Vai al contenuto

Trieste, Gorizia, Udine, Pordenone e Montefalcone

    Le maggiori città

    La vita di una regione si condensa nella vita delle sue città, che sono i grandi centri di attrazione delle attività economiche e culturali. Il loro sviluppo storico, urbanistico, demografico ed economico corrisponde generalmente a quello del loro retroterra per quella stretta interdipendenza che caratterizza fin dai tempi antichi i rapporti fra città e campagna. Il loro patrimonio artistico è ricchezza di tutta la regione di cui esprime i caratteri spirituali e culturali. Perciò il nostro sguardo geografico al Friuli-Venezia Giulia non poteva concludersi che con la visita delle sue maggiori città, che sono tutte espressione di una civiltà italica, di cui sono state in tutti i tempi centri di irradiazione, assimilando ad essa le genti più diverse, in una posizione geografica d’avanguardia al confine orientale d’Italia.

    Come abbiamo già visto in un capitolo precedente, cinque sono le città della regione che oggi superano i 20.000 ab. ed hanno perciò un’importanza che trascende i limiti regionali. Esse sono, secondo ordine d’importanza, Trieste, Udine, Gorizia, Monfalcone e Pordenone. Esaminiamo dapprima le tre città giuliane e poi le due friulane.

    Le città giuliane. Trieste.

    Trieste, con i suoi attuali 270.000 ab., è la prima città della regione e la dodicesima città italiana. Ma il suo sviluppo è molto recente, perchè all’inizio del secolo XVIII, era ancora un modesto centro medievale di non più di 5000 abitanti.

    Golfo di Trieste: la penisola di Sant’Andrea e il Vallone di Muggia.

    Le origini dell’abitato e del suo nome sono però molto remote ed incerte. Il primo insediamento umano si stabilì quasi sicuramente sul colle marnoso-arenaceo della Montuzza (m. 79), oggi chiamato di San Giusto, ai cui piedi, lambiti dal mare, si apriva una piccola insenatura naturale di facile approdo; sulle sue fertili e dolci pendici c’era l’acqua mentre dall’alto si potevano controllare le comunicazioni tra il Friuli e FIstria. Si ritiene che su questo colle fosse sorto nell’età preistorica un « castelliere » protoveneto, simile a quelli di cui sono stati rinvenuti i resti sui colli vicini dell’altipiano carsico, ma finora non se n’è riscontrata alcuna traccia, poiché il terreno è stato violato da una lunga serie di costruzioni posteriori, ultima delle quali è la massiccia mole del Castello.

    Quando nel 178 a. C. i Romani giunsero nella regione per combattere gli Istri, trovarono sulle pendici orientali della Montuzza un villaggio carnico, da cui ebbero aiuti. Ma solo cinquantanni dopo dedussero qui una colonia militare, che si localizzò però sulle pendici nord-occidentali, rivolte al mare, derivando dal villaggio preesistente il nome di Tergeste. Tale denominazione deriverebbe da un radicale indoeuropeo « illirico » Terg- « mercato » con un suffisso este di origine non ariana (Doria) e sarebbe quindi precedente alla grande invasione carnica.

    La struttura del nuovo insediamento fu quella comune agli acquartieramenti militari, con il Decumanus Maximus, che correva fra l’attuale sede del Distretto militare e l’Arco di Riccardo, e il Cardo Maximus, identificabile con la via delle Monache. Al 33 a. C. risale la prima cerchia di mura, di cui si conserva solo un modesto tratto lungo la via Tor San Lorenzo e, forse, la porta principale costituita dall’Arco di Riccardo, che molto probabilmente è uno degli archi più antichi eretti in onore di Augusto. Trieste aveva allora una pianta rozzamente triangolare, con un vertice sull’apice del colle e una base sulla costa, che rimarrà praticamente immutata fino al secolo XVIII. Non bisogna però pensare che la città romana si limitasse alla cinta muraria, perchè le fortificazioni perdevano la loro importanza in periodi di pace e di sicurezza e subivano larghi squarci per permettere lo sviluppo urbano.

    Particolarmente favorevole all’espansione cittadina fu l’età traianea, in cui sul colle capitolino sorse, accanto al Tempio di Giove, Minerva e Giunone, una grande Basilica, edifìcio pubblico in cui avevano sede il Consiglio Municipale, il Tribunale e la Borsa. Nel 101-104 alla base del colle fu costruito un grande Teatro, capace di 6000 spettatori, indubbia prova della consistenza demografica della città, che risulta segnata anche nella Tabula Peuntingeriana, carta itineraria romana del II secolo. Il porto triestino, che figura scolpito nella Colonna Traiana, era protetto da un grande molo, costruito sullo scoglio dello Zucco e ora incorporato nel Molo Fratelli Bandiera, che delimita la rada della Sacchetta. Sontuose ville e un edifìcio termale sorgevano lungo la riviera di Bàrcola (Vallecula), mentre dal lato opposto della città, ai piedi del colle di Sèrvola (Silvula) sono venuti alla luce i resti di una « fullonica » (stabilimento per la lavatura dei panni) con un piccolo porto. Le funzioni amministrative e il benessere cittadino si accrebbero all’inizio del III secolo, quando il Senato Romano, su richiesta del triestino Lucio Fabio Severo, decretò l’allargamento dei confini municipali, con l’inclusione di territori abitati dai Carni e dai Catali.

    Trieste romana, secondo il canonico Vincenzo Scussa.

    Con la decadenza dell’Impero, la situazione così prossima ai confini rese la città estremamente vulnerabile e determinò il suo declino prima ancora che le devastazioni barbariche rovinassero gli splendidi monumenti romani. Quando finalmente il governo bizantino ripristinò la difesa dei valichi alpini, con l’istituzione del numerus tergestinus, la città cominciò a riprendersi, asserragliata dentro nuove mura, col ritmo di vita di un modesto borgo agricolo medievale, che non trascurava però la sua posizione marittima per intessere proficui rapporti commerciali con l’oriente bizantino.

    Trieste. Teatro romano.

    Trieste: l’Arco di Riccardo (da una vecchia stampa).

    Dal secolo X la civitas tergestina è governata dai Vescovi, legittimi rappresentanti regi, i cui diritti subirono però una progressiva limitazione ad opera del patriziato che fin dal secolo XII diede vita ad istituzioni di tipo comunale. L’affermarsi del libero comune contrastava però i piani egemonici della Repubblica Veneta, tendente ad assicurarsi il pieno controllo commerciale sull’alto Adriatico. Dopo una lunga serie di lotte e di compromessi, nel 1368 la città fu assediata e conquistata dai Veneziani, che l’occuparono fino al 1380, costruendovi fortificazioni, finché furono costretti ad abbandonarla alle forze congiunte dei Genovesi e del Patriarca d’Aquileia. Dopo questi fatti la cittadinanza dovette riconoscere la sua incapacità di difendere da sola le proprie mura ed i propri interessi commerciali e si trovò costretta a rinunciare alla propria indipendenza, gelosamente custodita per tanti anni, offrendo la propria dedizione ai Duchi d’Austria (1382), che si erano impegnati a proteggerla contro i Veneziani. In cambio il Comune ottenne con solenne dichiarazione il rispetto dei suoi liberi ordinamenti e della sua autonomia territoriale.

    Trieste nel 1400.

    La Piazza Grande nel ’700, da incisione di Pietro Nobile.

    Nonostante le guerre e le fazioni interne, il ’300 fu per Trieste un secolo di floridezza economica. Agricoltura e commercio convivevano strettamente associate per l’esportazione dei vini, dell’olio e del sale, che furono fino al secolo XVIII le maggiori risorse del comune. Era sorto anche un discreto artigianato, senza riuscire però a dare un impulso più democratico all’amministrazione municipale, a cui la serrata del Maggior Consiglio precluse l’ingresso delle forze nuove. In questo tempestoso periodo la popolazione oscillò fra i 1000 ed i 9000 ab., mantenendosi però in media sulle 5000 unità.

    I confini trecenteschi del Comune sono indicati con abbastanza precisione nel sigillo, in cui sta scritto: Sistilianu, publica, Castilir, mare certos dat michi jìnes « Sistiana, la strada pubblica, il Monte Castelliere (sopra Zaule) e il mare mi dànno precisi confini ». L’area murata è un po’ più ampia di quella romana, in quanto le mura avevano incluso la breve piana costiera ottenuta mediante colmata e si erano anche leggermente spostate sul pendìo settentrionale del colle, lungo il versante dell’attuale via Capitolina. Ma un buon terzo della superfìcie murata, ossia quasi tutta la parte superiore del colle, era libera da costruzioni e fiorente di campagne, poiché per effetto delle distruzioni barbariche e delle nuove esigenze economiche il nuovo abitato si era venuto addensando alla base del colle, nei nuovi quartieri di Cavana, Mercato, Riborgo e Rena (da « arena »), attorno al porto o « mandracchio », presso cui sorgeva la Piazza Grande.

    La Piazza, che costituiva la sezione più interna dell’attuale piazza dell’Unità d’Italia, era il centro della vita cittadina: vi sorgevano i palazzi del Comune, del Podestà, del Consiglio Minore, la Loggia, il Fondaco e la Cappella Civica di San Pietro. Adiacente a questa c’era la Piazza Piccola o Foro, con le loggie dei giudici e delle corporazioni e i banchi del mercato. Attorno a questo complesso edilizio fiorivano le attività commerciali ed artigiane, la cui distribuzione è ancora in buona parte ricordata dalla toponomastica attuale. La direttrice principale del traffico scorreva da Porta Riborgo, a cui facevano capo le strade per il Friuli e la Carniola, a Porta San Michele, da cui si dipartiva la strada per lTstria, passando per le vie di Riborgo e di Crosada che costituivano il « Corso ». Altre porte minori erano aperte sulla valle di San Michele e verso le saline, che si estendevano da entrambi i lati della città. Sulla parte alta del colle c’erano invece, in mezzo ad orti e verzieri, alcuni monasteri ed alcune chiese, fra cui emergeva sull’apice la cattedrale di San Giusto, formata verso la metà del secolo dalla fusione delle due chiese preesistenti di Santa Maria e di San Giusto, con il tozzo campanile ed il Battistero. Fuori delle mura c’erano altre chiese, conventi ed ospizi, specialmente sul vicino colle di San Vito, dove erano sparsi anche alcuni « tuguri » di contadini, ricordati dall’attuale via Tigor.

    Trieste nel 1718.

    Il dominio austriaco a Trieste durò quasi ininterrottamente per oltre cinque secoli, influenzando sensibilmente lo sviluppo economico della città. Il periodo che va tra la fine del ’300 e l’inizio del ’700 fu caratterizzato da un grave ristagno economico e demografico, interrotto solo da qualche breve ed illusorio tentativo di ripresa. I Veneziani dominavano sul mare, dove fermavano le barche triestine sotto l’accusa di contrabbando, ed insidiavano anche le vie terrestri, per dirottare i mercanti sul vicino porto di Capodistria, mentre inutilmente gli ordini arciducali ed imperiali imponevano i transiti per Trieste. I mezzi finanziari e le condizioni di mercato permettevano poi ai Veneziani una facile concorrenza nei prezzi, accentuando l’inferiorità commerciale dei Triestini, la cui giurisdizione non si estendeva al di fuori del piccolo comune.

    Trieste: l’attuale piazza Unità d’Italia, vista dalla riva, con al centro il Palazzo del Comune.

    Trieste. Il Castello di San Giusto, dai tre bastioni irregolari, con il Parco della Rimembranza. Sullo sfondo la Città Teresiana.

    In queste condizioni l’abitato non ebbe che modesti sviluppi nell’interno delle mura, il cui ultimo rifacimento risale al 1470. Durante una breve occupazione nel 1508, i Veneziani intrapresero la costruzione del Castello, con tre bastioni collegati da cortine murarie, che fu ultimata dagli Austriaci appena nel 1630 ed ebbe piuttosto una funzione di dominio interno, che di difesa dall’esterno.

    Un certo incremento edilizio si ebbe lungo le vie che portano alla Cattedrale dove, presso l’antica basilichetta di San Silvestro, sorse nella seconda metà del ’600, ad opera dei Gesuiti, l’imponente mole barocca della chiesa di Santa Maria Maggiore.

    Una nuova situazione venne delineandosi all’inizio del secolo XVIII, quando l’imperatore Carlo VI, volendo promuovere una politica mercantilistica sulle rive dell’Adriatico, istituì a Trieste il «porto franco» e fondò la Compagnia Orientale (1719). La città vide allora un afflusso di operai, di marinai e di commercianti, dapprima molto lento e sporadico, ma poi sempre più intenso, tanto da non riuscire più a contenerlo entro le mura dell’abitato. La popolazione, che all’inizio del secolo si aggirava sui 5000 ab., salì a 7250 nel 1735, riuscendo ad aumentare di quattro volte prima della fine del ’700.

    La Cittavecchia bassa fu presa da un inusitato fervore edilizio che portò all’eliminazione delle aree fabbricabili e ad un generale innalzamento degli edifici, finchè l’abitato straripò oltre le mura che molto opportunamente nel 1749 l’imperatrice Maria Teresa fece abbattere.

    Trieste. Il Canal Grande, ora rifugio per imbarcazioni da pesca, con sullo sfondo la Chiesa di Sant’Antonio Nuovo.

    La prima direttrice di sviluppo urbano fu quella settentrionale, fuori Porta Riborgo, nell’area delle saline, per cui il nuovo quartiere venne chiamato in un primo tempo Borgo Saline, ma poi prevalse il nome di Città Teresiana, in onore dell’Imperatrice che favorì la sua nascita, o più semplicemente di Cittanuova. Il Largo Riborgo e la Contrada del Corso (ora corso Italia) furono gli elementi di saldatura fra il vecchio e il nuovo abitato, caratterizzato da una pianta regolare che riproduceva il reticolato delle saline. La Cittavecchia si ridusse ben presto a un semplice quartiere d’abitazione, con alcune funzioni amministrative, mentre la Cittanuova attirò a poco a poco tutte le attività commerciali, divenendo il punto d’incontro del porto con il suo retroterra. Il suo asse principale era il Canal Grande che arrivava fino alla chiesa di Sant’Antonio Nuovo ed era stato ricavato dall’ampliamento del canale mediano delle saline, perchè potesse accogliere le navi. La principale cura della politica teresiana fu infatti quella di creare un efficiente organismo portuale. Il « mandracchio » fu rafforzato dalla costruzione del molo San Carlo (ora Audace) mentre il porto romano della Sacchetta fu ripristinato con la gettata del molo Teresiano (ora Fratelli Bandiera) sulle fondamenta dell’antico molo romano.

    Trieste. Il Borgo Giuseppino con la Sacchetta, ora rifugio delle imbarcazioni sportive e da diporto.

    Trieste: il Palazzo Carciotti (1805), prospiciente alla riva Tre Novembre, ora sede della Capitaneria di Porto.

    Alle costruzioni e riparazioni navali provvedevano, accanto allo Squero Vecchio di San Nicolò (via dello Squero Vecchio), l’Arsenale militare, nel sito dell’attuale Teatro Verdi (via dell’Arsenale) e più tardi lo Squero Nuovo Panfilli, che si insediò nell’area compresa tra le attuali vie Geppa e Milano, il corso Cavour e la piazza Chiesa Evangelica.

    Mentre lo sviluppo edilizio della Città Teresiana si arrestava al Rio Grande, che percorreva le attuali vie Carducci e Ghega, una seconda digitazione si avanzava dal lato opposto, seguendo gli ampliamenti del porto, verso la penisoletta di Campo Marzio, dove era sorto il Lazzaretto San Carlo. Anche questo borgo aveva preminenti caratteri commerciali, ma si differenziava dal precedente per uno sviluppo meno regolare, giacché la ristrettezza della piana costiera costringeva l’abitato a risalire le prime pendici del colle di San Vito. Il borgo prese in un primo tempo il nome della contrada dei Santi Martiri, ma poi venne ribattezzato Giuseppino, in onore dell’impe-ratore Giuseppe II che nel 1788 decideva la sua incorporazione nella città, lasciando il suo nome anche alla piazza principale (ora Venezia) e al nuovo molo costruito per proteggere dalla bora il bacino della Sacchetta.

    Neirultimo scorcio di secolo una propaggine urbana si espande anche a levante del colle di San Giusto, a lato della strada per lTstria, tra il torrente Sex Fontanis e il colle di Montuzza, dove preesistevano alcune casupole di conciapelli chiamate Zudecche. La vecchia cinta daziaria che si trovava all’inizio della Contrada del Corso dovette venir spostata fino a piazza Barriera (oggi Garibaldi) ed il nuovo quartiere prese pertanto il nome di Barriera Vecchia. Così, alla fine del secolo, la pianta cittadina aveva l’aspetto di un mosaico tricuspidale a quattro tasselli, con un nucleo centrale costituito dal colle di San Giusto con la Cittavecchia, un tassello trapezoidale a nord, costituito dalla Città Teresiana, un tassello triangolare a sudovest, rappresentato dal borgo Giuseppino, ed un tassello alquanto irregolare sporgente verso sudest, con il quartiere di Barriera Vecchia. In questo primo secolo di dilatazione urbanistica hanno avuto la preferenza le aree pianeggianti costiere e vallive, sotto la doppia influenza del porto e delle strade commerciali, mentre i vicini colli di San Vito e di San Giacomo, meno facilmente accessibili e un po’ distanti dalle strutture economiche, vedono comparire le prime ville dei nuovi ricchi.

    La popolazione di Trieste dal 1735 in poi.

    Trieste: via Carducci, già via del Torrente, elemento di saldatura fra i borghi Teresiano e Franceschino.

    Il periodo napoleonico presenta vicende alterne. In un primo tempo le attività commerciali si intensificarono, favorite dopo il trattato di Campoformido, dal declino del porto di Venezia e dalla distanza dei teatri bellici. La città si abbellì di edifici pubblici e privati, come il Palazzo della Borsa, il Teatro Nuovo (ora Verdi) e il palazzo Carciotti, continuando a svilupparsi verso levante. La terza occupazione francese (1809-13) provocò invece la paralisi dei commerci nell’Adriatico e l’esodo di quanti si erano trasferiti negli ultimi anni con le loro attività ed i loro capitali, attirati dalla tranquillità triestina. Ma con il ripristino della normalità si aprì un periodo quanto mai favorevole ai traffici ed alle industrie, che durò per cent’anni, fino alla vigilia della prima guerra mondiale.

    Nella prima metà del secolo le pietre miliari di questo sviluppo sono costituite dalla nuova strada commerciale per Vienna scendente dall’altipiano con larghi tornanti lungo l’attuale via Fabio Severo, dalla nascita delle grandi Compagnie di navigazione (Lloyd Austriaco) e di assicurazione (Assicurazioni Generali e Riunione Adriatica di Sicurtà), dalla erezione dello Stabilimento Tecnico Triestino (ora Fabbrica Macchine Sant’Andrea) e dal progressivo miglioramento delle attrezzature portuali. La popolazione urbana raggiunse verso il 1850 le 55.000 unità, con un incremento del 175% rispetto al 1800.

    Trieste nel 1877.

    Mentre la città settecentesca si arricchisce di pregevoli edifìci neoclassici, come il Palazzo Tergesteo e la Chiesa di Sant’Antonio Nuovo, altre digitazioni urbane si insinuano fra le colline più vicine, lungo i solchi vallivi. Un nuovo quartiere sorse oltre il Torrente, fra le attuali vie del Coroneo e Battisti, prendendo il nome di Franceschino, dall’imperatore che aveva messo a disposizione l’area necessaria. Quasi contemporaneamente, fra i torrenti dello Scoglio e Sex Fontanis, il borgo Chiozza cominciò a risalire le prime pendici del colle di Chiadino, fino alla via Rossetti. Si rese ben presto necessaria la copertura del Rio Grande che diede origine alla via del Torrente (ora Carducci), una delle maggiori arterie cittadine, elemento di saldatura fra la Città Teresiana e quella Franceschina, come la piazza delle Legna (ora Goldoni) lo era divenuta fra la Città Teresiana e la Barriera Vecchia. Essendo ormai la Contrada del Corso insufficiente a smaltire il crescente traffico, venne aperta una nuova comunicazione diretta tra la piazza delle Legna e le rive, utilizzando la più lunga delle contrade della Città Teresiana che venne chiamata Via Nova (ora Mazzini). La pianta cittadina della metà del secolo possedeva quindi ormai gli elementi fondamentali dell’attuale struttura topografica.

    Vedi Anche:  Aspetti antropici, economici ed itinerari turistici

    Trieste: piazza Goldoni, già delle Legna, fulcro cittadino, fra la Città Teresiana e la Barriera.

    La seconda metà del secolo si aprì con l’inaugurazione della stazione ferroviaria che venne sistemata in un’area sottratta al mare mediante imponenti opere di colmata, ai piedi del colle di Scòrcola, a nord della Città Teresiana. In seguito allo sviluppo edilizio che si ebbe in questa zona, si dovette ben presto trasferire altrove il Lazzaretto Santa Teresa, mentre per raccordare meglio il porto alla stazione si dovette smobilitare lo Squero Panfilli. Il Canal Grande fu allora superato da due nuovi ponti : quello stradale, chiamato Ponte Verde e quello ferroviario, chiamato Ponte

    Trieste: il Palazzo delle Poste, massiccio edificio neoclassico che tradisce gli influssi transalpini

    Bianco, che si affiancarono al preesistente Ponte Rosso. Nuove opere di colmata permisero poi di creare vicino alla zona ferroviaria il nuovo porto, la cui costruzione si era resa necessaria per l’incremento dei traffici marittimi ed i progressi tecnici della navigazione. Sorsero quattro grandi moli, delimitanti altrettanti bacini, sulle cui banchine si trasferirono un po’ alla volta i magazzini della Città Teresiana e di quella Giuseppina, che perdettero pertanto il loro aspetto commerciale, divenendo semplici quartieri d’abitazione.

    Lungo la sponda settentrionale del Vallone di Muggia sorsero in questo periodo le grandi industrie navali e, dopo l’abolizione del « porto franco » (1891), altre importanti industrie, come la ferriera, la raffineria di olii minerali, la pilatura del riso, lo iutificio e la spremitura d’olii. In conseguenza dell’attrazione esercitata da questo imponente complesso di attività, si sviluppò sul colle di Ponzano il grande quartiere operaio di San Giacomo, che si saldò a nord con il vecchio quartiere di Barriera. Centinaia di case alte e disadorne sorsero come funghi, facendo sparire i boschi e le campagne e portando nella città una nota grigia di tristezza.

    Un po’ alla volta venne incorporato nell’area urbana il villaggio di San Giovanni, mentre cominciava l’attività edilizia anche nella valle di Rozzol e sul versante settentrionale del colle di San Vito, dopo la soppressione del divieto di costruire entro i limiti di sicurezza delle fortificazioni. Fra i maggiori edifici sorti nel centro cittadino si segnalano i palazzi del Lloyd, delle Poste, delle Ferrovie, delle Assicurazioni Generali e della R. A. S., le cui linee neoclassiche risentono le influenze architettoniche transalpine.

    Alla fine del secolo la popolazione cittadina aveva raggiunto i 132.000 ab., con un ulteriore incremento del 145% rispetto al 1850, ma anche nel primo decennio del ’900 continuarono i progressi economici e demografici che comportarono ulteriori sviluppi urbanistici lungo le direttrici già indicate. In questo periodo vennero anche aperte due ampie gallerie sotto i colli di Montuzza (Galleria Sandrinelli) e di San Vito, per collegare meglio il centro con la zona industriale e i quartieri meridionali di più recente insediamento. Alla vigilia della prima guerra mondiale, la pianta cittadina aveva assunto la forma di una caratteristica forbice con le impugnature lungo le rive, da Bàrcola a Campo Marzio, e le lame aperte e puntate verso le valli di San Giovanni e di Rozzol.

    La guerra stroncò il prodigioso sviluppo triestino, ma l’abitato non subì danni bellici, restando lontano dalla linea del fuoco. L’annessione all’Italia cambiò radicalmente le condizioni economiche della città, ormai separata politicamente dal suo grande retroterra, non più unitario, ma diviso fra i nuovi organismi politico-territoriali, creati dal trattato di pace.

    Perciò la ripresa postbellica fu molto lenta, implicando complesse trasformazioni strutturali, e ci volle oltre un decennio prima che fossero raggiunti i livelli demografici prebellici. Ma poi riprese lo sviluppo economico e demografico che provocò un nuovo slancio edilizio. Le nuove costruzioni interessano soprattutto le pendici meridionali del colle di San Vito, dove sorge l’elegante quartiere di piazza Carlo Alberto, e del colle di San Giacomo, dove si espande il nuovo quartiere operaio di Ponziana, mentre l’insediamento si diffonde anche nella valle di Rozzol (rione del Re), sulle pendici occidentali di Chiadino (rione di San Luigi), nella valle di San Giovanni e sulle pendici di Scoglietto. Nella Cittavecchia cominciò ad attuarsi un vasto piano di risanamento edilizio, che portò alla luce i resti del Teatro Romano, ma dovette venir interrotto dallo scoppio della guerra. Gravi danni arrecarono all’abitato i numerosi bombardamenti aerei, che colpirono particolarmente i quartieri industriali, ma le ferite sono ormai risanate ed hanno anzi favorito lo svecchiamento edilizio.

    Lo sviluppo urbano e le aree funzionali di Trieste.

    In questo dopoguerra, nel quadro dei nuovi programmi tendenti a favorire lo sviluppo industriale per attenuare i danni derivanti alla città dalla decadenza delle attività commerciali, venne realizzata la bonifica delle paludi di Zaule, da cui si è ricavata l’area necessaria per la creazione di un moderno porto industriale, provvisto di un comodo canale navigabile e ormai dotato di tutti i servizi necessari. Così accanto alle preesistenti raffinerie petrolifere hanno potuto sorgere una quarantina di stabilimenti, fra cui emergono il cementificio dell’Italcementi, la Manifattura Tabacchi, la FIL – S. N. I. A. e il Cotonificio San Giusto. Notevoli progressi hanno poi avuto le comunicazioni che fanno capo alla città, con l’apertura di una nuova camionale che dalla zona industriale sale sull’altipiano, decongestionando il traffico cittadino e costiero. La stazione ferroviaria centrale è in fase di completo rinnovamento e sarà congiunta alla zona industriale da una nuova linea di circonvallazione in galleria che sostituirà il transito sulle rive, mentre il Porto Duca d’Aosta si arricchirà di un nuovo modernissimo molo, che permetterà operazioni più rapide, accogliendo anche le navi di massimo tonnellaggio.

    Trieste: digitazione urbana nella valle di Lòngera, fra i colli di Chiadino e di Scoglietto; il nuovo insediamento urbano è così venuto a contatto del vecchio insediamento rurale.

    Trieste. Vecchio, nuovo e recente insediamento. In primo piano la Tor Cucherna, uno dei pochi avanzi delle mura trecentesche.

    Il volto urbanistico di Trieste.

    Nonostante le difficoltà economiche, si è avuto recentemente un imponente incremento demografico, per l’afflusso di circa 50.000 profughi dai territori giuliani ceduti alla Jugoslavia, il quale è stato solo parzialmente assorbito dalle correnti emigratorie verso l’estero. La popolazione urbana risultava nel 1951 di 259.000 ab. con un aumento del 95% rispetto all’inizio del secolo, ma ora può considerarsi ormai stabilizzata sulle 270.000 unità, che sono però largamente eccedenti alle capacità produttive dell’economia cittadina.

    Negli ultimi anni l’area urbana ha subito ulteriori considerevoli ampliamenti, dilatandosi un po’ in tutte le direzioni, sui colli vicini. Per la scarsità di aree fabbricabili e le esigenze di un decongestionamento urbano sono sorti anche alcuni borghi autonomi sull’altipiano carsico, riservati ai profughi, mentre un particolare interesse riveste la costruzione a Zaule del borgo San Sergio, con le caratteristiche di un centro satellite suburbano annesso al porto industriale. Intenso è anche il fervore edilizio nelle vecchie aree cittadine, dove sono sorti dei moderni grattacieli. Una nuova galleria è stata aperta al traffico fra la piazza dei Foraggi e Sant’Anna, per collegare meglio al centro i nuovi quartieri meridionali e il porto industriale.

    Trieste. Il colle di San Giusto, con il Castello, il monumento ai Caduti, i ruderi romani e la basilica cristiana.

    Si può ormai facilmente individuare nella struttura topografica cittadina l’esistenza di vari quartieri geografici, caratterizzati da proprie funzioni specifiche, in rapporto alla loro posizione ed alle vicende storiche del loro sviluppo. Esiste innanzitutto un’area di antico insediamento, ad alta densità di costruzioni e di abitanti, corrispondente alla Cittavecchia preesistente al « porto franco », ristretta però dalle demolizioni operate nel periodo interbellico. Si tratta di un tipico agglomerato medievale, conservato nelle sue caratteristiche originarie e ridotto a misero quartiere di abitazione, dalle condizioni igieniche precarie, che per la sua posizione costituisce anche un notevole ostacolo allo scorrimento del traffico urbano.

    C’è poi l’area estesissima di nuovo insediamento che comprende gli sviluppi urbani verificatisi nel ’700 e nell’800, fino alla vigilia della prima guerra mondiale, con i quartieri teresiano, giuseppino, franceschino, di Barriera e di San Giacomo. Permane un’alta densità di costruzioni e di abitanti, ma la planimetria è regolare con vie lunghe non molto ampie, che si intersecano ad angolo retto, dimostrandosi poco idonee alle esigenze moderne della circolazione. Mentre i quartieri di Barriera e di San Giacomo hanno una funzione prevalentemente di abitazione, e sono architettonicamente poveri, gli altri accentrano le funzioni amministrative e commerciali della città, ospitano i principali edifici pubblici e presentano un volto architettonico fondamentalmente neoclassico, senza però grandi pretese.

    L’area di recente e recentissimo insediamento è invece più dispersa ed eterogenea e comprende eleganti quartieri residenziali e modesti quartieri popolari. Prevale però un insediamento estensivo, con zone di villini e città-giardino. In complesso il volto urbanistico di Trieste risente della fretta con cui è avvenuto lo sviluppo economico e demografico della città, la cui espansione un po’ disordinata è anche imputabile alle difficoltà morfologiche dell’ambiente ed alla fondamentale scarsità di spazio.

    Fra i monumenti artistici più insigni vi sono la basilica di San Giusto, patrono della città, che risulta dall’unione avvenuta nel ’300 di due precedenti basiliche romaniche, la basilichetta romanica di San Silvestro (XII secolo), la chiesa barocca di Santa Maria Maggiore (XVII secolo) e la chiesa neoclassica di Sant’Antonio Nuovo. Ci sono ruderi romani del Teatro e, sul Colle di San Giusto, della Basilica e del Tempio Capitolino. Bella e pittoresca è la mole del Castello cinquecentesco, ora adibito a Museo.

    Trieste. Monumento a Domenico Rossetti, grande mecenate e insigne letterato e storico triestino.

    Trieste ha avuto fin dal Medio Evo cittadini insigni per cultura, come l’umanista Raffaele Zovenzoni (secolo XV), che visse al tempo in cui era vescovo di Trieste il senese Enea Silvio Piccolomini, salito poi al soglio pontificio con il nome di Pio II, e i vescovi triestini Pietro Bonomo e Andrea Rapicio (secolo XVI), pure grandi letterati. Nel secolo XVII emergono le figure del canonico Vincenzo Scussa e di fra’ Ireneo della Croce, primi storici locali. Nel ’700 può essere ricordato il nome di Antonio de’ Giuliani, primo economista triestino, mentre nel secolo successivo brilla la nobile figura di Domenico Rossetti, storico, letterato e munifico mecenate, promotore di istituzioni culturali come la Società del Gabinetto di Minerva e l’Orto Lapidario, e fondatore dell’Archeografo triestino. Le sue ricerche storiche furono continuate da Pietro Kandler e trovarono una moderna sistemazione nella grande opera di Attilio Tamaro. Il decennio che va dal 1836 al 1846 vide raccolto attorno alla Favilla, giornale battagliero che fece del suo nome un programma, un illustre cenacolo di letterati e di patrioti, espressione palpitante del nascente liberalismo italiano, fra cui si distinguono il capodistriano Antonio Madonizza, il triestino Giovanni Orlandini, il trentino Antonio Gazzoletti e il friulano Pacifico Valussi. Figure preminenti dell’« irredentismo » politico e culturale triestino sono Francesco Hermet, Giuseppe Revere, Antonio Vidacovich, Bartolomeo da Rin, Giuseppe Caprin, Felice Venezian, Riccardo Pitteri e Attilio Hortis, l’apostolo dell’italianità di Trieste. Ma una vera fioritura di scrittori e di poeti ha avuto la città in quest’ultimo cinquantennio, che hanno portato e stanno portando un nuovo soffio vivificatore nell’ambiente letterario italiano. Basterà ricordare i nomi di Scipio Slataper, Italo Svevo, Silvio Benco, Umberto Saba, Giani Stuparich, Giovanni Quarantotti Gambini per avere un’idea dell’ampio panorama che offre la letteratura triestina contemporanea, che è in una continua fase di sviluppo e di arricchimento.

    Centro culturale di prim’ordine, Trieste è sede di una bella Università, che sorge sulle pendici di Scoglietto, e di numerose e importanti istituzioni culturali, come il Circolo di Cultura e delle Arti, la Società dei Concerti, la Società di Minerva, la Società Adriatica di Scienze Naturali, l’Accademia di Scienze Economiche e Sociali. La maggiore biblioteca è quella Civica, in cui si conservano, tra l’altro, alcuni codici petrarcheschi, mentre fra i musei si segnalano quello di Storia e Arte, con annesso Orto Lapidario, quello di Storia Naturale, da cui dipendono l’Acquario Marino e l’Orto Botanico, il Museo del Mare e i Musei Revoltella e Sartorio.

    Gorizia

    La seconda città giuliana è Gorizia, che conta attualmente poco più di 35.000 abitanti. Anch’essa ha avuto uno sviluppo piuttosto recente, poiché all’inizio del ’700 ne contava appena 5000, proprio come abbiamo visto per Trieste, al cui confronto però ha fatto progressi molto più modesti.

    Panorama di Gorizia dal colle di Oslavia.

    La città si è formata alla base di un colle calcareo (m. 148) che si erge in posizione isolata e dominante a circa 2 km. dalla riva sinistra dellTsonzo, quasi a metà strada fra il suo sbocco in pianura e la confluenza del Vipacco, sovrastando di una sessantina di metri il più elevato terrazzo alluvionale del fiume, che degrada dolcemente verso i due terrazzi inferiori. La sua origine e il suo sviluppo sono dovuti essenzialmente alla buona posizione geografica di questo colle rispetto alle importanti vie di comunicazione naturale rappresentate dalle vallate dei due fiumi, le quali fin dall’antichità mettevano in contatto la pianura veneto-friulana con i paesi transalpini del bacino danubiano.

    Mancano però tracce o notizie di insediamenti nell’età preromana e romana, poiché il primo documento che si riferisca a Gorizia risale appena al 1001, quando l’imperatore Ottone III donò al patriarca Giovanni di Aquileia « medietatem unius villae quae, sclavonica lingua, Goritia vocatur ». Doveva trattarsi di un modesto centro rurale di contadini slavi, chiamato nella loro lingua « piccolo monte », poiché appunto questo è il significato del nome della città. Ma questo feudo passò poi ai conti di Lurnhau e Pusterthal, che presero il nome di conti di Gorizia e nel secolo XII fecero costruire sull’apice del colle un castello, in cui alternavano la loro dimora con il Castello di Bruck, nella vai Pusteria, dove avevano altri possessi. Da allora, per quasi quattro secoli, lo sviluppo di Gorizia fu legato alle sorti di questa potente famiglia, a cui i Patriarchi avevano affidato l’avvocazia della Chiesa Aquileiese.

    Sotto il Castello, sulle pendici sud-occidentali del colle, sorsero rapidamente le case dei « ministeriali » dei conti ed i loro servizi, che costituirono il primo nucleo della futura città. Ma nello stesso tempo nella pianura pedecollinare cominciò a formarsi una « villa » di mercanti e di artigiani, più o meno legati all’eco-nomia castellare, che ben presto si organizzarono in libera comunità, con propri ordinamenti.

    Nel 1210 i conti concessero alla «Terra Inferiore» un mercato settimanale, che si svolgeva nella piazza Sant’Antonio, dove si era stabilito un convento di frati francescani. Solo però nel 1307 la comunità della «Terra Superiore» ottenne ordinamenti cittadini, ricevendo la facoltà di autogovernarsi, sotto la guida di un « gastaldo ». Perno della vita cittadina divenne allora la piazza Vecchia (oggi Cavour), in cui posero la loro sede le nuove istituzioni comunali. Fu allora che i nobili del borgo Castello cominciarono a sentire il bisogno di tenere una casa anche nella città bassa, per non rimanere estranei al suo sviluppo economico ed alla vita pubblica municipale. Accanto alle modeste case borghesi si affiancarono così i palazzi nobiliari, di cui uno dei più antichi sembra essere quello dei conti di Strassoldo, in piazza Sant’Antonio.

    Per motivi difensivi e di bonifica idraulica nella prima metà del ’300 la « Terra Inferiore » venne cinta da un ampio fossato o « grapa », che raccoglieva le acque risorgenti alla base del colle e le convogliava verso nord nel torrente Corno, affluente deirisonzo. La ricostruzione del suo tracciato ci dà un’idea abbastanza precisa della forma e della estensione dell’abitato medievale che ha ormai la struttura tipica dei centri doppi: in alto un centro apicale e di pendio, sviluppatosi all’ombra del Castello, attorno alla ripida e tortuosa via d’accesso; in basso un centro stradale a forma semicircolare, sviluppatosi da nord a sud ai piedi del colle, con il suo asse principale nella via Rastello. Lo sviluppo urbano dovette avere un ritmo abbastanza intenso nella prima metà del 1400, giacché nel 1455 i conti estesero i privilegi cittadini a tutti gli abitanti entro il perimetro della « grapa ».

    Con la nuova situazione politica venutasi a creare nel 1500, in seguito all’estinzione della dinastia dei conti goriziani, la città venne ad assumere una particolare importanza militare. Tutto il borgo Castello fu racchiuso in una cinta muraria, dalla forma di pentagono irregolare, con quattro torri ed un bastione sporgenti agli angoli, mentre la «grapa» venne approfondita e rinforzata con un muro. Nel 1508 la città fu conquistata dai Veneziani, che ultimarono le fortificazioni, ma venne poi ripresa definitivamente dagli Austriaci, che la tennero fino al 1918. Dopo un prolungato ristagno economico e demografico solo verso la metà del secolo XVI cominciò una nuova fase di espansione urbana, grazie all’apertura della strada commerciale del-l’Isonzo, che collegò direttamente Gorizia con la Carinzia, emancipandola dall’intermediazione cividalese ed udinese. Numerosi artigiani e commercianti affluirono dal Friuli e dal Veneto, cosicché alla fine del secolo la popolazione urbana, ormai prevalentemente italiana, raggiunse i 4000 abitanti. Fu allora che l’abitato straripò oltre gli angusti limiti della « grapa », sviluppandosi lungo le strade principali. Oltre Porta Rastello, sulla strada della Carinzia, sorse la piazza Nuova (oggi Vittoria) su cui nel 1680 i Gesuiti costruirono la imponente chiesa barocca di Sant’Ignazio, mentre sulla strada di Cividale, oltre il guado del torrente Corno, non tardò a formarsi il borgo Piazzutta, così denominato dalla piccola piazza (ora Tommaseo) attorno a cui si sviluppò.

    Una nuova stasi si ebbe con la Guerra Gradiscana (1615-17) e con il temporaneo sdoppiamento amministrativo della Contea, in seguito alla costituzione della Contea di Gradisca. Ma nella seconda metà del secolo XVII si ristabilirono le condizioni favorevoli di sviluppo e la città si estese ulteriormente verso nord, cosicché la piazza Nuova o Grande, elemento di cerniera fra i quartieri antichi e quelli nuovi, divenne un po’ alla volta il nuovo fulcro cittadino.

    Ma i grandi progressi economici e demografici cominciano solo verso la metà del secolo XVIII, in conseguenza dell’istituzione del «porto franco» di Trieste, che diede nuovo impulso ai traffici transalpini, convogliati necessariamente attraverso Gorizia. Ebbero allora inizio le prime attività industriali, che attirarono nella città nuovi immigrati, tanto che alla fine del secolo la popolazione raggiunse i 9000 ab., con un incremento dell’80% in meno di cent’anni. Venne allora interrato l’inutile fossato trecentesco e l’abitato potè espandersi liberamente in tutte le direzioni.

    Vedi Anche:  Colline, montagne e altimetria

    Continuò in primo luogo ad estendersi la propaggine settentrionale, con la formazione di un nuovo borgo commerciale denominato Carinzia, comprendente le attuali vie Carducci e Pellico con le piazze De Amicis e Medaglie d’Oro. A nordovest, lungo la strada per Cividale, fino al ponte di Piuma, si allungò una serie di case che costituirono il borgo Zingraf, dal nome dei conti che avevano in quella zona estesi possessi. Ai margini occidentali dell’abitato venne aperto, verso la metà del secolo, il nuovo corso cittadino (ora corso Verdi), su cui sorsero magnifici edifici, come il Palazzo Attemis e il Teatro Sociale (ora Verdi). Ma il fatto urbanistico più notevole è senza dubbio la rapida espansione verso sud, determinata dal grande incremento dei traffici con Trieste. Le costruzioni edilizie di susseguirono lungo la strada commerciale fino a raggiungere il villaggio rurale di San Rocco, che divenne presto un borgo cittadino. Così alla fine del secolo la città presentava una pianta estremamente allungata, che avvolgeva ormai su tre lati il nucleo primitivo del colle.

    Gorizia. Il settecentesco palazzo Àttemis, sede del Museo Provinciale

    Panorama di Gorizia dal Monte Calvario; in primo piano la zona industriale, che si estende sulle due rive dell’Isonzo.

    Dopo la parentesi del periodo napoleonico, l’economia goriziana fece ulteriori progressi con l’apertura delle ferrovie, che ravvicinarono la città ai mercati delle materie prime, favorendo lo sviluppo di grandi industrie tessili, del legno, della carta, dei fiammiferi, nonché di minori industrie alimentari. Le nuove attività sorsero di preferenza sulle rive dell’Isonzo, a valle del ponte di Piuma, per poter disporre dell’acqua e dell’energia idraulica del fiume, senza disturbare l’abitato. Nell’800 assunse grande rilievo anche l’attività turistico-alberghiera, per la fama Da L. Pedrini, Gorizia. Ricerche di geografia urbana.  

     Gorizia verso il 1950.

    1, zone di antico popolamento; 2, zone eli nuovo popolamento; 3, zone di recente popolamento; 4, zone industriali; 5, zone ospedaliere ; 6, zone verdi; 7, sedi culturali e scolastiche; 8, uffici pubblici; 9, ospedali.

    di stazione climatica che la città si era fatta nei paesi austriaci dove veniva chiamata la «Nizza dell’Austria». Così sorsero a poco a poco nuovi quartieri residenziali, con villini, alberghi, sanatori, case per pensionati, parchi e giardini, che ancor oggi caratterizzano il volto urbanistico goriziano, conferendogli l’aspetto di una « città-giardino ». Con lo spostamento del confine sullo Iudrio (1866), la città assunse anche un’importante funzione militare, divenendo sede di una considerevole guarnigione. L’incremento demografico ottocentesco fu così veramente prodigioso (175%), poiché alla fine del secolo la popolazione cittadina raggiunse quasi i 25.000 abitanti.

    Gli sviluppi urbanistici più notevoli si ebbero ancora sul lato meridionale dove verso la metà del secolo sorse la stazione ferroviaria della linea Veneto-Illirica, che venne congiunta al centro cittadino per mezzo di un ampio viale alberato (ora corso Italia), parallelo alla strada per Trieste. Un’altra stazione, chiamata di Monte Santo, venne costruita più tardi a nord della città, sulla ferrovia transalpina, al margine orientale del borgo Carinzia, cosicché vennero considerevolmente raccorciate le distanze fra l’area urbana di Gorizia ed il villaggio rurale di Salcano. Ad occidente invece la città si estese verso la sua zona industriale, lungo un fascio di strade convergenti nel ponte di Piuma: a nord del Corno si formò il sobborgo operaio di Straccis, mentre a sud nasceva il borgo Acquedotto. Alla vigilia della prima guerra mondiale era già evidente l’attuale asse principale della struttura topografica goriziana, costituito dai corsi Verdi e Italia, che si allunga da nordest a sudest fra le due stazioni ferroviarie.

    La guerra inflisse gravissimi danni alla città, che fu conquistata dalle truppe italiane, dopo un’aspra lotta, il 9 agosto 1916. Dopo l’annessione ci fu un lungo periodo di stasi economica e demografica dovuta al riassestamento dell’economia locale, che dovette adeguarsi alle nuove condizioni politiche. La ricostruzione edilizia lasciò sostanzialmente inalterata la struttura topografica urbana. Il Castello, semidiroccato dagli eventi bellici, venne ricostruito negli elementi architettonici originali, ma allo scopo di facilitare le visite turistiche vennero eliminate alcune vecchie case del borgo castellare. Una modesta espansione dell’abitato si ebbe solo verso sudovest, oltre la stazione ferroviaria, dove sorsero una piccola zona industriale e il borgo Italia, cosicché venne praticamente raggiunto il villaggio rurale di Sant’Andrea.

    La seconda guerra mondiale non arrecò danni considerevoli all’abitato, ma le sue conseguenze furono per Gorizia le più gravi di tutta la sua storia, poiché un assurdo confine politico, che corre ai margini orientali della città, l’ha staccata dal suo retroterra naturale, costituito dalle valli dell’Isonzo e del Vipacco. Per soccorrere l’economia goriziana il Governo Italiano istituì nel 1948 una « zona franca » parziale (zucchero, alcool, cacao, ecc.), includente l’area urbana e il territorio circostante compreso fra il confine politico, l’Isonzo e il Vipacco. Hanno così potuto sorgere alcune nuove industrie dolciarie e liquoristiche, che si sono localizzate per lo più lungo la strada per Trieste. Altri provvedimenti governativi a favore di Gorizia e gli accordi di Udine per il piccolo traffico di frontiera hanno consentito un notevole miglioramento delle condizioni economiche e l’assorbimento di una discreta aliquota di profughi, che hanno fatto salire la popolazione a 35.000 ab., determinando anche un modesto sviluppo urbano verso ovest e verso sud, uniche direzioni ormai consentite dal confine politico.

    Gorizia. La chiesetta gotica di S. Spirito, risalente al XIV secolo, con sullo sfondo il castello dei Conti.

    Gorizia: il corso Italia, elemento di raccordo fra la città vecchia e la stazione ferroviaria, e asse principale dell’attuale struttura topografica

    In conclusione possiamo riconoscere anche nella pianta urbana di Gorizia un’area di antico insediamento, nei limiti della « grapa » trecentesca, con vie strette ed irregolari e forte addensamento di case. Molto più estesa è però l’area di popolamento nuovo, che comprende i quartieri sorti dal secolo XV alla vigilia della prima guerra mondiale, con un allineamento edilizio stradale, inframmezzato da cortili e giardini che riducono la densità demografica e delle costruzioni. Più modesta è invece l’area di insediamento recente, che costituisce una zona di transizione fra la città e la campagna, dove le case di abitazione sono disseminate fra gli orti e i frutteti.

    Gorizia: la barocca chiesa di Sant’Ignazio, costruita dai gesuiti (1680-1725) e la bella fontana di Nicolò Pacassi (secolo XVIII) in piazza della Vittoria.

    Il monumento più insigne delle città è naturalmente il Castello, ora trasformato in Museo Storico. Nell’interessante borgo castellare c’è la gotica chiesetta di Santo Spirito del 1398, con portico pensile e grazioso campaniletto a vela, che è il migliore gioiello del non cospicuo patrimonio artistico goriziano. Il Duomo risale al ’300, ma fu più volte rimaneggiato, mentre di non trascurabile aspetto architettonico è la barocca chiesa di Sant’Ignazio (1680) che domina la piazza della Vittoria, abbellita dalla pregevole fontana del Nettuno. Nelle vicinanze della città c’è il Cimitero di Oslavia, in cui sorge un grande Ossario che contiene 75.000 salme di caduti. Gorizia fu sempre nella sua storia un vivace centro culturale italiano, come testimoniano i cimeli e l’archivio storico raccolti nel Museo provinciale del Palazzo Attemis. Diede i natali all’architetto Nicolò Pacassi (sec. XVIII), che ha lasciato una considerevole impronta al volto urbanistico goriziano, ai pittori Giovanni Paroli (sec. XVIII), Francesco Caucig (1762-1828), Giuseppe Tominz e Italico Brass, nello scorso secolo. Ebbe storici insigni, come il Cadelli, il Coronini, il Morelli, il Della Bona; in Carlo Michelstàdter ebbe anche un filosofo valente, quanto sventurato, ma il suo figlio migliore e più caro è senz’altro il grande glottologo e orientalista Graziadio Isaia Ascoli, che più di ogni altro inserì Gorizia nel quadro vivo della cultura italiana.

    Monfalcone

    La terza città della Venezia Giulia è Monfalcone, che conta ora oltre 25.000 ab., ma rispetto alle altre ha avuto lo sviluppo più recente e più rapido, giacché all’inizio del secolo scorso era un piccolo centro di soli 1300 ab., ancora chiuso nell’angusta cinta muraria medievale.

    Il primo nucleo cittadino fu indubbiamente la Rocca o Falcone che dà il nome alla città, i cui ruderi dominano ancora la pianura, dall’alto di una collina carsica (m. 88), che è l’estrema propaggine sudoccidentale del Carso monfalconese. Su questa collina, che controlla le comunicazioni fra il Friuli e l’Istria, vennero eretti dei fortilizi già in età romana, in cui l’Agro monfalconese era intensamente abitato. Ma la Rocca attuale fu eretta solo nei primi secoli del Medio Evo, quando le frequenti scorrerie barbariche spinsero ai suoi piedi la popolazione che prima viveva dispersa nelle campagne, alla ricerca di un sicuro rifugio in caso di pericolo. D’altronde la posizione geografica era anche favorevole ai commerci, tanto che la villa divenne presto un mercato e fu chiamata con questo nome dai Tedeschi (Neumarkt) e dagli Slavi (Trzic).

    Monfalcone: piazza della Repubblica, con lo sfondo della Rocca.

    Il più antico documento storico che nomini la città è un diploma del 1279, con cui il patriarca Raimondo della Torre concedeva in appalto a dei banchieri fiorentini la muta Montis Falconis. L’abitato era allora cinto da solide mura e da un fossato, il cui perimetro aveva una rozza forma pentagonale, allungata da nordovest a sudest, corrispondente press’a poco alle attuali vie Fratelli Rosselli, Garibaldi, Matteotti e piazza della Repubblica, con un asse principale costituito dalla via del Duomo (oggi Sant’Ambrogio) che congiungeva le due porte. La città era una delle tredici comunità del Patriarcato con propri statuti e ordinamenti e diritto di voto nel Parlamento della Patria; era retta da un capitano di nomina patriarcale che esercitava la sua giurisdizione sulla «Terra murata» e sul «Territorio», che si estendeva fra il Timavo, il Carso, l’Isonzo e il mare.

    Con il passaggio all’amministrazione veneta (1420) comincia per Monfalcone un lungo periodo di decadenza, giacché il Territorio rimase isolato in mezzo alle terre imperiali, con funzioni preminentemente militari. La Rocca, ampliata ed ammodernata, svolse un ruolo molto importante nelle guerre austro-venete, ma la popolazione incominciò rapidamente a decrescere, tanto che alla fine del secolo XVI non vivevano nel Territorio più di 400 ab., di cui molto pochi nelle decrepite e cadenti case cittadine.

    Una timida ripresa si ebbe nel ’700 per riflesso dell’istituzione del porto franco a Trieste, quando la strada commerciale venne fatta passare fuori dalle mura, a nord dell’abitato. Le nuove attività commerciali fecero sorgere ad occidente della città il borgo San Rocco.

    Lo sviluppo moderno di Monfalcone comincia però solo con la fine della Repubblica Veneta e l’annessione del Territorio ai domini austriaci. La prima preoccupazione delle autorità imperiali fu quella di provvedere la città di un proprio scalo marittimo. Venne così ricavato con l’ampliamento di una roggia il Porto Ròsega (1817-21), che orientò in un primo tempo l’espansione urbana in quella direzione. Ma verso la metà del secolo arrivò la ferrovia, per cui una nuova digitazione urbana si sviluppò lungo la strada che porta alla stazione ferroviaria collocata a nord della città, le cui mura erano state abbattute fin dal 1838. Le comunicazioni più rapide permettono ormai la nascita delle prime industrie, favorita anche dalla scarsa disponibilità di spazio della zona portuale triestina. Fra le maggiori attività figurano il cotonifìcio, la concia delle pelli, la fabbricazione di estratti coloranti e tannici, la spremitura d’olii vegetali, la macinazione dei cereali e il sodificio. Ma il fattore determinante per lo sviluppo demografico e urbanistico di Monfalcone fu l’apertura del Cantiere Navale Triestino (1908), che assicurò un assorbimento medio di 3000 unità lavorative. La popolazione, che nel corso del secolo XIX si era già triplicata, passando da 1300 ai 3800 ab., salì dopo l’inizio dell’attività cantieristica a 12.000 (1910). triplicandosi nuovamente in soli dieci anni.

    La struttura topografica di Monfalcone.

    Veduta aerea di Monfalcone. E’ visibile al centro il vecchio nucleo urbano a forma pentagonale.

    L’abitato si estese in pianura in tutte le direzioni, lungo le strade che portano a Trieste e a Gorizia, verso il porto e il cantiere. A nordovest si formò il borgo San Michele, a sudovest il borgo Rosta, a levante il borgo San Giacomo, mentre il sobborgo rurale di Panzano venne organicamente trasformato in un grande quartiere per gli operai del cantiere, nonostante la vicinanza delle paludi e le condizioni igieniche poco salubri.

    La guerra portò anche a Monfalcone gravissimi danni, con la distruzione quasi completa dell’abitato e delle sue industrie. La ricostruzione e il potenziamento delle industrie navali, con l’istituzione delle officine aeronautiche ed elettromeccaniche, e la loro immissione nel nuovo complesso cantieristico dei C. R. D. A. (Cantieri Riuniti dell’Adriatico), permise però una ripresa più rapida che altrove, tanto che nel 1931 la popolazione aveva ormai superato il livello prebellico, raggiungendo i 17.000 abitanti nel 1936.

    La città venne organicamente ricostruita, secondo un piano di insediamento estensivo, che include ampie aree verdi, cosicché del vecchio borgo medievale rimangono ora ben poche tracce. Il borgo di Panzano si accrebbe ulteriormente, saldandosi con il vecchio centro.

    Dopo l’ultimo conflitto la popolazione ha subito un ulteriore incremento, per l’afflusso di circa 4000 profughi, nonostante una prolungata crisi delle attività economiche, arrivando come abbiamo visto, alle 25.000 unità. Anche lo sviluppo edilizio è stato rilevante, cosicché l’abitato ha ormai raggiunto e incorporato i vecchi borghi rurali di Aris,’ San Polo, Villaraspa, Crosera, Marcelliana e Mandrie. La pianta cittadina ha oggi una rozza forma di triangolo isoscele, con la base situata fra i bacini di Panzano e le paludi del Lisèrt, il vertice puntato verso Ronchi dei Legionari e l’altezza segnata dai canali De Dottori e Valentinis, l’uno d’irrigazione e l’altro navigabile, che dividono sommariamente a metà l’abitato. Il vecchio nucleo pedecarsico ha ormai una posizione periferica, presso il lato settentrionale, segnato dalla ferrovia.

    Monfalcone. Il Municipio.

    Le città friulane. Udine

    Udine, la cui popolazione attuale si aggira sui 70.000 ab., è la massima città friulana e la seconda città della regione. Il suo sviluppo è stato però più precoce delle città giuliane, giacché risale ancora al periodo patriarcale, mentre si arrestò durante la dominazione veneta, per riprendere lentamente solo nello scorso secolo.

    Analogamente a quanto abbiamo visto per Gorizia, la città si è formata alla base di un colle (m. 138) costituito di alluvioni cementate preglaciali, che sovrasta di una ventina di metri la circostante pianura. Molto diversa dal colle goriziano è però la posizione geografica di quello udinese, che si trova quasi al centro della vasta pianura compresa fra il Tagliamento e l’Isonzo, le Prealpi e il mare, dove convergono naturalmente le vie di comunicazione alpine e transalpine dirette ai porti adriatici, incrociando le direttrici longitudinali di traffico fra il Veneto e l’Istria.

    Monfalcone. Il Duomo di S. Ambrogio.

    Veduta aerea di Udine.

    Non vi è dubbio che il colle udinese sia stato abitato fin dai tempi più antichi, essendo un ottimo luogo di rifugio e di difesa, che permetteva di controllare una vasta area circostante. Il primo documento che garantisca l’esistenza di un insediamento risale però appena al 983 ed è un diploma con cui l’imperatore Ottone II confermava al patriarca aquileiese Rodoaldo il possesso di cinque castelli friulani, fra i quali, al quarto posto, c’è quello di « Udene » (1).

    Lo sviluppo urbano di Udine.

    1. Prima metà del sec. XIII (prima cerchia di mura); 2, Seconda metà del sec. XIII (seconda cerchia di mura); 3, Prima metà del sec. XIV (quarta ed ultima cerchia). (Da E. Scarin, Udine. Ricerche di geografia urbana).

    Si tratta di un centro apicale fortificato, di probabile origine longobarda, costituito da un grande edificio e da altre minori costruzioni, cinto alla base del colle da una cerchia muraria e da un fossato, in cui erano state convogliate due rogge, derivate dal Torre. Sotto la protezione del castello sorsero a poco a poco, nella pianura sottostante, alcuni modesti agglomerati rurali ; il gruppo settentrionale veniva indicato con il nome di « Vile di Sore », mentre quello meridionale per contrapposizione veniva chiamato « Vile di Sot ». Alla base occidentale del colle, in posizione centrale fra le due ville, si sviluppò ben presto la « Vile di Udin », probabile filiazione del centro castellare, con funzioni preminenti di mercato.

    Al principio del secolo XIII il castello con la sua villa avevano ormai assunto una tale importanza commerciale e demografica che il patriarca Bertoldo di Andechs decise di porvi la sua dimora abituale, abbandonando la vecchia sede di Cividale, ormai troppo eccentrica nel nuovo quadro della vita economica friulana. Per Udine incominciò allora una fase di grande espansione, favorita dalle nuove funzioni amministrative, nonostante l’astiosa rivalità di Cividale e gli assedi a cui fu sottoposta ad opera dei nemici dei Patriarchi. Il centro pedecollinare assunse una fisionomia tipicamente urbana e verso la metà del ’200 ebbe la propria cinta muraria, dalla forma rozzamente triangolare, allungata in senso meridiano e compresa fra il colle e le due rogge. Essendo il Mercatovecchio ormai insufficiente alle esigenze, venne creato il Mercatonuovo, che divenne il nuovo fulcro della vita cittadina.

    Udine. Pianta cinquecentesca della città.

    Ma la rapida espansione dell’abitato costrinse gli Udinesi a costruirsi, nel breve periodo di un secolo, altre tre cerehie murarie, via via più ampie, che inclusero progressivamente tutti i borghi vicini delle ville di sopra e di sotto. Una seconda cerchia venne costruita già nella seconda metà del ’200 e comportò una deviazione delle rogge. La città raddoppiò così la sua superfìcie, includendo a sud i borghi Grazzano e Aquileia.

    La terza cerchia segnò invece uno sviluppo verso occidente, con l’incorporamento del borgo Poscolle, ma fu anch’essa ben presto incapace di contenere l’abitato con le sue crescenti attività commerciali e artigiane. Nella prima metà del ’300, al tempo del grande patriarca Bertrando di San Genesio, si pose allora mano alla costruzione della quarta ed ultima cerchia, con vedute più lungimiranti che nel passato. Furono infatti inclusi tutti i borghi vicini, con i loro orti ed i loro prati, cosicché venne ingrandita di ben 18 volte l’area del primo centro murato, in modo da contenervi anche gli accrescimenti futuri. La popolazione raggiunse allora i 6000 ab., quando Trieste e Gorizia non ne possedevano neanche la metà, per salire a 15.000 verso la fine del periodo patriarcale. Delle cerehie precedenti venne conservata solo la seconda, la cui importanza difensiva era rafforzata dal cerchio d’acqua delle rogge.

    Vedi Anche:  Nome e vicende territoriali

    Il castello di Udine divenne nel secolo XIII sede dell’amministrazione patriarcale e luogo di riunione del Parlamento. Fu poi ricostruito nel 1517 e divenne la sede dei Luogotenenti Veneti della Patria del Friuli.

    La popolazione di Udine dal 1871 in poi.

    Lo straordinario sviluppo topografico di Udine nei secoli XIII e XIV è dovuto in gran parte alla preesistenza dei borghi rurali vicini, il cui progressivo incorporamento mutò molto il primitivo aspetto urbano della città, per l’inclusione di attività rurali. Man mano che le mura venivano ampliate, le arterie interne si allungavano verso i borghi, cosicché la pianta cittadina presenta alla fine una struttura tipicamente radiale, convergente alla base sudoccidentale del colle nell’attuale piazza Libertà, a cui facevano capo le strade provenienti da Gemona, Aquileia, Venezia e Cividale. Alla fine del ’300 risultano così ormai prefigurate a grandi linee le caratteristiche topografiche attuali.

    Dopo l’annessione veneta Udine salvò i suoi liberi ordinamenti, ma subì un notevole declassamento politico ed economico, che determinò una stasi demografica ed edilizia. Ormai i traffici transalpini venivano convogliati direttamente a Venezia, lungo la via più breve che si staccava ad Artegna e passava per San Daniele e Portogruaro. Decadde contemporaneamente anche l’artigianato, intimamente legato alle attività commerciali. La popolazione si stabilizzò in un primo tempo sul livello raggiunto alla fine deH’amministrazione patriarcale, ma nel secolo XVII diminuì considerevolmente, per riprendere il livello iniziale nel secolo seguente. Così in quasi quattro secoli di dominio veneto non si ebbe alcun incremento demografico.

    Udine. La piazza della Libertà, già Contarena, con la Loggia del Lionello.

    All’inizio del ’700 persistevano ancora nell’interno delle mura estese aree seminative e prative e molti borghi erano ancora distinti dal nucleo urbano centrale. Anziché crescere, la città si era abbellita di chiese, di palazzi e di giardini, il maggiore dei quali venne ottenuto dalla sistemazione dell’area lacustre ad oriente del colle (ora piazza Primo Maggio).

    Il passaggio all’amministrazione austriaca non portò sostanziali mutamenti economici, poiché una nuova fase di sviluppo cominciò appena verso la metà del secolo scorso con le costruzioni ferroviarie, che restituirono ad Udine l’antica funzione di transito commerciale.

    Quando finalmente la città venne annessa all’Italia (1866), risentì economicamente i danni derivanti dalla sua posizione di confine, che le conferì un’importante funzione militare, ma non incoraggiò le iniziative industriali. Non bisogna poi ignorare la concorrenza esercitata dalle vicine città giuliane, in cui le industrie, agevolate dal governo austriaco si erano affermate molto per tempo. La popolazione salì lentamente nel corso dell’8oo senza tuttavia riuscire a raddoppiarsi, come più volte era accaduto a Trieste e a Gorizia. Infatti nel 1901 non superava i 26.000 ab., con un incremento secolare di circa il 70%. L’abitato subì però una notevole espansione favorita dall’abbattimento delle mura, al cui posto fu creato un ampio anello di circonvallazione. La stazione ferroviaria, costruita a sud della città, divenne un nuovo centro di attività, attorno a cui si sviluppò un quartiere per i ferrovieri e si addensarono alcune industrie. I collegamenti con il centro furono migliorati con l’apertura di una nuova arteria diretta, corrispondente alle attuali vie Roma e Carducci. Alcune digitazioni urbane si spinsero lungo le principali vie di comunicazione stradali, oltre Porta Venezia, Porta Aquileia e Porta Gemona.

    Udine. La Loggia dei Signori, in piazza della Libertà.

    La nascita di alcune considerevoli industrie come la ferriera, il cotonificio, il birrificio e la fabbrica di fiammiferi, determinarono nei primi anni del nostro secolo immediate ripercussioni demografiche ed urbanistiche. Gli abitanti salirono in un decennio a 30.000, mentre l’espansione dell’abitato verso sud acquistò proporzioni più ampie, superando la linea ferroviaria in direzione della Roggia di Palma e del Canale Trivignano. Le industrie si stabilirono però soprattutto a nord dell’abitato, lungo la Roggia Udinese ed il nuovo Canale Ledra, che assicuravano un maggiore approvvigionamento idrico.

    I quartieri geografici di Udine.

    1, nucleo centrale cittadino ; 2, zone di vecchio popolamento; 3, zona di nuovo popolamento; 4, zone di recente popolamento; 5, zona ferroviaria; 6 e 7, zone commerciali e industriali ; 8 e 8a, zone militari ; 9 e 9a, zone sportive; 10 e 11, zone degli studi; 12″ e 12a, zone ospedaliere; 13, cimitero; 14, giardini; 15, insediamento rurale; a, mercati giornalieri ; b, mercati abbandonati ; c, fiere (per orientare la cartina è stato aggiunto il tracciato delle ex mura cittadine e il corso delle rogge). (Da E. Scarin, Udine. Ricerche di geografia urbana).

    Udine. Il Duomo (romanico-gotico, con il tozzo campanile incompiuto).

    Durante la prima guerra mondiale la città divenne una grande base militare e si riempì di acquartieramenti di truppe, di magazzini e di servizi, tanto che la popolazione risultò quasi raddoppiata. Via nel 1917 l’avanzata austriaca capovolse completamente la situazione, provocando l’esodo in massa degli abitanti e paralizzando ogni attività economica. Dopo la vittoria italiana ritornò presto la normalità e riprese lo sviluppo economico e demografico, così bruscamente interrotto dalla guerra.

    La popolazione raggiunse nel 1931 i 57.000 ab. con un incremento del 90% rispetto al 1911, mentre l’abitato si espandeva in tutte le direzioni, seguendo la struttura radiale della città trecentesca. Dopo una nuova stasi nel decennio successivo, i progressi riprendono alla fine dell’ultimo conflitto fino all’attuale superamento dei 70.000 abitanti.

    Anche a Udine possiamo riconoscere abbastanza bene i vari quartieri geografici. C’è in primo luogo il vecchio centro urbano della seconda cerchia, compreso fra il Castello e la piazza Venti Settembre, con alta densità di insediamento e preminenza di attività commerciali. Viene quindi la zona di nuovo insediamento, compresa nell’ultima cerchia di mura, con minore densità di costruzioni e di abitanti. È invece molto ridotta la zona di popolamento recente, che interessa soprattutto il quartiere della stazione ferroviaria, mentre la superficie maggiore è occupata dall’area estensiva di insediamento recentissimo, caratterizzata da villini e da alcuni complessi moderni di più elevate dimensioni. Anche Udine ha quindi oggi un volto urbanistico molto composito, ma ha conservato meglio delle altre città il suo antico nucleo medievale, che risente fortemente di influssi veneti e presenta considerevoli pregi artistici.

    Udine. Piazza San Giacomo, ora Matteotti, con il caratteristico mercato cittadino.

    Il più vivace complesso monumentale si accentra nella piazza della Libertà, già Contarena, che è una tra le più belle e pittoresche piazze d’Italia, risultante dall’armonia di monumenti diversi per epoca e per stile, per quanto la Loggia del Lionello, con le sue svelte e graziose forme gotiche le dia un aspetto spiccatamente veneto. L’edificio, disegnato dall’orafo udinese Nicolò Lionello (1448), è a corsi alternati di pietra bianca e rossa, con facciate leggere ornate di trifore e pentafore, mentre sotto ricchi baldacchini ci sono le statue della Madonna con bambino e della Patria del Friuli. Di fronte sta la Loggia di San Giovanni, elegante costruzione rinascimentale (1533) da cui si accede alla chiesa di San Giovanni, trasformata in Pantheon dei Caduti. Accanto a questa c’è la bella Torre dell’Orologio, opera cinquecentesca di Giovanni da Udine, la quale un tempo funse da entrata principale del Castello. Contribuiscono a dare movimento alla piazza la fontana, pure di Giovanni da Udine, le due colonne con il leone di San Marco (1490) e con la statua della Giustizia (1612), le due statue di Ercole e Caco, il monumento alla Pace di Campoformido e la statua equestre di Vittorio Emanuele II.

    Passando sotto l’Arco Bollani del Palladio, si accede al Castello, ora adibito a Museo, la cui ultima costruzione (1517) fu opera del Fontana, maestro del Palladio. A fianco del Castello c’è la chiesa di Santa Maria, la prima pieve di Udine, che risale probabilmente aH’VIII secolo, conservando nell’interno una severa struttura romanica.

    Altro monumento insigne è il Duomo (1236), di linee romanico-gotiche, il cui interno ha subito però nel ’700 una radicale trasformazione barocca. Caratteristico è il tozzo campanile incompiuto, innalzato alla metà del ’400 sull’ottagono del Battistero romanico. Accanto al Duomo c’è l’Oratorio della Purità (1757), il cui soffitto fu affrescato con la luminosa rappresentazione dell’Assunta dal Tiepolo, che ha lasciato alla città altre insigni pitture nel palazzo arcivescovile. Sono anche notevoli le chiese di San Francesco (secolo XIII), recentemente restaurata, della Madonna delle Grazie, celebre santuario quattrocentesco ampliato nell’800, di Sant’Antonio Abate, con un’elegante facciata settecentesca d’ispirazione palladiana, e la cappella Manin, gioiello d’arte barocca. In piazzale XXVI Luglio fu eretto nel 1934 un grande Tempio Ossario dei Caduti.

    Fra i più pregevoli palazzi, meritano di essere segnalati il palladiano palazzo Antonini, l’imponente mole secentesca del Monte di Pietà e il palazzo Bartolini, pure del ’600, ora sede della Biblioteca Comunale. Degne di menzione sono pure le torri trecentesche sopravvissute all’abbattimento delle mura, a Porta Aquileia, Porta San Lazzaro e Porta Villalta.

    Udine. Il Tempio ossario dei Caduti, in piazza XXVI Luglio.

    Udine vanta pure gloriose tradizioni culturali, avendo dato i natali a numerosi uomini illustri. Nel campo dell’arte emergono sugli altri l’insigne architetto ed orafo Nicolò Lionello (1400-64), artefice della Loggia del Comune, il pittore Giovanni Ricamatore (1494-1561), detto Giovanni da Udine, uno dei migliori discepoli di Raffaello, che lasciò una notevole impronta nelle Logge Vaticane, il pittore Martino, detto Pellegrino di San Daniele (1467-1547), i cui capolavori si trovano appunto a San Daniele del Friuli, i pittori Girolamo da Udine, Giovan Battista Grassi e Luca Monverde, vissuti tutti nel secolo XVI, e il poeta contemporaneo Emilio Girardini, uno dei più forti poeti del Friuli. Nel campo degli studi giuridici si segnala Tiberio Deciani (1509-82), celebre criminalista, e in quello della storia Prospero Antonini (1809-84). Scienziati famosi furono Alfonso e Daniele Antonini (secoli XVI-XVII), versati nelle scienze matematiche ed astronomiche, e più recentemente il geografo Giovanni Marinelli, che può essere definito il padre della geografia italiana moderna.

    Antonio Zanon (1696-1770) lasciò molti saggi di economia agraria e fondò la prima accademia agraria italiana, emulato in tempi più recenti daireconomista Bonaldo Stringher. Ma meritano di essere ricordati per le loro imprese anche Girolamo Savorgnan (secoli XV-XVI), famoso capitano della Repubblica Veneta, e Gian Maria Percoto (secolo XVI), audace missionario nella lontana Birmania.

    A Udine convennero e svolsero la loro opera quasi tutti i migliori ingegni friulani, dal filologo Gian Jacopo Pirona (1789-1878), dignanese, autore del Vocabolario friulano, al pubblicista Pacifico Valussi (1813-93), di Talmassòns, pioniere del progresso agricolo e commerciale, dal poeta Pietro Zorutti al compositore Arturo Zardini, dal poeta Giuseppe Ellero allo scrittore Chino Ermacora, recentemente scomparso.

    Fra le più gloriose istituzioni culturali udinesi vanno ricordate l’Accademia di Lettere, Arti e Scienze, fondata nel 1606 e la Società Filologica Friulana « G. I. Ascoli », che ha celebrato nel 1959 il suo primo cinquantenario di vita. La città possiede pure un interessante Museo Civico, con annessa Pinacoteca, sistemati nel Castello, ed un notevole Museo di Storia Naturale.

    Pordenone

    La seconda città del Friuli è Pordenone, con i suoi 25.000 ab., il cui sviluppo risale appena al secolo scorso, ma è stato molto più rapido di quello registrato nello stesso tempo da Udine.

    La città sorse su un dosso alluvionale (m. 23), rialzato di pochi metri sul piano circostante, sulle rive del Noncello, fiume navigabile di risorgiva, da cui prese il nome (Portus Naonis). La sua posizione fluviale nella zona delle risorgive, al centro della pianura compresa fra Livenza e Tagliamento, le Prealpi Carniche e il mare, era particolarmente favorevole per i traffici, cosicché si suppone che già in epoca romana esistesse nella zona un notevole centro militare e commerciale, forse nel sito dell’attuale sobborgo di Torre, a nordest della città, dove sono stati rinvenuti importanti resti romani. La decadenza di questo centro potrebbe essere attribuita alle invasioni barbariche ed all’impaludamento, per cui è possibile che gli abitanti abbiano cercato rifugio nel modesto rilievo alluvionale, asciutto e difeso naturalmente dalle acque. Certo verso la fine del secolo XII esisteva già una terra murata ricca di commerci, tale da suscitare le invidie dei Patriarchi aquileiesi, che nel 1220 la fanno devastare dalle loro truppe.

    Nel 1232 l’imperatore Federico II infeudò Enrico Pitter di Ragogna «de turri et muta Porti Naonis », ed è questo il più antico documento che nomini la città, che attraverso varie vicende feudali passò nel 1278 ad Alberto d’Absburgo, per rimanere in possesso della sua famiglia per ben 230 anni. Così la comunità di Pordenone, con le sue sette ville dipendenti, ebbe uno sviluppo autonomo dal resto del Friuli, costituendo una base militare austriaca nell’interno del Patriarcato dapprima, e poi della Repubblica Veneta.

    Pordenone: la città vecchia; a sinistra è ben visibile il corso Vittorio Emanuele, asse fondamentale dello sviluppo urbano.

    Gli Austriaci concedettero agevolazioni fiscali per il commercio con i paesi transalpini, ma poco si curarono di difendere la città dall’ostilità dei vicini signori di Prata, Porcìa, Zoppola e, soprattutto, di quelli di Ragogna che dimoravano nel castello di Torre. Pordenone viveva dei suoi commerci, particolarmente intensi con i vicini porti fluviali del basso Livenza e del basso Piave, mentre molto scarsi erano i suoi rapporti con Udine, per l’insufficienza delle comunicazioni.

    Il primo nucleo cittadino si può riconoscere attorno all’attuale piazza San Marco, a cui fanno capo vicoli tortuosi, ancora pavimentati di ciottoli. Poi l’abitato si sviluppò verso nordovest, lungo il Bago Grande, che corrisponde all’attuale corso Vittorio Emanuele. Ed è in questa direzione che vennero spostate due volte le mura, alla fine del secolo XIII e alla fine del secolo XIV, cosicché la pianta cittadina assunse una forma rozzamente triangolare.

    La seconda cerchia, che incluse le piazze del Castello e della Motta, aveva due porte, di cui la più importante era quella meridionale, denominata « Furlana », che portava al porto, mentre da quella settentrionale si accedeva a Roraigrande e a Torre. In questa cerchia sorsero alcuni notevoli edifici gotici, come il campanile di San Marco, il Duomo, il Palazzo Municipale e il Palazzo dei Capitani.

    La terza e ultima cinta muraria raddoppiò l’area urbana e permise lo sviluppo di un quartiere artigiano, perchè presso la nuova porta settentrionale, chiamata « Trevigiana », si stabilirono in gran numero i lanaioli. Fuori della Porta Furlana, sull’altra riva del Noncello, sorsero invece le case dei ceramisti, « baccalari » e « scodellai ». Due nuove porte vennero aperte in seguito sugli altri lati della città, per favorire l’accesso ai conventi dei Cappuccini e dei Carmelitani. All’inizio del ’500 la popolazione cittadina si aggirava sui 2000 ab., quando Udine ne aveva ormai 15.000.

    Pordenone. Il trecentesco Palazzo Municipale, di stile gotico.

    In seguito alle guerre austro-venete il Territorio di Pordenone passò nel 1508 sotto la signoria del condottiero veneto Bartolomeo d’Alviano, ma nel 1537, essendosi estinta la sua famiglia, venne annessa alla Repubblica Veneta. L’inserimento della città in un vasto complesso politico-economico unitario e le condizioni di maggiore sicurezza favorirono il suo sviluppo economico e demografico. Vi guadagnò l’artigianato della ceramica e sulle rive del Noncello potè sorgere una cartiera, tuttora esistente, che ebbe subito grande successo. Nel corso del secolo XVI la popolazione triplicò la sua consistenza, grazie soprattutto all’inclusione dei borghi vicini. Ma la peste del 1631 dimezzò gli abitanti, il cui numero rimase poi stazionario fino alla fine del secolo XVIII. Grande fu invece l’incremento delle ville più vicine, senza impedimenti di ormai inutili mura, ed in particolare quelle di Torre e di Roraigrande, che ebbero un considerevole sviluppo stradale verso il capoluogo.

    Pordenone. Il Duomo di San Marco, con l’agile campanile romanico.

    Con l’apertura delle nuove comunicazioni stradali e ferroviarie, comincia verso la metà del secolo scorso la grande fase di sviluppo demografico ed urbano, determinata dalla nascita delle grandi industrie tessili e della ceramica. La popolazione cittadina, che all’inizio del secolo non superava i 5500 ab., si accresce rapidamente fino a raggiungere verso la fine i 12.000 ab., raddoppiandosi quindi in meno di cent’anni.

    Vennero abbattute le mura ed incorporati i borghi di Roraigrande e di Torre; a sudovest dell’abitato sorse la stazione ferroviaria, elemento di attrazione delle nuove industrie, che venne collegata al centro da una nuova arteria (ora via Mazzini), mentre altre digitazioni urbane si spingevano lungo le strade per Udine e per Treviso.

    Dopo la parentesi bellica e la riparazione dei gravi danni arrecati dall’occupazione nemica, riprese il fervore industriale, che si estese al settore metallurgico e meccanico, determinando un ulteriore sviluppo demografico ed urbano. La popolazione si è nuovamente raddoppiata in un solo cinquantennio, mentre più che raddoppiata risulta nello stesso periodo l’area urbana, grazie a un diffuso insediamento estensivo. Il fulcro cittadino, che fin dagli inizi dell’800 era costituito dalla piazza San Marco, si è lentamente spostato verso nordovest, stabilendosi dapprima in piazza Cavour, elemento di cerniera fra la città vecchia e quella nuova, ma poi, con il prolungamento del vecchio Corso, al Largo San Giovanni, dove convergono cinque importanti arterie di traffico. Nel 1939 venne aperta una comoda strada di circonvallazione, per alleggerire il traffico urbano, che attirò ben presto le nuove industrie e le nuove abitazioni, tanto che oggi si sta provvedendo alla costruzione di un nuovo anello stradale più ampio.

    Pordenone. Il grattacielo Santin.

    La città diede i natali al famoso pittore Giovanni Antonio Sacchis (1482-1539), detto il Pordenone, massimo pittore friulano, la cui arte sta a fianco di quella di Tiziano, e al pittore Michelangelo Grigoletti (1801-70) che fece numerose pale da altare per il Friuli e a Trieste. Ma il nome della città è anche legato al Beato Odorico (1265-1331), missionario francescano, che fu il primo europeo a visitare il Tibet, dettando poi importanti relazioni ad un confratello, che ce le tramandò.

    Pordenone possiede un rilevante patrimonio artistico, concentrato per lo più nella città vecchia. Il corso Vittorio Emanuele è tutto fiancheggiato da palazzetti gotici e rinascimentali a portici, che portano ancora sulle facciate le tracce dell’antica decorazione a fresco. Ricco di pittoresche prospettive è il complesso architettonico della piazza San Marco: da un lato il Palazzo Comunale, costruzione gotica (1291) con ampio porticato, graziose trifore e avancorpo turrito; dall’altro la gotica facciata del Duomo (secolo XV), rimasta incompiuta, con il bellissimo campanile romanico (secolo XIII). Nell’interno del Duomo ci sono pregevoli opere del Pordenone e del-l’Amalteo, mentre nel Palazzo Comunale è ospitata una piccola Pinacoteca.