (sec. XIII) presso la Basilica di S. Salvatore, (Lavagna).

    Chiavari occuperebbe il posto della stazione romana indicata col nome di Tegulata nell’« Itinerario » di Antonino Pio, di ad Solaria nella « Tavola Peutingeriana ». Comunque, distrutta forse al tempo dell’invasione longobarda e delle prime incursioni saracene, compare nella storia col secolo X e fiorisce rapidamente come centro commerciale anche quando, divenuta un Comune, entra, nel secolo XIII, nella sfera del dominio di Genova, dopo essere stata possesso dei Conti di Lavagna. Il contorno costiero era allora molto diverso da quello di oggi e il mare giungeva più vicino alla linea delle colline. Il centro primitivo della città sarebbe sorto al piede della collina di Ri, e forse al nome di questa si ricollega la terminazione della parola Chiavari, mentre la prima parte deriverebbe dalle voci dialettali eia-vai (lungo la via). Il centro ebbe però dapprima il nome di Borgolungo e si estese, in forma allungata, tra la collina e la spiaggia di allora. E ancora oggi, in complesso, ben conservato e distinto dai quartieri moderni, con le sue vie strette, i consueti archi di passaggio e i tipici bassi portici con le colonne in pietra verde scuro; in origine, i più esterni dovevano servire di riparo alle imbarcazioni quasi a guisa di palafitte. Oggi è questo il quartiere commerciale, animatissimo specialmente nei giorni di mercato; conserva ancora la cittadella genovese.

    Chiavari: il bel viale di palme che conduce alla Cattedrale

    Chiavari artistica: la Cittadella, ora Palazzo di Giustizia rifatta nel sec. XIX, conserva la torre cinquecentesca.

    Il successivo ingrandimento della città è stato verso il mare, e già nei secoli XVI e XVII si arricchì di palazzi signorili e di chiese. La città moderna si è molto ingrandita dalla fine del secolo scorso, per le ricchezze guadagnate dai suoi industriosi abitanti emigrati specialmente nell’America Meridionale, per il continuarsi dell’attività commerciale e industriale che vanta le industrie caratteristiche già ricordate, e per lo sviluppo del turismo.

    Oltreché verso il mare, i quartieri residenziali si sono estesi verso l’interno guadagnando i vecchi sobborghi di Bacezza, San Pier di Canne e Ri.

    Chiavari è anche centro religioso, perchè divenne sede vescovile dal 1893; vi si trovano istituti scolastici e collegi e ha goduto fama di vivace centro culturale. Significativa la presenza del Museo Puccio che raccoglie materiale archeologico della civiltà Incas, portato in patria dai Chiavaresi emigrati nell’America del Sud; possiede una ricca Biblioteca e una Pinacoteca. Al Seminario è accluso un osservatorio meteorologico e sismologico. La grandiosa Cattedrale, del secolo XVII, è stata ingrandita nel XIX, e ben si intona con la parte moderna della città, dalle eleganti vie e dai bei viali di palme, che si completa con l’ampia passeggiata a mare mentre fa cornice al centro urbano la collina ridente di abitati. Chiavari è importante nodo stradale: vi si incrocia con l’Aurelia la strada che risale la Fontanabuona e per la sella di Boasi arriva alla Scoffera dove passa la strada da Genova alla vai Trebbia. Dalla valle del-l’Entella si può risalire quella della Sturla da cui si accede sia alla valle dell’Àveto sia, per il Passo del Bocco, alla valle del Taro. La città conta, nel centro, oltre 20.000 ab. (nel Comune oltre 21.000 nel 1951 con un aumento di circa il 60% rispetto al 1901, quando erano 12.500).

    Panorama di Rapallo.

    Il castello di Rapallo.

    Un angolo del porto di Camogli.

    Nel porto di Rapallo.

    Dopo Chiavari, un tratto di costa ripida, a tratti rocciosa, mentre gli abitati sono più in alto, su un terrazzo in vista del mare; quindi una piccola insenatura ospita il pittoresco centro di Zoagli (nel Comune 2500 ab. nel 1951 ), famosa nel Medio Evo e nell’Età moderna per i suoi velluti, venduti e preziosamente conservati nei più lontani paesi. Ed ecco infine, intorno all’insenatura più interna del Golfo Tigullio, Rapallo, cinta di colli, punteggiati di case e di ville, fra oliveti, pinete e splendidi giardini. La guarda dall’alto il notissimo Santuario della Madonna di Montallegro del secolo XVI, che si raggiunge con una funivia che offre il godimento di una serie di panorami eccezionali.

    E molto incerto se Rapallo sia da identificarsi con la Tigulia intus di Plinio. Nel Medio Evo fu un centro abbastanza importante, prima possesso dell’Arcivescovo di Milano, poi unita a Genova dal secolo XIII; divenne Capitanato nel 1608 con giurisdizione sulla Fontanabuona. Fu centro di pesca, tra cui quella delle spugne e dei coralli che portava i suoi naviganti nelle acque del Dodecanneso; il porto (in località Langano, allora staccato dal borgo) ebbe un notevole movimento e vi si svilupparono le industrie artigiane dei merletti e della fabbricazione dei cordami, legata, come in tutta la zona del Promontorio di Portofino, con la presenza di una canna, detta localmente lisca. Ma la città ebbe fama e sviluppo soprattutto dagli ultimi decenni del secolo scorso come centro di soggiorno e poi di turismo. Oggi è uno dei centri più frequentati della Riviera, sia dagli Italiani, particolarmente i Milanesi, sia da stranieri di ogni nazionalità, e si è attrezzata per questa sua funzione; si aggiunge quella di sede residenziale, per famiglie legate come attività di lavoro a Genova.

    Santa Margherita.

    Il porto ha perduto il movimento commerciale ma ha acquistato quello delle imbarcazioni da diporto e vi si affianca un eliporto. Il nucleo più antico della città è lungo il mare tra questo e la ferrovia, ma è stato in parte rinnovato; esso conserva il suggestivo Castello sul mare del secolo XVI; tutto intorno si è sviluppata ad arco, intorno all’insenatura e sulle colline che la circondano, la più moderna città residenziale e turistica. Gli abitanti nel 1951 erano circa 12.000 nel centro e 16.200 nel Comune (oggi oltre 18.000); nel 1901 erano 10.765; la popolazione fluttuante dei turisti tocca, nel culmine della « stagione », molte migliaia di arrivi (circa 600.000 presenze di cui quasi un terzo stranieri).

    Lasciata Rapallo e toccata, al di là della Punta Pagana, l’insenatura di San Michele di Pagana, si raggiunge Santa Margherita, l’altro notissimo centro turistico della Riviera di Levante. Fu, come Rapallo, soprattutto frequentata per il soggiorno invernale e vi si costruirono ville eleganti e grandi alberghi, fra una vegetazione lussureggiante. In questi ultimi anni anche Santa Margherita è diventata sede del cosiddetto turismo di massa, che non ha quasi stagioni di sosta, se pure le punte massime sono quelle consuete dell’estate e dei periodi festivi (circa 500.000 presenze). Come Rapallo, è sede residenziale per molti occupati a Genova.

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    Nel Medio Evo Santa Margherita ebbe sviluppo in tre diversi borghi, il cui nome è ancora vivo nell’uso della popolazione locale: Santa Margherita, che ebbe dapprima il nome di Pescino, il cui primo ricordo storico risale al secolo X; Corte, posto in un’insenatura che si apre a sud di quella di Santa Margherita da cui la separa un basso promontorio; San Siro, terzo borgo, nell’interno. I tre borghi si svilupparono specialmente nei secoli XVII e XVIII finché si fusero insieme con l’espansione urbana che si iniziò nella seconda metà del secolo XIX. Fino a questa epoca le attività più importanti erano state un discreto movimento marittimo e commerciale, la pesca, le industrie artigiane dei cordami e dei merletti; oggi tutta l’attività è dominata dal turismo: l’industria dei merletti vive ancora in funzione di questo, il porto si è ravvivato col movimento delle imbarcazioni da diporto ; mezzi di comunicazione di ogni specie la collegano alle località vicine. Numerosi sono tuttavia i marittimi e vi si esercita la pesca.

    La città moderna è sviluppata intorno all’antica, dominata ancora dal palazzo cinquecentesco del Centurione, sulle ridenti colline che la chiudono e lungo il mare; alla marina si ammira ancora il castello-fortezza del secolo XVI. Gli abitanti del centro erano nel 1951, oltre 8000; quelli del Comune circa 12.000 (nel 1901: 7170) a cui sono da aggiungere le migliaia di ospiti italiani e stranieri.

    Il Promontorio di Portofino

    Da Santa Margherita una strada continua lungo la costa del Promontorio di Portofino con una successione di panorami e di visioni incantevoli: ecco il Convento della Cervara, costruito nel secolo XIV, di cui fu ospite Caterina da Siena; ecco la insenatura di Paraggi, col centro omonimo, incorniciata da ripidi colli ammantati di vegetazione; infine, nell’insenatura chiusa dall’estrema punta, il notissimo e pittoresco centro di Portofino.

    E il Portus Delphini dei Romani, che offrì da tempo remoto un porto di rifugio, centro dei pescatori di corallo, noto anche per l’antica industria femminile dei merletti, esercitata insieme a quelle dei cordami e delle reti. Divenne particolarmente famoso dalla fine del secolo XIX, quando fu « scoperto » dagli Inglesi, a cui seguirono poi visitatori e turisti di ogni nazionalità. Ma li aveva preceduti, a cominciare dal Medio Evo, una lunga e illustre serie di uomini politici, di pensatori, di artisti, che trovarono rifugio in questo suggestivo e riparatissimo angolo della Riviera.

    Con la strada, lo ha raggiunto il traffico moderno, ma i turisti vi giungono soprattutto via mare: è il porto italiano a cui fa capo il maggior numero di imbarcazioni da diporto, mentre è molto decaduta la pesca; l’industria dei pizzi è rimasta in funzione dei visitatori i quali però difficilmente sostano qui; in generale è mèta di permanenze giornaliere. L’abitato si snoda, specchiandosi nell’acqua, intorno alla insenatura a forma di ferro di cavallo e lungo il promontorio che la chiude verso Paraggi, fra una fitta vegetazione di olivi, lecci, pini, cipressi, che copre anche la penisoletta del capo; nell’istmo che unisce questo al promontorio, è la Chiesa di San Giorgio, di cui i Crociati portarono dalla Palestina le reliquie. Gli abitanti sono poco più di 1000: Portofino non ha avuto lo sviluppo demografico degli altri centri del Tigullio perchè, come si è detto, non è luogo di residenza ma mèta di brevissimi soggiorni.

    La pittoresca insenatura di Portofino Mare.

    Il promontorio, che ha forma grossolanamente quadrata (circa 5 km. di lato) ed è formato da un conglomerato oligocenico a vario cemento che poggia su una base di calcare eocenico, tocca la cima più alta a sudovest, nel monte di Portofino che raggiunge 610 m.; qui si prolunga verso sudest una dorsale montuosa alta da 400 a 500 m., che divide il versante volto verso il mare aperto dal versante interno; spiccatissima la dissimmetria dei due versanti: il primo scende ripido sul mare formando, specialmente a ovest, pittoresche ed alte falesie; il versante interno si estende più ampiamente in ondulazioni collinose, disseminate di case sparse e di piccoli agglomerati. Mentre la costa occidentale è rotta verso il mare da scogliere a picco, a oriente i colli si estendono più dolcemente e la costa si articola nelle insenature già ricordate che vanno da Rapallo alla Punta di Portofino. Vivo il contrasto anche nell’azione del mare: la costa occidentale è aperta alle ondate sollevate dal vento di libeccio; quella orientale è al riparo di questo vento e risente solo dello scirocco che le porta abbondanti precipitazioni. La ferrovia sottopassa il promontorio in galleria, la via Aurelia lo attraversa alla sua base toccando il punto più alto (250 m.) tra il versante di Rapallo e quello di Camogli, a Ruta (frazione di Camogli); nell’interno del promontorio, sulle pendici del Monte di Portofino, è il piccolo paese di Portofino Vetta, con un grande parco boscoso dal quale si gode uno dei più vasti panorami della Riviera.

    La costa esterna del promontorio, forma due insenature: la Cala dell’Oro, chiusa fra imponenti falesie, frequentata per la pesca, e la Baia di San Fruttuoso. In fondo a questa, tra una parete di roccia sormontata dalla torretta di guardia, e un’altra ripida ma rivestita di vegetazione, si annida, tra il verde dei pini, il grigio delle rocce, l’azzurro del mare e del cielo, San Fruttuoso con la celeberrima Abbazia: fu costruita nel secolo X, là dove sette secoli prima sarebbero approdati i Santi Giustino e Procopio per innalzarvi una chiesa dedicata al compagno martire San Fruttuoso. Nel chiostro del monastero riposano le salme degli ammiragli di Casa Doria in un sepolcreto unico al mondo. Vi sono sepolte anche due eroiche giovani, Caterina e Maria Avegno: nel tentativo di salvare i naufraghi della fregata inglese « Croesus » che affondò qui nel 1855 mentre si dirigeva in Crimea, Maria perdette la vita; la sorella fu salva e decorata di medaglia d’oro. A San Fruttuoso si può accedere solo per mare e ospiti illustri e sconosciuti vi convengono a visitarlo da ogni parte del mondo. La popolazione si dedica alla pesca e all’industria artigiana dei cordami di lisca.

    Una bella inquadratura dell’Abbazia di San Fruttuoso.

    Non appartiene alla Riviera del Golfo Tigullio ma si ricorda qui la cittadina marinara di Camogli perchè strettamente legata al Promontorio di Portofino che forma lo sfondo incomparabile del suo golfo, non a torto chiamato Paradiso.

    Fu frequentata come porto di rifugio e si arricchì nel commercio marittimo come altri centri della Riviera, attraverso i secoli medievali, ed entrò dal secolo XIII a far parte della Repubblica di Genova. Ma il suo nome divenne soprattutto famoso dalla fine del secolo XVIII per aver conseguito un primato senza pari nell’armamento delle marine a vela. La flotta dei velieri liguri era stata distrutta nella battaglia di Abukir e fu a Camogli che venne ricostruita e con tale perfezione che venne noleggiata dalla Francia per il trasporto delle truppe e del materiale durante la conquista dell’Algeria. Nuovo impulso ebbe l’armamento della industre cittadina dalla guerra di Crimea ed arrivò a contare 700 bastimenti, superando lo stesso armamento genovese. Nel 1852 fu fondata la Mutua Marittima Camogliese, primo esempio nel mondo di mutua marittima. Il diffondersi della navigazione a vapore segnò la fine dell’industria dei velieri, e la flottiglia si ridusse a quella, pur molto efficiente, dei pescherecci. Ma il nome di Camogli continuò ad essere noto nell’ambiente marittimo perchè vi fu fondato un Istituto Nautico dal quale uscirono generazioni di capitani di mare; esso è tuttora ben rinomato. Oggi Camogli continua ad essere importante centro di pesca, città di marittimi, ma è anche mèta turistica frequentata; vi si svolgono caratteristiche feste legate all’attività peschereccia e sul fondale del Golfo Paradiso è stata calata una grande Statua del Redentore.

    La città medievale, coi suoi vicoli in salita, le scale, i portici suggestivi, e le altissime case serrate una all’altra, circonda il porto; sulle colline che lo chiudono, si è sviluppata la città moderna; in un’isoletta saldata alla terraferma, sono i resti del fortilizio di Castel Dragone, del secolo XV. Camogli si vanta di aver dato i natali a Francesco e Bernardo Schiaffino, i due grandi scultori del Seicento genovese. Modesto l’aumento della popolazione: dai 7550 ab. del 1901, a poco più di 8800 nel 1951.

    Scorcio panoramico su Camogli.

    La montagna chiavarese: la Fontanabuona, il bacino della Sturla e vai Graveglia

    Se si lascia la costa e ci si inoltra nella valle dell’Entella e dei suoi affluenti, il paesaggio cambia totalmente aspetto. Zona di passaggio può considerarsi la bassa valle dell’Entella, ampia, col fondovalle e i versanti popolati di case e agglomerati, specie quello di sinistra che appartiene al Comune di Cogorno (2700 ab.), ma, pure a poca distanza dalla costa, la popolazione, che diviene prevalentemente agricola, è in diminuzione: si entra già nel mondo agricolo dell’entroterra ligure, dovunque provato dalla crisi e dallo spopolamento. La regione che qui si è chiamata « montagna chiavarese», comprende anzitutto l’interno bacino dell’Entella, inoltre i Comuni di Casarza e Castiglione Chiavarese, che appartengono al retroterra di Sestri Levante. Il bacino dell’Entella si può a sua volta distinguere in tre sezioni: la valle dell’Entella, la valle trasversale della Sturla, che a sua volta riunisce un ventaglio di valli: di Cicana, valle Sturla, valle di Mogliana e valle di Mezzanego; e, più importante di tutte, la valle longitudinale del torrente Lavagna o Fontanabuona, con ampio (anche 500 metri) fondovalle pianeggiante nel medio e basso corso.

    Vedi Anche:  La costa e le vallate della Ligura occidentale

    La regione ha una sua particolarità geologica per la presenza delle note ardesie (argille scagliose, « tegolari » attribuite all’Eocene) che, alternandosi a calcari scistosi e scisti arenacei, accompagna in tutta la sua lunghezza la Fontanabuona; alla testata del bacino della Sturla compare la formazione delle pietre verdi; nelle più alte montagne che inquadrano la Fontanabuona, verso l’interno, si trovano massi di arenaria (Monte Caucaso, Monte Ramaceto) che dànno forme più severe al paesaggio, in contrasto con quelle più dolci delle zone scistose.

    Il paesaggio agricolo cambia salendo in altezza: lungo la valle principale, nella Fontanabuona, nel basso bacino della Sturla, sono estesi gli oliveti mentre viti e fruttiferi accompagnano i seminativi ; segni di maggiore prosperità e di rinnovamento agricolo sono le colture degli ortaggi e quelle, nuove in questa regione, dei fiori. Nelle zone più montane scompare l’olivo e la maggiore estensione spetta ai seminativi (cereali, patate, legumi) e ai prati: in complesso i seminativi occupano un’estensione che, per la Liguria, è notevole, quasi il 18% della superficie agraria-forestale; i prati e pascoli il 14%: specialmente in queste zone montane diviene importante l’allevamento nel quale prevalgono in modo assoluto i bovini. Molto estesi i boschi, specialmente i castagneti, che erano considerati in passato una cospicua fonte di risorsa; più in alto succede il faggio, ma anche qui i disboscamenti hanno talvolta sostituito il bosco con macchie e magri pascoli. Da ricordare la presenza dei noccioleti, in grande incremento come vere e proprie piantagioni, che sostituiscono la coltura della vite, e lo sfruttamento dei funghi, esportati anche all’estero. Il clima si irrigidisce salendo ed allontanandosi dal mare e molte sono le varietà locali.

    Paesaggio agricolo della Fontanabuona in inverno (i castagni sono ancora privi di foglie): Favale di Malvaro.

    La popolazione, che vive soprattutto dell’agricoltura, del commercio del legname, dell’allevamento, ha cercato un tempo migliori fortune nell’emigrazione ed è molto diminuita; poco elevata la densità (80). Non mancano tuttavia alcune industrie; anzitutto l’estrazione e lavorazione dell’ardesia, qualche opificio tessile, la lavorazione del legname, come quella caratteristica dei bastoni da sedie a Brizzolaro, ma non sono tali da poter frenare l’esodo della popolazione. Maggiori prospettive ha lo sviluppo turistico. Infatti il clima, con estati abbastanza fresche, gli estesi boschi, il paesaggio riposante e pittoresco potranno fare di queste zone delle frequentate località di villeggiatura, ma questa attività è ancora modesta e un ulteriore sviluppo è legato a varie opere, tra cui l’attuazione del progetto di bonifica che dovrebbe largamente migliorare le condizioni idriche e quelle dell’agricoltura in genere. Un tempo si allevava nella Fontanabuona il baco da seta.

    Da notarsi, più che un’elevata percentuale di popolazione sparsa (21%) — nonostante le molte casette linde e curate che gli emigrati si sono ricostruite tornando alla valle natia — l’elevata percentuale della popolazione che vive nei nuclei (29%). Mancano qui i grossi centri a tipo ammassato caratteristici di altre zone della Liguria; qui si distendono invece sul fondovalle o sul pendio e sono numerosi i piccoli centri accanto ai nuclei. Le vallate maggiori sono percorse da carrozzabili, delle quali la più importante è quella della Fontanabuona che raggiunge il Passo della Scoffera: di qui si può scendere in valle Scrivia o, per la valle del Bisagno, a Genova; come già si è detto, per alleggerire il traffico dell’Aurelia, viene appunto dirottato su questa strada una parte del traffico tra Genova e la Riviera di Levante. Ma con le frazioni poste sui fianchi delle vallate, la viabilità è spesso ancora insufficiente e non permette di sfruttare adeguatamente le risorse di questa regione.

    La vai Graveglia è percorsa dal corso d’acqua che, unendosi al Lavagna, forma con questo l’Entella. Con il tronco principale, utilizza un breve solco longitudinale; è una valle stretta e con versanti ripidi, specialmente sul versante destro e tali sono anche le piccole valli laterali: la popolazione, che appartiene tutta al Comune di Nè (3600 ab.), vive in gran parte in case sparse o in piccoli agglomerati ed è in diminuzione.

    Nell’alta Fontanabuona : Casanova di S. Marco d’Urri (m. 530); piccoli centri e nuclei.

    Il bacino della Sturla è formato da un ventaglio di valli e si apre con direzione generale nord-sud cosicché risente l’influsso marittimo; nella parte più bassa, appartiene ai Comuni di San Colombano Certenoli (2700 ab.) e Mezzànego (1700 ab.), è ricca di oliveti e di colture arboree (vite e alberi da frutta) mentre più in alto (Comune di Borzonasca, 3700 ab.) l’olivo scompare e prevalgono seminativi e prati; estesi dovunque i castagneti; la testata delle valli, dominata da alti monti (Rama-ceto, 1545 m. ; Aiona, 1692 m.) con faggete e pascoli, ha aspetto montano e offre ottime località per villeggiatura estiva e potrà essere aperta anche agli sports invernali. Si è già detto come le acque della Sturla e della Penna sono sfruttate per energia idroelettrica e come sia stato costruito il lago di Giacopiane.

    La popolazione vive in case sparse e nuclei; anche i centri sono generalmente piccoli ; fa eccezione il centro di Borzonasca, alla confluenza della Sturla e della Penna, che con le nuove costruzioni ha ormai preso l’aspetto di una cittadina. E punto di partenza per raggiungere le zone di Sopra la Croce, Campori, lago delle Giacopiane, dove già sorgono alberghi ed attrezzature turistiche anche per l’inverno e dove, alle attrattive del paesaggio, si aggiunge quella di una fresca acqua ferruginosa. Da Borzonasca passa la strada che, per il valico della Forcella, scende nella vai d’Aveto e si parte di qui anche per la visita alla pittoresca Abbazia di Borzone.

    Dalla valle della Sturla, un’altra strada sale al Passo del Bocco, a 950 m., dove sta sviluppandosi un centro turistico; di qui si scende nella valle del Taro.

    Il paesaggio della Fontanabuona è ricco di angoli tranquilli e pittoreschi: Campori e nello sfondo il Passo della Forcella.

    Il Santuario di Velva, nei dintorni di Sestri Levante.

    La Fontanabuona, caratteristica valle longitudinale, è dissimmetrica: il versante destro è breve e chiuso da montagne poco elevate (solo alla testata toccano i 900 m.), formate da calcari e scisti, mentre il versante sinistro è più ampio fra il fondovalle e la cresta montuosa molto più elevata (supera dovunque i 1000 m.) che divide la Fontanabuona dal versante padano, e vi si aprono alcune valli laterali: queste e la testata della valle della Lavagna con prevalenti colture di seminativi, prati e pascoli, estesi boschi, hanno aspetto montano, mentre nella valle principale l’olivo porta la nota più tipicamente ligure e molto diffusi sono, con i noccioleti, la vite e gli alberi da frutta. Inoltre, vi si va diffondendo la coltura dei fiori: gladioli, garofani, tulipani, segno di un rinnovamento agricolo.

    Le numerose case sparse, i centri piccoli e piccolissimi che si succedono sul fondo della valle o sui pendii, le case linde e chiare fra il verde, i campanili, danno al paesaggio un aspetto ritemprante e ridente. Il centro maggiore è Cicagna che si distende sul fondovalle, sulle due rive del fiume, e si è sviluppata con nuovi edifici moderni diventando una graziosa cittadina; è centro di commercio, possiede alcuni opifici ed è frequentata coi dintorni per la villeggiatura. I Comuni che si succedono dalla base all’alta valle sono: Carasco (1700 ab.), San Colombano Certenoli (oltre 2700), Coreglia Ligure, Orerò, Cicagna (2450 ab.), Tribogna, Mocònesi (2100 ab.) col centro di Gattorna. Nelle valli laterali del versante sinistro sono Lorsica (1100 ab.), Favale di Malvaro, Neirone (1850 ab.); nell’alto bacino della Lavagna è Lumarzo (2070 ab.).

    I territori di Casarza (2700 ab.) e Castiglione Chiavarese (2300 ab.) sono nella valle del torrente Petronio che sfocia a Riva di Sestri, aperta all’influsso marittimo, cosicché la nota dominante è data dall’oliveto, cui si accompagnano vite, alberi da frutta, ortaggi; mancano i prati e i bovini sono sostituiti dagli ovini, che si contentano di magri pascoli. Casarza è l’unico Comune in cui la popolazione non è diminuita nel periodo 1901-51 perchè i suoi abitanti trovano lavoro nelle industrie del vicino litorale.