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    La popolazione

    Le variazioni della popolazione nel tempo

    Il popolamento dell’Umbria ha origini remote. La preistoria e la storia provano con abbondante documentazione che fin dai tempi più antichi le montagne e le colline di questa parte dell’Italia centrale erano abitate dall’uomo, che vi aveva stabilito numerose sedi e trovava il suo sostentamento nella raccolta dei frutti del bosco, nella caccia e nei prodotti di una primitiva agricoltura. Molte città umbre erano già sorte ed avevano raggiunto un notevole sviluppo prima che si affermasse in Italia la potenza di Roma, e l’espansione del dominio romano verso l’interno della penisola trovò un serio ostacolo in queste popolazioni rudi e bellicose, forse anche prevalenti per numero sulle forze dei conquistatori; tanto che solo dopo lunghe lotte Roma potè assoggettare tutta la regione.

    Secondo i calcoli del Beloch, fondati sul numero degli abitanti atti alle armi, l’antica Umbria, cioè il territorio sulla sinistra del Tevere, fino all’Appennino, doveva contare, verso la fine del III secolo a. C., un centinaio di migliaia di anime, popolazione tutt’altro che insignificante per un territorio di circa 6000 chilometri quadrati.

    Per i secoli seguenti, non è possibile stabilire l’entità del popolamento nella regione. Il periodo dell’Impero e della decadenza romana, l’età di mezzo e parte dell’evo moderno sono, com’è noto, epoche oscure per la storia della popolazione, poiché manca qualsiasi notizia sulla consistenza numerica degli abitanti o si hanno, al più, notizie indirette e molto frammentarie. Tuttavia le tracce topografiche del popolamento nelle varie epoche e le vicende politiche dei diversi centri consentono di individuare, sia pure a grandi linee e in modo sommario, le fasi più importanti dello sviluppo demografico attraverso questo lungo periodo.

    Di una relativa prosperità l’Umbria, come tutta l’Italia centrale, dovette godere fino all’età augustea, quando accanto ad una fiorente agricoltura si sviluppavano i commerci, favoriti dal sorgere delle grandi strade consolari e dall’utilizzazione del Tevere quale via navigabile. Il territorio montuoso e la posizione della regione rispetto alla capitale limitarono probabilmente l’estensione della grande proprietà e del latifondo e quindi della cerealicoltura estensiva; oltre al frumento, che era stato introdotto, pare, verso il V secolo a. C., e alla vite, si era diffusa la coltura dell’olivo; si erano anche iniziate opere di bonifica e di regolazione delle acque, soprattutto lungo il Nera. Le città umbre si arricchivano di monumenti, di templi, di teatri, erano recinte di mura; alcune divennero importanti municipi romani, come Spoleto, che doveva già contare, nel II secolo a. C., 6-7000 abitanti. Accanto ad esse erano sorti nuovi centri di popolamento, i luoghi di difesa e di sosta creati specialmente lungo il percorso della Flaminia.

    La decadenza di Roma e le prime invasioni barbariche non mancarono di far sentire anche nell’Umbria i loro effetti. Il passaggio degli invasori attraverso il suo territorio portò naturalmente distruzioni e saccheggi, che ebbero notevoli ripercussioni sulle condizioni economiche e demografiche della regione, che già al tempo di Odoacre è descritta come incolta e deserta. Le città erano spopolate, gli abitanti abbandonavano le campagne per rifugiarsi in luoghi più sicuri e di più facile difesa. Nel VI secolo, la guerra greco-gotica fu causa di altre devastazioni: l’esercito di Totila, prima della definitiva sconfitta a Gualdo Tadino, saccheggiò le maggiori città, da Perugia (risorta dall’incendio che l’aveva distrutta al tempo di Ottaviano) a Città di Castello, ad Assisi, Gubbio, Norcia, Spoleto e Terni.

    Spello: Porta Venere, costruzione del periodo augusteo, con le cosiddette Torri di Properzio.

    Spoleto: la Rocca trecentesca e la città medievale

    Verso il Mille la vita andava riprendendo. Le città si ripopolavano e cominciavano ben presto a reggersi a liberi comuni. La popolazione dovette avere un aumento notevole, che si accentuò sempre più, favorito dal ritmo accelerato con cui fioriva la vita economica e dall’attrazione che le città in questo periodo esercitavano sul contado. Le nuove cinte di mura che erano sorte a difesa degli abitati avevano un perimetro più ampio di quelle romane, e tuttavia in alcuni casi, come a Perugia, divennero ben presto insufficienti a contenere tutta la popolazione. Nelle città convenivano gli abitanti del contado e gli artigiani, attratti dalle maggiori possibilità di lavoro che offrivano i centri in continuo sviluppo. Anche l’agricoltura rifioriva. Già prima del Mille, soprattutto ad opera dei monaci benedettini, si erano riprese a bonificare e coltivare parte delle terre abbandonate durante le incursioni dei barbari; in seguito le colture si andarono sempre più intensificando, per provvedere alle crescenti necessità alimentari dei centri, mentre le campagne a mano a mano si affrancavano dai privilegi feudali.

    Gli ultimi secoli del Medio Evo segnarono per le città dell’Umbria il periodo di massimo splendore e di maggiore floridezza demografica ed economica, nonostante le continue lotte per il predominio tra i comuni prima, poi tra i più potenti signori, e le contese degli uni e degli altri con il Papato e l’Impero, che ripetutamente danneggiarono città e campagne. Ma dopo la prima fase di rapido accrescimento, la popolazione dovette restare per secoli più o meno stazionaria, alternando periodi di regolare aumento naturale ad altri nei quali le perdite per fatti bellici ed ancor più per le conseguenti gravissime carestie e le pestilenze, furono di gran lunga superiori alla normale eccedenza delle nascite, tanto da annullare in breve tempo gli effetti dell’incremento precedente.

    Tuttavia le città continuarono ad avere importanza non soltanto politica, ma anche economica nella vita della regione, per il fatto di essere la sede di piccole corti, le cui notevoli entrate permettevano di arricchire le città stesse di palazzi e monumenti, e contribuivano a mantenere attivi le industrie e i commerci.

    Il XVI secolo segnò la definitiva decadenza delle città, che perdevano, con l’autonomia, anche la funzione di centri economici della regione. Ridotte le attività industriali e commerciali, l’agricoltura diveniva nuovamente la principale risorsa degli abitanti, ma anch’essa non doveva essere molto fiorente. Le relazioni degli ambasciatori veneti notano come nel ’600 tutto lo Stato Pontificio fosse in deplorevoli condizioni economiche e quasi ovunque la popolazione andasse diminuendo (ad es., gli abitanti di Terni si ridussero in dodici anni da 10.000 a 7.000), tanto che « li terreni della campagna in molti luoghi si lasciano incolti, mancando l’esito delle biade, mancando li coloni, il denaro, gli animali ».

    Variazioni storiche della popolazione nell’Umbria.

    Montefalco: la porta Ghibellina e un tratto delle mura.

    Dalla metà del XVII secolo, si cominciano ad avere, con i censimenti pontifici, le prime notizie dirette sul numero degli abitanti. La prima « nota » delle anime è del 1656 e registra la popolazione distinta per diocesi e per parrocchie. La registrazione è fatta a scopo fiscale, e pertanto ne sono esclusi i bambini al disotto dei tre anni, che non erano soggetti alla tassazione. Il totale degli abitanti dell’Umbria ammonta a 294.000, su un territorio corrispondente, sia pure con larga approssimazione, a quello attuale della regione; la densità della popolazione era quindi di 33-34 ab. per kmq., che, con l’aggiunta degli individui non censiti, possono salire a 36-37.

    Circa mezzo secolo più tardi, nel 1701, si effettuava un altro censimento; mentre per tutto lo Stato si notava un aumento della popolazione, e si raggiungeva una densità (43 ab. per kmq.) pari a quella che avevano allora il Piemonte e la Sicilia, nell’Umbria si doveva osservare un periodo di stasi o addirittura di regresso: il totale degli abitanti, in cui erano compresi questa volta anche i bambini di età inferiore a tre anni, era infatti di 308.000 (con una densità di 36 per kmq.). Particolarmente sensibile era la diminuzione nella diocesi di Spoleto, comprendente una larga porzione di territorio montano, e in quella di Assisi; nelle altre circoscrizioni, pur riferendosi il rilevamento all’intera popolazione, il numero degli abitanti non aumentava, o l’aumento era contenuto in limiti modesti. Che vi fosse una tendenza alla diminuzione al principio del XVIII secolo, è del resto confermato dal censimento successivo, del 1708, i cui risultati consentono un più sicuro confronto con quelli del censimento precedente, essendo rimasto invariato il sistema di raccolta dei dati. A quella data la popolazione dell’Umbria era scesa a 293.000 anime, con una riduzione di circa 15.000 in soli sette anni. Le cause di questa sensibile diminuzione possono essere attribuite a una serie di epidemie e carestie che turbarono in quegli anni la vita dello Stato Pontificio, e in Umbria fecero sentire i loro effetti specialmente nel territorio di Perugia, la cui diocesi ebbe a registrare una perdita di quasi 13.000 abitanti, cioè un quinto della popolazione.

    Gli abitanti dell’Umbria, dopo essere scesi ancora, nel 1736, a meno di 290.000, ripresero ad aumentare solo dopo la metà del ’700, e molto lentamente, come avveniva in quasi tutta l’Italia centrale; al principio del secolo XIX, i censimenti effettuati sotto il governo napoleonico registravano per la nostra regione una popolazione poco superiore a 320.000 unità. In sèguito, l’incremento demografico assume anche per l’Umbria un ritmo abbastanza regolare e costante, e alla metà dell’Ottocento, quando viene compilata l’ultima valutazione del governo pontificio, gli abitanti della regione sono aumentati di circa un terzo.

    Nel 1861 si effettua il primo censimento dello Stato italiano. Nel territorio corrispondente a quello attuale dell’Umbria sono censiti 438.000 abitanti, dei quali circa la metà vivono nei dieci comuni maggiori, con popolazione superiore alle 10.000 unità. Il comune più popoloso è quello di Perugia, con 44.000 abitanti; degli altri, solo quattro (Città di Castello, Gubbio, Terni e Foligno) superano, e di poco, i 20.000. La densità della popolazione è in media di 52 ab. per kmq., e non si osservano grandi differenze fra le varie parti della regione; solo la stretta e montuosa valle del Nera presenta densità sensibilmente inferiori alla media (sui 20 ab. per kmq.), mentre un maggiore addensamento si ha nei comuni di Perugia e Terni che, per l’influenza dei rispettivi centri urbani, si avvicinano a 100 abitanti per chilometro quadrato.

     

    Un aspetto dell’antica Gubbio.

    Spoleto: il Palazzo Comunale con la torre del Duecento.

    Nel ventennio successivo la popolazione dell’Umbria aumenta di circa 55.000 abitanti, e ancora un centinaio di migliaia vi si aggiungono tra il 1881 e 1901; l’accrescimento complessivo, dall’epoca dell’annessione, è pertanto di più di un terzo. Ma l’aumento non è distribuito uniformemente in tutta la regione. Il massimo si ha nel circondario di Terni, che vede accresciuta la sua popolazione di una volta e mezzo, mentre quella del comune capoluogo si raddoppia: l’incremento è considerevole soprattutto nell’ultimo periodo del secolo XIX, in conseguenza dello sviluppo delle maggiori industrie della zona. Anche nel circondario di Perugia si osserva un forte aumento, legato in parte all’importanza che la città principale assume come centro amministrativo, in parte alla ripresa agricola e commerciale del suo territorio. Diversa è la situazione nello Spoletino, dove la popolazione cresce più lentamente e si accentuano i contrasti tra la montagna e le zone meno elevate; in alcuni comuni montani infatti il numero degli abitanti resta pressoché invariato, mentre l’aumento è maggiore, anche se inferiore alla media della regione, sia nel capoluogo sia in alcuni centri di fondo valle, che godono di condizioni più favorevoli per lo sviluppo dell’agricoltura e sono meglio serviti dalle vie di comunicazione.

    Al notevole incremento demografico che caratterizza l’ultimo ventennio del secolo scorso succede, al principio del ’900, un periodo di stasi; ma il movimento ascendente riprende negli anni che precedono il primo conflitto mondiale, nonostante che proprio in quegli anni l’Umbria dia il suo maggior contributo all’emigrazione.

    Nel 1921 la regione conta 640.000 abitanti, che diventano circa 700.000 nel ’31, 726.000 nel ’36, e 804.000 nel ’51, mentre la densità media passa da 75 a 95 abitanti per chilometro quadrato. L’Umbria risulta pertanto una delle ultime regioni italiane sia per popolazione assoluta che relativa (la seguono il Trentino-Alto Adige, la Basilicata e la Valle d’Aosta e, per la densità, anche la Sardegna).

    Delle due province in cui la regione è divisa dal 1927, quella di Perugia ha registrato, nei vent’anni che intercorrono tra il censimento del 1931 e quello del 1951, un aumento di circa 60.000 unità (cioè l’n%), passando da 520.000 a 580.000 abitanti; ma ben più notevole è stato lo sviluppo demografico della provincia di Terni, da 177.000 a 223.000 (con un aumento del 26%). Per tutta la regione, l’accrescimento è stato di 105.000 abitanti (pari al 15%, con una media annua di 7,5 abitanti ogni 1000).

    Vedi Anche:  Dimore rurali e centri abitati

    In ambedue le province, l’aumento che si verifica in questo periodo è da attribuire almeno per due terzi ai comuni maggiori, ai quali dà un considerevole apporto la popolazione dei rispettivi capoluoghi, accresciuta anche per l’attrazione che questi esercitano, in conseguenza del loro sviluppo economico, sui centri minori e sulle campagne. Così il comune di Terni si arricchisce di quasi 23.000 abitanti (con un aumento del 37%), quello di Narni di 5.000 (33%), quello di Perugia di 18.000 (23%), quello di Foligno di circa 7.000 (20%), quelli di Spoleto e di Città di Castello di 6.000 (19%). Per contro, in alcune zone collinari l’entità della popolazione è quasi stazionaria, mentre in tutta la montagna, sia nella valle del Topino che nella montagna spoletina, è quasi generale un regresso, che si accentua in modo particolare nei comuni più elevati della Valnerina.

    Antiche vie di Spello.

    In sostanza, si manifesta sempre più evidente la tendenza — del resto già in atto fin dalla fine del secolo scorso — della popolazione ad addensarsi verso il basso, nelle conche e nelle valli più ampie, dove la maggiore varietà e possibilità dell’agricoltura e la facilità delle comunicazioni offrono lavoro ad un numero più cospicuo di abitanti ; e in particolare verso alcuni grossi centri, nei quali si sono andate sviluppando le attività industriali di maggior rilievo della regione. E infatti nei grandi comuni che hanno il capoluogo nella pianura o in prossimità di essa, che la popolazione ha registrato, nei tempi recenti, il maggiore aumento, con incrementi di gran lunga più elevati che non in tutto il resto del territorio. Nell’ultimo decennio, secondo i dati provvisori del censimento del 1961, la popolazione dell’Umbria si sarebbe ridotta di oltre 15.000 unità, passando in complesso a 788.000 abitanti, con una densità di 93 per kmq. La diminuzione riguarda esclusivamente la provincia di Perugia, che ha perduto circa 16.000 abitanti, evidentemente a causa del persistente movimento migratorio specie dalle aree montane più povere; un lieve aumento si è rilevato, al contrario, nella provincia di Terni.

    Un incremento considerevole si è avuto ancora, tuttavia, in ambedue i comuni capoluoghi: il comune di Terni ha visto aumentare la sua popolazione di oltre 12.000 unità, e di ben 16.000 si è accresciuto quello di Perugia, che viene così ad accentrare oggi poco meno di un quinto degli abitanti dell’intera provincia.

    L’incremento della popolazione e l’emigrazione e lo spopolamento montano

    Nel complesso della regione, l’aumento annuo, dall’annessione al censimento del 1951, è stato poco più basso di quello nazionale, con una media di oltre nove abitanti ogni mille. Il movimento ascendente della popolazione, intenso alla fine del secolo scorso, ha subito un rallentamento nel primo ventennio del nostro secolo, ha avuto poi una forte ripresa tra il 1921 e il 1931, e si è infine ridotto nell’ultimo periodo, specialmente negli anni successivi al conflitto mondiale.

    Le variazioni dell’incremento demografico non sono però legate che parzialmente ad oscillazioni del movimento naturale; questo infatti si è mantenuto sempre alquanto elevato, anche nei periodi di minore aumento complessivo degli abitanti, e solo negli ultimi anni è sceso a valori inferiori alla media dell’Italia.Vi hanno influito invece gli spostamenti di popolazione, sia verso altre regioni italiane, sia fuori del territorio nazionale.

    L’emigrazione verso l’estero è senza dubbio la meno significativa ed importante per l’Umbria: quasi assente fino al 1870, ha avuto un modestissimo sviluppo per tutto il resto del secolo scorso. Il flusso migratorio si è fatto poi più intenso nei primi anni del ’900, ed ha raggiunto la cifra massima nel 1913, con 17.000 emigrati, dei quali un terzo diretti oltre oceano e due terzi verso i Paesi europei; specialmente attiva era l’emigrazione in Svizzera, Austria e Germania, per lavori edilizi e minerari. Il maggior contingente era fornito dalla provincia di Perugia, più agricola e montuosa, mentre assai modesta era l’emigrazione dal Ternano, dove le industrie trattenevano maggior quantità di abitanti. Nel primo dopoguerra il flusso migratorio ebbe un breve periodo di ripresa (nel 1921-22 partirono poco più di 10.000 persone), ma in sèguito è andato sensibilmente diminuendo e oggi è divenuto quasi irrilevante, e in parte compensato dai rimpatri: nel 1955 sono espatriati solo 650 ab., mentre ne rientravano ben 390; nel 1957 si sono avuti 351 espatri e 79 rimpatri; nel i960, 186 espatri contro 116 rimpatri. E da notare che oggi l’emigrazione è costituita in prevalenza da mano d’opera industriale.

    Maggior peso sul movimento della popolazione hanno avuto ed hanno ancora attualmente gli spostamenti tra le diverse parti della regione e tra l’Umbria e le altre regioni italiane. Già nel Viedio Evo gli abitanti di alcuni centri della montagna umbra andavano a cercare guadagni fuori della loro regione esercitando arti e commerci, come del resto capita ancor oggi in molte aree alpine ed appenniniche, dove le magre risorse non bastano al sostentamento della popolazione. I Cerretani (oriundi di Cerreto di Spoleto) vagavano per l’Italia vendendo unguenti ed erbe aromatiche e medicinali, ed erano assai ricercati come medici; dal Nursino scendevano gli scaricatori del porto di Ancona, i venditori di panni spoletini, i giardinieri (« portel-lari ») e i fabbri ferrai, oltre ai celebri medici (« norcino » fu un tempo sinonimo di chirurgo). In tempi più recenti, i norcini emigravano soprattutto a Roma e a Firenze, dove divennero famosi esercitando il loro tradizionale mestiere di lavoratori di carne suina.

    Perugia medioevale: via Mattioli.

    Veduta aerea di Foligno, con i nuovi quartieri oltre il Topino.

    Assisi: una via della città medioevale.

    Al principio del nostro secolo erano ancora molto attive le migrazioni stagionali, dirette specialmente verso l’Agro romano, per la mietitura e la trebbiatura dei cereali (da maggio a luglio) e per lavori vari (da agosto a dicembre); e sopravvivono anche oggi — per quanto si vadano sempre più riducendo — le transumanze dei pastori di pecore, tra le aree di pascolo della montagna e le pianure costiere. Le migrazioni permanenti degli ultimi decenni si sono dirette di preferenza verso Roma, che rimane il maggiore centro di attrazione, per la relativa vicinanza e per la continua espansione della metropoli.

    Discreta importanza hanno anche gli scambi di popolazione agricola con le regioni confinanti, soprattutto con la Toscana e le Marche — dove prevale, come in Umbria, il contratto di mezzadria — e con il Lazio settentrionale, specie in sèguito alle recenti trasformazioni fondiarie della Maremma viterbese. Da qualche anno si verifica poi un notevole esodo di mano d’opera industriale: si tratta in prevalenza di lavoratori specializzati richiesti dai grandi centri dell’Italia del Nord e provenienti in massima parte da Terni, dove si risentono gli effetti della crisi che sta attraversando l’industria siderurgica locale; tuttavia nel Ternano è ancora sensibile l’immigrazione, anche se quantitativamente è assai più ridotta di quanto non fosse 20-30 anni fa.

    Norcia, ancora racchiusa entro le antiche mura, al centro di un’area che si va spopolando.

    I maggiori spostamenti di popolazione si verificano però nell’ambito della stessa regione: nel 1957 il 60% del movimento migratorio dell’Umbria era limitato al territorio regionale. Sono in genere abitanti della montagna e della collina, che abbandonano le sedi più elevate e disagiate, per trasferirsi nei centri principali, in cerca di un’attività più rimunerativa.

    Mentre si mantiene viva la tendenza all’urbanesimo, già evidente nel vicino passato, si va così facendo sempre più grave lo spopolamento della montagna. Nelle zone elevate il reddito dell’agricoltura diventa giorno per giorno più scarso e inadeguato alla necessità dei contadini, i costi di produzione sono alti e non è facile lo smercio dei prodotti; le condizioni di vita in molti paesi rimangono alquanto arretrate: mancano le strade, le case, gli acquedotti, le scuole, l’assistenza sanitaria. Tutta questa situazione non può che favorire un esodo sempre più intenso della popolazione, e vi si aggiunge anche la crisi della pastorizia, che, con l’appoderamento di molti terreni della Maremma, ha visto ridursi, ogni anno di più, i pascoli che accoglievano d’inverno gran parte dei greggi delFUmbria, sicché questa attività va gradualmente scomparendo, con notevole pregiudizio di tutta l’economia montana.

    Orvieto: il nuovo centro in formazione sul fondovalle, presso la stazione ferroviaria.

    Il Nursino, la media ed alta Valnerina e tutta la zona lungo lo spartiacque appenninico sono le aree più colpite dallo spopolamento. Nel cinquantennio fra i censimenti del 1901 e del 1951, la popolazione dell’alto bacino del Nera è diminuita di un settimo. La diminuzione non è omogenea in tutta la regione, ma interessa in misura maggiore i comuni che ricoprono le aree più elevate ed accidentate, in cui buona parte dei villaggi è anche in condizioni molto disagiate di viabilità, potendo comunicare solo per mezzo di mulattiere.

    Il periodo di più intenso abbandono della montagna si è verificato fra il 1931 ed il 1951, mentre nel decennio precedente, con la diminuita emigrazione, in quasi tutti i comuni montani la popolazione aveva ripreso ad aumentare. In vent’anni, a Pog-giodomo il numero degli abitanti si è ridotto di un terzo, a Monteleone di Spoleto di un quarto, di un quinto a Norcia e a Preci, di un decimo a Sellano; nel comune di Cascia la riduzione è stata un po’ meno sensibile (7%), per il notevole aumento della popolazione del capoluogo, dovuto però a ragioni estranee all’economia agricola. La media Valnerina (Cerreto di Spoleto, Vallo di Nera, Sant’Anatolia di Narco, Scheggino), ha registrato una diminuzione del 5% ; nell’alta Vaitopina il comune di Nocera Umbra ha perduto più di un decimo dei suoi abitanti, per l’abbandono delle aree più elevate prossime allo spartiacque appenninico. Nell’alta valle del Sen-tino, il comune di Scheggia e Pascelupo ha visto la sua popolazione ridursi di un sesto, mentre il villaggio di Pascelupo, che aveva oltre 700 abitanti all’inizio del secolo, ne conta ora meno di 100.

    La distribuzione degli abitanti

    La densità media della popolazione nell’Umbria era, alla data del censimento del 1951, di 95 ab. per kmq., la più bassa delle regioni dell’Italia centrale. Ma gli abitanti sono distribuiti in modo irregolare sulla superficie della regione: aree disabitate o pochissimo popolate si estendono non solo nella fascia montana appenninica, ma anche in talune zone collinari di modesta elevazione; ad aree relativamente piccole di addensamento maggiore, intorno ai centri più importanti, se ne affiancano altre dove la densità rimane ben più bassa della media regionale.

    Le forme del terreno, l’altimetria, la natura del suolo, le condizioni della viabilità, lo sviluppo di attività industriali accanto a quelle agricole tradizionali, l’attrazione esercitata dai centri, hanno diversamente influito sulla distribuzione degli abitanti, determinandone anche le variazioni nel tempo. Un secolo fa, quando la vita della regione era basata quasi soltanto sull’agricoltura, la densità della popolazione era più direttamente influenzata dalla possibilità di utilizzazione del suolo; e la fittezza del popolamento non era molto diversa tra l’uno e l’altro dei circondari; dalla media che era poco più di 50 ab. per kmq., gli spostamenti della densità, nelle varie zone, erano, in più o in meno, piuttosto modesti. Alle minime cifre relative di 26 per il Nursino e l’alta Valnerina, si contrapponevano le massime di 100 e 98 rispettivamente per i comuni di Terni e di Perugia, e di 77 per Foligno.

    Nel 1921 la densità era salita ad una media di 75 ab. per kmq., e i contrasti si erano fatti più evidenti fra le zone montane ed alcune aree collinari, rimaste press’a poco con lo stesso popolamento di sessantanni prima, e le parti meno elevate del territorio, soprattutto le conche e le piane vallive dove, specie intorno ai centri di maggiore rilievo, gli abitanti si erano andati infittendo in misura considerevole. Due erano le zone molto densamente popolate (oltre 150 ab. per kmq.), una quasi al centro dell’Umbria, e corrispondente alla regione collinare di Perugia, con un tratto della valle del Tevere, e una a mezzogiorno, costituita dalla conca di Terni con le colline e le basse montagne circostanti. Quest’ultima era l’area più popolata, con oltre 200 ab. per kmq. (e, se si considera la sola conca, anche più di 7-800). La zona perugina, assai più vasta della ternana, si prolungava verso occidente e soprattutto verso sudest nella valle Umbra, con valori di densità ancora assai notevoli (100-125 ab. per kmq. nei comuni di Assisi e Foligno). Ad occidente si passava verso zone di densità media (50-75 ab.) sulle rive del Trasimeno e nel territorio di Città della Pieve. Nell’Orvietano, accanto ad alcuni comuni di densità alquanto elevata (100 e più abitanti), si notava il più scarso popolamento delle aree più accidentate, specie nel comune di San Venanzo, che non raggiungeva i 30 abitanti per chilometro quadrato. La più spopolata risultava sempre l’Umbria di sudest, cioè la parte più montuosa della regione, con una densità tra 25 e 30 abitanti, in quanto l’entità delle correnti migratorie era stata tale da annullare gli effetti dell’incremento naturale.

    Vedi Anche:  Caratteri fisici e pischici della popolazione, dialetti e cucina

    La distribuzione attuale del popolamento nell’Umbria è anche più irregolare. La provincia di Terni aveva nel 1951 una densità di 105 abitanti, più alta della media regionale (che era di 95); il comune capoluogo era il più fittamente popolato di tutta la regione, con circa 400 abitanti per kmq., nonostante che il suo territorio, esteso per oltre 200 kmq., comprenda anche aree di montagna al di sopra di 1000 metri. Nella provincia di Perugia la densità media raggiunge i 92 abitanti, e la maggior concentrazione è nel piccolo comune di Bastia, il quale, su una superficie quasi tutta pianeggiante, sul fondo della fertile e irrigua valle Umbra, conta una popolazione relativa di poco più di 250 abitanti; Perugia con un territorio comunale sedici volte più vasto e per buona parte in collina, raggiunge una densità di 212 abitanti per chilometro quadrato. Superano, e non di molto, i 150 abitanti i due comuni di Deruta e Foligno. Altri 23 comuni, parte nella provincia di Perugia, parte in quella di Terni, hanno densità comprese fra 100 e 150; ma non costituiscono aree continue di densità omogenea: alcuni sono comuni di limitata estensione, con territorio per lo più in pianura o nella bassa collina, come nella Teverina, nell’Orvietano e nell’area collinare fra il Tevere e la valle Umbra (ad esempio: Torgiano, Bevagna, Montefalco); altri corrispondono invece ad estese superfìci, di varia composizione, con ampi tratti di montagna pressochè spopolata o di rado popolamento e zone di pianura e di collina fittamente abitate e facenti capo a grossi centri: è il caso di Foligno, di Gualdo Tadino e soprattutto di Spoleto, che nel 1931 aveva poco più di 90 ab. per kmq. ed ora ha raggiunto i no, in sèguito all’aumento della popolazione urbana e di quella delle campagne più vicine.

    Densità della popolazione (censimento 1951).

     

    Todi: via di Borgo Nuovo.

    Le densità più basse appartengono, com’è naturale, ai comuni di montagna, in particolare della montagna calcarea, dove il rilievo è più accidentato e i terreni meno produttivi. Monteleone di Spoleto nel bacino del Corno, Poggiodomo e San-t’Anatolia di Narco nella Valnerina, e Poiino nella montagna ternana, hanno il popolamento più rado (19-22 ab. per kmq.); Cascia e Norcia, pur estendendosi su di una vasta area montuosa, di notevole altitudine (il comune di Norcia comprende tutta la zona dell’Umbria oltre i 2000 m.), raggiungono una densità rispettivamente di 26 e 29 abitanti, grazie alle possibilità che offrono le loro conche, specie, per Norcia, il vasto piano di Santa Scolastica, ricoperto di fertili terreni alluvionali, intorno al quale si addensa gran parte della popolazione del comune. Una zona di densità assai modesta si riscontra anche nella collina orvietana (Allerona, 30 ab. per kmq.) sulla sinistra del Paglia, dove il suolo è poco fertile per la prevalenza delle argille e la notevole diffusione dell’erosione a calanchi; sulle pendici del monte Peglia, in aree ancora ricoperte da un esteso manto boschivo, la densità non supera in media i 36 abitanti per chilometro quadrato. Un po’ più elevata è invece la popolazione relativa della montagna orientale, specialmente nei comuni attraversati dalla statale Flaminia, dei quali solo Scheggia ha una densità inferiore a 50.

    Gubbio e i grandi comuni della vai Tiberina hanno densità più alte, dai 71 abitanti per kmq. del vastissimo territorio eugubino agli 80 di Umbèrtide ; la popolazione diventa più rada dove il territorio si fa più montuoso ed elevato (Monte Santa Maria, 51 ab. per kmq.), e in particolare nel comune di Pietralunga, che ha quasi metà della superficie occupata da bosco demaniale, e non raggiunge, nel complesso, i 40 abitanti per chilometro quadrato. Intorno al Trasimeno, infine, la densità oscilla tra 70 e 85, ma se si detrae dalle superfici comunali l’area dello specchio lacustre, risulta una densità media di oltre 105, ben giustificata dalla fertilità dei terreni e dalla natura collinare del territorio.

    Più interessante, per una regione di varia altimetria come l’Umbria, sarebbe conoscere la distribuzione della popolazione, sia assoluta che relativa, secondo le diverse zone di altitudine; ma non è agevole stabilirla, se non in modo molto approssimativo, per la mancanza di dati particolari. Infatti la superficie di gran parte dei territori comunali, e non solo dei comuni più vasti, si estende, come già si è osservato, su diverse fasce altimetriche, nelle quali non è possibile ripartire la popolazione dei singoli comuni, in quanto, se è nota l’altitudine dei centri e dei minori agglomerati, manca ogni riferimento che permetta di individuare la localizzazione degli abitanti disseminati nelle case sparse, che sono assai numerosi specialmente nelle aree pianeggianti e collinari, e costituiscono, per tutta la regione, il 40% del totale.

    Il Riccardi calcolava, sui dati del censimento del 1921, che i quattro quinti della popolazione dell’Umbria vivessero tra 200 e 600 m., e quasi la metà nella sola zona compresa fra 200 e 400; e riscontrava la maggiore densità (126 ab. per kmq.) nella fascia altimetrica fra 100 e 200 m., comprendente la conca di Terni e parte della valle Umbra (dove in qualche tratto la densità era superiore a 300). Solo 28 ab. per kmq. si trovavano nella ristretta zona al disotto di 100 m., costituita quasi completamente da lembi della valle del Tevere allora soggetti a inondazioni e in molti tratti ancora malarici. La densità media passava poi a 95 tra 200 e 400 m. e a 90 tra 400 e 600, mantenendosi perciò ancora abbastanza elevata in tutta l’Umbria collinare; oltre i 600 m., scendeva rapidamente a quasi 36 ab. per kmq., e ancora a 18 tra 800 e 1000 m. ; ma questa zona era già spopolata in tutta la parte meno montuosa della regione. Le aree oltre i 1000 m. erano solitamente disabitate, eccetto che nella montagna spoletina, dove si raggiungevano, nella fascia fino a 1200 m., circa 9 ab. per kmq., e meno di 2 oltre i 1200; qui l’unica sede permanente era costituita dal villaggio di Castelluccio, ai piedi del Vettore.

    Nelle diverse parti del territorio, la distribuzione altimetrica della popolazione presentava naturalmente degli spostamenti più o meno considerevoli, in dipendenza dell’altitudine e delle forme del rilievo, ma ovunque le più alte densità corrispondevano alle piane vallive e al fondo delle conche, con le prime pendici adiacenti; le zone collinari fino a 600 m. avevano un popolamento quasi sempre più denso della media regionale, e in ogni caso abbastanza fitto, se si tien conto che erano aree essenzialmente di attività agricola; oltre i 600 m. gli abitanti erano assai più scarsi e si notava un addensamento (più di 80 ab. per kmq.) solo nelle vaste e fertili conche di Norcia e di Cascia.

    In trent’anni la densità media dell’Umbria è aumentata, nel complesso, di 20 ab. per kmq., e si è visto che l’aumento non è stato uniforme per tutto il territorio: allo spopolamento delle zone più elevate ha fatto riscontro una evidente maggiore concentrazione degli abitanti — ancora accentuata rispetto ai primi decenni del nostro secolo — verso le aree più basse e pianeggianti e verso i centri che hanno avuto un più intenso sviluppo industriale e commerciale.

    Le condizioni demografiche

    L’incremento della popolazione e le variazioni della sua distribuzione hanno influito senza dubbio, in misura più o meno sensibile, sulla vita della regione, come a loro volta sono stati da questa condizionati. Ma altri aspetti dell’ambiente demografico possono essere considerati significativi in quanto sono strettamente legati da rapporti di interdipendenza con le condizioni sociali ed economiche. La composizione della famiglia, la distribuzione degli abitanti per gruppi di età e per sesso, il ritmo delle nascite e quello delle morti variano nel tempo e si influenzano a vicenda, mentre la struttura della popolazione si modifica anche in relazione alle mutate condizioni di vita e allo sviluppo e alla trasformazione delle attività produttive.

    Assisi: una parte del centro medioevale, con la chiesa e il convento di Santa Chiara.

    Un aspetto di Castelluccio di Norcia, il centro più elevato dell’Umbria.

    Quanto alla composizione familiare, si nota nell’Umbria, come in genere nel resto d’Italia, una diminuzione della media regionale, che da un lato si collega alla contrazione delle nascite, dall’altro può essere riferita alle condizioni generali della vita economica, che determinano la necessità di cercare, appena possibile, una sistemazione fuori dell’ambiente familiare. Il numero dei componenti la famiglia è ancora alquanto più alto di quello medio dell’Italia (4,6 per l’Umbria, circa 4 nella media nazionale), come del resto in Toscana e nell’Alto Lazio. Le due province si comportano però in modo differente: in quella di Terni la famiglia media non ha più di 4 membri, mentre in quella di Perugia si raggiungono quasi i 5-11 numero dei componenti è naturalmente sempre più basso nelle città, soprattutto nei centri industriali; nelle campagne invece le famiglie si conservano più numerose, anche perchè il sistema di conduzione a mezzadria ha mantenuto più saldi i vincoli familiari, conservando talvolta ancora la tradizione della famiglia patriarcale; infatti nelle zone agricole la famiglia media ha quasi sempre almeno sei componenti e in alcune aree, come nella conca eugubina, anche più di sette.

    Nocera Umbra, il maggior centro dell’alta valle del Topino; sul fondo il monte Pennino.

    La composizione della popolazione per età non differisce molto da quella media dell’Italia. Un po’ meno di un quarto degli abitanti sono compresi nel gruppo d’età fino a 14 anni, e circa un decimo sono al di sotto dei sei anni. Gli individui in età lavorativa, da 14 a 65 anni, costituiscono quasi il 70% del totale, e più della metà di questi, cioè oltre un terzo dell’intera popolazione, appartengono alle classi più giovani, fino    a 35 anni    d’età. Normale è anche la percentuale degli abitanti al di sopra dei 65 anni, che rappresenta un dodicesimo del totale.

    La popolazione maschile era nel 1958 pressoché altrettanto numerosa di quella femminile, a differenza di quasi tutte le altre regioni italiane (fa eccezione solo la Sardegna), dove le femmine sono in numero maggiore dei maschi.

    Nel 1931 la nostra regione presentava la più elevata percentuale regionale di maschi, con 1012 su 1000 femmine; le due province si comportavano in ragione inversa della vastità, con l’indice di 1008 in quella di Perugia e di 1023 in quella di Terni, più industriale. Alla data del censimento del 1951 le posizioni reciproche si erano alquanto ravvicinate: sul totale regionale si registravano infatti 1002 uomini su ogni 1000 donne; ma l’indice della popolazione maschile risultava ancora considerevolmente elevato rispetto a quello nazionale, che era di 959. Nella provincia di Perugia la popolazione femminile era divenuta, nel 1951, quasi pari a quella maschile, mentre quest’ultima conservava la prevalenza in provincia di Terni, con un indice di 1007. Alla fine del 1958 Perugia aveva mantenuto invariata la proporzione tra i due sessi; a Terni si era invece verificato un notevole aumento della popolazione femminile, per cui si passava ad un rapporto di 996 uomini ogni 1000 donne. La composizione della popolazione per sesso non è uniforme nelle diverse classi di età: la popolazione maschile prevale nei gruppi più giovani, mentre è nettamente inferiore nelle classi più anziane, specie oltre i 55 anni, a causa del più basso indice di mortalità femminile.

    Vedi Anche:  Regioni naturali storiche e tradizionali

    La valle del Topino, poco a monte di Foligno, con le borgate di Vescia e Scanzano.

    Caratteristica via di Assisi.

    Il numero dei matrimoni, in rapporto alla popolazione, è rimasto pressoché invariato nel tempo, ed è sempre più elevato della media nazionale, anzi è uno dei più alti fra quelli delle regioni italiane. Il ritmo delle nascite è invece in costante diminuzione: da 32 nati ogni 1000 ab. nel 1910-14, l’indice di natalità era già divenuto nel 1940 inferiore alla media dell’Italia, ed ha continuato a ridursi più rapidamente che in altre regioni negli ultimi anni, scendendo a meno di 14 (la media nazionale era nel 1958 di 17,4), sicché l’Umbria registra oggi, dopo la Toscana, il minor numero di nascite di tutte le regioni centro-meridionali.

    La scarsa natalità è in parte compensata da un basso indice di mortalità; tuttavia il numero dei morti ha subito una diminuzione meno rapida e accentuata che non quello dei nati, per cui l’incremento naturale della popolazione ne è risultato, specie nell’ultimo periodo, in continua riduzione. Ma, oltre che sull’incremento complessivo, il ritmo meno intenso delle nascite influisce sulla composizione della popolazione per età; infatti, mentre per l’aumento della durata media della vita si accresce il gruppo di individui in età avanzata, diminuisce in proporzione la consistenza relativa delle classi più giovani — che già nel 1951 si presentavano in Umbria meno numerose che nella media nazionale — e la diminuzione dovrà necessariamente riflettersi in futuro anche sulla parte della popolazione in età lavorativa. Si ha in sostanza un progressivo invecchiamento della popolazione, fenomeno del resto comune non solo in gran parte d’Italia ma in molti altri Paesi europei, e conseguente sia alla contrazione delle nascite che al prolungamento della vita media che si osserva in tutte le aree più evolute.

    Le condizioni economiche, sociali e culturali

    Della popolazione in età superiore a 10 anni, una metà (quasi il 51%) è costituita da individui attivi in condizione professionale; l’altra metà comprende le persone che non esercitano alcuna attività specifica, incluse le donne dedite ai lavori casalinghi ed i giovani ancora in attesa della prima occupazione. La distribuzione degli abitanti secondo i diversi rami di attività non è uniforme in tutto il territorio, ma quasi ovunque è in netta prevalenza l’agricoltura, che costituisce l’attività principale, ed impiega ben il 56% della popolazione attiva della regione. Nella provincia di Perugia, il rapporto tra la popolazione agricola e quella attiva sale a circa il 60%, ed è invece assai più basso (45,5%) in quella di Terni, per l’influenza del comune capoluogo, nel quale solo poco più di un decimo degli abitanti si dedica esclusiva-mente all’agricoltura (è però abbastanza frequente che gli operai delle industrie conservino l’attività agricola come occupazione secondaria). Le industrie impiegano circa un quarto della popolazione, concentrata soprattutto intorno a Terni e nei comuni di Perugia, Spoleto e Foligno.

    Nel complesso agricoltura e industria assorbono oltre quattro quinti degli abitanti dell’Umbria, e il rapporto fra le due attività è sensibilmente mutato negli ultimi vent’anni, con una progressiva diminuzione della percentuale di persone impiegate nell’agricoltura (che erano nel 1936 poco meno del 65%) ed un aumento proporzionale di quelle assorbite dall’attività industriale (passate dal 20 al 25%). Se si considerano le cifre assolute, si nota invece la staticità della popolazione agricola, che è rimasta quasi immutata di fronte all’aumento del totale degli abitanti, mentre la popolazione industriale si è raddoppiata. A questa trasformazione si collega il fenomeno, già ricordato, dell’urbanesimo, che si accentua in special modo verso i centri che hanno avuto un più intenso sviluppo industriale, ed in particolare verso Terni, le cui industrie hanno attraversato un periodo di grande attività negli anni prebellici e durante l’ultima guerra, attirando, per le più facili possibilità di guadagno, cospicue masse di lavoratori e determinando un notevole esodo di mano d’opera dalla campagna verso la città.

    Un aspetto della nuova Terni.

    Meno di un quinto della popolazione produttiva si dedica complessivamente alle altre attività, che risultano nell’insieme poco sviluppate: meno del 3% sono le persone addette ai trasporti e alle comunicazioni, circa l’8% quelle impiegate in attività commerciali e quasi altrettante nella pubblica amministrazione.

    Perugia: l’espansione recente della città ai margini dell’abitato medioevale.

    La popolazione agricola è formata in prevalenza da mezzadri e coltivatori diretti, i quali, con i familiari che partecipano alla conduzione delle aziende, raggiungono poco meno del 90% del totale degli agricoltori, mentre i salariati sono appena il 10%. Degli addetti alle altre attività, il 2% è costituito da liberi professionisti e amministratori di aziende, più del 15% da lavoratori in proprio (sono numerosi gli artigiani), e quasi l’8o% da dipendenti, dei quali i tre quarti sono operai.

    Il numero dei disoccupati è piuttosto elevato e nell’ultimo periodo ha mostrato una tendenza ad aumentare, sia perchè è scarsa la possibilità di ulteriore impiego nell’agricoltura, sia in conseguenza della contrazione di alcune attività industriali e della smobilitazione di industrie danneggiate durante la guerra; mentre d’altra parte le nuove iniziative non si sono dimostrate finora in grado di assorbire la mano d’opera esuberante, anche perchè in molti casi, anziché attingere alla massa dei disoccupati, impiegano elementi femminili provenienti dalle famiglie coloniche. Dal 1952 al 1957 vi sarebbe stato un aumento della disoccupazione di circa il 20%, maggiore nella provincia di Terni che in quella di Perugia, e sensibile soprattutto nella categoria dei « disoccupati già occupati », mentre restava pressoché invariato il numero dei giovani in cerca di prima occupazione.

    Con un reddito medio per abitante che si aggira intorno a 150.000 lire, inferiore di circa un terzo al reddito medio nazionale, l’Umbria è la più povera tra le regioni centro-settentrionali, e appena un po’ più ricca della Sardegna, i cui abitanti possono disporre in media di quasi 140.000 lire ciascuno. Per il reddito complessivo, è la penultima fra tutte le regioni italiane, seguita solo dalla Basilicata. L’agricoltura, che è l’unica fonte di guadagno di buona parte della popolazione, contribuisce per meno del 30% alla formazione del reddito privato, con una media di poco più di 90.000 lire prò capite, che tende a rimanere stazionaria, con oscillazioni dovute all’andamento più o meno favorevole delle annate agrarie; sul basso reddito medio dell’agricoltura influisce naturalmente l’estensione delle zone di montagna ad economia poco sviluppata, dove le risorse sono anche più scarse di quelle, già modeste, della collina, e appaiono assolutamente inadeguate alle necessità della vita. Del resto la condizione di disagio economico non è limitata al settore agricolo, ma si estende anche ad altri gruppi di popolazione, soprattutto a quello, particolarmente numeroso nell’Umbria, degli artigiani, per i quali permane la difficoltà di vendere i manufatti al di fuori del limitato mercato locale.

    L’industria e le attività terziarie danno i redditi più elevati, che sono andati sensibilmente aumentando negli ultimi anni, specie in provincia di Perugia, e l’aumento è tanto più evidente di fronte alla staticità dei guadagni degli addetti all’agricoltura; ma interessano ancora la parte minore della popolazione, che si concentra in aree limitate.

    Il tenore di vita degli abitanti riflette, in generale, le loro scarse possibilità economiche, ed è tuttora ad un livello alquanto modesto, nel complesso assai vicino a quello delle Marche, ma sempre il più basso di tutta l’Italia centro-settentrionale, per quanto notevolmente più elevato rispetto al sud e alle isole. I dati più recenti indicano tuttavia che vi è una tendenza ascensionale dei consumi individuali, il che prova un progressivo miglioramento delle condizioni di vita. Gli indici più significativi in proposito sono dati dall’aumento del consumo delle carni, dei formaggi e latticini, dei biscotti e della pasticceria, dalla maggiore spesa per l’acquisto di tabacchi e per gli spettacoli e per le manifestazioni sportive (ma per quest’ultima voce si arriva appena a 1500 lire per abitante, la metà della media nazionale), dal notevole incremento degli abbonamenti alla radio e alla televisione — che nell’ultimo decennio si sono quasi raddoppiati —, della circolazione di autovetture e di motocicli e del consumo di energia elettrica per illuminazione. E da osservare comunque che l’innalzamento del livello di vita riguarda essenzialmente le aree che si trovano in condizioni economiche privilegiate, e in particolare i capoluoghi di provincia e i pochi centri maggiori, mentre nella rimanente parte del territorio il progresso appare assai più lento e difficile.

    Spoleto: i nuovi quartieri che si estendono nella piana oltre il corso del Tessino.

    Perugia: il palazzo Gallenga-Stuart, sede dell’Università per stranieri

    Anche il quadro culturale dell’Umbria è alquanto modesto: la popolazione, pur dotata di qualità intellettuali, ancora in tempi recenti non era conscia nella sua totalità dell’importanza dell’istruzione, e specie nelle campagne trascurava e disertava la scuola. Questa situazione, dovuta in passato soprattutto al numero insufficiente delle scuole, alla dispersione degli abitanti in zone collinari e montuose con comunicazioni disagevoli, e all’abitudine di utilizzare i ragazzi nei lavori agricoli eludendo anche l’obbligo scolastico, è andata migliorando negli ultimi decenni: notevoli sforzi sono stati compiuti per adeguare l’attrezzatura scolastica alle necessità locali, e si è sempre più estesa la rete delle scuole elementari nelle zone rurali, per facilitare la frequenza degli alunni residenti nelle case disperse.

    L’analfabetismo rimane tuttora più elevato di quello medio in Italia, ma si è ridotto in misura notevolissima nel corso dell’ultimo secolo: da 80 persone su 100 che non sapevano leggere nè scrivere nel 1871, si è passati a 50 nel 1911, a 25 nel 1931. Nel 1951, ogni 100 ab. ve n’erano in media 14 analfabeti o semianalfabeti, con percentuali più alte (anche oltre il 20%) nelle zone collinari a insediamento prevalentemente sparso, mentre le più basse si registravano sia nelle maggiori città, sia nella parte più elevata della montagna spoletina, dove la popolazione, riunita quasi tutta in centri e meno impegnata, soprattutto d’inverno, nei lavori della campagna, ha potuto più facilmente procurarsi un minimo grado di istruzione. In tutta la regione l’analfabetismo tende, del resto, a ridursi ancora, e lo prova il fatto che è ormai un fenomeno diffuso principalmente nelle classi anziane, e abbastanza raro in quelle più giovani (degli abitanti in età da 6 a 14 anni, soltanto quattro ogni cento risultavano analfabeti nel 1961). Ma agli analfabeti si devono aggiungere altre 18 persone ogni 100, che non hanno neppure conseguito la licenza della scuola elementare: quasi un terzo della popolazione si trova quindi pressoché priva di qualsiasi istruzione, mentre un altro 60% non va oltre l’istruzione primaria. Degli altri, 43 per mille sono i licenziati della scuola media inferiore, 28 i diplomati, 7 i laureati. Tra i diplomati, i più numerosi sono quelli forniti di diploma magistrale (oltre il 40%), seguiti da quelli del ramo tecnico, professionale e artistico (quasi 35%) e dei licei classici e scientifici.

    L’istruzione ha segnato negli ultimi anni notevoli progressi in tutti i gradi dell’insegnamento, ma molto resta ancora da fare per elevare il livello medio di cultura della popolazione. Si nota in particolare che sono tuttora scarse, specie nella più vasta provincia di Perugia, le scuole professionali, sia per gli agricoltori, sia per coloro che intendono dedicarsi ad altre attività. Abbastanza diffuse sono invece le scuole medie superiori, con un sensibile aumento dei diplomati.

    D’altra parte, se è generalmente basso il grado di istruzione della maggior parte degli abitanti, sono ben vive nell’Umbria le tradizioni culturali, rappresentate principalmente dall’antica Università di Perugia, attiva fin dal XIII secolo, alla quale si affianca l’Università italiana per stranieri, e da numerose accademie e società di studi, alcune di antichissima data. E a queste si aggiungono le istituzioni più recenti, che fanno di alcune tra le più suggestive città umbre centri rinomati di alta cultura civile e religiosa.