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Storia del Friuli

    Sguardo storico

    Premessa

    La nostra regione non costituì mai nel passato un’unità storico-politica nei suoi attuali limiti amministrativi, ma fu anzi quasi sempre divisa fra poteri politici diversi: da un lato quelli transalpini, tendenti al controllo dei valichi montani e allo sbocco al mare, e dall’altro quelli marittimi, tendenti invece al raggiungimento dei confini naturali sullo spartiacque alpino. Se qualche filone unitario lo si può trovare qua e là nella storia, soprattutto nell’età romana, quando tutta la regione faceva parte del grande retroterra di Aquileia, la costruzione di una regione giulio-friulana, secondo la moderna concezione delle regioni naturali, cominciò solo dopo il 1918, con l’annessione all’Italia della Venezia Giulia. Questo processo evolutivo, di natura prevalentemente economica, si arrestò alla fine della seconda guerra mondiale e dovrebbe oggi essere nuovamente avviato sulle nuove basi territoriali imposte dal trattato di pace, nel quadro del nuovo ordinamento regionale italiano.

    Risulta quindi estremamente diffìcile dare uno sguardo unitario alla storia della nostra regione. Cercheremo di ovviare a questa difficoltà mettendo in rilievo quei nuclei storici che di volta in volta esercitarono una funzione regionale unitaria, quali centri di attrazione politico-economica e di irradiazione culturale.

    Le vicende storiche regionali furono largamente influenzate dalla posizione geografica del territorio, situato fra le Alpi orientali e il Mare Adriatico, e dalla presenza di alcuni comodi valichi montani che stimolarono fin dall’antichità gli scambi commerciali fra la regione italiana e quella danubiana, ma furono anche un richiamo per i popoli transalpini desiderosi di scendere verso le fertili pianure italiche. Fra i valichi di maggiore importanza storica va segnalata in primo luogo la bassa soglia di Postumia, a cui si accede attraverso l’ampia valle del Vipacco, di cui usufruirono successivamente Unni e Ostrogoti, Longobardi e Slavi, Avari, Ungari e Turchi, per occupare o per devastare le terre friulane. Altri valichi relativamente facili sono il Passo di Piedicolle, a cui faceva capo l’antica via commerciale che seguiva le valli dei fiumi Natisone, Isonzo, Idria e Baccia, il Passo del Predii, che collega il bacino deirisonzo con la conca di Tarvisio, la Sella di Camporosso, che mette in comunicazione la valle del Fella con la conca di Tarvisio e, infine, il Passo di Monte Croce Cárnico, tra la valle del But e quella del Gail.

    I principali centri regionali sorsero appunto allo sbocco in pianura o alla confluenza di queste vie naturali di attraversamento delle Alpi, con funzioni eminentemente commerciali, a cui in seguito si aggiunsero quelle politico-amministrative e culturali. I mutamenti che nel tempo subirono le direttrici commerciali e i mezzi di comunicazione furono fra le cause dominanti delle alterne fortune storiche di questi centri. Così Aquileia ebbe il suo splendore nell’età romana, Cividale nell’alto Medio Evo, Udine invece si affermò nel basso Medio Evo, mentre Gorizia e Trieste acquistarono importanza solo nell’età moderna.

    Per la sua posizione geografica la nostra regione ebbe alternativamente nel corso della storia i vantaggi commerciali e gli svantaggi politici e militari propri delle regioni di confine, e ciò ebbe i suoi riflessi anche nella instabilità dei confini politici e culturali.

    La preistoria

    Fu proprio per la sua posizione geografica e per la facilità delle comunicazioni transalpine che la nostra regione fu abitata fin dall’età paleolitica, di cui sono stati rinvenuti alcuni sicuri reperti nella grotta Pocala, situata presso Aurisina, nel Carso triestino, e nelle grotte friulane di Villanova e di Tarcento. Questi depositi, da cui risulta tra l’altro un largo uso delle ossa nella fabbricazione di utensili domestici, sono affini a quelli scoperti nelle grotte della Franconia, della Svizzera, della Stiria e della Slovenia, per cui sono attribuiti al gruppo culturale « Musteriano Alpino », ma con chiari segni di evoluzione verso l’Aurignaziano. Secondo il Battaglia il deposito ad ursus della grotta Pocala deve ritenersi precedente alla grande espansione glaciale wurmiana, con cui si conclusero le glaciazioni alpine.

    Meglio conosciute sono l’età neolitica ed eneolitica, che si presentano nella regione carsica come culture eminentemente trogloditiche. Per evidenti ragioni climatiche era infatti diffuso l’uso di abitare in caverne, come avveniva nello stesso tempo in Liguria e in Toscana. La scarsità di depositi selciferi costrinse l’uomo ad affinarsi nella lavorazione dell’osso e del corno, mentre la ricchezza di depositi argillosi favorì lo sviluppo della ceramica. Manufatti di questo periodo sono stati trovati nella grotta delle Gallerie, nella vai Rosandra, dell’Orso, presso Gabrovizza, del Pettirosso, presso Aurisina e nella Grotta Azzurra di Samatorza. Nella regione alpina friulana si segnala invece qualche stazione all’aperto o in ripari sotto roccia, affine alla cultura coeva dei monti Lessini, nel Veronese.

    L’età del bronzo è caratterizzata nel Carso e nell’Istria e, più sporadicamente nella montagna friulana, dalla comparsa di una nuova cultura, dovuta certamente all’immigrazione di nuove genti : quella dei « castellieri ». Erano questi dei villaggi fortificati situati sull’apice delle colline o sui bordi rialzati degli altipiani carsici. Le capanne, gli alloggiamenti del bestiame e talvolta parte dei seminativi erano racchiusi entro una o più cinte di muraglioni a secco, a sviluppo circolare, ellissoidale

    o emisferico, che costituivano un « vallo » difensivo. Fra i resti meglio conservati sono quelli del « castelliere » di Slivia, presso Aurisina, che è stato recentemente dichiarato monumento nazionale e dedicato al nome di Carlo Marchesetti, a cui si deve il riconoscimento e la descrizione di oltre 400 castellieri sparsi in tutto il Carso e nell’Istria.

    La conquista romana determinò la decadenza di questa florida civiltà, legata soprattutto al nome degli Istri, che avevano il loro principale centro politico e culturale a Nesazio, presso Pola; guidati dal loro leggendario re Epulo, essi opposero alle legioni di Roma una disperata resistenza. Poi i « castellieri » vennero abbandonati e usati solo saltuariamente come stazioni militari.

    Nell’età preistorica è molto difficile riconoscere i popoli che abitarono nella nostra regione. Si ritiene generalmente che i trogloditi delle culture litiche discendano dal ceppo ligure, mentre la civiltà del bronzo dovrebbe essere arrivata con le genti veneto-illiriche. Certo è che i Veneti stabilirono ad un certo punto il loro dominio su entrambi i versanti alpini, intrecciando interessanti scambi commerciali fra le valli del bacino danubiano e la pianura friulana. Furono essi che introdussero nella nostra regione attraverso le vie commerciali alpine i primi manufatti di ferro, mentre il loro centro culturale di Ateste influenzò senza dubbio le prime espressioni artistiche regionali, come risulta dai resti dei monumenti rinvenuti a Nesazio, che risalgono forse al VII secolo.

    Aquileia, nucleo storico regionale dell’età romana

    Nel IV secolo a. C. cominciò la grande invasione dei Carni, popolazione di origine celtica, che ad ondate successive passarono le Alpi e respinsero i Veneti verso il mare. Quando però nel 186 una nuova migrazione carnica minacciò di travolgere i superstiti insediamenti dei Veneti, questi si rivolsero per aiuto ai Romani, che già erano penetrati nella regione nel 221 quali loro alleati, ma avevano poi dovuto ritirarsi durante la seconda guerra punica. Il Senato Romano era d’altro canto molto preoccupato per l’irrequietezza ed i continui spostamenti delle tribù celtiche confinanti con i Veneti, che compromettevano la sicurezza della Gallia Cisalpina; perciò esso accolse ben volentieri la richiesta dei Veneti e nel 183 decise la distruzione di un centro carnico che era stato costruito a 12 miglia dall’attuale Aquileia e la deduzione di una colonia militare, che fu però ritardata di due anni dalle minacce degli Istri.

    Acquedotto romano di val Rosandra, presso Trieste.

    Le strade e i centri romani (secondo l’Atlante storico dell’I.G.D.A.).

    La colonia fu dedotta nel 181 da P. Scipione Nasica e G. Flaminio, di rango consolare, e da L. M. Acidino, di rango pretorio, nella bassa pianura friulana, fra i fiumi Alsa e Natissa, a circa 15 mila passi dal mare, con la tipica pianta quadrata degli accampamenti romani. Dal vicino fiume Aquilis, non meglio precisato, essa prese il nome di Aquilegia, che ai Romani ricordava il simbolo augurale dell’aquila. Il primo nucleo di tre mila fanti fu successivamente rinforzato da ulteriori stanziamenti di agricoltori e di commercianti e si estese rapidamente con la distribuzione di terre e la costruzione di strade.

    Alla funzione iniziale di baluardo militare di controllo delle popolazioni car-niche, Aquileia aggiunse ben presto anche quella di grande emporio commerciale, che facilitò la penetrazione politica e culturale romana nella regione. Ma la sicurezza dei commerci esigeva il completo possesso delle vie di comunicazione alpine e perciò i Romani furono costretti ad intraprendere diverse azioni militari contro le popolazioni che dominavano tali vie, debellando gli Istri (177-176), i Giapidi (129 e 119) e i Taurisci (129 e 115). Verso la fine del secolo riuscirono infine a pacificare la regione, intensificando quindi la colonizzazione agricola e gli scambi commerciali. Le difese militari vennero spostate più ad oriente, con la deduzione delle colonie militari di Tergeste (Trieste) e Pietas Iulia (Pola), e più a settentrione con la fondazione dei centri fortificati di Forum Iulii (Cividale) e Forum Iulium Carnicum (Zuglio).

    Forse già con la lex lidia del 90 a. C. Aquileia divenne un municipio, ma solo nel 42 venne incorporata nell’Italia tutta la regione fino al fiume Formione (Risano); il confine orientale venne poi spostato nel 27 da Ottaviano fino al fiume Arsa, includendo così anche lTstria. Nel quadro deH’ordinamento amministrativo augusteo le terre giulio-friulane furono il nucleo della decima regione italica, denominata Venetia et Histria, che era compresa fra le Alpi, l’Adda, il Po e il Mare Adriatico, e confinava a nord con il Norico, a nordest con la Pannonia, a est con l’Illirico, a sud con l’ottava regione Aemilia e ad ovest con l’undecima regione Transpadana.

    Vedi Anche:  Fiumi e golfi

    Trieste. Ruderi della Basilica romana.

    Aquileia romana: ruderi del Foro.

    Già nei primi tempi dell’impero di Augusto il confine orientale venne però portato oltre la cerchia alpina, dove era stata fondata la città di Iulia Aemona (Lubiana), cosicché vennero inclusi nella regione anche i paesi dei Giapidi e dei Liburni.

    Come risulta dal nome, la regione augustea era abitata preminentemente dai Veneti e dagli Istri. Tra i fiumi Livenza e Risano prevalevano però popolazioni car-niche, che mantennero sempre vive le loro tradizioni religiose e linguistiche, pur assimilando anche gli usi ed i costumi romani.

    La capitale di questa immensa regione, che superava per ampiezza e per importanza commerciale e militare tutte le altre, fu naturalmente Aquileia, che divenne rapidamente una grande città, che nel IV secolo d. C. era superata per numero di abitanti solo da Roma, Capua e Milano. La sua funzione militare fu potenziata con la costruzione di nuove mura e con lo stabilimento di comandi e magazzini militari dell’esercito danubiano e della flotta dell’Adriatico settentrionale. La sua funzione commerciale si accrebbe con il perfezionamento delle vie e dei mezzi di comunicazione. Ad Aquileia facevano capo le vie Postumia ed Annia, Iulia Augusta e Gemina, per cui fluiva il commercio fra l’Italia e le regioni transalpine del bacino danubiano. Sulle rive del Natissa, a est della città, si estendeva il porto, collegato al mare e ai fiumi vicini da una rete di canali navigabili. Nell’area urbana erano anche sorte numerose industrie, che lavoravano le materie prime provenienti per le vie terrestri e marittime, mentre attorno alla città si era sviluppato un ricco agro alimentario, che provvedeva ai suoi bisogni e riusciva pure ad esportare vini molto rinomati.

    Aquileia romana: ruderi del porto.

    In un emporio cosmopolita come Aquileia arrivarono ben presto mercanti e schiavi dalle regioni orientali del Mediterraneo, che portarono la loro lingua e le loro tradizioni religiose, alterando la primitiva fisionomia celto-romana della città. E fra i culti orientali giunse fin dal primo secolo dell’èra volgare il Cristianesimo, che trovò in Aquileia uno dei massimi centri di diffusione. Così avvenne che dopo l’editto di Costantino la città aggiunse alle sue funzioni amministrative civili anche quelle religiose, divenendo una delle maggiori sedi episcopali, la cui sfera giurisdizionale si estendeva alla Rezia, al Norico e alla Pannonia. E fin dalle sue origini la città fu anche un vivace centro culturale ed artistico, come lo dimostrano i suoi insigni monumenti, i cui resti, pazientemente portati alla luce dall’opera degli archeologi, testimoniano il suo antico splendore.

    Con la decadenza delle strutture politiche e militari dell’Impero, Aquileia cominciò a risentire la vulnerabilità della sua posizione geografica, aggravata dalla smobilitazione delle difese alpine nel lungo periodo di pace e di sicurezza, in cui i confini dell’Impero erano stati portati oltre il Danubio. Nei secoli III e IV la città fu più volte assalita da generali ribelli all’autorità imperiale o da barbari desiderosi di bottino, ma seppe sempre difendersi, riassumendo le funzioni militari dei primi tempi della sua storia, mentre diminuivano i traffici e si assottigliava la popolazione. Ma l’Impero Romano s’avviava ormai verso la fine. Nell’anno 452 le difese della città non riuscirono a trattenere l’impeto degli Unni di Attila, che la saccheggiarono e incendiarono, riducendola a un cumulo di rovine. Gli abitanti scampati all’eccidio si rifugiarono sulle isole della laguna, dove si costruirono nuove dimore ed intrapresero nuove attività produttive.

    Aquileia era stato il centro irradiatore della civilizzazione romana e cristiana nella regione ed il suo nucleo di gravitazione politica ed economica: con la sua distruzione si rompe questo primo filone unitario della storia regionale ed incomincia una nuova fase storica.

    Cividale, nucleo storico regionale nelPalto Medio Evo

    Dopo le devastazioni degli Unni, la bassa pianura friulana si spopolò, poiché le popolazioni preferirono rifugiarsi ai piedi dei monti e sulle colline, in luoghi che potevano essere più facilmente difesi, lontani dalle grandi vie delle invasioni. Nuovo centro di gravitazione regionale divenne allora, già negli ultimi decenni dell’Impero, Forum Iulii (Cividale), allo sbocco della valle del Natisone, in posizione abbastanza centrale rispetto alla nuova area d’insediamento, con buoni requisiti militari e commerciali.

    Dopo la caduta dell’Impero e la breve dominazione degli Èruli di Odoacre, nel 489 scesero in Italia i Goti di Teodorico, a cui si contrapposero sulle coste adria-tiche i Bizantini, forti dell’appoggio della loro flotta: Grado si contrappose così a dividale ed ebbe inizio anche nella nostra regione quel dualismo politico-territoriale che, in forme diverse, doveva poi mantenersi per molti secoli.

    Con lo «Scisma dei Tre Capitoli» (554) venne infranta anche l’unità religiosa e l’episcopato di Grado, sostenuto dai Bizantini, divenne l’antagonista di quello di Aquileia, appoggiato dai Goti.

    Nel 568 scesero in Italia, attraverso i soliti valichi delle Alpi Giulie, i Longobardi, che stabilirono nel Friuli il loro primo ducato, e difesero poi per due secoli il confine orientale dalle scorrerie degli Avari e degli Slavi. Forum Iulii venne prescelta quale sede ducale e vide così accresciuta la sua importanza politica e militare e la sua funzione di nuovo nucleo regionale. Devastata dagli Avari nel 6io, fu in seguito ricostruita e abbellita di insigni monumenti, che costituiscono una delle migliori testimonianze della civiltà longobarda e dell’arte barbarica in Italia. Nel 735 divenne la residenza del Patriarca di Aquileia, costretto ad abbandonare la sua spopolata sede per sfuggire alle insidie dei Bizantini, che controllavano tutto il litorale veneto ed istriano.

    Cividale longobarda, vista dal greto del Natisone. La città fu il nucleo storico regionale durante l’alto Medio Evo.

    Alla dominazione longobarda successe nel 794 quella dei Franchi, che ristabilirono la pace religiosa, ma portarono con il feudalesimo un sistema di massimo frazionamento politico, che è alla base di una lunga serie di lotte interne e di interventi esterni, protrattasi fino al secolo XVIII.

    Essendo prossima ai confini dell’Impero Carolingio, la regione venne inclusa nella Marca Orientale assieme all’Istria, con il nome di « Marca del Friuli ». Fu in questa occasione che Forum Iulii, il cui nome si era ormai esteso a tutta la regione, venne ribattezzata Civitas Austriae, la « città » per antonomasia della Marca Orientale, famosa per il suo patrimonio artistico e culturale, dotata di funzioni amministrative civili e religiose e prosperosa per la ripresa dei traffici commerciali.

    La decadenza dell’Impero Bizantino aveva favorito intanto lo sviluppo autonomo delle cittadine della costa veneta ed istriana fra cui era emersa rapidamente la Repubblica di Venezia, che aveva cominciato ad espandere la sua influenza politica e commerciale in tutto l’Adriatico, attirando un po’ alla volta nella sua orbita i centri minori.

    Con la divisione dell’Impero Carolingio la nostra regione venne assegnata al Regno feudale d’Italia, di cui fu primo re il marchese del Friuli Berengario. Fu in questo periodo che passarono le Alpi gli Ungari, popolazione bellicosa e feroce, che distrusse ogni cosa al suo passaggio. Per molto tempo venne indicata con il nome di Vastata Hungarorum la strada che essi percorsero, specialmente nel tratto fra Codròipo e Pordenone, che più risentì delle loro devastazioni. Queste terre vennero in seguito ripopolate da coloni slavi, che lasciarono notevoli tracce nella toponomastica, ma furono infine assimilati dalle popolazioni celto-romane circostanti. Gli insediamenti slavi mantennero invece le loro caratteristiche nelle vallate delle Alpi e Prealpi Giulie, in cui poterono avere uno sviluppo autonomo.

    Lo stato patriarcale aquileiese: l’affermazione di Udine

    Nel 951 l’imperatore Ottone I di Sassonia, per assicurarsi il controllo dei passi alpini, staccò dall’Italia la Marca di Verona, di cui il Friuli allora faceva parte, affidandola in feudo al fratello, duca di Baviera e di Carinzia, che la fece reggere dai suoi vassalli, residenti a Cividale. Più tardi la Marca friulana divenne un feudo diretto dell’Impero e gli imperatori di Sassonia e di Franconia promossero l’infeudazione di terre alla nobiltà tedesca, che con la sua presenza doveva custodire le vie d’accesso all’Italia. Nel quadro della lotta per le investiture gli imperatori fecero cospicue donazioni anche agli enti ecclesiastici, fra i quali fu particolarmente beneficato il Patriarcato aquileiese, la cui importanza politica si accrebbe con il potere temporale.

    Veduta aerea del castello di Gorizia e delle case superstiti del sottostante borgo. I bastioni rotondi furono costruiti dai Veneziani nel 1508.

    All’inizio del secolo XI il patriarca Popone trasferì la sua residenza ad Aquileia, dove fece costruire nuovi edifici, cercando di restituire alla sede patriarcale il suo antico splendore. Ma ormai la vita della regione gravitava attorno a Cividale e questo tentativo non poteva avere successo, anche perchè l’abbandono delle opere idrauliche romane aveva favorito l’impaludamento di gran parte della bassa pianura.

    Nel 1077 l’imperatore Enrico IV, in una delle fasi più cruciali della lotta per le investiture, concesse in feudo al patriarca Sigeardo tutta la contea del Friuli, compreso il Cadore, cosicché il Patriarcato potè estendere il suo potere temporale a tutta la regione. E questo un avvenimento decisivo della storia regionale, che per tre secoli e mezzo rimase polarizzata attorno ad un potere ecclesiastico feudale, naturale paladino degli interessi politici ed economici imperiali.

    Vedi Anche:  L'economia agricola, la pesca, la caccia e le colture

    Aquileia. Il campanile della basilica, alto 73 m., risale all’XI secolo e testimonia la tramontata potenza patriarcale.

    Castello di Gorizia: il cortile dei Lanzi.

    Castello di Gorizia: sala del Conte.

    Più tardi i patriarchi ottennero anche le Marche di Carniola e d’Istria e altri benefìci oltre le Alpi, su cui però non riuscirono mai a stabilire un possesso effettivo. Il loro potere temporale fu sempre contrastato dai feudatari laici, loro vassalli, che desideravano emanciparsi dagli obblighi feudali ed accrescere i loro possessi. Fra di essi emersero fin dal secolo XII i conti di Gorizia, a cui lo stesso patriarca aveva affidato l’avvocazia feudale nei suoi possessi. I conti goriziani riuscirono a crearsi uno stato feudale lungo tutto l’arco alpino orientale, dall’Istria alla Pusteria, e assicurandosi il controllo delle principali vie di comunicazione transalpine posero così le basi per un nuovo dualismo politico nella regione.

    Il secolo XIII è caratterizzato da una ripresa generale degli scambi commerciali attraverso le Alpi e dallo sviluppo delle attività artigianali. Mentre si facevano più scarse le relazioni con la Carniola, acquistavano invece grande importanza le vie di Monte Croce Carnico e del Canale del Ferro, che facevano capo ai porti fluviali della pianura friulana, poiché l’insufficienza della viabilità stradale consigliava di usare il più possibile le vie d’acqua. Si svilupparono così i centri di Sacile, Pordenone, Portogruaro, Latisana, Nogaro e Cervignano, situati a valle della zona delle

    risorgive, che alimenta i corsi d’acqua su cui si trovano, mentre nella pianura cominciarono a rifiorire anche le attività agricole. Civiclale divenne sempre più eccentrica rispetto alle nuove vie di comunicazione e ai nuovi sviluppi dell’economia regionale, per cui perdette a poco a poco la sua importanza, nonostante che verso la metà del secolo XIV divenisse la sede di un’Università degli studi. Allo sbocco in pianura delle principali strade alpine cominciarono ad emergere i centri di Tol-mezzo, Venzone, Gemona, San Daniele e soprattutto Udine, situata all’incrocio delle varie direttrici commerciali e, per di più, in posizione centrale nel Patriarcato.

    Sotto l’urgere delle nuove forze economiche e sociali ebbe inizio una lenta evoluzione delle funzioni e delle istituzioni feudali del Patriarcato, che da strumento della politica imperiale divenne a poco a poco un organismo politico-territoriale friulano in lotta per la difesa dei suoi interessi. Espressione di questa evoluzione fu il « Parlamento », nato nella prima metà del secolo XIII e costituito dai vassalli ecclesiastici e laici dei patriarchi e dai rappresentanti delle tredici principali comunità cittadine della «Patria del Friuli». Tale istituzione, affine a quelle degli stati germano-romanici, non trova riscontro nelle formazioni politiche proprie delle terre italiane. Mentre in un primo tempo si limitò a discutere le taglie finanziarie e militari dovute al patriarca dai suoi membri, nel secolo XIV riuscì anche ad esprimere una giunta esecutiva, che affiancava il patriarca nel governo.

    Udine: la porta Aquileia con la torre trecentesca dell’ultima cerchia di mura.

    Nella loro lotta contro la nobiltà feudale i patriarchi si appoggiavano alle ricche comunità cittadine, a cui cominciarono a concedere larghi privilegi, permettendo così lo sviluppo di libere istituzioni comunali. Adeguandosi alle mutate condizioni economiche il patriarca Bertoldo di Andechs trasferì, verso la metà del secolo XIII, la sua residenza a Udine, dove potevano affluire più facilmente i tributi naturali provenienti da tutto il Friuli. La città divenne così il nuovo nucleo politico-ammini-strativo ed economico della regione, ma l’accesa rivalità di Cividale fu un elemento di costante perturbazione nella vita dello stato patriarcale e fu il pretesto per l’intervento veneto.

    La Repubblica di Venezia si era ormai impegnata in una politica di espansione continentale, tendente a costituire uno stato moderno a larga base territoriale, e aspettava da molto tempo l’occasione favorevole per impossessarsi del Friuli. Le giunse perciò molto gradito l’invito che nel 1420 le rivolsero alcune comunità friulane e si affrettò ad occupare militarmente la regione, ponendo fine al potere temporale dei patriarchi. Però solo nel 1445 ottenne la cessione formale dello stato patriarcale, lasciando in cambio ai patriarchi la signoria feudale su Aquileia e sugli antichi castelli di San Daniele e di San Vito al Tagliamento. Ma da allora i patriarchi cominciarono a non risiedere più nel Patriarcato, mentre la loro giurisdizione ecclesiastica subiva continue riduzioni. Dopo tre secoli di decadenza la Santa Sede decretò nel 1751 la soppressione del Patriarcato Ecclesiastico Aquileiese, che fu sostituito nei territori soggetti alla Repubblica Veneta dall’arcivescovado di Udine e in quelli soggetti all’Impero dall’arcivescovado di Gorizia.

    Il periodo veneto

    Con l’inizio della dominazione veneta incominciò per il Friuli una nuova fase storica, caratterizzata dalla persistenza delle autonomie e dei privilegi concessi dai patriarchi e da un moderato sviluppo economico e sociale.

    A governare la nuova provincia, Venezia mandò dei patrizi che dovevano aver ricoperto già altre cariche e la scelta fu molto spesso ottima, tanto che alcuni dei luogotenenti della Patria del Friuli divennero poi dogi. A Udine, sede della luogotenenza, e negli altri centri maggiori furono inoltre mandati dei capitani, quali governatori. Alcuni territori friulani furono però legati direttamente a Venezia, come Latisana, che venne infeudata ai patrizi veneti Vendramin, Pordenone, che fu per breve tempo feudo di Bartolomeo d’Alviano, il condottiero veneto che l’aveva strappata agli Austriaci, e Cividale, che ottenne di essere amministrata direttamente da un provveditore, senza dover dipendere dall’antica rivale. Ma anche le terre soggette al luogotenente presentavano una notevole varietà di situazioni, perchè una parte dipendevano direttamente da lui, mentre le altre erano sotto la giurisdizione di enti ecclesiastici, feudatari e comuni. Il Parlamento perdette gran parte delle sue prerogative politiche e sopravvisse come istituzione più che altro decorativa, che aveva però il potere di limitare la supremazia di Udine sulle altre comunità friulane. La vecchia capitale patriarcale dovette lottare anche contro l’inevitabile decadenza economica, poiché i traffici commerciali transalpini si dirigevano ormai per San Daniele verso Venezia, senza passare più per la città, troppo eccentrica nel territorio della repubblica e in condizioni di inferiorità demografica e politica rispetto ad altre città venete. L’unione del Friuli con Venezia rese però più stretti i suoi legami con la vita e la cultura italiana, come risulta da tutte le manifestazioni artistiche e letterarie.

    Il periodo veneto fu travagliato da alcune guerre combattute tra Venezia e l’Austria per la definizione del confine politico orientale. Quando nel 1500 si estinse la dinastia dei conti goriziani, Venezia rivendicò il territorio della Contea di Gorizia, quale erede dei diritti feudali patriarcali. Ma i conti avevano precedentemente delegato alla successione la casa imperiale austriaca, con la quale erano imparentati. Perciò l’imperatore Massimiliano, a cui premeva di assicurarsi un ampio sbocco al mare nell’Adriatico, non esitò ad aderire alla lega antiveneta di Cambrai e nel 1509 scese in Italia con un esercito. Venezia dovette così sostenere l’attacco coalizzato delle forze pontífice, francesi, spagnole ed imperiali e, in seguito all’esito sfavorevole della guerra, fu costretta nella pace di Worms (1521) a rinunciare alle terre goriziane, con le importanti chiuse isontine di Plezzo e di Tolmino, e ad accettare un confine orientale debole e incerto.

    Non ebbe migliore successo la guerra gradiscana o degli Uscocchi, che la repubblica intraprese nel 1616 per migliorare il suo confine orientale, poiché riuscì a mala pena a conservare i suoi possessi.

    Nei secoli XV e XVI si ebbero pure frequenti scorrerie dei Turchi, contro i quali Venezia eresse dapprima la fortezza di Gradisca e poi, essendo questa passata all’Austria, la fortezza di Palmanova. Una notevole funzione militare ebbe anche Monfalcone, cuneo avanzato delle difese venete, senza continuità territoriale con il Friuli veneto.

    Le guerre e le scorrerie devastarono e spopolarono le terre friulane, arrecando particolare disagio alle popolazioni delle campagne, già oppresse dalle vessazioni dei giurisdicenti feudali. Un violento movimento sociale antifeudale si ebbe nel 1511 e costrinse il governo veneto a riconoscere un nuovo corpo sociale, legalmente organizzato, denominato « contadinanza », costituitosi con lo scopo di difendere gli interessi dei contadini presso il luogotenente. Questa riforma è di grande importanza storica, poiché in quel tempo le plebi rustiche non godevano di diritti politici, ma non riuscì a migliorare le pessime condizioni deH’agricoltura friulana, che continuò a deperire.

    Udine: la casa della Contadinanza.

    Nello stesso periodo il Friuli austriaco fu amministrato, come gli altri territori soggetti alla casa d’Austria, da un capitano generale, residente a Gorizia, dal quale dipendevano sette capitani minori. Solo il territorio di Gradisca potè godere di una particolare autonomia, divenendo anzi fra il 1647 e il 1717 una contea principesca separata da quella goriziana. Al governo partecipavano gli Stati Provinciali, parlamento provinciale molto diverso da quello friulano, di cui facevano parte solo l’alto clero e i nobili, giacché ne vennero ben presto estromessi i rappresentanti delle città e delle comunità rurali. I rapporti fra le due parti del Friuli, così stretti nel periodo patriarcale, si ridussero notevolmente dopo la divisione politica, special-mente in seguito alla guerra gradiscana, che vide i friulani combattere gli uni contro gli altri, nei due campi avversi.

    La luogotenenza veneta sulla Patria del Friuli durò 377 anni e cessò nel 1797 con l’arrivo dei Francesi che, dopo aver sconfìtto nella battaglia del Tagliamento l’esercito imperiale, decisero con il trattato di Campoformido la soppressione della Repubblica Veneta e la cessione del suo territorio all’Austria.

    Vedi Anche:  Nome e vicende territoriali

    Lo sviluppo di Trieste

    All’inizio del secolo XVIII, mentre Udine subiva un lento declassamento politico ed economico, incominciava ad affermarsi sulle rive dell’Adriatico la città di Trieste.

    L’antica colonia militare romana aveva avuto nel Medio Evo un lungo, ma poco fortunato travaglio. Era stata dapprima una civitas autonoma dipendente direttamente dal regno feudale d’Italia, ma poi il potere regio era stato affidato ai vescovi, che non lo esercitarono mai totalmente. Si era potuto così costituire fin dal secolo XI un libero Comune che, come le città costiere istriane, aveva dovuto ben presto subire l’egemonia veneta, ora patteggiando ed ora lottando con Venezia, che favoriva

    i porti istriani, più docili al suo controllo. Dopo aver cercato invano di diventare lo sbocco commerciale dello stato patriarcale e dopo aver subito una serie di occupazioni veneziane, Trieste aveva offerto nel 1382 la sua dedizione all’Austria, che ben volentieri aveva accettato di assicurarsi una così importante posizione nell’Adriatico, garantendo in cambio pieno rispetto per le istituzioni municipali. Ma la dedizione non aveva portato ai triestini gli attesi benefici, perchè l’Austria non era in grado di contrastare la potenza marittima di Venezia. Trieste pertanto aveva avuto per oltre tre secoli uno sviluppo economico e demografico molto modesto, inferiore a quello dei maggiori centri friulani e istriani. Solo quando la Repubblica Veneta fu sufficientemente indebolita dalle lunghe lotte contro i Turchi, l’Austria potè intraprendere una politica marittima e commerciale nell’Adriatico e Trieste vide alfine valorizzata la sua posizione geografica e la scelta politica del 1382.

    Nel 1719 l’imperatore Carlo VI, dopo aver proclamato la libertà di navigazione nell’Adriatico, decise l’istituzione dei porti franchi di Trieste e di Fiume e attraverso la costituzione della Compagnia Orientale promosse le prime attività commerciali e industriali. La politica illuminata dei suoi successori, Maria Teresa e Giuseppe II, permise a Trieste di superare il secolare ritardo storico, tanto da poter competere alla fine del secolo con i maggiori porti del Mediterraneo, raccogliendo l’eredità della decadente Repubblica Veneta. Il riattamento delle vie di comunicazione naturali controllate dagli Austriaci valorizzò di riflesso la posizione di Gorizia, che cominciò ad affermarsi come centro di transito commerciale e di gravitazione economica di tutta la regione isontina. Poterono così svilupparsi nella parte orientale della regione due nuovi nuclei storici regionali, che cominciarono ben presto ad esercitare una notevole attrazione economica e demografica anche sulle terre friulane.

    Trieste: la trecentesca Tor Cucherna, unica superstite delle torri cittadine.

    Le vicende storiche degli ultimi due secoli

    La prima occupazione francese (1797) fu molto breve e fu seguita da una prima dominazione austriaca. Ma dopo neanche dieci anni i Francesi facevano ritorno, per includere tutta la regione ad occidente dell’Isonzo e l’Istria veneta nel Regno Italico. Il Friuli fu allora organizzato nei dipartimenti di Passariano e del Tagliamento, mentre i territori ad oriente dell’Isonzo, con Trieste e Gorizia, vennero aggregati alle Province Illiriche dell’Impero francese, comprendenti anche la Dalmazia e parte della Slovenia e della Croazia.

    Gli Austriaci ritornarono nel 1813 e dopo il Congresso di Vienna riebbero tutta la regione, ma ripristinarono il vecchio confine austro-veneto dello Iudrio, dividendola fra il Regno del Lombardo-Veneto e la provincia austriaca del Litorale, che venne poi aggregata al Regno Illirico, costituito sullo schema delle Province Illiriche francesi. La regione compresa fra lo Iudrio e le Alpi Giulie prese il nome di Litorale Austro-Illirico, ma nell’uso popolare venne indicata più semplicemente con il nome di « Litorale ». L’Austria intendeva così staccare nettamente la Venezia Giulia dalla regione italiana e, per prevenire possibili rivendicazioni italiane, la inseriva addirittura nella Confederazione Germanica. Quando nel 1848 fu disciolto il Regno Illirico, il Litorale ritornò ad essere una provincia autonoma, suddivisa fra la Contea di Gorizia e Gradisca, il Territorio di Trieste e il Margraviato d’Istria.

    Nel secolo del Risorgimento nazionale italiano la regione si trovò dunque divisa in due parti ben distinte, che ebbero un diverso sviluppo politico ed economico. Il Friuli veneto non fu mai minacciato nella sua integrità nazionale e seguì le sorti delle terre italiane del Veneto, che nel 1866 entrarono a far parte del Regno d’Italia. Gli anni della dominazione austriaca portarono un discreto progresso economico e sociale, turbato solo dalle sollevazioni popolari del 1848, quando Udine, Palma-

    nova ed Osoppo insorsero contro gli stranieri per rivendicare il diritto del Friuli di essere unito alla grande patria italiana. Nella Venezia Giulia invece l’Austria aveva vitali interessi economici e militari e cercò quindi di frustrare i sentimenti nazionali italiani che animavano la maggioranza della popolazione. Ma questi sentimenti si trasformarono a poco a poco in precise aspirazioni politiche, da cui derivò il movimento dell’« irredentismo » giuliano, che diede molto filo da torcere alle autorità austriache.

    Villa Manin a Passariano. Costruita alla fine del 1600 ospitò nel 1797 Napoleone durante i preliminari per la pace di Campoformido.

    La situazione si fece più grave nel 1882, quando l’Italia entrò a far parte della Triplice Alleanza, assieme all’Austria e alla Germania. Fu allora che un giovane triestino, Guglielmo Oberdan, per richiamare l’attenzione di tutto il mondo sul problema giuliano, preparò un attentato alla vita dell’Imperatore austriaco, in visita a Trieste in occasione del quinto centenario della sua dedizione all’Austria. L’attentato non riuscì, ma il gesto clamoroso, punito con la morte, ebbe grande risonanza ed ottenne ugualmente lo scopo.

    La lotta nazionale divenne così più accesa e cominciò ad essere alimentata da enti e associazioni sorte con lo scopo di difendere l’italianità della regione, che sul piano politico era apertamente sostenuta dal Partito Liberale Nazionale.

    Si arrivò così al 1914. L’Italia rivendicò subito il possesso della Venezia Tridentina e della Venezia Giulia, ma siccome molto diffìcilmente avrebbe potuto ottenere queste regioni dall’Austria, preferì allearsi con le potenze dell’Intesa, che nel patto di Londra si impegnarono ad assegnarle i confini naturali alpini e la Dalmazia. Dopo la conclusione vittoriosa della guerra, per cui fu determinante il contributo italiano, alla conferenza della pace prevalse però il piano della delegazione statunitense, non impegnata dal patto di Londra, che stabiliva il nuovo confine orientale italiano sulla « Linea Wilson », così chiamata dal nome del presidente americano, la quale escludeva non solo la Dalmazia, ma anche Fiume, che la delegazione italiana aveva chiesto in cambio delle terre dalmate. La conferenza lasciò in sospeso il problema, che venne risolto poi direttamente fra Italia e Jugoslavia con il trattato di Rapallo (1920). Ma dopo la marcia su Fiume dei volontari guidati da Gabriele D’Annunzio, anche questa città venne annessa all’Italia (1924).

    Guglielmo Oberdan è ricordato a Trieste da un monumento bronzeo, eretto presso la cella del Martire.

    Redipuglia. Cimitero degli eroi della Grande Guerra.

    Riuniti così nell’àmbito dello Stato Italiano, Friuli e Venezia Giulia poterono finalmente amalgamarsi, e Trieste, per la sua posizione centrale e le sue funzioni amministrative ed economiche, si avviò a divenire il nucleo di gravitazione della nuova grande regione orientale.

    La seconda guerra mondiale sconvolse ben presto la debole unità regionale giuliana. Già nel 1944 le autorità germaniche ricostituirono il « Litorale Adriatico », staccando così la regione dal resto dell’Italia. Mentre però il Friuli veniva liberato dalle truppe anglo-americane, tutta la Venezia Giulia venne occupata alla fine della guerra dall’esercito iugoslavo, con gravi conseguenze per il suo futuro politico.

    Dopo quaranta giorni di amministrazione militare iugoslava, nelle zone di Trieste e Pola subentrò il Governo Militare Alleato, in attesa delle decisioni della conferenza della pace. La regione fu allora visitata da varie commissioni d’inchiesta, in un clima di grave tensione politica nazionale, che provocò l’esodo di quasi tutti gli Italiani dall ’Istria. Alla fine venne stipulato il trattato di pace (1947), in seguito al quale furono cedute alla Jugoslavia le ex province di Fiume e di Pola e parte di quelle di Trieste e di Gorizia. Venne altresì decisa la creazione di uno Stato cuscinetto denominato Territorio Libero di Trieste, dal Timavo al Quieto (718 kmq.), che di fatto non venne mai costituito, per il disaccordo delle grandi potenze sulla nomina del governatore. Così la Zona « A » di tale territorio, comprendente la città di Trieste, il Carso triestino e il Muggesano, rimase sotto l’amministrazione militare alleata, mentre la Zona «B», comprendente le cittadine istriane di Capodistria, Pirano, Buie, Umago e Cittanova, fu amministrata dagli Jugoslavi. Dopo vicende diplomatiche molto complesse si giunse infine ad una soluzione di compromesso con il Memorandum di Londra, sottoscritto il 5 ottobre 1954 da Italia, Jugoslavia, Regno Unito e Stati Uniti. Il Territorio di Trieste potè così finalmente essere ricongiunto alla madrepatria, dopo ben dieci anni di occupazione militare, mentre aveva inizio per tutta la regione una nuova èra di pacifico sviluppo, in un clima più favorevole ai rapporti internazionali.

    Gorizia. Rovine del monumento ai Caduti, al parco della Rimembranza, fatto saltare da elementi stranieri nel 1944.