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Nome e vicende territoriali

    Friuli Venezia Giulia

    Sguardo d’insieme

    Il nome della regione e le sue vicende territoriali

    « Friuli -Venezia Giulia » si chiama la più orientale delle regioni storico-amministrative dell’Italia settentrionale, situata fra il Veneto, l’Austria e la Jugoslavia, che comprende, come dice il nome stesso, due parti ben distinte: il Friuli, che corrisponde press’a poco alla grande provincia di Udine, e la Venezia Giulia, ormai ridotta, per effetto degli eventi bellici, al suo estremo lembo occidentale, ripartito fra le piccole province di Gorizia e di Trieste. Il nome doppio, che non è unico nell’onomastica delle regioni italiane, deriva quindi dalla fusione amministrativa di due nuclei storici diversi, avvenuta solo recentemente, dopo le mutilazioni territoriali imposte dal trattato di pace alla Venezia Giulia, che prima della guerra mondiale era considerata come una regione a sè stante, mentre il Friuli faceva parte del Veneto. Tale nome venne definito ufficialmente dall’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana (1947) e compare nell’ordinamento regionale previsto dalla Costituzione (art. 116 e 131).

    Il nome della regione ha però una sicura origine etimologica e storica latina, che costituisce anzi uno dei pochi elementi unitari in un quadro regionale piuttosto composito. Infatti sia il nome del Friuli che quello della Venezia Giulia, pur essendosi formati in tempi molto diversi, si riconnettono alla romana Gens Iulia, a cui appartennero Giulio Cesare e Ottaviano Augusto, che con le loro imprese militari favorirono la colonizzazione romana in queste terre, dove costruirono strade e fondarono città, meritandosi la riconoscenza delle popolazioni. Ma vediamo ora singolarmente l’origine dei due nomi.

    Friuli (i) deriva da Forum Iulii, centro commerciale e militare fondato dai Romani forse nel I secolo a. C., corrispondente all’attuale cittadina di Cividale. Quando Aquileia venne distrutta dagli Unni (452), Forum Iulii, che forse già aveva corrotto il suo nome, la sostituì nelle sue funzioni amministrative, militari e commerciali, favorita dalla posizione geografica pedemontana, allo sbocco della valle del Natisone, per cui passava una delle più importanti vie di comunicazione transalpina. Durante le successive invasioni barbariche mantenne il ruolo di capitale regionale e ospitò varie autorità politiche, che unirono ai loro titoli il nome della sede di residenza. Così a poco a poco la città estese il suo nome a tutta la regione che da essa dipendeva amministrativamente ed economicamente, come risulta accertato fin dall’inizio della dominazione dei Franchi (774). Però le complicate vicende feudali imponevano continue variazioni all’estensione geografica del nome, che forse raggiunse la sua massima dilatazione proprio al tempo di Carlo Magno, quando si identificò con la Marca Orientale, comprendente anche il Carso e l’Istria. Ma a partire dal secolo XI questo nome cominciò a stabilizzarsi nei limiti della contea che l’imperatore Enrico IV aveva assegnato ai Patriarchi d’Aquileia, entrando lentamente nell’uso e nella coscienza popolare. Già alla fine del secolo XI si parla di una « Patria del Friuli », coincidente con lo stato ecclesiastico patriarcale, di cui divenne espressione politico-territoriale il Parlamento, che nel corso del secolo XIV si raduna ad Udine, capitale d’elezione del Friuli. Ma lo stato patriarcale, tipicamente feudale, manca talvolta di continuità territoriale o divide la sua sovranità con altri poteri feudali, per cui non è facile attribuire dei confini precisi alla regione friulana, come risulta dalle testimonianze dei primi cartografi e dei corografi.

    Il limite settentrionale era abbastanza ben segnato dallo spartiacque alpino ed includeva tutto il bacino idrografico del Tagliamento, meno la vai Canale. Il Cadore ebbe invece nello stato patriarcale una particolare autonomia, favorita dalla posizione geografica eccentrica e dall’isolamento montano, per cui non fece mai parte del Friuli, ad eccezione del comune di Sappada, passato alla provincia di Belluno solo nel 1853. Il limite meridionale era meno ben definito, perchè sulla laguna si estendeva l’egemonia veneta. Più incerti ancora furono, per molto tempo, i confini occidentali ed orientali. Ai tempi di Dante, limite occidentale del Friuli era generalmente considerato il Tagliamento, ma poi esso venne portato più a occidente, da Flavio Biondo sul Lèmene, addirittura sul Sile dal Magini, mentre i più preferirono il Livenza, che meno si discostava dai confini politici e dialettali della regione. Il limite orientale venne segnato da Flavio Biondo e da Leandro Alberti sul Risano, da Pietro Coppo e da Fazio degli Uberti sul Timavo, dal Magini e da molti altri sull’Isonzo. Punto cruciale di tale incertezza fu la città di Trieste, che alcuni includevano nell’Istria, mentre altri facevano rientrare nel Friuli, di cui avrebbe dovuto essere lo sbocco marittimo. Questi confini storici rimasero inalterati con il passaggio dei territori patriarcali all’amministrazione veneta (1420), ma vennero seriamente compromessi quando si estinse la dinastia dei Conti di Gorizia (1500), antichi vassalli ed avvocati dei patriarchi, giacché i loro territori furono ereditati dalla Casa d’Austria. Dopo la guerra di Cambrai (1521) un assurdo confine politico tracciato sul fiume Iudrio separò il Friuli veneto dal Friuli austriaco e tale divisione perdurò per quasi quattro secoli determinando un diverso sviluppo culturale, sociale ed economico nelle due parti, le cui popolazioni non dimenticarono però la tradizionale unità storica. Nel 1918 avveniva finalmente la dissoluzione dell’Impero Austro-Ungarico e le vittoriose truppe italiane riunivano nuovamente il Friuli, che ebbe anzi fra il 1923-27 una completa espressione amministrativa, con la costituzione della « Provincia del Friuli », derivata dall’annessione alla vecchia provincia di Udine dei territori della vecchia Contea di Gorizia e di Gradisca. Ma il Friuli Goriziano o Isontino aveva ormai sviluppato proprie tradizioni e propri interessi economici e si differenziava anche per la parlata dal resto del Friuli, per cui ottenne di divenire provincia autonoma, nell’àmbito della Venezia Giulia.

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    Il Friuli in una carta della seconda metà del secolo XVI.

    I nomi della regione e la loro estensione nelle varie epoche.

    Anche in altri settori la tradizionale regione storica friulana ha subito, dopo la caduta della Repubblica Veneta, delle variazioni nei limiti amministrativi e dialettali, per cui oggi il concetto territoriale di Friuli è molto diverso da quello dei tempi del Patriarcato e della Luogotenenza Veneta. Nel 1818 venne staccato amministrativamente dal Friuli il distretto di Portogruaro, comprendente tutta la bassa pianura fra Livenza e Tagliamento, che entrò a far parte della provincia di Venezia. Ma già da qualche secolo è in atto in tutta la regione compresa fra Livenza e Tagliamento un processo culturale di venetizzazione degli abitanti, che ormai non possono più venir considerati friulani puri ed aspirano anzi, per la nuova situazione economica che si è venuta recentemente creando, al distacco dalla provincia di Udine ed all’istituzione di una nuova provincia, con capoluogo Pordenone. D’altro canto ha avuto inizio nel 1866 un naturale processo di friulanizzazione, tuttora in atto, delle vallate slave delle Prealpi Giulie (Slavia), che dopo il 1918 si estese anche alla vai Canale e al Tarvisiano, favorito dai nuovi rapporti politico-amministrativi, dalle migrazioni interne e dal rafforzamento dei legami economici con la pianura. I nuovi limiti del Friuli, garantiti dalla tradizione linguistica e culturale e dalla consapevolezza popolare, corrono oggi dunque press’a poco sul Tagliamento ad ovest, sui fiumi Iudrio, Torre e Isonzo ad est, mentre scarse variazioni hanno subito gli altri limiti. Si tratta naturalmente di confini zonali, e non lineari, su cui non tutti gli studiosi sono concordi.

    « Venezia Giulia » è invece un nome molto recente, proposto per la prima volta nel 1863 dal glottologo goriziano G. I. Ascoli, analogamente a quello di Venezia Tri-dentina, in contrapposizione alle denominazioni ufficiali austriache. Rifacendosi alla tradizione umanistica, che indicava con il nome di Giulia la regione più orientale d’Italia, l’Ascoli volle collegare l’antica civilizzazione romana con la più recente espansione politica e culturale veneta, da cui discendono i diritti storici dell’Italia al possesso delle terre incluse entro l’arco alpino, avallati del resto dalle legittime aspirazioni delle popolazioni italiane.

    Questo nome, di origine dotta, divenne la bandiera di combattimento dei movimenti politici irredentisti ed ebbe larga risonanza popolare durante la Grande Guerra, a cui l’Italia partecipò per la liberazione delle terre irredente. Perciò dopo la vittoria divenne il nome ufficiale con cui si indicarono tutti i territori orientali annessi, organizzati amministrativamente nelle nuove province di Gorizia, Trieste, Pola e Fiume. Non mancarono però le polemiche ed i dissensi, perchè molti studiosi, richiamandosi all’unità storica romana e all’unità naturale fisica ed economica, sostennero l’opportunità di estendere il nome di Venezia Giulia anche al Friuli o, viceversa, il nome del Friuli anche alle terre liberate. Altri poi avrebbero preferito che la regione fosse chiamata semplicemente Giulia, a somiglianza dell’Emilia, secondo la migliore tradizione umanistica.

    Per effetto del trattato di pace oltre i nove decimi della Venezia Giulia sono passati alla Jugoslavia, che non ha mai riconosciuto questo nome storico, preferendo richiamarsi alla denominazione austriaca di Litorale. Così questo nome si è ristretto oggi ad un territorio molto modesto, ma è più che mai vivo nel cuore dei suoi abitanti e dei numerosi profughi giuliani dispersi in ogni parte d’Italia.

    I confini e l’area della regione

    La regione del Friuli-Venezia Giulia confina a nord con la Repubblica Austriaca, a est con la Repubblica Iugoslava, a ovest con il Veneto, e precisamente con le province di Belluno, Treviso e Venezia. La regione si trova dunque al confine politico orientale d’Italia, che si è formato attraverso lunghe e complesse vicende storiche, a cui è doveroso fare un breve cenno.

    Le Alpi Giulie sudorientali, a causa della loro scarsa altitudine, della morfologia di altipiano e deH’idrografia carsica, non segnano nettamente, come altrove, il confine naturale d’Italia, che fu perciò sempre piuttosto incerto, anche per la scarsa abitabilità degli altipiani carsici e per la facilità di passaggio da un versante all’altro. La prima definizione storica del confine risale a Giulio Cesare, che preferì fissarlo su un corso d’acqua, il Formione (ora Risano) alle radici della penisola istriana. Ma pochi anni dopo Ottaviano lo spostò più ad oriente, sul fiume Arsa, tributario del Quarnaro, includendo così tutta l’Istria nella regione italica. Le Alpi Giulie vennero in seguito munite con un limes, che cadde però in abbandono con l’estendersi delle conquiste nel bacino danubiano. Con la divisione amministrativa di Diocleziano questo confine venne portato oltre le Alpi, nel bacino superiore della Sava.

    Nel burrascoso periodo medievale, in cui il sistema feudale non si appoggia a precise basi territoriali, è impossibile rintracciare un confine politico vero e proprio. Si viene invece formando un confine culturale e linguistico, che nasce dal contrasto fra la civiltà comunale italiana e la civiltà feudale dell’Europa centro-orientale. L’avvento di nuove forze economiche e sociali più dinamiche porta ad un lento processo di differenziazione nazionale, da cui emerge la coscienza storica della nazione italiana e del suo confine. Ma la posizione geografica dell’ambiente e gli interessi politici, militari e commerciali degli stati feudali si oppongono a questo naturale processo evolutivo, per cui ne deriva un dualismo politico regionale, che diviene l’elemento fondamentale nella storia del confine orientale. Infatti le città costiere istriane, Trieste e Grado, che fondano sul mare le loro ragioni di vita, grazie anche alla conformazione morfologica della regione litoranea, sfuggono all’accentramento politico, mentre il retroterra istriano e friulano fa capo a centri di espansione più interni e si sviluppa in antitesi con le città della costa. Lo stato patriarcale friulano si evolve lentamente sotto l’influsso delle forze economiche trasformatrici, perdendo a poco a poco la sua originaria fisionomia di forza politica continentale, ma questo processo evolutivo viene portato a termine solo dalla Repubblica Veneta, che riesce pure ad influenzare la vita economica e sociale delle terre rimaste sotto il potere politico imperiale.

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    Alla fine di questo lungo travaglio medievale si può finalmente individuare un confine politico abbastanza ben definito, che separa le terre venete da quelle austriache, senza però che esso abbia alcun significato etnico-culturale, nel quadro del generale frazionamento politico-territoriale della nazione italiana. Questo confine si allontana dalla catena principale delle Alpi Carniche nella valle del Fella, che taglia a Pontebba, procede poi lungo lo spartiacque fra il Tagliamento e l’Isonzo, fino alle Prealpi Giulie, segue il corso dei fiumi Iudrio e Torre e taglia irregolarmente la bassa pianura friulana e la laguna gradese, passando ad occidente di Cervi-gnano, Aquileia e Grado, che rimangono all’Austria, mentre Venezia mantiene anche il Territorio di Monfalcone e buona parte dell’Istria. Con la fine della Repubblica Veneta tutta la regione passa sotto il dominio austriaco, ma il confine dello Iudrio persiste a separare entità politico-amministrative diverse. Nel periodo napoleonico il confine del Regno Italico viene portato per breve tempo sullTsonzo, dalla sorgente alla foce, ma dopo il 1815 viene ripristinato l’antico confine dello Iudrio, che separa il Lombardo-Veneto dal Litorale Austro-Illirico, e diviene così nel 1866, dopo la terza Guerra d’indipendenza, il confine orientale del Regno d’Italia. Solo nel 1918, dopo la Grande Guerra, questo assurdo confine, di origine feudale, venne spostato sullo spartiacque delle Alpi Giulie, al limite naturale della regione italiana.

    Confine italo-austriaco al valico di Coccau (Tarvisio).

    Tanti secoli di dominazione straniera avevano lasciato però inevitabili tracce nella compagine etnica delle popolazioni residenti ad oriente dellTsonzo, nonostante l’influsso dominante della cultura italiana. Sorse così dopo il 1918 il problema delle minoranze etniche della Venezia Giulia che venne aggravato dall’esito sfavorevole della seconda guerra mondiale. Le aspirazioni nazionali del gruppo etnico slavo, predominante nel Carso e nell’Istria interna, ottennero un massimo soddisfacimento alla conferenza della pace di Parigi, in cui fu definito un confine politico su base etnica, con criteri nettamente sfavorevoli all’Italia, che avrebbe dovuto lasciare da una parte e dall’altra il minor numero possibile di elementi linguistici alloglotti, mentre vennero trascurate le fondamentali esigenze della vita economica regionale.

    Passando ad esaminare il tracciato attuale del confine politico regionale, osserveremo che il confine settentrionale, fissato nel trattato di San Germano del 1919, è in massima parte un limite naturale, in quanto segue lo spartiacque fra i bacini idrografici del Tagliamento e del Gail, affluente della Drava, lungo la catena principale delle Alpi Carniche. Solo nel settore più orientale si scosta da questa linea, includendo il Tarvisiano, cioè l’alto bacino del fiume Slizza, affluente del Gail.

    I confini d’Italia, Austria e Jugoslavia si incontrano sulla cima del Monte Forno, nelle Alpi Caravanche.

    Confine italo-iugoslavo al valico della Casa Rossa (Gorizia).

    Ripartizione della superficie e della popolazione nella Venezia Giulia prebellica (cens. 1936), in confronto con quella attuale (cens. 1951).

    Ripartizione della superficie e della popolazione della regione per province (cens. 1951).

    Il confine orientale italo-iugoslavo, stabilito con il trattato di Parigi del 1947 e con il Memorandum di Londra del 1954, segue dapprima lo spartiacque fra Slizza e Sava, dal Monte Forno al Monte Màngart, senza discostarsi dal confine prebellico. Poi procede lungo il vecchio confine amministrativo fra le province di Udine e di Gorizia, dal Monte Màngart al Passo del Predìl, e lungo lo spartiacque fra il Tagliamento e l’Isonzo, che segnò già il confine politico italo-austriaco fra il 1866 e il 1918. Lascia però in Italia l’alta valle del rio Uccea e l’alta e bassa valle del Natisone, che taglia due volte, cosicché la media valle resta alla Jugoslavia. Dalla vetta del Monte Mataiùr esso raggiunge le sorgenti dello Iudrio e segue questo fiume fin presso Prepotto, dove si stacca dal vecchio tracciato politico-amministrativo per attraversare da nordovest a sudest la regione collinare del Collio. Dalla cima del Monte Sabotino scende quindi verso lTsonzo, tagliando il fiume fra Salcano e Gorizia. Attraversa i sobborghi orientali della città isontina, seguendo il raccordo ferroviario che unisce la stazione di Montesanto a quella di San Marco, dopo di cui costeggia la strada statale n. 55 del Vallone, che rimane in territorio italiano. Presso Iamiano raggiunge il vecchio limite amministrativo fra le province di Gorizia e di Trieste e lo segue, passando sui Monti Ermada, San Leonardo e Lanaro, le cui cime restano interamente al di qua. Dal Monte Lanaro procede a segmenti rettilinei tra le cime di alcuni rilievi carsici (monti Meducia, dei Pini e Concusso), fino al Monte Goli, dove cessa il confine fissato dal trattato di pace e comincia quello stabilito dal Memorandum di Londra, che taglia a segmenti rettilinei la penisola muggesana passando per i punti trigonometrici dei monti Castellièr e San Michele.

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    Gonfine italo-iugoslavo alla stazione di Montesanto (Gorizia)

    Mentre però la vecchia linea di demarcazione fra le zone « A » e « B » del Territorio Libero di Trieste correva sul versante meridionale dei monti di Muggia, seguendo press’a poco il limite amministrativo fra le province prebelliche di Trieste e di Pola, il nuovo confine passa lungo le pendici settentrionali, arrivando al mare nella valle di San Bartolomeo, fra Punta Sottile e Punta Grossa. Questo tracciato deve ormai considerarsi definitivo, anche se reca particolare disagio alle popolazioni che vivono nel Goriziano e nel Muggesano, dove attraversa aree di antico e denso insediamento, e anche se impone dei gravi sacrifici alla città di Trieste, separata dal suo immediato retroterra e collegata con il resto d’Italia attraverso uno stretto corridoio costiero.

    Il confine occidentale del Friuli-Venezia Giulia è quello amministrativo della provincia di Udine, che corrisponde press’a poco a quello della regione storica friulana, con la sola esclusione del distretto di Portogruaro e del comune di Sap-pada. Esso si stacca dal confine italo-austriaco al Monte Oregone, a nordest di Sap-pada, e descrive una grande curva tortuosa ed irregolare verso ovest, raggiungendo il mare alla foce del Tagliamento. Nella regione montana corrisponde dapprima alla linea spartiacque che separa i bacini imbriferi del Piave e del Tagliamento e poi a quella che corre fra il Piave e il Cellina, affluente del Livenza. Il limite naturale è abbandonato solo per un breve tratto nella conca di Sauris, in cui discendono alcuni comuni cadorini, e al Passo di Sant’Osvaldo, per includere nel Friuli il comune montano di Erto e Casso, nella valle del Vaiònt, che gravita sulla vai Cellina. Dalla cima del Monte Cavallo questo confine scende attraverso l’Altipiano del Cansiglio verso la pianura, che raggiunge presso Càneva di Sacile, includendo così nella regione un piccolo saliente sulla riva destra del fiume Livenza. Poi segue il corso di questo fiume fino alla confluenza del Meduna, dove abbandona il limite storico tradizionale per attraversare irregolarmente la pianura fino al corso del Tagliamento, che raggiunge presso Morsano e segue poi, più o meno fedelmente, fino al mare.

    La regione così delimitata si estende in latitudine fra i 46° 39′ del Monte Fleòns (Alpi Carniche occidentali) ed i 450 35′ del Monte Castellièr (Monti di Muggia) e in longitudine fra i 12° e 20′ della Chiusa del Vaiònt e i 13° 55′ del Monte Goli (Carso triestino). Ha una superficie di 7850 kmq., corrispondente al 2,6% del territorio nazionale, per cui occupa il diciassettesimo posto fra le regioni italiane, precedendo solo la Liguria e la Valle d’Aosta.

    La provincia di Udine, che comprende 187 comuni, si estende per 7166 kmq. dal confine occidentale al vecchio confine italo-austriaco del 1866, con in più il distretto di Cervignano, acquisito nel 1923. Essa rappresenta il 91% della superficie regionale ed il 65% della popolazione, per cui a buon diritto il Friuli precede nel nome regionale la Venezia Giulia.

    La provincia di Gorizia, che possiede ora 30 comuni, dopo la riorganizzazione del 1947 ha una superficie di soli 473 kmq., corrispondenti al 17% di quella prebellica. Comprende una parte del Collio, l’Agro Cormonese e Gradiscano, il Carso e l’Agro Monfalconese e la Laguna di Grado.

    Il confine italo-iugoslavo visto da Monrupino (Trieste) presenta una caratteristica tagliata di bosco.

    Il Territorio-provincia di Trieste passato sotto l’amministrazione italiana appena nel 1954, in seguito al Memorandum di Londra, si estende ad oriente del Timavo. Conta appena 210 kmq., ripartiti fra sei comuni, che rappresentano appena il 16% della provincia prebellica. La Venezia Giulia rimasta all’Italia viene ad avere così un’estensione di 683 kmq., corrispondenti ad appena il 7,7% della regione prebellica.

    In considerazione della sua particolare origine, della sua posizione geografica e delle sue particolari vicende storico-politiche, la Costituzione Italiana attribuisce alla nuova regione una speciale autonomia (art. 116), come per la Sicilia, la Sardegna, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige, ma lo statuto speciale non è stato però ancora approvato dal Parlamento. Particolare difficoltà presenta la scelta del capoluogo regionale, perchè le due maggiori città hanno entrambe i requisiti necessari per ospitare gli organismi politico-amministrativi della regione: Trieste, capoluogo della Venezia Giulia, per la sua importanza demografica ed economica, e Udine, capoluogo del Friuli, per la sua posizione centrale ed il grande peso demografico e territoriale della sua provincia.