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Colline, montagne e altimetria

    Lineamenti e forme del rilievo

    Sguardo generale

    Il territorio della regione giulio-friulana presenta forme molto varie, che, influendo sul clima, sulla circolazione delle acque e sulla vegetazione, concorrono a differenziare i caratteri dell’insediamento uman®, dando luogo a una notevole varietà di paesaggi geografici. Prevalgono però le zone altimetriche montane (sopra i 600 m.) che rappresentano il 42,5% della superficie regionale, costituendo una condizione sfavorevole all’addensamento della popolazione. Le zone collinari e di pianura, che occupano rispettivamente il 19,3 ed il 38,1% del territorio, sono invece le sedi morfologiche in cui si trovano i maggiori centri e le più importanti attività produttive.

    Il rilievo si è formato in tempi geologici piuttosto recenti, poiché le catene alpine che si estendono lungo tutto il lato settentrionale si sono corrugate nell’èra terziaria e la grande pianura si è formata successivamente ai loro piedi per l’azione di trasporto e di sedimentazione dei ghiacciai e dei fiumi alpini, che hanno colmato il profondo golfo pliocenico dell’Adriatico. Solo la sezione più interna delle Alpi Car-niche è di origine antica, perchè costituisce il residuo di una catena emersa nell’èra primaria durante il grande corrugamento erciniano, ricoperta dal mare nell’èra secondaria e poi ringiovanita dal corrugamento alpino. Questo antico massiccio cárnico ha però largamente influenzato le catene formatesi successivamente, che presentano una caratteristica struttura embriciata, simile alla disposizione delle tegole di un tetto, con le pieghe inclinate verso sud. La grande piega-faglia periadriatica interrompe questa regione tettonica, a cui succede una serie di altipiani calcarei, dalla forma ellissoidale, e un lungo arco di colline marnoso-arenacee, le cui pieghe, parzialmente sepolte sotto i depositi fluvioglaciali, chiudono a settentrione la grande depressione adriatica.

    Gli orizzonti geologici sono disposti a grandi fasce longitudinali, che si succedono con una certa regolarità dal nucleo più antico della Catena Carnica, su cui corre lo spartiacque ponto-adriatico, ai depositi più recenti della pianura costiera. Predominano le rocce sedimentarie, costituite da calcari, dolomie, argille, marne ed arenarie, ma negli orizzonti più antichi abbondano gli scisti. Piuttosto scarse sono le mineralizzazioni, mentre non mancano alcuni banchi carboniferi di modesta importanza economica.

    Le direttrici longitudinali del rilievo danno alla regione una fisionomia abbastanza unitaria, poiché descrivono a nord un grande arco dall’altipiano del Cansiglio al Carso, incorniciando su tre lati la pianura sottostante, come un gigantesco anfiteatro.

    Le zone altimetriche.

    Le diverse condizioni altimetriche, geologiche e morfologiche, nonché l’andamento dell’idrografìa principale, ci permettono di distinguere una sezione alpina vera e propria da una sezione prealpina, meno elevata, costituita da terreni geologici più recenti. Si assume come limite convenzionale fra le due sezioni il solco idrografico del Tagliamento, che va dal Passo della Mauria alla confluenza del Fella e continua lungo la valle del Fella e del suo affluente Resia.

    Dalla sezione prealpina va però tenuto distinto il Carso, che si estende a mezzogiorno della vallata del Vipacco, affluente di sinistra dell’Isonzo, per la sua scarsa elevazione e per la caratteristica morfologia carsica.

    Le Alpi Carniche

    La sezione alpina è costituita in massima parte dalle Alpi Carniche, poiché ormai è rimasto nei confini regionali solo un modesto settore delle Alpi Giulie.

    Le Alpi Carniche si estendono per oltre cento chilometri fra le Alpi Dolomitiche e le Giulie, da cui sono separate, sullo spartiacque principale, rispettivamente dal Passo di Monte Croce di Comèlico (m. 1636) e dalla Sella di Camporosso (m. 812). Mentre il versante settentrionale austriaco degrada rapidamente verso l’ampia vallata longitudinale del Gail, affluente della Drava, quello meridionale italiano è molto più sviluppato e si presenta frazionato da una serie di profonde valli trasversali convergenti verso l’asse fluviale del Tagliamento.

    Il versante meridionale appartiene quasi completamente alla regione giulio-friulana, ad eccezione di un modesto settore occidentale, compreso sullo spartiacque fra il Passo di Monte Croce di Comèlico e il Monte Oregone, che manda le sue acque al Piave e fa parte del Veneto.

    Un lungo solco longitudinale interno, residuo probabile dell’idrografia preglaciale, ci permette di suddividere le Alpi Carniche in un settore settentrionale, costituito dalla Catena Carnica e dalle Dolomiti Pesarine, e in un settore meridionale, che prende il nome di Alpi Tolmezzine. Questo solco, formatosi in corrispondenza di un orizzonte gessoso, facilmente erodibile, del periodo permiano, si allunga dalla Forcella Lavardèt alla Sella di Camporosso, attraverso la vai Pesarina, la Vai-calda, la vai Pontaiba, la vai Pontebbana e la vai Canale, che comunicano fra di loro mediante basse insellature di modellamento glaciale. Nei punti d’intersezione con le valli trasversali del Degano, del But e del Chiarsò si sono formate le ampie conche di Comegliàns, Paluzza e Paularo, in cui si addensa la popolazione ed hanno sede i nuclei di gravitazione di buona parte della regione carnica.

    La Catena Carnica si presenta come una lunga serie di cime e di creste calcaree, dirette da ovest-nordovest verso est-sudest, elevate sopra i duemila metri, ma decrescenti verso oriente, le quali emergono con netti contorni da una massa argilloscistosa di più morbido modellamento, dando luogo ad un pittoresco contrasto di forme e di colori. Tale disposizione è dovuta ad un fenomeno geologico di «trasgressione », giacché i calcari siluriani e devoniani, emersi all’inizio del periodo carbonifero, alla fine dello stesso periodo furono nuovamente sommersi e ricoperti da

    vari strati di sedimenti argillosi. Le dislocazioni posteriori e l’erosione hanno poi denudato l’antico nucleo calcareo, la cui linea di cresta venne interrotta nel periodo glaciale da alcune profonde soglie dovute alla transfluenza del potente ghiacciaio del Gail oltre lo spartiacque principale. La massima depressione è il Passo di Monte Croce Carnico o Plòcken Pass (m. 1360), importante fin dall’antichità per le comunicazioni transalpine, che divide nettamente la catena in due parti. Il settore occidentale o carnico, più aspro e più elevato, culmina con il Monte Cogliàns (m. 2781), che è la vetta più alta delle Alpi Carniche e di tutta la regione giulio-friulana. « Bellissima montagna, formata da bianchi calcari devoniani di scogliera, visibile da tutte le nostre cime, da molte vallate carniche e da buona parte della pianura, il Cogliàns è di accesso facile e non pericoloso a chi abbia una qualche pratica di alpinismo. Il panorama circolare che offre, sterminato e tale da non temere paragoni con qualsiasi altro visibile dalle vette carniche e giulie, è veramente meraviglioso. Non solo per l’altezza, ma anche per la posizione, esso conta fra i più stupendi delle nostre Alpi e tale da lasciare libera e amplissima la veduta dai Tauri all’Istria e dal Tricorno alle Dolomiti e alle Alpi Tirolesi » (M. Gortani).

    Lineamenti geologici del Friuli-Venezia Giulia, ricavati dalla Carta geologica d’Italia all’1 : 1 .000.000.

    Veduta del Monte Cogliàns con il rifugio Marinelli.

    Il settore orientale o pontebbano, in cui compaiono calcari e scisti del periodo carbonifero, raggiunge altezze meno elevate (Monte Cavallo di Pontebba, m. 2239), presenta forme più dolci e bassi valichi transitabili, come il Passo di Promosio (m. 1788) e il Passo di Pramollo o Nassfeld (m. 1530), decrescendo lentamente fino alla Sella di Camporosso o Saifnitz (m. 812), attraversata da una delle più importanti arterie internazionali di comunicazione transalpina.

    Ad oriente della Sella di Camporosso rientrano nei confini italiani le estreme pendici delle Alpi Caravanche, fino al Monte Forno (m. 1511), sulla cui cima convergono i confini politici dell’Italia, dell’Austria e della Jugoslavia.

    Le formazioni argilloscistose, che superano raramente i duemila metri, sono molto estese nel settore carnico, fra la vai Degano e la valle del But, mentre si restringono nel settore pontebbano, dove prevalgono le arenarie. Essendo state sottoposte a diversi cicli di erosione, presentano forme tabulari, leggermente ondulate, nelle aree di culminazione, mentre i versanti sono profondamente incisi dal più recente modellamento fluvio-glaciale.

    Le Dolomiti Pesarine si estendono fra la valle del Piave e quelle del Degano e dei suoi affluenti Acqualena e Pesarina, dal quale ultimo prendono il nome. Essendo costituite da calcari dolomitici del periodo triassico, presentano creste aguzze e frastagliate, che preannunciano il paesaggio dolomitico. La catena, che culmina con il Monte Creta Forata (m. 2462), non appartiene però completamente alla regione giulio-friulana, perchè è tagliata dal confine amministrativo fra il Passo di Cima Sappada (m. 1292) e la Forcella Lavardèt (m. 1530), discreti valichi stradali per le comunicazioni tra la Carnia e il Comèlico.

    Le Alpi Tolmezzine, che costituiscono il settore meridionale delle Alpi Carniche, sono una serie discontinua di catene che degradano ad anfiteatro verso l’ampia conca di Tolmezzo, da cui prendono il nome. Appartengono alla regione tettonica secondaria del periodo triassico, ma mentre a settentrione presentano una fascia litologica prevalentemente arenacea, poco elevata e di morbido modellamento, a sud sovrastano la valle del Tagliamento con poderosi ed aspri complessi calcareo-dolomitici.

    Le basse pendici di questa catena sono però ricoperte da un orizzonte di terreni marnosi e gessosi, quindi facilmente erodibili, particolarmente esteso allo sbocco delle valli del Degano e del But nel Tagliamento e dell’Aupa nel Fella, dando luogo a forme collinari ed a conche di grande importanza per l’insediamento umano. Gli affluenti di sinistra del Tagliamento dividono questo settore in tre parti: le Alpi Gortane ad occidente, le Alpi d’Incaroio al centro e le Alpi di Moggio ad oriente.

    Le Dolomiti Pesarine viste dai Piani di Luzza.

    Le Alpi Gortane si estendono ai due lati della vai Degano o Canal di Gorto, da cui prendono il nome; comprendono ad occidente del Degano la catena arenacea dei Monti Pièltinis-Col Gentile (m. 2075) e la catena calcareo-dolomitica che culmina nel Monte Bìvera (m. 2474), fra cui si interpone la grande conca di Sauris, percorsa dal torrente Lumièi, che esce incidendo un pittoresco orrido; ad oriente del Degano includono il gruppo arenaceo del Monte Arvenis (m. 1967), degradante a sud nell’altipiano di Làuco (800-700 m.), che sovrasta con ripide pareti di modellamento glaciale la valle del Tagliamento.

    Le Alpi d’Incaroio, che prendono il nome dal Canale dTncaroio, hanno una minore estensione, fra le valli del But e del Chiarsò; rientrano nella fascia arenacea e culminano con il Monte Tersadia (m. i960).

    Vedi Anche:  Storia del Friuli

    Le Alpi di Moggio sono invece un vasto complesso calcareo-dolomitico, la cui asprezza preannuncia il paesaggio delle Alpi Giulie occidentali. La vai d’Aupa separa il gruppo occidentale del Monte Sernio (m. 2188) da quello orientale del Zuc del Bòor (m. 2197), mentre a sud il contrafforte del Monte Amariana (m. 1905) domina con la sua caratteristica cuspide piramidale la confluenza del Fella nel Tagliamento.

    Alpi di Moggio: il gruppo del Monte Sernio.

    Il gruppo calcareo-dolomitico dell’Iof di Montasio visto dalla val Dogna (Alpi di Raccolana).

    Le Alpi Giulie

    Le Alpi Giulie rappresentano l’estrema sezione sudorientale del sistema alpino, compresa fra la Sella di Camporosso e il Passo di Vrata, alle spalle di Fiume. Formano un grande arco montuoso di rocce calcareo-dolomitiche dell’èra secondaria, diretto da nordovest a sudest, fra le vallate del Fella e della Sava, raggiungendo la massima altezza nel Monte Tricorno (m. 2853); ma a mezzogiorno del solco idrografico deiridria, affluente di sinistra dell’Isonzo, si deprimono in una serie di altipiani carsici che si differenziano morfologicamente dalla regione prealpina, mentre lo stesso spartiacque principale risulta poco marcato e talvolta incerto per la mancanza di una circolazione idrica superficiale. Siccome l’attuale confine politico segue generalmente lo spartiacque fra i bacini imbriferi del Tagliamento e dell’Isonzo, appartiene ora all’Italia solo il settore più occidentale di queste Alpi, comprendente il gruppo del Monte Màngart e le Alpi di Raccolana.

    Il gruppo del Màngart è un contrafforte aspro ed elevato (m. 2677) che si estende in territorio italiano fra le valli dello Slizza, che scende dalla soglia di Ratece (m. 870), e del Rio del Lago, che scende dal Passo del Predìl (m. 1156), vie importanti fin dall’antichità per le comunicazioni transalpine.

    Catena del Màngart (m. 2678) e le Ponze.

    A sud di questo gruppo si sviluppa una triplice serie di catene longitudinali, che prendono dalla principale vallata il nome di Alpi di Raccolana. Esse si allungano tra il Fella e l’Isonzo, presentandosi, per la giacitura quasi orizzontale degli strati, come grandi muraglie rocciose dalle creste dentate. La catena settentrionale, compresa fra la vai Canale e il canale di Dogna, culmina nell’Iof di Miezegnòt (m. 2089) (1) e degrada con il Monte Santo di Lussari, verso il Passo del Predìl. La catena mediana, che è la più elevata, comprende l’Iof di Montasio (m. 2753), inferiore per altezza solo al Monte Cogliàns, e l’Iof Fuart. La vai Raccolana e la Sella Nevea (m. 1142) la separano dalla catena meridionale, che comprende il gruppo del Monte Canin (m. 2571), caratterizzato dalla presenza di pianori carsici e di piccoli ghiacciai. Quindi, oltre la vai di Resia, si sviluppano le Prealpi.

    Le Prealpi Carniche

    La sezione prealpina giulio-friulana è costituita per circa due terzi dalle Prealpi Carniche e per un terzo dalle Prealpi Giulie, ben separate fra di loro dal corso trasversale del Tagliamento, che ha inciso presso Venzone    un profondo    solco,    attraverso il quale defluisce dalla regione montana verso la pianura.

    Le Prealpi Carniche sono quindi limitate su due lati dal solco idrografico del Tagliamento e su quello occidentale dalle valli del Piave e del Meschio, affluente del Livenza. La massa prealpina è costituita da terreni calcareo-dolomitici dei periodi triassico e giurassico, con pieghe fortemente coricate e fagliate verso sud, che determinano una particolare ripidità nei versanti meridionali, ricoperti da ampie falde detritiche. Il settore meridionale presenta però una morfologia molto diversa per la presenza di una serie di altipiani calcarei del periodo cretaceo e di un arco di colline marnoso-arenacee e conglomeratiche dell’èra terziaria. I fiumi che scendono in lunghe valli trasversali verso la pianura dividono le Prealpi in vari settori: a sudovest il gruppo del Monte Cavallo e l’altipiano del Cansiglio, al centro le Prealpi Clautane e Tramontine e ad oriente le Prealpi dell’Arzino e di Cavazzo.

    Il gruppo del Monte Cavallo (m. 2251), che degrada nell’esteso altipiano carsico del Cansiglio, si protende verso mezzogiorno fra le vallate del Meschio e del Cellina, costituendo il pilastro sudoccidentale del grande arco delle Prealpi Friulane. Verso nord è collegato da una elevata cresta al gruppo del Col Nudo, che fa parte delle Prealpi Clautane.

    Con il nome di Prealpi Clautane si indicano alcuni aspri ed elevati complessi montuosi calcareo-dolomitici che formano il bacino imbrifero superiore del torrente Cellina e circondano la conca di Claut, in cui convergono la vai Cimoliana, la val Settimana e la vai Clautana. Il confine regionale corre generalmente sullo spartiacque fra il Piave e il Cellina, che si deprime fortemente in corrispondenza del Passo di Sant’Osvaldo (m. 827), da cui scende verso il Piave il torrente Vaiònt, la cui valle appartiene pure, come già si è visto, alla provincia di Udine. Fra i vari gruppi montuosi emerge la catena che si allunga fra il Passo della Mauria e il Passo di Sant’Osvaldo, con quattro cime superiori ai 2500 m., fra cui vi è la Cima dei Preti (m. 2703), massima elevazione di tutte le Prealpi Friulane. Tra la vai Cimo-liana e la vai Settimana si estende il gruppo del Monte Pramaggiore (m. 2478), mentre ad oriente di quest’ultima degradano verso la conca di Claut i gruppi dei Monti Caserine-Cornagèt e del Monte Resettùm, ai cui piedi scorre su tre lati il torrente Cellina. Difficili sono le comunicazioni oltre lo spartiacque fra il Cellina e il Tagliamento, mentre sono invece di più facile transito i valichi tra i bacini del Cellina e del Meduna, come la Forcella Caserata (m. 1495), la Forcella Clautana (m. 1437) e la Forcella Giavèid (m. 1467).

    Il gruppo calcareo-clolomitico dei Monfalconi, con la Forcella Scodovacca.

    Le Prealpi Tramontine sono costituite da una triplice serie di catene che degradano da occidente verso la conca di Tramonti, nella valle del Meduna, a cui mandano le loro acque. La catena settentrionale, su cui corre lo spartiacque tilaventino, supera di poco i duemila metri e presenta un’ampia soglia glaciale, la Forcella Rest (m. 1052), che collega abbastanza facilmente la vai Meduna con la valle del Tagliamento. La catena mediana si estende fra l’alta vai Meduna e l’ampia valle del Silisia, mentre quella meridionale, interrotta bruscamente dalla piega-faglia peri-adriatica, è orlata a sud da alcuni modesti altipiani calcarei.

    Le Prealpi dell’Arzino, che fiancheggiano il corso di questo torrente, sono pure costituite da catene longitudinali, ma presentano forme molto più dolci e sono meno elevate delle precedenti, raggiungendo la massima altezza nel Monte Ver-zegnis (m. 1914). Lo spartiacque tilaventino è caratterizzato da grandi soglie di transfluenza glaciale, le selle di vai Chiampòn (m. 794) e di Chianzutàn (m. 954), che hanno favorito la gravitazione dell’alta valle dell’Arzino verso le conche di Villa Santina e di Tolmezzo.

    Tarcento con il Monte Bernadia (m. 863) tipico ellissoide cretaceo nelle Prealpi del Torre.

    La struttura embriciata è meno evidente, ma più fìtta, e il sistema degli ellissoidi cretacei è assai più sviluppato, con gli altipiani dei Monti Ciaurlèc, Pala e Prat.

    Particolare sviluppo assume anche la fascia collinare subalpina, che si estende fra il corso del Meduna e del Tagliamento ed ha una notevole importanza per l’insediamento umano.

    Infine con il nome di Prealpi di Cavazzo si indicano i due rilievi isolati dei Monti San Simeone e Brancòt, di poco superiori ai mille metri, che si ergono con ripidi pendii di modellamento glaciale fra la depressione del lago di Cavazzo e il solco percorso attualmente dal Tagliamento, separati anche fra di loro dall’ampia soglia glaciale di Bordano.

    Veduta delle Prealpi Giulie verso la Catena dei Musi, dal colle di Buttrio.

    Le Prealpi Giulie

    Le Prealpi Giulie comprendono la fascia montuosa che si estende fra il Tagliamento e l’Isonzo, a sud del solco idrografico Fella-Resia-Uccea. Presentano caratteri geologici e morfologici simili alle Prealpi Carniche, da cui differiscono soprattutto per un minore sviluppo altimetrico. Sono infatti costituite da una duplice serie di catene calcareo-dolomitiche, che per la giacitura degli strati e la scarsa frastagliatura delle linee di cresta assomigliano alle Alpi di Raccolana; al margine meridio-

    naie troviamo anche qui una zona di ellissoidi calcarei a curve sempre più larghe ed una estesa serie di minori pieghe marnoso-arenacee terziarie. Tenendo conto dei principali corsi d’acqua che le attraversano, possiamo suddividerle in Prealpi del Torre, del Natisone e dello Iudrio, ma gli ultimi due settori sono tagliati dal confine politico e rientrano quindi solo parzialmente negli attuali limiti regionali.

    Le più estese sono le Prealpi del Torre, che costituiscono il bacino imbrifero del Torre e del suo affluente Cornappo. A nord si allunga l’aspra catena dei Monti Plauris (m. 1958) e Musi, grande muraglia petrigna che degrada verso il Passo di Tanamea, importante valico fra le valli del Torre e dell’Uccea. La catena meridionale è invece interrotta dal solco trasversale del Torre, che divide il Monte Chiampòn, ad occidente, dal Gran Monte, degradante ad oriente verso la conca isontina di Caporetto. Più a sud l’altipiano ondulato della Bernadia (m. 863) domina le basse colline di Tarcento.

    Le Prealpi del Natisone, che si estendono fra le valli del Cornappo e dello Iudrio, sono caratterizzate da una maggiore espansione degli ellissoidi cretacei e delle formazioni marnoso-arenacee, con cui incorniciano ad arco la sottostante pianura. Comprendono a nord il settore più orientale della catena del Gran Monte (Monte Stol), a cui si contrappongono le imponenti cupole dei Monti Lubia, Mia e Mataiùr (m. 1641), che sovrastano la valle del Natisone.

    Paesaggio carsico presso Trieste.

    Il Carso.

    Anche le formazioni marnoso-arenacee raggiungono altezze considerevoli con i Monti Cladis, Iauer e Ioanàz (m. 1167), ma degradano poi dolcemente verso il Torre con le colline di Àttimis e di Faedis.

    Le Prealpi dello Iudrio, che sono comprese fra questo fiume e l’Isonzo, presentano a nord l’ellissoide calcareo del Monte Còlovrat (m. 1114), da cui si allunga verso sudovest una dorsale eocenica, che si espande nel Monte Corada (m. 811). Da questo monte si diparte una duplice nervatura collinare, che forma a sudovest le colline di Cormòns e raggiunge a sudest con il Monte Sabotino e le colline di San Floriano la piana di Gorizia. Solo la parte occidentale e meridionale di questo settore prealpino, che prende anche il nome di Collio, rientra nei confini italiani.

    Vedi Anche:  Evoluzione demografica

    Il Carso

    La Venezia Giulia prebellica era caratterizzata da un accentuato carsismo, su cui si fondava gran parte della sua individualità geografica. La nuova regione, spostata notevolmente verso ovest, riesce ad includere solo una modesta sezione carsica, alla sua estremità sudorientale, che prende il nome dalle città su cui essa gravita economicamente: il Carso monfalconese e il Carso triestino, che per la loro scarsa elevazione vengono generalmente inclusi nella regione altimetrica collinare. Si tratta di un grande ellissoide cretaceo, parallelo all’asse orografico delle Alpi Giulie, spianato dall’abrasione marina e dall’erosione carsica, solcato da valli secche e punteggiato da doline, con i margini rialzati che scendono ripidi verso la pianura e verso il mare, dando l’impressione di vere e proprie catene.

    Una dolina carsica.

    Spaccato dell’abisso di Trebiciano.

    Il Carso monfalconese è separato da quello triestino dal Vallone Goriziano, valle secca carsica scavata da un antico fiume tributario, nell’ultima fase di erosione, del Vipacco, e poi scomparso nelle viscere della terra. Questo altipiano, che raggiunge la massima elevazione nel Monte San Michele (m. 274), è caratterizzato dalla presenza di alcuni laghetti carsici, fra cui emerge quello di Doberdò.

    Il Carso triestino è invece un altipiano molto più vasto ed elevato, attraversato dagli antichi solchi idrografici del Timavo e dei suoi affluenti e da una serie di rilievi che riescono a superare i 600 metri. I suoi bordi esterni sono parzialmente ricoperti dalle formazioni marnoso-arenacee del flysch, che presso Trieste si allargano in ripiani e colline. Esso si eleva lentamente da nordovest a sudest, fra i Monti della Vena e il mare, raggiungendo la massima altezza nel Monte Concusso (m. 667). Poi è bruscamente interrotto dalla vai Rosandra, al cui margine corre il confine politico.

    « Il Carso triestino, landa piena di mistero, — così lo descrive C. Chersi — è un pianoro di sasso, coperto di un sottile strato di terra, dal quale emergono dovunque rocce scannellate e macigni. Nella stagione invernale l’incalzare della gelida bora fa sparire ogni vegetazione, eccettuato il ginepro che si storce sotto le raffiche. Uniche barriere alla bora sono i pini che in ordine serrato resistono flettendo solo le fronde più alte. Ma nella primavera, dai detriti, fra le rocce e i macigni, prorompe d’un tratto una flora che è più di montagna che d’altipiano. Erbe, piante, arbusti spuntano da ogni zolla di terra fin dalle crepe del sasso. In pochi giorni verdeggiano i prati, che nascondono la pietra ».

    Grotta Gigante nel Carso triestino, attrezzata per le visite turistiche.

    La selvaggia val Rosandra, presso Trieste, con sullo sfondo il vallone di Muggia

    La caratteristica principale di questo altipiano è la presenza di numerose grotte, che sono per lo più in relazione con la circolazione sotterranea del Timavo, di cui parleremo nel prossimo capitolo. La cavità più profonda è l’abisso di Trebiciano (—329 m.), mentre la più grande è la Grotta Gigante, attrezzata per le visite turistiche, che si trova a circa 10 minuti di cammino dal Borgo omonimo. È famosa per la sua enorme sala, alta 115 m. in cui potrebbe essere contenuta l’intera cupola della basilica di San Pietro in Vaticano. La grotta possiede tre ingressi di cui quello mediano, che è il più stretto, servì nel 1890 agli speleologi della Società Alpina delle Giulie per le prime esplorazioni. L’ingresso orientale è formato da una galleria inclinata, ingombra di detriti, che sbocca in un foro nella volta della cavità principale. Questa galleria fu abitata nell’epoca neolitica, perchè sotto il foro della volta sono stati trovati, sul fondo della grotta, cocci di ceramiche e armi di selce. L’ingresso occidentale è stato reso accessibile fin dal 1908 mediante la sistemazione di scale e serve tuttora alle visite nella grotta che dal 1957 è provvista di illuminazione elettrica.

    La grotta ha uno sviluppo longitudinale di 280 m. e una profondità massima di 121; la volta della cavità principale ha uno spessore di 6 m. e sta a dimostrare come da crolli si possono originare le grandi doline. L’interno della grotta è ricco di formazioni cristalline fra le quali emergono numerose stalammiti, come la « Grande Colonna », la « Palma », ed altri gruppi.

    L’anfiteatro morenico del Tagliamento, secondo S. Govi («L’Universo », I, 1920).

    Paesaggio collinare dell’anfiteatro morenico del Tagliamento, dal Belvedere di San Daniele.

    L’illuminazione elettrica ha rivelato una gamma di meravigliosi e vivaci colori, scoprendo alcuni magnifici punti di vista, che lasciano un’impressione vivissima nei visitatori. Recentemente nel centro della grotta sono stati sistemati dei grandi pendoli orizzontali ed altre apparecchiature per la misurazione delle maree terrestri.

    A sud del Carso, oltre la valle dell’Ospo, rientrano nei confini regionali anche le pendici settentrionali dei Monti di Muggia, fertili colline marnoso-arenacee, che raggiungono la massima altezza nel Monte Castellièr (m. 245). Fanno parte della grande depressione tettonica compresa fra il Golfo di Trieste e il Quarnaro, chiamata comunemente dai geologi Istria gialla, dal colore delle arenarie, in contrapposizione all’Istria bianca o calcarea, che si estende più a nord.

    Veduta dell’anfìteatro morenico del Tagliamento al colle di Buttrio, con sullo sfondo le Prealpi Friulane.

    Le colline dell’anfiteatro morenico del Tagliamento

    La fascia collinare più ampia è però costituita dall’anfiteatro morenico del Tagliamento, che si estende a settori concentrici fra le Prealpi dell’Arzino e del Torre, raccordando le Prealpi Carniche con le Giulie. Questa fascia si è formata nel primo periodo dell’èra quaternaria per l’azione di trasporto e di sedimentazione del grande ghiacciaio tilaventino, nelle varie fasi di espansione e di ritiro.

    L’anfiteatro morenico, nonostante i successivi rimaneggiamenti dovuti all’erosione fluviale, è fra i meglio conservati della serie subalpina italiana. Presenta tre cerchie, degradanti lentamente verso la piana di Osoppo e la chiusa di Venzone, che è il loro vertice ideale. Solo la cerchia esterna è però un arco continuo, mentre le altre due sono sdoppiate in lobi irregolari convergenti nel colle eocenico di Buia, che contribuì a suddividere la massa glaciale, la cui fronte di ablazione risentiva già della confluenza del ghiacciaio del Tagliamento con quello del Fella. In seguito a questa confluenza si è formato un asse morenico mediano, dal colle di Buia a quello di Moruzzo, più elevato dei cordoni morenici laterali, che seguono la morfologia dei rilievi prealpini.

    La cerchia esterna, che si estende fra Ragogna e Qualso con un arco di quasi trenta chilometri, venne formata dal ghiacciaio durante la sua massima espansione ed è quindi la più ampia, la più elevata e la meglio conservata. Comprende le colline di San Daniele, Fagagna, Moruzzo (m. 270), Brazzacco e Tricésimo, che si elevano di un centinaio di metri sulla sottostante pianura. Ad occidente il cordone frontale è interrotto dal colle miocenico di Ragogna (m. 512), che il corso del Tagliamento ha isolato dalla massa prealpina, mentre sul fianco orientale prosegue con il cordone laterale sinistro, fra Tricésimo e Tarcento. Le maggiori depressioni sono dovute ai torrenti Corno e Cormòr che, alle opposte estremità, si sono aperti un varco verso la pianura. Fra la cerchia esterna e quella mediana c’è una depressione paludosa, divisa in due bacini dal cordone morenico mediano, che collega il colle di Moruzzo a quello di Colloredo. I due lobi della seconda cerchia si estendono tra i colli terziari di Susàns e Tarcento, facendo perno sul colle centrale di Buia (m. 331). La cerchia interna, infine, separata dalla precedente da un’altra depressione e suddivisa anch’essa dalla grande morena di ostacolo, presenta un lobo occidentale discontinuo, fra le pendici settentrionali dei colli di Susàns e di Buia, ed un lobo orientale, meglio conservato, fra Buia e Magnano. Questi archi collinari sovrastano un vasto bacino di escavazione glaciale denominato Campo o Piana di Osoppo, antico bacino lacustre in cui si raccolsero le acque di fusione del ghiacciaio prima di aprirsi il passaggio attraverso i cordoni morenici di sbarramento. Per le sue caratteristiche morfologiche ed ecologiche, la regione collinare dell’anfiteatro morenico tilaventino è molto densamente popolata e ricca di attività agricole ed industriali.

    La pianura friulana

    A mezzogiorno delle Prealpi Carniche e Giulie e delle colline dell’anfiteatro morenico tilaventino si estende fra il Livenza e l’Isonzo la vasta pianura friulana, formata dalle alluvioni fluvio-glaciali che nell’èra attuale hanno riempito una parte della grande sinclinale adriatica. Questa pianura degrada lentamente verso il mare da altezze variabili fra i 280 e i 50 metri, con valori massimi nella sezione pedemon

    tana compresa fra i fiumi Cellina e Meduna. Per quanto l’arco prealpino le conferisca una notevole individualità, circoscrivendola su tre lati, essa non è che il lembo più orientale della pianura padano-veneta, con la quale non c’è alcuna soluzione di continuità.

    Nonostante l’uniformità morfologica, le diverse condizioni idrologiche dei terreni differenziano nettamente l’alta pianura pedemorenica, costituita da alluvioni grossolane molto permeabili, dalla bassa pianura, dove le alluvioni prevalentemente argillose rendono possibile una ricca circolazione superficiale, che per l’insufficienza delle pendenze ristagna qua e là in estesi acquitrini. L’abbondanza di acque della « bassa » è dovuta soprattutto all’affioramento della falda freatica che si forma nel sottosuolo dell’alta pianura. Questo fenomeno di risorgenza si verifica in una lunga fascia di contatto fra i terreni dei due diversi tipi idrologici, che si estende fra le sorgive del Livenza e la confluenza del Torre nell’Isonzo, e continua poi nell’Agro monfalconese fino alle sorgive del Timavo.

    L’alta pianura, per la sua aridità, non è l’ambiente ideale per l’agricoltura, che può svilupparsi solo con l’aiuto dell’irrigazione, mentre la « bassa » presenta condizioni agrarie molto migliori, ma necessita di onerose opere di bonifica.

    Vedi Anche:  Nome e vicende territoriali

    La pianura friulana si può suddividere anche trasversalmente seguendo il corso del Tagliamento, per la diversa natura e provenienza dei depositi alluvionali che Ja costituiscono. La sezione occidentale, costituita quasi esclusivamente dall’apporto dei fiumi prealpini, presenta nella parte alta una maggiore aridità e sterilità del suolo, dando luogo al desolato paesaggio dei « magredi », mentre la sezione orientale è costituita da terreni più vari e offre una maggiore quantità di acque freatiche.

    L’uniformità morfologica della pianura è interrotta nella sezione più elevata da una serie di grandi conoidi alluvionali terrazzate, in cui si disperdono i fiumi che le hanno generate. Ma non mancano nella sezione orientale vere e proprie alture isolate, come il colle conglomeratico di Udine (m. 138), sopraelevato di una trentina di metri, il colle calcareo di Medea (m. 132), che si eleva di quasi un centinaio di metri, ed i colli marnoso-arenacei subalpini di Buttrio, di Rosazzo e di Farra. La bassa pianura, di cui rientra nei limiti regionali solo la sezione orientale, si presenta invece molto più uniforme, ma lungo la costa sono frequenti i cordoni dunosi di sabbie cementate.

    Estremo lembo orientale della pianura friulana può essere considerato l’Agro monfalconese, compreso fra l’Isonzo, il Carso monfalconese ed il Timavo, in cui continuano, su scala ridotta, i caratteri idrologici già rilevati.

    Le coste

    Le coste della regione, che si allungano per un centinaio e mezzo di chilometri fra la foce del Tagliamento e la valle di San Bartolomeo, nella penisola muggesana, sono bagnate dalla sezione più settentrionale del Mare Adriatico ed appartengono in massima parte al Golfo di Trieste.

    La sezione occidentale, compresa fra gli apparati deltizi del Tagliamento e dell’Isonzo, racchiude le lagune di Marano e di Grado, con cui termina la serie delle lagune venete. Le coste sono basse e sabbiose, orlate da dune e generalmente paludose per la difficoltà di deflusso delle acque continentali e l’alterna vicenda delle maree, che determinano una linea di spiaggia molto variabile.

    La formazione della laguna è dovuta all’azione di trasporto e di sedimentazione del Tagliamento e dell’Isonzo, nonché dei minori corsi d’acqua che scendono dalla zona delle risorgive, in relazione alla scarsa profondità dell’alto Adriatico. Le maree non sono sufficientemente ampie per svolgere un’azione idrodinamica di ridistribuzione a largo raggio dei depositi fluviali, cosicché questi si accumulano a breve distanza dalla costa, sotto l’influsso della corrente costiera circumadriatica che scende lungo le coste venete. Le correnti di marea riescono tuttavia a mantenere aperti numerosi varchi fra il mare e la laguna, di cui impediscono l’impaludamento e l’interramento, aiutate anche dal bradisismo discendente della costa, che facilita

    lo slittamento delle sabbie verso i fondali più profondi. Questo precario equilibrio fra le contrapposte forze dinamiche lagunari sta però per essere turbato dalla spiccata tendenza dell’Isonzo a spostare verso oriente la sua foce, abbandonando l’attuale ramo principale di deflusso denominato Sdobba.

    La laguna di Marano.

    Le bianche scogliere di Duino.

    Il paesaggio lagunare è caratterizzato dalla presenza di isolotti, ricoperti di vegetazione, alternati con banchi barenosi, la cui ampiezza oscilla notevolmente con l’andamento delle maree. Fra di essi le correnti hanno scavato una buona rete di canali navigabili, in diretto contatto con il mare.

    La laguna di Marano è compresa fra la peni soletta di Lignano, estrema prominenza del delta tilaventino, l’isola di Sant’Andrea e il canale dell’Anfora, su cui corre il confine amministrativo fra le province di Udine e di Gorizia. La laguna di Grado si estende invece fra il varco di Porto Buso e la Bocca di Primero, comprendendo numerose isole, fra cui quelle di Grado, Primero e Barbana, nota quest’ultima per il celebre santuario mariano. E attraversata in tutta la sua larghezza da un argine artificiale, su cui passa la strada che collega Grado alla terraferma.

    Alla Punta Sdobba hanno inizio le coste del Golfo di Trieste, che si estende fino alla Punta Salvore, in Istria, frazionandosi in minori insenature, come il golfo di Panzano, le baie di Sistiana e di Grigliano, il vallone di Muggia e gli altri valloni istriani che son rimasti al di fuori dei confini regionali.

    La zona lagunare fra la foce del Livenza e il Golfo di Trieste, (sec. XVII).

    Le coste del golfo di Panzano, comprese fra la Punta Sdobba e la foce del Timavo, costituiscono la fronte marittima dell’Agro monfalconese e sono basse e barenose, come quelle della laguna. A sud di Monfalcone sono stati scavati i tre bacini di Panzano, che ospitano i cantieri e ricevono il canale navigabile Valentinis, su cui sorge il Porto Ròsega. Più ad oriente le sorgive pedecollinari ed il corso superficiale del Timavo determinano un esteso impaludamento, favorito dai due modesti rilievi calcarei di Monte Punta e Monte Sant’Antonio, che nell’età antica erano vere e proprie isole.

    Ad oriente dell’apparato deltizio del Timavo incomincia una sezione di coste alte di sommersione, dapprima calcaree, fino alle sorgenti di Aurisina, e poi arenacee, per tutto il resto del litorale giulio-friulano. Fra Duino e Aurisina gli strati calcarei fortemente inclinati danno luogo ad una costa rocciosa, che si eleva quasi verticalmente sul mare, raggiungendo l’altezza massima di un’ottantina di metri, e presenta solo le modeste insenature di Duino e di Sistiana. Le coste arenacee sono invece modellate a pendio, ricoperto di vegetazione, e si presentano più frastagliate. La penisoletta calcarea di Miramare forma la baia di Grignano, mentre quella marnoso-arenacea di Sant’Andrea forma da un lato l’insenatura del vecchio porto di Trieste e dall’altro limita il vallone di Muggia, antica valle fluviale invasa dal mare per il bradisismo discendente della costa. In questa sezione costiera, particolarmente favorevole all’insediamento umano, alcuni torrenti hanno formato delle brevi piane costiere, un tempo acquitrinose, ma ora del tutto regolate e pulsanti di attività economiche: la piana triestina, allargata da gigantesche opere di colmata, la piana di Zaule, attraversata da un canale navigabile, sede del porto industriale, e la piana delle Noghere. Nella valle di San Bartolomeo, fra la Punta Sottile e la Punta Grossa, il confine politico pone termine alle coste della regione.

    La linea di spiaggia ha subito però notevoli variazioni in età storica, come risulta dal confronto fra le carte attuali e quella delineata nel 1595 da Cristoforo Sorte, per incarico ufficiale della Repubblica Veneta.

    Nel periodo romano, la linea costiera era molto più arretrata, tanto che Aquileia e San Canziano (Aquae Gradatae) dovevano essere molto prossime al mare. L’attuale isola Morosini doveva essere realmente un isolotto deltizio al primo stadio, mentre caratteri analoghi doveva avere, più a levante, l’Insula Padana, ricordata oggi dal nome della borgata di Panzano, presso Monfalcone. Tito Livio ricorda poi il Lacus Timavi, denominazione con cui si indicava probabilmente lo specchio lagunare costituito dal bacino delle fonti del Timavo, separato dal mare dalle isolette calcaree dei monti Punta e Sant’Antonio, che Plinio chiama clarae. Le coste dovevano essere elevate di circa due metri sopra il livello attuale, per cui le sorgive del Timavo erano più avanzate di oggi e le acque cadevano dall’alto « vasto cum murmure montis » come dice Virgilio. Nel litorale triestino infine le acque del mare lambivano le pendici delle colline.

    Le grandi modificazioni avvennero lentamente nel corso dei secoli, per effetto delle torbide alluvionali portate dai fiumi, delle loro variazioni di foce, dell’azione delle maree e di un bradisismo tettonico positivo, che interessò tutta la costa adria-tica da Ravenna a Pola, come risulta documentato anche da alcune prove archeologiche. Si ebbero di conseguenza variazioni anche nei fenomeni di risorgenza e tutta la fascia costiera, trascurata dall’uomo, subì un progressivo impaludamento.

    Alcune notevoli variazioni sono però frutto delle recenti opere umane, che hanno consolidato con la bonifica gran parte della fascia costiera lagunare, mentre d’altro canto hanno aperto i bacini di Panzano e il porto-canale di Monfalcone, hanno fatto avanzare con le colmate l’area urbana e portuale di Trieste e hanno creato il canale navigabile nel porto industriale di Zaule.

    Fenomeni sismici

    Sismicità zone.

    Il Friuli-Venezia Giulia rientra nella fascia dei centri sismici delle Alpi Orientali, che si estende dalle Prealpi Bresciane alle Dinariche, di cui anzi la montagna friulana costituisce la zona più tipicamente sismica. Dall’anno in d. C., a cui risale il più antico ricordo di un terremoto, il numero delle manifestazioni sismiche disastrose è andato via via aumentando attraverso i tempi. Tale fenomeno sarebbe in rapporto con la particolare struttura tettonica e con la presenza di alcune linee di frattura, derivate probabilmente da profondi movimenti orogenetici residuali (Caloi).

    L’attività sismica è notevole soprattutto in Carnia, in corrispondenza della flessura del Tagliamento, e nelle Prealpi Carniche, dove si presenta frazionata in piccoli centri. Il centro più attivo è senz’altro quello di Tolmezzo, da cui irraggiarono, per limitarci agli ultimi cent’anni, le scosse del 1889, il cui periodo sismico si prolungò da giugno a dicembre, il terremoto del 1924 e quello del 1928, che devastò Verzegnis. Centri attivi in Carnia sono anche Arta nella valle del But, Amaro nella bassa valle del Tagliamento e Moggio nella bassa valle del Fella. Nelle Prealpi si segnalano i centri di Claut nella vai Cellina, di Tramonti nella vai Meduna e Vito d’Asio nella valle dell’Arzino, colpita nel 1928 e nel 1936, quando, dopo la scossa disastrosa del 27 marzo, il periodo sismico continuò per altri cinque mesi, tenendo in continuo allarme la popolazione. Il terremoto più disastroso che la storia ricordi interessò però la zona collinare, dove nel 1511 vennero quasi completamente distrutte Gemona e Cividale, che ebbero alcune migliaia di vittime.

    Un minore distretto sismico si trova infine nella pianura friulana, dove nel 1780 una scossa molto forte colpì Fiume Veneto, mentre nel 1910 ne risentirono Villanova, Mussòns, Malafesta ed altre località del basso Tagliamento. Pochi sono i terremoti avvertiti a Trieste e sembrano per lo più di origine locale, con epicentro nella zona carsica di Postumia o nella conca di Lubiana.