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Spoleto, Terni e Todi

    Le subregioni dell’Umbria meridionale

    Spoleto e lo Spoletino

    Spoleto sorge all’estremità meridionale della valle Umbra, tra un anfiteatro di colli ricoperti di rigogliosi oliveti e i fianchi scoscesi delle montagne che dividono la conca dalla valle del Nera. La città umbra che ebbe la maggiore importanza nella storia della regione si presenta dal basso come un agglomerato compatto che s’inerpica lungo le pendici del colle di Sant’Elia, dominato dalla massiccia mole della Rocca, che si staglia sullo sfondo verde scuro del boscoso Monteluco. Il paesaggio all’intorno non ha più la dolcezza che caratterizza il resto della valle; la stessa città ha un aspetto austero, che le deriva sia dalle spoglie architetture medioevali, sia dal color grigio della pietra calcarea con cui è costruita.

    L’origine di Spoleto si perde nella notte dei tempi. Fu certamente centro degli antichi Umbri, in un territorio abitato fin dalla preistoria. Passò nel III secolo a. C. sotto il potere dei Romani, che vi dedussero una colonia, e rimase fedele a Roma respingendo, secondo la testimonianza di Livio, durante la seconda guerra punica, l’attacco di Annibaie già vittorioso al Trasimeno. Cicerone la elogiò come « colonia latina in primis firma et illustris» e la città dovette continuare ad essere un fiorente municipio anche durante tutta l’età imperiale. Al principio del IV secolo, Costantino, prima di trasferire la sede dell’Impero da Roma a Bisanzio, vi emanò decreti, il che conferma che Spoleto conservava, anche in quel tempo, una certa importanza politica, che le derivava dall’essere una città forte e ben difesa posta sulla strada per Roma.

    Tale importanza Spoleto mantenne anche nelle vicende del primo Medio Evo. Intorno al 570 divenne la capitale del potente Ducato, che estese il suo dominio su un vasto territorio e mantenne la sua autonomia anche dopo la caduta del Regno longobardo, sotto i Franchi e i primi imperatori germanici. Fu questa l’epoca di maggior potenza della città, chiusa entro le sue salde mura, che ricalcavano il tracciato della cinta umbra e romana.

    Nel 1155 il Barbarossa, al quale Spoleto aveva tentato invano di resistere, la incendiò e la distrusse; ma poi volle riconciliarsi con la città, donando al Duomo, come narra la tradizione locale, pregevoli reliquie, che i cittadini accettarono quale pegno di pace; e lo stesso imperatore aiutò la città a risorgere dalle rovine.

    Alla fine del XII secolo Spoleto con il Ducato entrava a far parte dello Stato della Chiesa, ma non cessarono le lotte, sia con i Perugini, che ne contendevano il dominio al Pontefice, sia tra le fazioni interne dei guelfi e dei ghibellini. Solo nel 1354, con la venuta del cardinale Albornoz, iniziò un periodo di pace, che ebbe tuttavia breve durata, poiché la città fu ancora coinvolta nelle guerre tra le varie signorie dell’Italia centrale e subì occupazioni e saccheggi. Spoleto rimase comunque uno dei centri più importanti dello Stato Pontificio, che usò mandarle autorevoli governatori e dimostrò particolare interessamento alla città fornendole aiuti e promuovendone i restauri in occasione dei disastrosi terremoti che ripetutamente la danneggiarono.

    Spoleto, con le mura e la rocca, in un’antica stampa.

    Nel 1809, con l’ordinamento napoleonico, Spoleto fu nuovamente capitale dell’Umbria come capoluogo del dipartimento del Trasimeno. E la restaurazione la vide ancora in posizione preminente, a capo di una Delegazione che, oltre al tradizionale territorio spoletino fino a Bevagna, Trevi e Montefalco, comprendeva anche gran parte del Ternano. Dopo il 1860 la città rimase, nella prima suddivisione amministrativa dell’Umbria, capoluogo di uno dei sei circondari in cui era ripartita la provincia di Perugia.

    Di tutti i periodi della sua storia Spoleto ha conservato notevoli monumenti, che contribuiscono a dare alla città un aspetto caratteristico e suggestivo. Intorno alla città alta, che corrisponde al nucleo più antico dell’abitato, rimangono ancora cospicui avanzi delle mura primitive, nelle quali si riconoscono sovrapposti vari strati, da quello italico a tipo poligonale ai successivi romani e medioevali. Entro l’antica cerchia numerosi monumenti romani sono venuti recentemente alla luce, specie nell’area meridionale dove era il foro (ora piazza Sant’Ansano), non lontano dalla porta per la quale si immetteva in città la Flaminia: resti di un grandioso tempio, di un arco dedicato a Druso e Germanico e, addossata alle antiche mura, la base di un altro arco di età repubblicana; poco oltre è il teatro, di dimensioni notevoli, forse dei primi anni deH’Impero. Sotto il Palazzo Comunale è stata scoperta un’antica casa romana, che si vuole sia appartenuta a Vespasia Polla, madre di Vespasiano, mentre presso l’imbocco della Flaminia all’estremità meridionale dell’abitato sono i pochi avanzi del grandioso anfiteatro, trasformato poi in fortezza da Totila e smantellato nel Trecento dall’Albornoz per trarne materiali da costruzione per la Rocca. Prossimo all’anfiteatro si conserva, parzialmente interrato, il ponte romano detto « Sanguinario », abbandonato nel XIV secolo quando il Tessino fu deviato per innalzare la nuova cinta di mura. Non lontano è la porta Fuga, aperta nelle più antiche mura e il cui nome ricorderebbe la sconfitta di Annibaie, quando

    « urlanti vide e ruinanti in fuga « l’alta Spoleto

    « i Mauri immani e i Numidi cavalli… ».

    (Carducci, Odi Barbare).

    L’età medioevale è quella che ha lasciato le maggiori impronte, sia nella struttura della città, con strade strette e tortuose, spesso a gradinate, sia nel suo ricco patrimonio artistico: dalle basiliche di San Salvatore e di San Pietro, sorte nei primi secoli del Medio Evo negli immediati dintorni dell’abitato, a Sant’Eufemia, a San Gregorio Maggiore, al bellissimo Duomo del XII secolo, e ad altre chiese, palazzi e torri (le poche superstiti delle cento e più che si ergevano sulla città prima della distruzione operata dal Barbarossa).

    Ma anche dei secoli successivi restano a Spoleto opere insigni, specie nei numerosi palazzi privati, tra i quali è particolarmente da ricordare il cinquecentesco palazzo Arroni, che sorge presso la piazza del Duomo ed è uno dei migliori esempi di architettura civile del Rinascimento. Fiorente fu pure l’attività della pittura: Filippo Lippi e il Pinturicchio lasciarono nel Duomo pregevoli affreschi, ed una vera e propria scuola locale sorse nel Cinquecento al sèguito del pittore spoletino Giovanni Spagna.

    Dopo la metà del XIV secolo Spoleto, che fino allora era rimasta chiusa, per evidenti ragioni di sicurezza, entro la prima ristretta cerchia di mura, potè iniziare ad espandersi verso la base del colle e a nord verso il Tessino, protetta dalla più ampia cintura delle nuove mura fatte erigere dall’Albornoz insieme alla grandiosa Rocca e al gigantesco Ponte delle Torri (sorto forse su un viadotto-acquedotto precedente), che attraversava la stretta gola del Tessino fra il colle di Sant’Elia e il Monteluco, con un’altezza di circa 80 m., ed aveva lo scopo di convogliare le acque alla città alta e di collegare la fortezza al monte retrostante.

    Ma l’espansione fu assai limitata e il centro della città rimase sempre nella parte alta dell’abitato, tra la Rocca, dove risiedevano i governatori pontifici (tra questi fu anche, nel 1499, Lucrezia Borgia), e la piazza del Mercato.

    Spoleto cominciò ad ampliarsi a nord, verso il piano, oltre il corso del Tessino, solo dopo la costruzione della ferrovia; tra la città e la stazione ferroviaria si è venuto formando nell’ultimo secolo un nuovo quartiere che dal viale della stazione si estende fino alla via Flaminia, con aree residenziali, edifici militari ed alcuni stabilimenti industriali.

    L’esiguo sviluppo topografico moderno rispetto all’estensione della città medioevale è del resto spiegato dalla scarsa consistenza della popolazione, che al principio del XVIII secolo superava appena i 4000 abitanti, e diminuì ancora nel corso dello stesso secolo. Nel 1861 era salita a 6954 abitanti, a 7928 nel 1901 e a 10.579 nel 1936, con un incremento simile a quello della vicina Foligno. L’aumento più considerevole, come per altri centri dell’Umbria, si è verificato nell’ultimo periodo, portando la popolazione a poco meno di 14.000 individui.

    Spoleto fu in passato fiorente centro commerciale, per la sua felice posizione tra la valle Umbra e le montagne dell’alta vai di Nera e del Nursino, ed erano assai frequentati i suoi mercati settimanali e le numerose fiere, nelle quali affluivano i prodotti del territorio circostante: cereali, bestiame, frutta, castagne e carni suine, lana e pelli. Oggi la funzione commerciale della città è assai più ridotta, sia perchè l’economia montana è in regresso e la montagna si va spopolando, sia per l’attrazione che esercita su parte del territorio la vicina Terni.

    Nel campo industriale, decadute le tradizionali attività della lavorazione del legno e della filatura e tessitura della lana, Spoleto ha avuto un modesto sviluppo: l’attività principale per numero di addetti resta quella estrattiva delle ligniti, che è tuttavia legata al complesso industriale ternano. L’economia spoletina ha attraversato negli ultimi anni un periodo di grave crisi, che ha turbato non poco la vita della città.

    Spoleto, basilica di San Salvatore: la facciata.

    Modesto rilievo ha il turismo. Spoleto è, al pari di Gubbio, una città dimenticata dalle grandi correnti del movimento turistico; essa esercita tuttavia sempre una notevole attrazione sugli appassionati dell’arte e sugli studiosi. L’importanza storica e monumentale della città ne fa la sede più adatta del Centro italiano di studi sull’Alto Medioevo, che vi organizza congressi e settimane di studio, alle quali partecipano numerosi anche gli stranieri.

    Valle del Corno: la strada Spoleto-Norcia alla galleria di Biselli.

    Norcia: piazza San Benedetto, con la Castellina.

    In un campo alquanto differente porta qualche contributo alla vita spoletina la manifestazione artistico-mondana del Festival dei due Mondi che da alcuni anni suscita ogni estate una insolita quanto effimera animazione nelle vie della città e, relativamente alle condizioni economiche locali, rappresenta per una parte della popolazione una fonte di guadagno non trascurabile.

    Qualche importanza come luoghi di villeggiatura hanno assunto recentemente gli ameni dintorni, in particolare il Monteluco. Antica sede di una comunità di eremiti, il rifugio solitario in mezzo a una densa selva di lecci — di cui Michelangelo scriveva al Vasari : « Io sono ritornato meno che mezzo a Roma, perchè veramente non si trova pace se non nei boschi » — si è trasformato in un luogo di soggiorno estivo assai frequentato: sulla spianata intorno al vecchio convento e sulle pendici del monte, i moderni villini hanno preso il posto degli antichi eremi e una strada carrozzabile che da Spoleto in meno di 8 km. porta a 800 m. d’altezza ha sostituito l’antica mulattiera che, partendo del Ponte delle Torri, s’inerpicava lungo il pendio attraverso la folta vegetazione.

    Il territorio spoletino è per la maggior parte montagnoso. A nordest si estende, oltre la valle percorsa dal Marroggia e dal Tessino, sulle falde meridionali dei monti Martani, mentre a levante comprende i rilievi che dividono la valle Umbra dalla Val-nerina e quelli, più aspri ed elevati, che formano il fianco sinistro di quest’ultima fino alle pendici del Vettore ed alle conche di Norcia e di Leonessa.

    Ai piedi della città è la fertile piana che va allargandosi verso nord e rappresenta, con le pendici collinari che vi degradano da ponente, la porzione più intensamente coltivata e più fitta di abitati dello Spoletino. L’insediamento si raggruppa soprattutto in nuclei e in piccoli centri (siamo ormai nell’area dove sono meno frequenti le case sparse), molti dei quali conservano ancora mura e torri e resti di rocche trecentesche, come Sant’Angelo in Mèrcole, Maiano, San Giacomo (il centro maggiore della piana, con oltre un migliaio di abitanti), Beroide, Castel San Giovanni (fortezza eretta dal-l’Albornoz, caratteristica per le sue torri angolari cilindriche e quadrate).

    Sulle colline, piantate a vigneti ed a rigogliosi oliveti che forniscono il migliore olio deirUmbria, il cui commercio si concentra a Spoleto, è tutta una serie di piccoli borghi medioevali, di antichi castelli, di santuari, di suggestive chiesette romaniche, che si spingono anche oltre la fascia collinare, fin sotto la vetta del monte Martano. Castel Ritaldi e Giano, con circa 300 abitanti ciascuno, sono i centri più notevoli di quest’area, che vede lentamente diminuire la sua popolazione, attratta dalle vicine zone di pianura.

    Ben più ampio è il territorio montagnoso che fa capo a Spoleto e costituisce la regione più elevata e meno popolata, ed insieme la più isolata e povera dell’Umbria. Comprende il medio ed alto bacino del Nera, escluso il tratto iniziale del corso d’acqua, che appartiene alle Marche. La valle si svolge tra alti monti dai fianchi scoscesi, su cui la nuda roccia calcarea spesso affiora tra le macchie dei querceti; stretta e incassata, con un angusto fondovalle che appena si allarga qua e là (specie nella porzione inferiore, la Vallinarca) in piccole piane presso le confluenze, offre ben poche risorse agli abitanti, riuniti nei piccoli antichissimi borghi annidati tra le pendici rocciose.

    La morfologia del territorio rende assai disagevoli le comunicazioni: fino a non molto tempo fa gran parte dei centri era servita soltanto da mulattiere, ed asini e muli sono ancora frequentemente usati come mezzo di trasporto soprattutto per raggiungere le poche case isolate e i piccoli nuclei abitati non ancora forniti di strade rotabili.

    Due carrozzabili principali, tracciate verso la metà del secolo scorso, uniscono quest’area montana rispettivamente a Spoleto, per il valico della Forca di Cerro (m. 734) ed a Terni, per la Valnerina, congiungendosi a Piedipaterno e proseguendo per Norcia lungo le strette valli del Corno e del suo affluente Sordo. Dal 1926 vi si è aggiunta una ferrovia elettrica a scartamento ridotto, che partendo da Spoleto segue da vicino l’andamento della strada carrozzabile, e con notevoli dislivelli, gallerie, curve e tornanti raggiunge Norcia, attraversando uno dei paesaggi più pittoreschi deH’Appennino, ma impiegando ben due ore per un percorso di 50 chilometri.

    Le modestissime risorse agricole, la decadenza dell’allevamento ovino, che costituiva per la zona la principale ricchezza, le disagiate condizioni di vita in vecchie case sprovviste per la maggior parte di ogni comodità, e non di rado anche di illuminazione elettrica, la difficoltà di tenersi in contatto con le città per la deficienza delle comunicazioni, fanno sì che la montagna spoletina sia soggetta ad uno spopolamento che, iniziato già lentamente mezzo secolo fa, ha raggiunto proporzioni notevoli negli ultimi tempi e dal quale si salvano solo quei pochissimi centri che, come Norcia e Cascia, possono contare su qualche fonte di guadagno diversa da quelle tradizionali.

    Norcia, con circa 3000 abitanti, è il centro più importante della montagna. E situata a 600 m. di altezza, al margine settentrionale del vasto piano di Santa Scolastica, presso una piccola conca verdeggiante di prati e bagnata dalle limpide e abbondanti acque del torrente Sordo. Antico centro dei Sabini, rinomata ai tempi romani per i prodotti delle sue campagne, Norcia è nota soprattutto per aver dato i natali a San Benedetto, fondatore del monacheSimo occidentale. Nel Medio Evo fu importante comune e sotto lo Stato Pontificio conservò una posizione preminente nella zona come capoluogo, dal 1500, della «Prefettura della Montagna».

    A pianta regolare, contornata da mura trecentesche, Norcia ha l’aspetto di una piccola città, anche se oggi è meno popolata di un tempo. L’abitato attuale è in gran parte moderno, ricostruito dopo il terremoto del 1859, che distrusse quasi compieta-mente la città; gli edifici sono tutti bassi e molte chiese e palazzi sono caratteristici per la forte scarpata dei muri, che ha lo scopo di assicurare maggiore stabilità, in un’area che è soggetta a frequenti e disastrosi fenomeni sismici.

    Norcia: la chiesa di San Benedetto,

    Norcia: fuori le mura

    Il centro della città è la piazza San Benedetto, intorno alla quale si raggruppano i monumenti più significativi: la chiesa di San Benedetto, sorta, secondo la tradizione, nel VI secolo, sul luogo dov’era la casa natale del santo, e che, più volte rifatta e restaurata, conserva parte della facciata trecentesca ; il Palazzo Comunale, che della primitiva costruzione mantiene il portico romano del XIII secolo; il Duomo, con la facciata del Cinquecento, accanto al quale è la bella Rocca del Vignola, la Castellina, con i poderosi torrioni angolari a forte scarpata.

    A Norcia fa capo l’attività agricola della fertile piana, ben coltivata a campi e vigneti che si spingono anche sulle prime pendici montuose. Notevole vi è ancora l’allevamento ovino, per l’abbondanza dei pascoli, e anche quello suino; la lavorazione della carne di maiale ha qui un’antica tradizione : i « norcini », noti per la loro perizia, svolgono la loro attività anche fuori della regione, soprattutto a Roma, dove parecchi si sono stabiliti, pur conservando a Norcia i campi o ritornandovi talvolta d’estate per la villeggiatura. Altra importante risorsa locale è il tartufo nero, che si raccoglie nei boschi di quercia che ricoprono i monti circostanti ed è inscatolato ed esportato anche all’estero, specie in Francia.

    Vedi Anche:  Montagne, pianure e fenomeni carsici

    Biselli, piccolo centro nella valle del Corno.

    Di tutta la montagna spoletina Norcia è il maggior centro commerciale: vi si tengono numerose fiere e da qualche anno vi è stata istituita la « Mostra-Mercato del tartufo nero e dei prodotti delVartigianato e dell’agricoltura della montagna» allo scopo di incrementare il commercio dei prodotti locali.

    All’agricoltura e al commercio, Norcia aggiunge inoltre buone possibilità come luogo di soggiorno estivo, anche se finora è alquanto insufficiente l’attrezzatura; la salubrità dell’aria, l’estensione dei boschi, l’abbondanza d’acqua sono indubbiamente fattori favorevoli allo sviluppo di un turismo di villeggiatura; resta la difficoltà delle comunicazioni, che pone Norcia in condizioni di svantaggio rispetto a centri più facilmente raggiungibili ed ostacola inoltre lo sviluppo del turismo invernale — per il quale la conca di Castelluccio offrirebbe un ottimo ambiente — per il disagiato percorso sia della strada che scende alla Valnerina sia di quella che si congiunge alla Salaria passando per la Forca Canapine, ad oltre 1500 m. di altezza, e che è spesso chiusa al transito, per l’abbondante caduta di neve, nella stagione invernale.

    Nei dintorni di Norcia, oltre ai piccoli paesi che sorgono ai margini della piana, presenta un particolare interesse il villaggio di Castelluccio, il più alto centro abitato deirUmbria, posto all’estremità settentrionale del vasto piano carsico. Il paese, sorto con funzioni protettive in appoggio alla pastorizia transumante, conta circa 600 abitanti e fino a pochi anni fa viveva in un isolamento quasi completo, collegato a Norcia solo da una disagevole mulattiera scavata a tratti nella viva roccia, intransitabile nei mesi invernali.

    Cascia è l’altro centro di qualche importanza nella montagna spoletina. Sorge in una piccola conca lungo il corso del torrente Corno, a 633 m. d’altezza, sul pendio di un colle sul quale era il forte borgo medioevale. Potente comune fin dal X secolo, Cascia rimase quasi sempre indipendente fino al ’500, sostenendo vittoriosamente guerre con tutti i domini confinanti ed assoggettando oltre quaranta castelli nel territorio circostante. Sottomessa definitivamente alla Chiesa al principio del XVI secolo, la cittadina cominciò a decadere e subì poi gravi danni a causa dei terremoti: quello del 1703 la distrusse quasi completamente, uccidendo 730 persone, sicché l’antico borgo fu abbandonato e gli abitanti si riunirono ai piedi del colle dove si formò il nuovo abitato. Questo conta oggi circa un migliaio di abitanti, che vivono soprattutto dell’apporto del turismo. Numerosi pellegrini vi affluiscono infatti da ogni parte dell’Italia ed anche dall’estero, per visitare i luoghi nei quali visse Santa Rita che, nata nel vicino villaggio di Roccaporena, è sepolta a Cascia in un grandioso santuario innalzato recentemente (è stato terminato nel 1947) in sostituzione di una chiesetta esistente fin dal XVI secolo.

    Serravalle, alla confluenza del Sordo nel Corno.

    Gli altri centri della valle del Nera hanno tutti un’importanza oggi assai limitata, anche se molti di essi presentano qualche interesse sia per le bellezze naturali che per ricordi storici e monumenti dell’età medioevale.

    A nord di Norcia, oltre gli alti monti che chiudono la conca, si stende la valle del torrente Campiano, o valle Castoriana, che fu nell’alto Medio Evo rifugio di numerosi eremiti. Preci, con poco più di 500 abitanti, ne è il centro più notevole, noto in passato per i suoi valenti medici; non lontano è l’antica abbazia di Sant’Eutizio, con una bella chiesa romanica del XII secolo.

    Cerreto di Spoleto, su uno sperone che domina la confluenza del torrente Vigi nel Nera.

    La valle del Corno, strettissima, vera e propria gola, nella parte inferiore non presenta nessun abitato degno di rilievo; più in alto e quasi a iooo m. d’altezza, sorge Monteleone di Spoleto, situato ai margini dell’ampia conca di Leonessa, già importante per le sue miniere di ferro e per la ferriera che, secondo la tradizione, avrebbe fornito il metallo per i cancelli del Pantheon.

    Alla confluenza del Corno col Nera è Triponzo, piccolo borgo d’aspetto caratteristico, che prende nome dai tre ponti che attraversano i corsi d’acqua presso il paese, e conserva ancora l’antica cerchia di mura e le torri. Poco più a valle, dove sbocca la valletta del Vigi, è Cerreto, costruito su uno sperone montuoso che domina la confluenza; importante già nel XIII secolo, conteso per la sua posizione tra Spoleto e Norcia, fu distrutto da quest’ultima nel XV secolo. In basso è il Borgo, forte avanzato di Cerreto, di cui restano ancora torri e bastioni. Poco più a valle è il castello di Ponte, accanto al quale sorge l’antica chiesa romanica di Santa Maria con una caratteristica facciata rettangolare.

    Nella vallata del Vigi l’unico centro è Sellano, paesino di circa 300 abitanti, nel cui territorio si pratica ancora largamente la fabbricazione a mano delle lime e delle raspe, attività tradizionale che costituisce una buona risorsa per molte famiglie locali.

    Discendendo la Valnerina si incontrano ancora il villaggio di Piedipaterno e poco oltre, in posizione pittoresca su uno sperone montuoso, Vallo di Nera, cinto da mura e torri.

    Anche la Vallinarca, che pur presenta a tratti un fondovalle più ampio ed ha un’agricoltura meno povera rispetto alla parte alta della Valnerina, ha piccoli centri che si vanno spopolando e contano oggi 200-300 abitanti. Lungo la valle si susseguono: Castel San Felice, piccolo borgo medioevale ai piedi del quale è la graziosa chiesetta romanica di San Felice; Sant’Anatolia di Narco, gruppo di case intorno all’antico castello, affacciato su una verde conca circondata da oliveti e coltivata a tabacco; Scheggino, con ruderi di torri e di mura, e più in alto, a 1125 m. sulle scoscese pendici del monte Coscerno, Gavelli, villaggio di un centinaio di abitanti, che conserva nella chiesa di San Michele un gruppo di affreschi tra i migliori dello Spagna.

    Terni

    Terni, la maggiore città dell’Umbria per numero di abitanti, è situata nella parte orientale della sua conca, ed è uno dei pochissimi centri della regione che siano sorti e si siano sviluppati in pianura.

    Il luogo scelto fin dai tempi antichi per la costruzione della città dovette essere un lembo di terrazzo alluvionale, elevato di qualche metro sul piano circostante, alla destra del Nera, presso la confluenza del torrente Serra. Per quanto non sia possibile ricostruire con sicurezza la topografia di un’area che andò soggetta a notevoli trasformazioni per la presenza del centro abitato e le diverse sistemazioni idrauliche, si può presumere che il corso del Serra lambisse in origine l’orlo del terrazzo a nord e si unisse al Nera più a valle.

    L’antica città umbra, o forse sabina, che, secondo un’iscrizione latina del tempo di Tiberio, fu fondata 81 anni dopo Roma, sorse così tra i due fiumi, circondata quasi da ogni lato dalle acque che scendendo dalle montagne circostanti divagavano nel piano. I Romani la chiamarono Interamna Nahars (dall’antico nome del Nera), e fu dal III secolo colonia, quindi fiorente municipio, specie nella prima età imperiale.

    Terni fu più volte distrutta e saccheggiata durante le invasioni barbariche e la guerra gotica ed attraversò, nell’alto Medio Evo, un periodo di decadenza, durante il quale fu anche privata della sede vescovile che aveva avuto fin dai primi tempi del Cristianesimo, e la sua diocesi fu divisa tra Spoleto e Narni. La città entrò a far parte, col territorio circostante, del Ducato spoletino, e fu coinvolta nelle lotte tra questo e il Papato e poi tra il Papato e l’Impero. Nel 1174 fu nuovamente distrutta dall’arcivescovo Cristiano di Magonza, inviato dal Barbarossa a ristabilirvi l’autorità imperiale.

    Dall’XI secolo datano i primi ordinamenti comunali, e nel 1187 la città ebbe il riconoscimento dei suoi consoli da parte di Corrado duca di Spoleto. Terni passò più volte dalla Chiesa all’Impero ed ebbe contese con le città vicine, in particolare con la potente Narni per questioni di confine, e con Rieti per il possesso delle Màrmore ed il controllo delle acque provenienti dalla conca reatina.

    Terni, in una stampa del XVII secolo.

    Pianta di Terni e dintorni.

    Nel XIV secolo si innalzarono la fortezza e le mura, che erano rafforzate da trenta torrioni e circondavano la città da tre lati, mentre ad oriente la proteggeva il Nera, che in quel tratto corre assai rapido e profondo; prima della cinta medioevale doveva comunque esistere intorno alla città la protezione delle mura romane, delle quali un tratto è ancora visibile nella parte meridionale.

    Dopo il dominio di Ladislao di Napoli alFinizio del *400, poi di Braccio da Montone, verso il 1420 Terni tornò sotto la Chiesa, a cui rimase definitivamente; continuarono tuttavia le lotte con Todi, Narni e Spoleto, ed anche le discordie interne tra nobili e borghesi, che culminarono la notte del 25 agosto 1564 nella strage di nobili compiuta dalla fazione popolare dei Banderesi, che erano stati cacciati dalla città.

    Alla metà del XVII secolo Terni contava, secondo il censimento pontificio, poco più di 5000 abitanti; « 1918 fuochi e 8000 anime» (in questa cifra è evidentemente compreso il contado) secondo un autore locale, l’Angeloni, che in quell’epoca ne scrive la storia e fornisce la prima descrizione della città. Questa, racchiusa entro le mura, era divisa in sei quartieri: di Sotto, dei Rigoni, degli Amingoni, dei Fabbri, Castello e degli Adultrini. Al centro era la piazza Maggiore, con il palazzo Apostolico (già palazzo Comunale), dietro al quale si apriva la piazza del Mercato. Dalla piazza Maggiore, dove si teneva ogni sabato un grande mercato, iniziava la via dei Fondachi (ora corso Vecchio), nella quale erano riunite le botteghe « di mercatanti, di orefici, di droghieri, e più artefici e specierie ».

    La città era attraversata nel senso della lunghezza, da sud a nord, dalla via Flaminia, che entrava da Porta Romana, dopo aver valicato il ponte sul Nera, ed usciva dalla Porta dei Tre Monumenti (così detta perchè fino al XV secolo vi sorgevano due mausolei romani ed un arco che pare fosse dedicato a Domiziano). Altre tre porte si aprivano nelle mura: la Porta del Sesto, all’inizio della strada per Papigno e Rieti, la Porta San Giovanni, che immetteva alle campagne situate a nordest della città, e la Porta Sant’Angelo, da cui partiva la strada per Sangémini, Acquasparta e Todi.

    Dalla via principale, « altre ampie strade si diramano, che nel traverso e in ogni lato a vari trivii, piazze e luoghi pubblici e privati sono indirizzate », e nell’abitato « trascorrono varii condotti d’acque derivati dal fiume Nera, per comodo delle arti, degli edifici, dei lavoratori e delle delizie dei giardini ». Frantoi, molini, e concerie di pelli erano numerosi lungo i canali all’interno della città, e vaste aree erano riservate ai campi e agli orti, sia ad oriente, lungo il Nera, sia soprattutto nella parte occidentale, tra la Cattedrale, che sorgeva non lontana da Porta Romana, e le mura, ed a nord dell’antica chiesa di San Francesco, dove si estendevano, sempre entro le mura, i campi e i molini della famiglia Camporeali.

    L’agricoltura restava sempre, come nel Medio Evo e nell’età romana, la risorsa principale di Terni, che traeva abbondanti prodotti dalla fertile piana ricca d’acqua; e ad essa si aggiungeva la funzione di centro commerciale per una vasta zona circostante, i cui abitanti convenivano nella città in occasione delle fiere: le più antiche di esse, quella di « Santa Maria di mezzo agosto », che durava quindici giorni, e quella di Santa Lucia (detta anche « fiera dei cocci » perchè vi si vendeva ogni sorta di vasellame e stoviglie), risultano istituite fin dai primi anni del ’300; nel ’400 vi si aggiunse la fiera di San Paolo di Galleto e nel ’500 quella di Campitello, che si teneva fuori Porta Sant’Angelo. Nel XV secolo erano anche stati ammessi in città banchieri ebrei, e questi avevano il loro quartiere presso la Porta San Giovanni, intorno alla piazza che da loro prese il nome di Giudea (ora piazza Corona).

    Dal XVII secolo agli anni immediatamente successivi all’annessione all’Italia la topografia di Terni non subì sostanziali modificazioni, come appare dalle stampe che rappresentano la città nella seconda metà del ’700 e dalle piante del secolo successivo: l’abitato non si era esteso oltre le mura, entro le quali restavano ancora notevoli aree verdi ; e il tracciato delle vie, strette e tortuose, conservava al centro l’aspetto medioevale.

    Terni: visione parziale dei quartieri moderni.

    Le condizioni economiche erano rimaste pressoché immutate, attraverso periodi alterni di prosperità e di crisi. La popolazione, scesa a 4783 abitanti nel 1701, in seguito alle epidemie e carestie che afflissero tutto lo Stato Pontifìcio in quel periodo, era aumentata poi lentamente e regolarmente: 4980 unità nel 1708, 6486 nel 1736, 8329 nel 1782, 9116 all’epoca del primo censimento italiano, nel 1861.

    La trasformazione della città, con lo sviluppo topografico oltre i limiti segnati dalle mura e dal fiume, ebbe inizio negli ultimi decenni del secolo XIX, in relazione alla nuova funzione che Terni assumeva come centro industriale ed al conseguente rapido aumento della popolazione.

    Negli anni successivi alla costruzione della ferrovia Orte-Ancona (1866) si cominciava a delineare un’espansione dell’abitato in direzione della stazione, posta a nord: dalla piazza Maggiore si apriva infatti attraverso l’antica città un’ampia via rettilinea, il corso Tacito, che continuava oltre le mura nel viale della stazione; all’altezza delle mura si creava una grande piazza, che fu poi coliegata con un’altra via a Porta San Giovanni, da dove iniziava la strada della Valnerina. Lungo questa, nell’area tra il Nera e il Serra, si era venuto formando il nuovo grande quartiere industriale di Terni, con la Fabbrica d’Armi, le Acciaierie, il lanifìcio e lo iutificio, mentre a nord, presso la stazione ferroviaria, un ampio spazio era occupato dallo stabilimento degli Alti Forni e Fonderie.

    Terni, veduta aerea del centro: piazza Tacito, all’incrocio del corso omonimo con via Mazzini e viale Cesare Battisti.

    Terni: il Lungonera.

    L’abitato urbano si estese dapprima in queste due direzioni, verso nord e verso nordest, mentre la popolazione, che nel 1881 era ancora di 9415 abitanti, giungeva nel 1901 a 17406, con un aumento dell’87% in vent’anni.

    L’accrescimento continuò nel nostro secolo, a mano a mano che l’espansione dell’industria ternana richiamava in città nuovi abitanti. L’area urbana si ampliò ad occidente fuori delle mura, lungo la nuova strada di circonvallazione che univa Porta Romana con Porta Cavour (già Porta Sant’Angelo) e con il viale della stazione; ad est oltre il Nera cominciò a formarsi un nuovo quartiere residenziale, il « quartiere Giardino », con palazzine moderne ed ampi viali alberati.

    Nei dintorni della città sorsero, nel periodo tra le due guerre, i quartieri operai : a sud in continuazione del quartiere giardino, verso l’antica basilica di San Valentino; a sudest sulla strada per Papigno, a sudovest e a nordest lungo la Flaminia, ed a nord-ovest oltre la linea ferroviaria, sulla strada per Sangémini.

    Terni: viale Brin, con la Fabbrica ci’Armi e una parte della zona industriale.

    La popolazione era aumentata a 26.775 abitanti nel 1921, ed altri 11.000 se ne aggiunsero nei quindici anni successivi, incremento dovuto anche in parte alla funzione amministrativa che Terni aveva assunto nel 1927 come capoluogo della nuova provincia.

    Durante l’ultima guerra la città fu gravemente colpita dai bombardamenti aerei, che tra l’agosto 1943 e l’inizio del giugno 1944 distrussero o danneggiarono quasi il 40% degli edifici di abitazione. I danni più ingenti si ebbero nell’area presso la stazione e nella zona industriale fra il Nera il Serra, ma notevoli distruzioni si verificarono pure nell’antico abitato, entro il perimetro delle mura, specie nell’area a nord verso la stazione, in quella a nordest, adiacente al quartiere industriale, e presso Porta Romana, intorno al ponte sul Nera.

    Nel dopoguerra, insieme con la ricostruzione dell’abitato nelle parti danneggiate, Terni ha continuato l’espansione oltre gli antichi limiti, specialmente ad ovest, con nuovi quartieri, prevalentemente residenziali; ed altri quartieri di case popolari si sono aggiunti a quelli già esistenti, specie a sud sulle prime pendici collinari, lungo le strade che uniscono la città ai centri minori della conca. Un particolare sviluppo si è verificato a sudovest, sulla via Flaminia, in relazione all’esistenza dello stabilimento Polymer-Montecatini.

    Vedi Anche:  Attività industriali e commerciali

    La città attuale, che nel 1951 contava 53.163 abitanti, occupa quindi una vasta area, occupata in parte da costruzioni continue su un tessuto di vie ampie e regolari, in parte da un abitato disperso in nuclei minori, anche a considerevole distanza dal centro, come le recenti gemmazioni sorte lungo la Fiamma e quelle sulla strada per Sangémini. Il centro della vita cittadina, costituito fino ad una ventina di anni fa dalla piazza Maggiore (ora piazza del Popolo) e dalle sue immediate adiacenze, si è esteso lungo l’asse di corso Tacito verso la piazza omonima.

    Raccordo ferroviario fra la stazione di Terni e le Acciaierie.

    Scomparse quasi del tutto le mura trecentesche, delle quali restano solo alcuni tratti, e distrutto parzialmente il quartiere medioevale che si estendeva nella parte orientale deirabitato, Terni ha assunto una fisionomia completamente moderna, conservando ben poche testimonianze dell’antica città. Notevoli sono tuttavia, oltre ai resti dell’anfiteatro romano, eretto nei primi anni dell’Impero, alcune antiche chiese: San Salvatore, del XII secolo, con un nucleo primitivo a pianta circolare, che si attribuisce al secolo V ; il Duomo, rinnovato nel Seicento, ma che serba ancora qualche traccia della precedente costruzione romanica; la gotica chiesa di San Francesco, sorta nel 1265 e più volte restaurata, nella quale presenta un particolare interesse la cappella Paradisi, ornata di affreschi pregiotteschi; San Pietro, che recenti restauri hanno riportato al primitivo aspetto, rimettendo in luce importanti affreschi che rivelano l’influenza di correnti artistiche locali, abruzzesi, folignate e toscane.

    Alcuni antichi palazzi conservano inoltre tracce della struttura medioevale, nonostante che siano stati rimaneggiati in epoca recente. Tra gli edifici cinquecenteschi sono particolarmente da ricordare il palazzo Bianchini Riccardi, che sorge sulla piazza del Duomo, e il grandioso palazzo Spada, ultima opera di Antonio da Sangallo il Giovane.

    Il Ternano

    Il territorio che fa capo a Terni comprende la bassa valle del Nera, con la conca ternana e le montagne che la circondano, e giunge fino al corso del Tevere che in questo tratto separa l’Umbria dal Lazio.

    Il paesaggio presenta, pur entro un’area limitata, notevole varietà. Ad ovest dominano le aspre montagne calcaree fra le quali scorre il Nera prima di giungere nella piana; ad est si innalza la dorsale dei monti d’Amelia, che il fiume taglia presso Narni, ed oltre la quale si allarga la valle del Tevere; a sud sono le prime pendici dei monti Sabini, che dividono il Ternano dal Reatino; verso nord si estende, fra il monte Me-lézzole e lo sperone del monte Torre Maggiore, una zona di basse colline che separano dal Todino la conca ternana. Questa, solcata dal Nera e dai suoi minori affluenti, è una delle più ampie e fertili piane alluvionali deH’Umbria, e la più ricca d’acque, che, incanalate ed utilizzate fin dai tempi lontani, ne hanno fatto un’importante area agricola, famosa già nell’antichità per l’abbondanza dei suoi prodotti, ricordata anche da Plinio (« Interamnae in Umbria quater anno secantur prata ») e da Tacito. Lo sviluppo industriale dell’ultimo secolo ha trasformato sensibilmente l’aspetto della conca e delle sue immediate adiacenze, in particolare all’estremità orientale, con gli stabilimenti e le centrali elettriche di Terni, e in quella occidentale, con le industrie di Narni e Nera Montoro. Ed è notevolmente mutata anche la densità e la distribuzione della popolazione, attratta dalla maggiore città che ha esteso ampiamente la sua superficie raggiungendo ormai quasi con l’abitato urbano i centri minori più vicini, come Papigno e Collescipoli. Mentre è aumentata la popolazione della conca, nella quale sono anche numerose le case sparse, e in alcuni centri più facilmente collegati con Terni, si è invece verificata una riduzione del numero di abitanti nelle località più elevate e più lontane dalle aree industriali.

    Il promontorio di Piediluco.

    Risalendo da Terni la Valnerina si ritrova, appena superata l’area industriale della città, che si estende fino a Papigno, il paesaggio aspro e suggestivo caratteristico di gran parte di questa valle, scavata profondamente nei calcari, tra fianchi rocciosi, coperti di rada macchia o di denso bosco di querce.

    A circa 2 km. oltre Papigno è la cascata delle Màrmore, attraverso la quale il Velino scarica le sue acque nel Nera. Formata artificialmente nel III secolo a. C. dal console romano Mario Curio Dentato, con l’escavazione di un canale attraverso lo sbarra-

    mento della conca reatina, nella quale si impaludava il Velino, la cascata fu sempre oggetto di contestazioni fra Terni e Rieti, fino all’età moderna, quando la forza della grande massa d’acqua che precipita da un’altezza di 160 m. cominciò ad essere utilizzata per dar vita al grande complesso industriale ternano. Il taglio del canale Curiano, se aveva consentito la bonifica della piana reatina, aveva creato una minaccia di inondazioni per la conca sottostante e la bassa Valnerina. Già al tempo di Cicerone vi fu una disputa fra le due città, perchè i ternani volevano che il canale fosse chiuso, mentre i reatini ne chiedevano l’approfondimento. Più tardi, al tempo di Tiberio, avendo il Tevere inondato Roma, si cercarono altre soluzioni per risolvere il problema del deflusso delle acque del Velino e del Nera, ma non fu attuata alcuna modificazione. Nel Medio Evo i ternani cercarono di assicurarsi il controllo della cascata, e costruirono a loro difesa una rocca sul Monte Sant’Angelo, che sovrastale Màrmore; ma al principio del ’400 i reatini se ne impadronirono per scavare un nuovo canale, essendo il cavo curiano ormai ostruito dalle incrostazioni calcaree. Ne derivarono lotte tra le due città e fu infine aperto il canale detto Reatino (e poi Gregoriano, perchè fu fatto approfondire e sistemare da Gregorio XIII nel secolo successivo) che fu però insufficiente a smaltire le acque. Più tardi il Sangallo costruì, per incarico di Paolo III, il canale Paolino, ma poiché neppure questo riusciva ad impedire l’impaludamento del Velino, al principio del XVIII secolo Clemente Vili fece riaprire il cavo curiano, approfondendolo di 5 metri ; alla cava Clementina, che assicurava finalmente il totale deflusso delle acque, fu aggiunto un Ponte regolatore con lo scopo, non tuttavia completamente raggiunto, di trattenere l’eccesso di acque durante le piene e di evitare così le inondazioni nella valle del Nera. Ancora alla fine del ’700 si dovette deviare, con il Taglio diagonale di Pio VI, una parte dell’ultimo salto della cascata.

    La prima opera moderna che sottrasse parte delle acque alla grandiosa cascata fu il canale Nerino, che attingeva direttamente al Velino presso il ponte regolatore. Venne poi l’utilizzazione da parte degli impianti idroelettrici e l’acqua fu imprigionata totalmente nelle condutture forzate, ritornando a defluire liberamente lungo lo strapiombo roccioso solo durante le giornate festive.

    A monte della cascata delle Màrmore, a nord della conca reatina, si estende il lago di Piediluco, pittoresco specchio d’acqua chiuso fra verdi colli. L’unico centro sulla riva del lago è Piediluco, villaggio di circa 1200 abitanti, allungato con una fila di bianche case e villette sulla sponda settentrionale del lago ai piedi di un monte conico sul quale sorge la Rocca. Di questa, forse anteriore al Mille e fatta ricostruire dalTAlbornoz nel 1364, restano solo i ruderi e le mura turrite che univano la fortezza al paese. L’abitato fu più volte danneggiato dai terremoti: dell’età medioevale conserva l’interessante chiesa gotica di San Francesco che risale alla fine del XIII secolo. Piediluco è centro di pesca ed ha inoltre un discreto movimento turistico, dovuto sia all’amenità del luogo ed alle attrattive offerte dal tranquillo specchio lacustre, sia alla vicinanza di Terni e di Rieti, alle quali è collegato mediante la ferrovia Terni-L’Aquila e la strada statale Ternana.

    Casa caratteristica di Otricoli.

    Oltre le Màrmore, il fondovalle del Nera si fa più ampio; campi, vigneti e frutteti si alternano nella piana, mentre la macchia di querce cede il posto agli oliveti. Resti di torri di guardia medioevali e piccoli centri compatti appaiono sugli sproni e sui poggi che dominano la valle. Sulla destra del fiume è Collestatte (1267 abitanti), con l’antico castello cinto di mura, e più in basso l’abitato recente. Poco oltre è Torre Orsina, poi sulla sinistra Casteldilago e quindi Arrone, paese di poco più di 1200 abitanti, posto sulla cima di un colle presso lo sbocco della vailetta del fosso di Rosciano. Più in alto tra le montagne sorge il piccolo villaggio di Poiino, il centro più elevato del Ternano, a 835 m., solo da pochi anni collegato alla Valnerina con una strada carrozzabile.

    Dopo Montefranco, antico possesso del Ducato spoletino, con l’antico borgo cinto di mura, si raggiunge Ferentillo, posto su due sproni che chiudono la valle in una gola; il paese, che conta un migliaio di abitanti, è formato dalle due borgate di Materella e Precetto, ciascuna sormontata dagli avanzi di una rocca e di mura. L’antico centro sorse probabilmente nell’alto Medio Evo, ed è noto per le « mummie » che si conservano nella cripta della chiesa di Santo Stefano a Precetto: infatti a causa del suolo calcareo e della ventilazione dell’ambiente le salme deposte sul fondo della cripta, adibita a cimitero, subivano un completo processo di mummificazione in tempo brevissimo, un anno o poco più.

    A 6 km. da Ferentillo, nel tratto in cui la valle si restringe maggiormente, fra torri e castelli medioevali, sorge la famosa abbazia di San Pietro in Valle, fondata da Faroaldo II Duca di Spoleto al principio dell’VIII secolo e recentemente restaurata. L’abbazia, con la semplice chiesa romanica, l’armonioso campanile e il bellissimo chiostro a due ordini del XII secolo, rappresenta il più importante monumento che si ricolleghi alla storia del Ducato spoletino.

    Le pendici collinari che circondano la conca di Terni, coltivate prevalentemente ad olivi, hanno un notevole insediamento sparso o riunito in piccoli nuclei specie nella parte meridionale che confina con la Sabina e della quale ricorda l’aspetto per molti caratteri del paesaggio. I pochi centri sono tutti in posizione elevata e sono di tipo compatto, costruiti su pendio.

    Stroncone, a sud di Terni, a 451 m. d’altezza, è un pittoresco borgo che conserva in parte le mura e le torri. Le sue origini risalgono al X secolo; appartenne all’abbazia di Farfa, poi per lungo tempo restò indipendente grazie alla sua forte posizione. Sostenne durante il XIII secolo lunghe lotte con Narni e nel 1527 subì il saccheggio da parte dei Lanzichenecchi. Il paese, che conta circa 900 abitanti, ha nell’abitato alcune case medioevali ed antiche chiese tra le quali è da ricordare quella di San Francesco, che si vuole fondata dal Santo nel 1213. Non lontano da Stroncone, in una sella tra il monte Terminuto e il monte Rotondo sono le rovine dell’abbazia di San Benedetto in Fundis fondata alla fine deH’VIII secolo da Anna, madre di Adelchi.

    Già sul versante della valle del Tevere sorgono i due centri più meridionali dell’Umbria: Calvi e Otricoli. Il primo è un piccolo borgo di origine medioevale situato sulle pendici del boscoso monte San Pancrazio, che ha qualche importanza come luogo di villeggiatura. Otricoli, anch’esso modesto paese agricolo di neppure 800 abitanti, è un caratteristico borgo compatto cinto di mura e torri, posto su un’altura poco lontano dal Tevere, lungo la via Flaminia. Qui sorgeva già l’antica città umbra, che nel 308 a. C. divenne alleata di Roma. Distrutta durante la guerra sociale, Ocriculum fu poi ricostruita ai piedi del colle e divenne fiorente municipio, ma nel Medio Evo gli abitanti l’abbandonarono per sfuggire le inondazioni del fiume e posero nuovamente la loro sede sul colle. Presso la chiesetta di San Vittore, un centinaio di metri più in basso ddl’abitato attuale, rimangono gli avanzi della città romana, resti di un teatro, di un anfiteatro, di un edificio termale, ecc. ; gli scavi eseguiti nella località a cura dei Musei Vaticani alla fine del ’700 hanno portato in luce anche numerose iscrizioni, mosaici e sculture, fra le quali è famosa la colossale testa di Giove, che si ritiene copia del Giove Olimpico di Fidia.

    Narni vista dall’aereo: in primo piano la Rocca.

    All’estremità occidentale della conca ternana è Narni, situata in una posizione tra le più pittoresche, su uno sperone di roccia calcarea, ai cui piedi, circa 150 m. più in basso, scorre il Nera, incassato in una stretta gola. Antico centro umbro denominato Nequinum, fu detta dai romani Narnia (dal nome del fiume, Nar) ed ebbe importanza militare come stazione sulla via Flaminia nel punto in cui da questa si staccava il ramo secondario, diretto a Foligno per Terni e Spoleto, che divenne il più frequentato nei tempi dell’Impero. Fu gastaldato longobardo, quindi si mantenne indipendente, ribellandosi alla signoria della Chiesa e dell’Impero ed estendendo il suo dominio, nel XII secolo, ad un vasto territorio circostante. La sua posizione sicura e di facile difesa le permise di resistere a numerosi attacchi, ma la città fu presa e saccheggiata nel 1174 da Cristiano di Magonza, per non aver voluto sottomettersi al Barbarossa. L’inizio della decadenza per la potente Narni fu segnato dal passaggio dei Lanzichenecchi, che nel 1527, di ritorno dal sacco di Roma, assediarono la città e la conquistarono, seminando stragi e rovine. Leandro Alberti, che vi era stato nel 1530, narra nella sua Descrittione di tutta la Italia di aver trovato Narni priva di abitanti ed in stato di desolazione.

    Narni: un aspetto dell’abitato.

    Narni-Scalo: la zona industriale nella piana, ai piedi dell’antico centro.

    Un nuovo periodo di sviluppo della città è cominciato alla fine del secolo scorso, con l’industrializzazione della conca ternana e la costruzione dei grandiosi stabilimenti del linoleum, poi del carburo di calcio e dell’elettrocarbonio, sorti nella piana sottostante, presso la stazione ferroviaria. La popolazione del centro, che era di 2835 abitanti nel 1901, si era quasi raddoppiata nel 1951, raggiungendo 5500 unità, mentre presso la nuova zona industriale si è sviluppato il nuovo centro di Narni Scalo (1565 abitanti), allungato ai piedi della vecchia città, tra il ponte della statale Tiberina sul Nera e la stazione. Narni ha conservato in gran parte l’aspetto della città medioevale. Nel punto più alto del colle s’innalza la Rocca eretta verso il 1370 da Ugolino di Mon-temarte per incarico dell’Albornoz. Immediatamente sotto la Rocca è la parte più caratteristica dell’antico abitato, con angusti vicoli in pendio attraversati da pittoreschi cavalcavia. Ma un po’ dovunque nella città s’incontrano case e strade medioevali, strette e tortuose, dal fondo acciottolato. Numerosi sono gli edifìci che ricordano il periodo di maggior floridezza e potenza di Narni, dal Palazzo del Podestà, costruzione romanica del XIII secolo, alle fontane che ornano diverse piazze ed alle alte torri che s’innalzano a fianco di antiche case; dalla trecentesca Loggia dei Priori, attribuita al Gattaponi, al Duomo dedicato a San Giovenale, primo vescovo della città, e consacrato nel ii 45. Notevoli sono pure le chiesette di Santa Maria in Pénsole, di San Domenico, quella di San Francesco eretta nel XIV secolo sul posto di un oratorio fondato dal Santo, edifìci romanici del secolo XII con bei portali scolpiti e, appena fuori dell’abitato, la chiesa e il convento di San Girolamo a forma di castello con torri angolari. Pochi avanzi restano di Narni romana: la Porta Superiore detta comunemente Arco del Vescovo, per la quale entrava la Flaminia, e una delle quattro arcate del grandioso ponte d’Augusto che valicava il Nera presso la città.

    Sulle pendici che chiudono a nord la conca ternana, il centro più notevole è Sangé-mini, l’antica Casventum, che fu nel Medio Evo uno dei principali castelli delle « Terre Arnolfe » (così dette dal loro primo feudatario), poste fra Terni, Narni e Spoleto e sotto il protettorato di quest’ultima. La cittadina, che conta circa 1300 abitanti, sorge su un poggio tra colline coperte di olivi, ed ha un aspetto ridente, con l’abitato in parte antico, cinto ancora a tratti dalle mura castellane, in parte moderno, allungato lungo la statale Ternana verso la stazione della ferrovia Centrale Umbra. A circa 2 km. a nord di Sangémini si trova, circondata da un imponente e suggestivo parco, la sorgente dell’acqua minerale, che dà fama alla località.

    Vedi Anche:  Caratteri fisici e pischici della popolazione, dialetti e cucina

    Panorama di Amelia.

    Una via di Amelia.

    Non lontano da Sangémini, annidato sulle pendici occidentali del monte Torre Maggiore, sorge Cesi, un caratteristico borgo medioevale presso il quale si trovano resti di mura poligonali, di tipo italico primitivo, che testimoniano l’esistenza nel luogo di un antichissimo insediamento. Cesi fu capoluogo delle Terre Arnolfe e potente antagonista di Terni, con la quale sostenne lotte per due secoli. Fu più tardi sotto la signoria dei Cesi d’Acquasparta dei quali conserva un palazzo che, insieme con alcune chiese romaniche, è uno dei più insigni edifici della cittadina. Poco più a nord, sopra Sangémini, sono i resti del municipio romano di Carsulae, distrutto forse dai Goti nel VI secolo e che recenti scavi hanno riportato parzialmente alla luce; era attraversato dall’antica Flaminia che da Narni saliva a valicare i monti Martani: notevole è un tratto lastricato della via consolare, sormontato da un grandioso arco (detto l’arco di San Damiano da una chiesetta medioevale che sorge nelle vicinanze), che corrispondeva probabilmente alla porta settentrionale della città.

    Lagnano in Teverina: la chiesa di Santa Maria Assunta

    Nella valle del torrente Naia, che scende al Tevere presso Todi, sorge Acquasparta (1584 abitanti) altro centro di acque minerali — per quanto meno famosa di Sangémini — e località di soggiorno estivo di qualche importanza per la sua posizione in mezzo a colline ricche di boschi e per la salubrità del clima. E collegata a Perugia e alla conca ternana dalla strada statale Tiberina che si stacca a Narni dalla Flaminia. Il principale edificio della cittadina, che appare ancora cinta di mura medioevali con torri cilindriche, è il grandioso palazzo Cesi, costruito nella seconda metà del Cinquecento, residenza del principe Federico Cesi, che vi ebbe anche ospite Galileo Galilei.

    Nella Teverina, di cui appartiene all’Umbria il solo versante sinistro, boscoso in alto e in alcuni tratti dirupato e scosceso nella parte più bassa, il centro di maggiore rilievo è Amelia, situata a 406 m. d’altezza su un poggio alla destra del fosso Grande, che confluisce nel Tevere poco prima di Orte. Amelia fu una delle più antiche e notevoli città umbre, fondata, secondo la tradizione riportata da Catone, oltre mille anni avanti l’era volgare; è ancora cinta in gran parte dalle primitive mura italiche, molto ben conservate, che si elevano imponenti intorno all’abitato per un’altezza di circa 10 m. e uno spessore da 3 a 5 m.; sono costituite da grandi massi irregolarmente squadrati, uniti insieme senza cemento e perfettamente connessi. Fiorente municipio romano, di cui Cicerone, nell’orazione Pro Roscio, ricorda la fertilità del territorio, Amelia fu importante luogo fortificato nel Medio Evo, prima dei Longobardi, poi della Chiesa ed ebbe fin dal IV secolo la sede vescovile che conserva tuttora. La sua posizione isolata non ha favorito uno sviluppo moderno della cittadina, la cui popolazione è rimasta pressoché stazionaria nell’ultimo secolo ed è oggi di poco più di 3000 abitanti. Il centro è costruito sul pendio del colle, sulla sommità del quale si eleva il Duomo, con il poderoso campanile romanico a pianta dodecagona; conserva alcuni antichi palazzi e chiese trecentesche.

    Lungo la strada Amerina, che passando per Amelia congiunge Narni ad Orvieto e si snoda a mezza costa sul versante della valle del Tevere, s’incontrano altri centri minori che sorgono sull’alto di poggi coltivati ad olivo e vigneto ed hanno mantenuto in gran parte la caratteristica di borghi compatti di aspetto medioevale: Porchiano (466 ab.), Lugnano in Teverina (954 ab.), già importante luogo fortificato, che conserva un gioiello dell’arte romanica umbra nella chiesa di Santa Maria Assunta, della seconda metà del XII secolo; Alviano (718 ab.) entro una cerchia di colli squarciati in parte da calanchi, con il grandioso castello quattrocentesco; Guardea (1133 ab.), paese moderno ai piedi di un’altura boscosa sulla quale sono i ruderi, con un’alta torre, dell’antico borgo già feudo dei conti di Marsciano e poi abbandonato; Baschi (619 ab.), sulle pendici di un poggio alla sinistra del Tevere nel tratto in cui la valle si restringe, poco a sud della confluenza del Paglia. Su due lembi di terrazzi prossimi al fondo-valle, sono i piccoli centri di Penna in Teverina (732 ab.) e Giove (962 ab.), e sull’orlo del più basso terrazzo alluvionale, elevato di una cinquantina di metri sul letto del fiume, sorge Attigliano (963 ab.) costituito da un vecchio borgo compatto, che conserva resti di mura, e da un abitato recente sviluppatosi verso la stazione ferroviaria. È centro di lavorazione del tabacco che si coltiva nella piana sottostante.

    L’Orvietano

    L’Orvietano si estende sulla destra del Tevere, comprendendo le pendici nord-orientali dei monti Volsini, la bassa valle del Paglia e quella del Chiani e il gruppo del monte Peglia che s’interpone tra la depressione percorsa dal Chiani e la valle del Tevere. Il territorio è in gran parte collinare, con limitate aree pianeggianti sul fondovalle del Paglia e del Tevere, ed è intensamente coltivato ad olivi e vigneti: questi ultimi particolarmente estesi sui terreni vulcanici alla destra del Paglia, dove si produce il ben noto vino bianco d’Orvieto. A fianco di queste colture tradizionali si è diffusa modernamente, soprattutto nella piana ricca di acqua sotto Orvieto, la coltura del tabacco che ha sostituito quella più antica della canapa, un tempo comune nella zona. La popolazione è scarsa, specie nella parte settentrionale, sui fianchi del monte Peglia parzialmente coperti da boschi di quercia. I centri, tutti assai modesti ad eccezione di Orvieto, sorgono in prevalenza sulle alture a una certa distanza dal fondo delle valli, mentre piccoli nuclei abitati si sono sviluppati recentemente presso le stazioni della ferrovia Firenze-Roma che attraversa il territorio seguendo per un tratto il Chiani e passando poi alla vallata del Paglia. Lungo la valle del Chiani sono Monteleone d’Orvieto (573 ab.), su uno sprone proteso sulla piana sottostante solcata da canali e verdeggiante di coltivazioni; Montegabbione (515 ab.), più in alto, su un colle tra olivi e querceti; Parrano e Fabbro; Ficulle (1046 ab.), grosso borgo sorto nel X secolo, cinto in parte da mura e torri medioevali. Sulle alture alla sinistra del Paglia è il piccolo paese di Allerona (633 ab.); sui ripiani tufacei intorno ad Orvieto sorgono Monte Rubiaglio (823 ab.), in posizione pittoresca sulla valle, Castel Viscardo (1282 ab.) e Castel Giorgio (1036 ab.), centri agricoli di sviluppo in gran parte recente, in un’area di fitto insediamento sparso e intensamente coltivata a campi e vigneti.

    L’Orvietano non appartiene all’Umbria tradizionale; fu unito alla regione solo con l’annessione all’Italia e fece parte dapprima dell’unica provincia di Perugia, poi, dal 1927, fu assegnato alla nuova provincia di Terni. Ma fino al 1860 il piccolo territorio aveva avuto una vita pressoché autonoma sotto la protezione della Chiesa, senza essere mai aggregato al Patrimonio di San Pietro, con il quale confinava ad occidente ; il corso del Tevere, d’altra parte, lo divideva daH’Umbria più che non lo separassero dal Viterbese i non elevati rilievi vulcanici dei monti Volsini. Ancora oggi parte del-l’Orvietano, e in special modo Orvieto, gravita, piuttosto che sul capoluogo della provincia, verso Viterbo, da cui dista solo 45 km. di strada statale (contro gli 85 che lo separano da Terni), e soprattutto verso Roma, che si raggiunge per ferrovia in un’ora e mezza.

    Orvieto è situata su di un ripiano di tufo vulcanico, dalle ripide pareti, emergente come un’isola sulla valle del Paglia, che scorre 200 m. più in basso. Il luogo, abitato già in tempi assai remoti, fu sede di un importante centro etrusco, del quale restano testimonianze nelle ricche necropoli esistenti nei dintorni e che corrispondeva forse all’antica Volsinii, distrutta nel III secolo a. C. e ricostruita dove oggi sorge Bolsena: quest’ultima ne avrebbe preso il nome e la vecchia città sarebbe stata indicata allora come Volsinii Veteres, od anche Urbs Vetus, da cui la denominazione attuale. Se non è sicura l’identificazione con l’etrusca Volsinii, è però certo che la città, dopo un periodo di decadenza e forse di abbandono nell’età romana, divenne nuovamente centro importante già nell’alto Medio Evo per la sua posizione sicura. Tra il XII e il XIII secolo Orvieto ebbe le prime istituzioni comunali e cominciarono a sorgervi le torri e le case-torri dei nobili del contado che si inurbavano. Iniziò allora il periodo di maggior floridezza e potenza della città che si costituì un vasto dominio sul territorio circostante, lottando con Siena e Viterbo, quindi con Todi e Perugia; pare che Orvieto, sede di fiorenti industrie, cercasse anche di assicurarsi uno sbocco al mare spingendo i suoi possessi fino ad Orbetello. Fu soggiorno prediletto di molti papi, che tentarono anche a più riprese di pacificare la città agitata dalle contese interne tra i Monaldeschi guelfi ed i Filippeschi ghibellini, divenute proverbiali e ricordate anche da Dante (Purgatorio, VI, 107).

    Paesaggio collinare dell’Orvietano: in fondo a destra è Ficulle

    Nel 1263 dimorava in Orvieto papa Urbano IV quando avvenne a Bolsena il miracolo del Corporale e dalla stessa città l’anno seguente il Pontefice emanò la bolla che istituiva la festa del Corpus Domini; inoltre per celebrare il prodigio si decise di innalzare il grandioso Duomo, la cui prima pietra fu posta nel 1290.

    Con la venuta dell’Albornoz, alla metà del Trecento, Orvieto perse le libertà comunali: il cardinale abolì l’elezione del podestà e del capitano del popolo, vi sostituì un vicario generale della Chiesa e fece innalzare la Rocca. Ma qualche anno più tardi il papa le restituì la libertà concedendo che la città si erigesse in capoluogo di provincia, ed il suo territorio prese il nome di Stato Orvietano.

    Cacciati i Filippeschi al principio del XIV secolo, le lotte interne tuttavia continuarono tra le due fazioni nelle quali si erano divisi i Monaldeschi, quella dei Malcorini e quella dei Beffati, che si rappacificarono solo verso la metà del secolo successivo dopo molte uccisioni e distruzioni che avevano impoverito la città. Questa tuttavia ben presto si riprese, tanto che nel ’500 FAlberti poteva constatare come gli abitanti fossero di nuovo « assai cresciuti così in moltitudine come in ricchezza ». In seguito Orvieto non ebbe più storia propria e seguì le sorti delle altre città dello Stato Pontificio.

    L’abitato attuale conserva in gran parte le caratteristiche del vecchio centro, che si estendeva principalmente nella parte centrale del ripiano. Ai margini settentrionali, dov’erano in passato campi e orti, sono oggi alcune caserme. Ma il resto della città ha mantenuto l’aspetto medioevale, con viuzze tortuose, fiancheggiate da basse costruzioni irregolari, che creano spesso pittoresche prospettive. Il Duomo, che sorge nella parte più alta dell’abitato e domina il panorama della città, ne è il monumento più notevole, con la grande facciata policroma a forma di gigantesco trittico ogivale e la imponente mole del tempio romanico, ricco aH’interno di tanti capolavori della scultura e della pittura. Presso il Duomo sono due bei palazzi del XIII secolo, il Palazzo Vescovile e quello dei Papi, nel quale è raccolto il museo dell’Opera del Duomo. Al periodo di maggiore splendore della città appartengono anche il Palazzo Comunale, che risale al 1216, e il Palazzo del Popolo, grandiosa costruzione in tufo della metà del Duecento, in stile romanico-gotico, oltre ad alcune belle chiese.

    L’antico convento della Trinità, presso Orvieto, ora sede del maggiore stabilimento enologico dell’Orvietano.

    Orvieto in un’antica stampa.

    Città suggestiva per la sua posizione e ricca di opere d’arte, Orvieto è uno dei centri di maggior attrazione turistica dell’Umbria, favorita anche da agevoli comunicazioni con i centri maggiori dell’Italia centrale. Ma le sue possibilità di sviluppo sono limitate. La popolazione, che era di 7700 abitanti nel 1861, è andata diminuendo, sia pur lievemente, fino al 1921, quando era scesa a poco più di 7000. In sèguito si è verificato un lento accrescimento, che ha portato la città a 9420 abitanti nel 1951, mentre un centro minore, che raggruppa circa 800 persone, si è sviluppato presso la stazione ferroviaria, al margine della piana.

    Todi

    Fra il Perugino, il Ternano e l’Orvietano si trova il piccolo territorio che fa capo alla città di Todi. Racchiuso fra più ampi territori tradizionalmente legati ai maggiori centri politici e amministrativi del passato, il Todino rappresenta quasi una sintesi minore dell’Umbria. Il suo isolamento, protratto fino ai tempi recenti, è alla base dell’unità di interessi e di vita, consolidata dalle vicende passate, che gli conferisce una individualità nell’ambito della regione, a dispetto quasi dell’esiguità territoriale, così come l’Umbria nel più vasto quadro delle regioni italiane.

    Il territorio è costituito in prevalenza da colline e dalla pianura che si estende lungo la valle del Tevere, e delimitato ad est dalla catena del monte Martano e ad occidente dalle pendici del monte Peglia. Fertile e ricco d’acque, specie nella valletta del Naia, che scende da Acquasparta per raggiungere il Tevere non lontano dalla città, è intensamente coltivato a campi e vigneti in piano e sulle basse colline, mentre più in alto si estendono rigogliosi oliveti. Tra i seminativi hanno una discreta importanza il tabacco e le colture ortive a pieno campo. L’insediamento è per la maggior parte sparso o riunito in piccoli nuclei. Alcuni piccoli centri compatti sorgono sui poggi che fiancheggiano la valle del Tevere: Fratta Todina, Monte Castello di Vibio, Monte Violino; nella valle del Naia è Massa Martana.

    Orvieto: la chiesa di San Giovenale, dell’XI secolo.

    Todi: Porta Perugina.

    In mezzo ad un paesaggio di dolci colline, su un poggio che sorge quasi isolato a guardia della valle del Tevere, dove questa si restringe piegando a sudovest, è posta Todi, una delle più caratteristiche città dell’Umbria. Centro etrusco e poi notevole città romana, situata sulla via Amerina, che univa Amelia a Perugia, Todi fu in parte risparmiata dalle invasioni barbariche per la sua forte posizione e mantenne la sua importanza nel Medio Evo lottando con le città vicine ed estendendo i suoi possessi fino al Tevere. La città cominciò a decadere nel Trecento e non si risollevò più: passò da una signoria all’altra finché rimase definitivamente sotto la Chiesa.

    Sorta in origine sulla sommità del colle, Todi andò poi ampliandosi sulle pendici; le fasi successive di sviluppo, dalla città etrusca a quella romana e medioevale, sono segnate dalle tre cinte di mura ancora visibili in parte entro e intorno all’abitato; particolarmente notevoli i resti delle mura etrusche, che racchiudevano la parte più alta della città ed erano costruite con grandi blocchi regolari di travertino. Le mura medioevali che risalgono al XIV secolo rappresentano il massimo limite di espansione del centro, con due propaggini che seguono i due speroni del colle ad est ed a nord: entro questi limiti Todi è rimasta fino ad oggi, mantenendo invariato l’antico aspetto. Del resto, se è mancato negli ultimi secoli uno sviluppo topografico della città, anche la popolazione si è mantenuta pressoché stazionaria, con periodi alterni di regresso e di ripresa: nel 1656 Todi contava 3625 abitanti; 2851 nel 1736; 3300 nel 1861; 3072 nel 1901 ; 3457 nel 1921 ; nei trentanni successivi l’aumento è continuato costante, ma lento, portando la popolazione a 4648 unità.

    Todi vista dall’aereo.

    Todi: il Palazzo del Popolo e la piazza Garibaldi, dalla quale si ammira un ampio panorama sui colli umbri.

    Isolata per lungo tempo dal resto della regione a causa della difficoltà delle comunicazioni, Todi è ancora una piccola città solitaria, poco conosciuta, che tuttavia possiede motivi di richiamo non inferiori a quelli di centri più famosi. Basterebbe ricordare la bellissima piazza rettangolare, al centro della città, chiusa tra gli armoniosi palazzi dei Priori, del Popolo e del Capitano e la facciata romanica del Duomo che si eleva su un’ampia scalinata; la chiesa trecentesca di San Fortunato, con a fianco l’ex convento francescano, dove visse per alcuni anni Fra’ Iacopone; e, poco oltre, il grande piazzale sistemato sugli avanzi della Rocca, dal quale lo sguardo spazia su uno dei panorami più suggestivi dell’Umbria.