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Fiumi e laghi

    Le acque

    I corsi d’acqua

    Non si può certo, nell’Umbria, individuare una stretta relazione tra le linee generali del rilievo e l’andamento della rete idrografica. Delle lunghe depressioni che si interpongono tra le dorsali montuose, non ve n’è una che sia percorsa per intero da un solo corso d’acqua; i solchi vallivi passano da una all’altra di esse, alternando tronchi longitudinali a tronchi trasversali e tagliando le montagne con strette incisioni, talora con vere e proprie gole. Ne risulta, nel complesso, un reticolato alquanto irregolare, con notevoli variazioni di pendenza dei singoli fiumi e torrenti, che ora si allargano e divagano in vaste piane, ora si incanalano in alvei angusti ad accentuata inclinazione.

    Come in tutta l’Italia appenninica, è evidente che il sistema idrografico risente della giovane età del rilievo, ed è stato influenzato anche dai successivi movimenti del terreno, relativamente recenti, che hanno interrotto e deviato forse più di una volta l’azione erosiva delle acque correnti, ritardando o accelerando l’evoluzione dei vari tronchi vallivi; ed a modificarne l’evoluzione ha contribuito poi sia la differente altimetria delle catene montuose sia il diverso grado di resistenza delle rocce all’opera demolitrice delle acque, sia infine, nella montagna calcarea, lo sviluppo che assume la circolazione sotterranea, la quale sottrae una parte delle acque al deflusso superficiale.

    Quasi tutte le acque dell’Umbria, dopo un percorso più o meno lungo e tortuoso, finiscono per ritrovarsi nel Tevere; restano fuori del suo bacino soltanto alcune piccole aree situate oltre lo spartiacque appenninico e tributarie perciò del versante adriatico. Ma il Nera, che ne è il maggior affluente, porta il suo contributo al fiume principale solo dopo che questo è uscito dai confini della regione, sicché i bacini dei due corsi d’acqua si possono considerare, almeno per quanto riguarda il nostro territorio, distinti l’uno dall’altro; e, come si vedrà meglio in sèguito, presentano caratteri idrologici sensibilmente diversi.

    Il Tevere e i suoi affluenti

    Il Tevere, che nasce nell’Appennino romagnolo, sulle pendici meridionali del monte Fumaiolo, entra in Umbria dopo circa 35 km. di corso, attraversando la lunga conca della vai Tiberina: dalla quota di 1268 m., alla quale si trovano le sue sorgenti, è già disceso a poco meno di 300; in circa 80 km., fino a Perugia, scenderà ancora di soli 100 m., scorrendo verso sud-sudest in un angusto letto, chiuso fra bassi terrazzi fluviali. In questo tratto esso riceve sulla destra il contributo di alcuni modesti corsi d’acqua, di breve percorso ed a regime assai irregolare: il Cerfone, il Nestore alto, il Niccone; sulla sinistra il bacino è un po’ più ampio, ed il maggiore affluente è l’Assino, che, dopo aver raccolto le acque della parte settentrionale della conca di Gubbio, taglia con un profondo solco trasversale la dorsale del monte Urbino e giunge al Tevere poco sotto Umbèrtide.

    Dopo Perugia, il Tevere prende una direzione quasi esattamente meridiana, che conserva fino a Todi; il suo corso si svolge per oltre 50 km., mantenendo sempre una lieve pendenza e formando numerosi meandri. Fra Perugia e Todi riceve, tra gli altri, due importanti affluenti, che ne aumentano considerevolmente la portata: il Chiascio e il basso Nestore. Il Chiascio, che confluisce nel fiume principale allo sbocco della valle Umbra, presso Torgiano, è il maggior tributario di destra che si incontra prima del Nera, e convoglia le acque di un bacino esteso per circa 2000 kmq., fino allo spartiacque appenninico. Comprende due rami: il Chiascio vero e proprio e il Topino; quest’ultimo molto più notevole del primo per l’abbondanza e la relativa regolarità delle portate.

    Il Chiascio si forma dall’unione di alcuni rivi che scendono dalla sella di Scheggia, dal monte Cucco e dalla dorsale di Gubbio; percorre per un breve tratto una valle longitudinale, il cui versante destro è alquanto ripido, mentre il sinistro presenta in basso una larga fascia collinare; poi taglia trasversalmente i rilievi montuosi fino a raggiungere la piana sotto Assisi ; nella parte alta del corso riceve da destra il Saonda, proveniente dalla conca di Gubbio, e poco dopo, da sinistra, il Rasina, che gli porta le acque della piana di Gualdo Tadino; a monte di Assisi vi si versa ancora il Tescio. Attraversata la valle Umbra fino alle falde della collina di Bettona, il Chiascio si unisce al Topino e si dirige a ponente, raggiungendo il Tevere dopo un percorso complessivo di oltre 80 chilometri.

    Il Tevere presso Umbèrtide.

    Il Topino, che proviene dal monte Pennino, ad est di Nocera Umbra, raccoglie le acque di numerosi torrentelli e sorgenti, percorrendo la lunga e stretta vallata tra la dorsale del Subasio e la catena del monte Pennino, fino a sboccare nell’ampia piana di Foligno; di qui il suo corso piega quasi ad angolo retto e segue poi l’asse della valle Umbra. Pochi chilometri prima di Foligno, il Topino riceve le abbondanti acque del Menotre, i cui rami sorgentizi scendono dal versante settentrionale del monte Maggiore; presso Cannara vi confluisce il Timia, un breve corso d’acqua formato dall’unione del Maroggia e del Clitunno; il primo convoglia gli apporti di un gran numero di rivi provenienti dalle pendici del monte Martano e dai monti di Spoleto, mentre il secondo è alimentato principalmente dalle famose sorgenti, che sgorgano presso Campello, alla base dei terreni calcarei.

    L’idrografia dell’Umbria.

    Il Nestore inizia il suo corso presso Monteleone d’Orvieto, agli estremi occidentali dell’Umbria, e si dirige dapprima verso nordest, poi si volge bruscamente verso sud e riceve il piccolo torrente Càina, che dovrebbe portargli le acque del Trasimeno, per mezzo di un emissario artificiale; confluisce nel Tevere presso Mar-sciano, dopo 50 km. di corso tortuoso che si svolge quasi sempre con modesta pendenza, in una valle fiancheggiata da basse colline e, nel tratto inferiore, con un ampio fondo coperto di alluvioni.

    Giunto in vista della collina di Todi, il Tevere piega quasi ad angolo retto dirigendosi a sudovest; abbandona la valle longitudinale che fin qui aveva percorso, e s’inoltra attraverso la dorsale del monte Peglia. Il solco vallivo, nettamente trasversale, si va restringendo e diviene un’angusta incisione, tra fianchi ripidi e scoscesi, alla gola del Forello, dove il fiume taglia i calcari compatti cretacei, che formano l’ossatura della catena. In una trentina di chilometri il letto del fiume si abbassa di circa 50 m. e raccoglie una serie di brevi affluenti; il più lungo ed il più notevole è il Naia, che confluisce sulla sinistra poco oltre Todi e che proviene dai monti che chiudono la conca di Terni, seguendo una verde vailetta chiusa tra amene colline; ma ben modesto è l’apporto acqueo di questo torrente, assai sfruttato per l’irrigazione.

    I rilievi vulcanici dell’Orvietano costringono il Tevere a mutare ancora direzione; il suo corso si volge di nuovo a sud-sudest, e manterrà poi questo orientamento per un lungo tratto, fiancheggiato sulla destra dalle formazioni vulcaniche dell’Alto Lazio e sulla sinistra dalle montagne del Subappennino.

    Poco a valle di Orvieto vi confluisce il Paglia, che è il più cospicuo tra gli affluenti di destra (64 km. di corso, e oltre 1.300 kmq. di bacino), ma presenta un regime assai irregolare, con accentuate magre estive e forti piene nei periodi piovosi. Esso si compone di due rami principali, che si riuniscono sotto Orvieto: il Paglia che scende dalle pendici sudorientali dell’Amiata, ed il Chiani. Quest’ultimo inizia poco a sud del lago di Chiusi, del quale era emissario: attualmente ne è diviso da un argine costruito nel 1782, in seguito ad un accordo tra il governo pontificio e quello toscano, per deviare all’Arno le acque dei laghi di Chiusi e di Montepulciano; perciò il Chiani ha ora origine da una pianura alluvionale e si alimenta specialmente delle acque che gli porta dal monte Cetona il suo affluente Astrone.

    Caratteristiche idrologiche del Tevere

    Quando raggiunge Orte e si appresta a ricevere il contributo del Nera, il Tevere ha già percorso dalla sorgente più di 240 km., pari al 60% della sua lunghezza, ed ha lasciato alle spalle quasi metà del suo bacino (8426 kmq. su 17.169 complessivi), ma non è ancora diventato un fiume: il regime è fortemente irregolare e la portata media è poco più di un terzo di quella che avrà nell’ultimo tratto del corso.

    Quasi tutto il bacino del Tevere, a monte della confluenza del Nera, risente infatti direttamente dell’irregolarità delle precipitazioni, che alternano periodi di accentuata siccità con altri di abbondanti afflussi meteorici, secondo il regime pluviometrico caratteristico di tutta l’Italia appenninica. E tanto più il regime idrologico riflette quello delle piogge, in quanto la maggior parte del bacino stesso (oltre l’8o%) è formata da terreni impermeabili, che lasciano defluire rapidamente le acque, senza costituire alcuna riserva idrica per la stagione asciutta; inoltre, se si eccettuano le poche aree elevate, la caduta di neve è scarsa, e breve la sua permanenza sul suolo, sicché risulta per lo più ben modesto l’apporto acqueo che può essere fornito dallo scioglimento del manto nevoso.

    Il Tevere a Ponte San Giovanni.

     

    Inoltre le perdite per evaporazione devono essere sensibili, pur se non è possibile stabilirne l’entità, in alcuni tronchi dei corsi d’acqua, specie dove la pendenza è minima e le acque scorrono lentamente, divagando nel fondo pianeggiante delle conche; ad esse si aggiungono le sottrazioni di acque destinate all’irrigazione, ingenti soprattutto nell’estate e praticate abbondantemente lungo il corso del Tevere e dei suoi maggiori affluenti. Questi fatti ci dànno facilmente ragione non solo della irregolarità del regime, ma anche della portata annua relativamente bassa che il Tevere presenta ancora a monte di Orte (in media circa 70 mc./sec.). Ma una più precisa idea delle condizioni idrologiche di questa parte del bacino si avrà analizzando le portate e i regimi dei vari tronchi del Tevere e dei principali affluenti.

    A metà della vai Tiberina, presso Città di Castello, il Tevere ha una portata di circa 14 mc./sec. che, confrontata con l’ampiezza del bacino di alimentazione, corrisponde a poco meno di 15 l./sec. per ogni kmq. di superficie. Le portate più cospicue si registrano nell’inverno e in primavera, le più basse nei mesi estivi, soprattutto in luglio; in media le portate di magra oscillano intorno a 2 mc./sec., quelle di piena tra 25 e 30. Il coefficiente di deflusso annuo è del 45%: meno della metà delle acque che cadono sul bacino va dunque ad incanalarsi nell’alveo del fiume; ma il rapporto tra il deflusso acqueo e le precipitazioni si riduce nell’estate a poco più del 10%, mentre sale a valori ben più elevati (oltre il 60%) nel periodo invernale-primaverile.

    Afflussi meteorici (in bianco) e deflussi (in grigio) del Tevere e del Nera.

    Poco prima di Perugia, quando non ha ancora ricevuto il tributo del Chiascio, il Tevere ha già più che raddoppiato la portata, raggiungendo una media di 30 mc./sec., specialmente per il contributo dell’Assino, che gli reca parte delle acque della piana di Gubbio. Il regime si mantiene molto irregolare, con la stessa proporzione fra le portate di magra e quelle di piena. Come nel primo tratto del corso d’acqua, le piene giungono improvvise in seguito a forti precipitazioni, e ciò si spiega facilmente con la prevalenza assoluta di terreni impermeabili nell’ambito del bacino e con la ripidità dei versanti, ricoperti spesso da uno scarso mantello vegetale.

    Il Topino nella piana di Foligno, a Ponte Nuovo.

    Il Tevere fra Todi e Baschi.

    Il Chiascio apporta in media un’altra ventina di metri cubi al secondo, dei quali una metà sono dovuti al subaffluente Topino. Il bacino di quest’ultimo è costituito per oltre il 50% da rocce permeabili, e probabilmente una parte considerevole dell’acqua che cade sulla sua superficie scola per vie sotterranee verso altri bacini del versante adriatico, sicché poco più di un quarto ne giunge a valle; ma in compenso i deflussi appaiono assai più regolari, in quanto il Topino viene alimentato in buona parte da sorgenti perenni che sgorgano alla base dei terreni calcarei sul fianco orientale del bacino (sono fra questi le celebri fonti del Clitunno) e che attenuano sensibilmente il divario tra le portate di piena e quelle di magra: infatti, nel periodo 1925-42, mentre la portata media annua, poco prima della confluenza del Chiascio, era di 11 mc./sec., la massima media mensile (marzo) raggiungeva 18 mc./sec. e la minima (agosto) non scendeva al disotto di 3. Grazie al Topino, il Chiascio può pertanto dare al Tevere un apporto acqueo abbastanza regolare, contribuendo specialmente ad arricchirne le portate di magra, che giungono in media nell’agosto, cioè nel mese più asciutto, a 9 mc./sec., con minime assolute non inferiori a 3.

    Vedi Anche:  Storia dell'Umbria

    A valle dalla confluenza del Chiascio, lungo la conca di Todi, aumentano le perdite estive, soprattutto per le irrigazioni, perdite compensate solo in parte dalle acque dei minori affluenti, numerosi ma quasi tutti di corso breve, ad accentuate pendenze, con piene improvvise e forte siccità estiva. Un contributo più regolare viene al Tevere sulla sinistra dalla dorsale calcarea del monte Martano; infine il Paglia gli porta in media un’altra dozzina di metri cubi al secondo, sicché a valle della confluenza la portata è di 73 mc./sec. (media del periodo 1926-50), con una massima media mensile di 140, in febbraio, ed una minima, in agosto, di circa 11. Il coefficiente di deflusso è in media, nell’anno, del 32% : in complesso dunque meno di un terzo dell’acqua caduta sulla superficie del bacino va ad alimentare il Tevere; ma questo rapporto è tutt’altro che costante durante l’anno: infatti, delle già scarse piogge estive, neppure il 10% riesce ad incanalarsi nell’alveo del fiume, mentre vi affluiscono in misura superiore al 60% le acque, assai più abbondanti, che cadono nei mesi invernali.

    Soltanto con l’apporto del Nera, a valle di Orte, il Tevere cambierà fisionomia e diventerà il maggior fiume dell’Italia peninsulare, non solo per la lunghezza del corso e l’ampiezza del bacino idrografico, ma anche per la portata complessiva e per la regolarità del deflusso. « Il Tevere non sarebbe Tevere, se la Nera non gli desse da bevere » afferma un detto popolare ; e non a torto, se si considera che una buona parte delle acque che alimentano nell’estate il basso Tevere è fornita proprio dal Nera, la cui portata di magra è almeno cinque volte superiore a quella dell’alto Tevere.

    Il Nera

    Il Nera svolge il suo corso per 116 km., raccogliendo le acque dalle montagne calcaree che si estendono dai Sibillini al gruppo del Terminillo, alla catena del monte Velino ed ai Sabini. Il ramo principale nasce da alcune sorgenti di fredde e limpide acque alla quota di 747 m., sulle pendici settentrionali del monte Patino, alle spalle di Castelluccio di Norcia; poco più in basso riceve l’acqua di alcuni torrentelli, ed a Visso vi confluisce l’Ussita, che scende anch’esso dai Sibillini, un po’ più a nord. Nera ed Ussita raccolgono da 100 kmq. di bacino, tutto permeabile, una portata media complessiva di circa 5 mc./sec. (pari a 50 litri per ogni kmq. di bacino), che si mantiene quasi costante durante l’anno, indipendentemente dal regime delle precipitazioni, che presenta sempre accentuati minimi estivi; è evidente l’influsso della circolazione sotterranea, per cui le sorgenti attingono abbondantemente da falde acquifere, che si formano anche all’esterno del bacino.

    La cascata delle Marmore, presso Terni.

    Da Visso, il Nera scorre in una valle trasversale, incassata fra alti monti i cui ripidi versanti scendono quasi a picco verso il fondo; segue per un tratto il confine con le Marche, quindi entra in Umbria, dopo aver ricevuto il fosso di Campiano, che gli porta le acque della zona elevata a settentrione di Norcia; prosegue nella direzione sudest, che conserverà per tutto l’alto corso, sempre stretto fra pareti rocciose, con un alveo accidentato, a pendenza superiore in media al io per mille; le acque chiare e impetuose si aprono la via spumeggiando tra i massi e gli spuntoni di roccia; a tratti, dove la valle si fa meno angusta, specie allo sbocco delle vallette laterali, il fondo appare coperto di bianche ghiaie.

    Il Paglia presso Allerona.

    A Triponzo si congiunge al Nera il primo importante affluente di sinistra, il Corno; esso ha origine dal versante nord del Terminillo, ad oltre 2000 m. di altezza, attraversa la conca di Leonessa ricevendo il tributo di alcuni torrenti minori, quindi s’inoltra fra le montagne calcaree, diretto a settentrione, in una valle chiusa fra ripidi versanti, dal paesaggio alpestre; piccole aree pianeggianti si alternano a vere e proprie forre, in cui le acque scorrono rapide, precipitando di roccia in roccia. Sotto Serravalle, il Corno piega il suo corso ad angolo retto ed assume la direzione est-ovest; poco prima vi confluisce il Sordo, breve ma importante affluente che scende dal piano di Santa Scolastica ed è formato da un gruppo di sorgenti perenni che riuniscono le loro acque sotto l’abitato di Norcia; il Sordo, che ha perciò una portata molto regolare e relativamente abbondante, percorre da Norcia a Serravalle una vailetta a fondo pianeggiante e a dolce pendenza, fiancheggiata da lunghe file di pioppi e da verdi prati. Da Serravalle a Triponzo, il Corno, arricchito dall’apporto del Sordo, scende ancora per una gola rocciosa, che diventa strettissima e selvaggia sotto il paese di Biselli, dove il fiume scorre fra due pareti verticali, in un alveo disseminato di massi e di minori detriti che cadono continuamente dai versanti; la pendenza è in media superiore al io per mille, con un dislivello di oltre 100 m. in 10 chilometri.

    Il Corno a Triponzo, poco prima della confluenza col Nera.

    Dopo la confluenza del Corno, il Nera riceve da destra, presso Cerreto di Spoleto, un altro corso d’acqua, il Vigi, proveniente dal monte Cavallo. Con gli apporti dei due affluenti suddetti, la portata media del Nera salirebbe ad oltre 20 mc./sec., ed il regime presenterebbe ancora minime oscillazioni stagionali; ma buona parte delle acque vengono sottratte al loro corso naturale da un canale di derivazione che attinge dal Nera, dal Corno e dal Vigi poco a monte delle rispettive confluenze, e con una galleria di 40 km. a quota 400 circa raggiunge il lago di Piediluco. Questa derivazione, destinata a regolarizzare l’afflusso delle acque nel lago secondo le esigenze degli impianti idroelettrici, devia dal Nera in media 16-17 mc./sec., riducendone la portata a meno della metà; inoltre, poiché la quantità d’acqua derivata non è costante, ne viene ad essere alterato anche il regime del fiume, che in questo punto presenta perciò dei minimi accentuati nei mesi estivi ed in parte dell’autunno. Tuttavia le acque che gli sono state sottratte ritornano poi al Nera all’inizio della conca di Terni, dopo che il fiume ha percorso la stretta e pittoresca valle che da Cerreto giunge fin sotto la cascata delle Màrmore; qui, oltre al contributo di alcuni minori torrenti (notevole specialmente il fosso di Poiino) e probabilmente di copiose sorgenti su-balvee, il Nera accoglie le acque del maggiore affluente, il Velino, che gli giungono sulla sinistra, superando un dislivello di quasi 200 metri.

    Il Velino ha un bacino di oltre 2300 kmq., costituito per tre quarti di rocce permeabili, ed esteso dai monti Reatini verso sudest fino al massiccio di monte Velino, ai Carseolani ed ai Sabini. Nella piana di Rieti, dopo aver ricevuto il Salto ed il Turano, che ne sono i più copiosi tributari, il Velino raggiunge una portata media di 49 mc./sec., circa il doppio di quella del Nera prima delle Màrmore, e il suo regime presenta modeste oscillazioni stagionali: le minime medie mensili, che si riscontrano di regola nell’estate e al principio dell’autunno, sono intorno ai 35 mc./sec., le massime, in febbraio superano di poco i 60. Notevole è dunque il contributo che questo fiume dà al Nera: l’imponente massa d’acqua è largamente utilizzata da impianti idroelettrici, che sfruttano il forte dislivello esistente fra la soglia delle Màrmore e l’alveo sottostante del Nera. Ne viene sacrificato il grandioso spettacolo della cascata, nota e celebrata fin dall’antichità: oggi, eccettuate alcune ore dei giorni festivi, in cui, per ragioni turistiche, viene ripristinato il deflusso naturale, si può ammirare soltanto la liscia parete lungo la quale l’acqua precipitava verticalmente per oltre 100 m., rimbalzando poi sulle rocce sottostanti, in una nube di spruzzi; e si scorgono tutt’intorno le incrostazioni calcaree e, alla base del salto principale, le rocce levigate e arrotondate dai veli d’acqua che, disperdendosi su un ampio fronte, proseguivano la corsa verso il fondo per congiungersi al Nera.

    In passato la cascata doveva spingersi più a valle, giungendo, forse con salti successivi, fino alle soglie dell’attuale abitato di Terni: ne fanno testimonianza i banchi di travertino fra i quali è scavato l’alveo del Nera sotto le cascate, alveo che mantiene del resto una pendenza considerevole, abbassandosi di circa 90 m. in 6 chilometri. Il fiume vi scorre rapido e fragoroso, anche se la massa d’acqua ne viene ridotta dalle derivazioni per gli usi industriali e per le irrigazioni della piana. Airinizio di questa, vi confluisce sulla destra il Serra, che scende aneli esso impetuoso da una stretta valle scavata profondamente nei calcari e percorsa dalla ferrovia per Spoleto; in una vallata adiacente, lungo la quale s’inoltra la via Flaminia, scorre il Tessino, pure proveniente dalle montagne che separano la conca di Terni da quella di Spoleto.

    Il Nera costeggia a sud l’abitato di Terni, sempre in un alveo stretto e profondo, quindi rallenta il suo corso attraversando la conca fino a Narni; riceve in questo tratto modesti apporti da torrentelli che scendono dalle pendici circostanti e le cui acque sono in gran parte assorbite dalle esigenze agricole. Circa a metà della conca, la portata media del fiume, alimentato da un bacino di oltre 4000 kmq., è di 90 mc./sec., con la minima, in agosto, di 67, e la massima, tra gennaio e febbraio, sui no. Il coefficiente di deflusso è sempre molto elevato, in media del 60%, cioè il doppio di quello dell’alto Tevere; e, inversamente a quanto si riscontra nell’alto

    Il Nera presso Vallo di Nera.

    Il Nera alla gola di Narni.

    Tevere, per il quale le maggiori perdite corrispondono ai mesi estivi, il Nera presenta in media proprio in luglio ed in agosto deflussi superiori agli afflussi meteorici. Appare ben evidente, da ciò, quanta parte abbia la circolazione sotterranea nel suo bacino, formato per 1*85% di rocce permeabili; queste costituiscono infatti dei vasti serbatoi naturali che, immagazzinando le acque nei periodi più piovosi, le lasciano poi defluire lentamente, e ne rendono così più regolare la discesa verso l’alveo del fiume; e in pari tempo, sottraendole temporaneamente alla circolazione superficiale, riducono le perdite per evaporazione, che sono poi minime lungo tutto il corso fluviale, data la velocità della corrente e la ristrettezza della valle, sul cui fondo il sole non può giungere che per breve periodo durante la giornata. Inoltre non è da trascurare un altro fattore : le montagne calcaree sono ricoperte di solito da uno scarso mantello vegetale, quando non sono addirittura spoglie, sicché non è grande neppure la quantità d’acqua che le piante    possono assorbire.

    Prima di giungere a Narni, il Nera accoglie ancora due affluenti di una certa entità: sulla destra il Cardaro, ricco d’acqua, ma di portata alquanto irregolare, con piene improvvise e magre prolungate; sulla sinistra l’Aia, che scende dai Sabini occidentali. Quindi, passando sotto i ruderi dell’ardito ponte di Augusto, sul quale la Flaminia romana attraversava la valle, il fiume si inoltra di nuovo in una gola rocciosa, tagliando i monti di Narni    con un alveo stretto e profondamente incassato, lungo il quale sgorgano numerose sorgenti, che gli portano l’ultimo contributo di acque sotterranee, provenienti dai terreni calcarei: contributo non indifferente, se è stato calcolato corrispondente a circa 13 mc./sec. nei periodi di magra del fiume, e che si mantiene probabilmente costante in tutto l’anno, per quanto la portata delle sorgenti non si possa più determinare direttamente quando, nelle piene, il loro livello di sbocco si trova sotto il pelo dell’acqua.

    Vedi Anche:  Caratteri fisici e pischici della popolazione, dialetti e cucina

    Nel complesso, circa 3 mc./sec. sarebbero forniti dalle sorgenti sulla destra del Nera; il resto dalle sorgenti della sponda sinistra, più numerose, tra le quali il gruppo di quelle che affiorano sotto Stifone è senza dubbio il più notevole, con un apporto di 5 mc./sec. L’origine di queste abbondanti acque sotterranee non può essere individuata con esattezza: la portata complessiva delle sorgenti sulla riva sinistra è troppo elevata rispetto alla pioggia che cade sui monti vicini ed inoltre esse presentano una temperatura di qualche grado più alta di quella riscontrata in altre sorgenti e nella falda freatica profonda della stessa zona. Si pensa perciò che queste acque si raccolgano in un’area estesa fino al monte Tancia, nella parte centrale della catena Sabina, e che giungano al Nera dopo un lungo percorso sotterraneo, scorrendo alla base degli spessi banchi di calcari mesozoici, tra questi e le rocce impermeabili sottostanti.

    Certo è che con l’apporto di queste sorgenti vengono ancora ad attenuarsi le differenze tra le portate di magra e quelle di piena del fiume; e che il Nera, quando raggiunge il Tevere, dopo altri 8 km. di corso quasi pianeggiante, presenta un regime eccezionalmente regolare per un corso d’acqua appenninico, più costante di quello di alcuni fiumi alpini, come il Ticino e l’Adda, che pure hanno le portate regolarizzate dai ghiacciai e dai grandi laghi prealpini.

    I laghi: il Trasimeno

    L’Umbria ospita nel suo territorio il maggior lago dell’Italia peninsulare, il Trasimeno. Esteso su una superficie di 128 kmq., inferiore di poco a quella del lago di Como, il lago ha una forma grossolanamente circolare; il suo perimetro misura circa 54 km. e la massima profondità raggiunge circa 6 metri. Il bacino d’impluvio è di 294 kmq. e gli immissari, numerosi, sono tutti di corso brevissimo e di portata assai ridotta ed irregolare; la conca non ha attualmente emissario, e costituisce pertanto una tipica area endoreica, la più vasta di tutta la regione italiana.

    Questo grande specchio lacustre offre un paesaggio tra i più dolci e riposanti: le sue basse rive, coperte di vegetazione, si protendono nell’acqua e in alcuni tratti quasi vi si confondono; tutt’intorno è un susseguirsi di colli ondulati, coperti di olivi e disseminati di casolari e di piccoli centri abitati; la superficie del lago, che si estende uniforme a perdita d’occhio, è interrotta solo da tre piccole isole, emergenti dalle acque con i loro dossi verdeggianti: a sud l’isola Polvese, che è la più vasta; presso la costa settentrionale la piccola isola Minore e, vicina ad essa, la Maggiore, la sola che abbia oggi un notevole nucleo di popolazione.

    Ma fino a quando questo paesaggio potrà conservare le sue suggestive caratteristiche? Da tempo ormai il Trasimeno è noto come il «lago malato», che vede ridurre ogni anno la sua superficie e profondità, mentre la vegetazione palustre che ha invaso le rive si spinge sempre più avanti guadagnando terreno sullo specchio d’acqua e ne ha ormai raggiunto anche il centro, dove il livello delle acque non supera oggi i 3 m. ; il lago, che si va trasformando a poco a poco in una grande palude, è destinato ad estinguersi e a scomparire entro breve periodo, se non interverrà un cambiamento delle condizioni attuali.

    E difficile dire quanta parte sia da attribuire all’evoluzione naturale e quanta all’opera dell’uomo nel processo di riduzione del lago; ma è certo che quest’ultima ha dato un contributo non indifferente, modificando in più riprese le condizioni naturali. Si cominciò col rimpicciolire artificialmente il bacino stesso del lago, quando, alla fine del XV secolo, furono deviati verso il Chiani, e quindi al Tevere, i due più cospicui immissari, il Tresa e il Rio Maggiore, ritenuti responsabili delle grandi piene del lago e delle conseguenti inondazioni che danneggiavano periodicamente le campagne e gli abitati prossimi alle sponde.

    Ma già al principio dello stesso secolo si era cercato di regolare il livello delle acque, soggetto a forti sbalzi stagionali per l’impermeabilità dei terreni che formano il bacino e il regime irregolare delle precipitazioni: Braccio Fortebraccio, signore di Perugia, dalla quale il lago dipendeva, aveva fatto scavare, a tale scopo, un emissario artificiale, sotterraneo, detto la « Cava », destinato a far defluire le acque di piena verso il bacino del Nestore. Questo però si dimostrava ben presto poco efficace, perchè le notizie di straripamenti e inondazioni continuano, e al principio del 1600, mentre si progettava di aprire un secondo sbocco del lago a sud, verso il Tresa, la « Cava » doveva essere restaurata in modo da rendere più facile e rapido lo smaltimento delle piene. Dopo questo restauro, l’emissario funzionò più regolarmente, ed i massimi livelli andarono diminuendo; ma si cominciarono anche a verificare eccezionali abbassamenti dei livelli di magra. Le inondazioni, benché meno frequenti, continuarono però a destare preoccupazioni per gli ingenti danni ai coltivi, sicché si pensò anche più di una volta alla possibilità di prosciugare completamente il lago.

    Il lago Trasimeno.

    Alla fine del secolo scorso si adottò infine, dopo varie vicende, una soluzione che avrebbe dovuto lasciare pressoché inalterato lo specchio d’acqua, eliminando nel contempo ogni pericolo per le campagne circostanti : si approfondì la vecchia « Cava », abbassandone il livello di 26 cm. e rendendola più efficiente. Nel 1900 il nuovo emissario entrava in funzione, ed iniziava una nuova fase della storia del lago: in un primo tempo, per una ventina d’anni, i più alti livelli annuali superarono quasi sempre la quota della soglia dell’emissario, raggiungendo un massimo di oltre mezzo metro al di sopra di questa, e restandone al disotto solo in qualche annata particolarmente scarsa di piogge: il regime del lago ne risultava sensibilmente regolarizzato, poiché le escursioni annue del livello furono in media di 50-60 cm., con un massimo di 81. Dal 1920 al 1942 la superficie dello specchio d’acqua rimase però quasi sempre più bassa della soglia dell’emissario, anche nelle massime piene, ad eccezione di due brevi periodi, nel 1936-37 e nel 1941, in cui riuscì a superarla. Infine, dal 1942 cominciava un continuo rapido abbassamento dei livelli, fino a raggiungere, nel 1956, un minimo di 2 m. sotto la diga dell’emissario.

    Lago Trasimeno: l’isola Maggiore.

    All’origine dell’attuale preoccupante fase di riduzione del lago sembrerebbe dunque che fosse l’attivazione del nuovo emissario, che forse ha rotto l’equilibrio tra afflussi e deflussi. Prima che questo entrasse in funzione, il regime del lago era regolato esclusivamente da due fattori : la quantità di precipitazioni cadute sul bacino, dalla quale dipendeva (e dipende tuttora) tutta l’alimentazione dello specchio lacustre, non esistendo alcun contributo da parte di sorgenti subalvee; e le perdite, calcolate in media quasi equivalenti agli afflussi, e dovute in primo luogo all’evaporazione, ed in misura molto minore all’antico emissario, che, con il suo percorso tortuoso, la ristrettezza del cunicolo sotterraneo e gli interrimenti, non poteva superare la portata di i mc./sec., e smaltiva le piene con grande lentezza.

    Lago Trasimeno: l’isola Polvese.

    L’attuale emissario, oltre ad avere la soglia un po’ più bassa del precedente, ha la capacità di far defluire fino a io mc./sec., accelerando notevolmente la discesa delle acque durante le piene; in questi casi lo specchio lacustre verrebbe così a ridursi in breve tempo nei suoi limiti normali e ne risulterebbe ridotta anche la superficie evaporante; ma ad una minima diminuzione della quantità d’acqua evaporata, corrisponderebbe una perdita ben più elevata e rapida attraverso il nuovo canale. E ciò che alcuni già prevedevano prima che il progetto di sistemazione dell’emissario fosse attuato, e che poi in effetti avvenne, forse in tempo più breve di quanto si potesse supporre, e con conseguenze tanto più gravi in quanto l’aumento del deflusso coincideva con un periodo di precipitazioni non abbondanti, che si sono andate poi riducendo sempre più specialmente negli ultimi vent’anni.

    Le condizioni in cui si trova il lago hanno fatto ritornare di attualità l’idea del completo prosciugamento, idea che già si era fatta strada nei secoli scorsi, per porre un definitivo rimedio alle inondazioni delle campagne circostanti; ora si riaffaccia con un altro scopo, quello di evitare che una ulteriore riduzione del livello dell’acqua finisca col trasformare tutto il lago in una malsana palude, come sta ormai verificandosi per larghi tratti di esso. Questa soluzione, che risolverebbe per sempre il problema idrologico del Trasimeno, non trova però tutti d’accordo: si pensa che l’estinzione di un così vasto specchio lacustre potrebbe forse portare sensibili modificazioni al clima di tutto il bacino che secondo alcuni sarebbe mitigato, nell’inverno, dalla massa d’acqua del lago (ma la scarsa profondità delle acque sembra escludere che esse possano esercitare un’azione mitigatrice sulla temperatura delle aree circostanti); e che si verrebbe ad eliminare l’attività di pesca, la quale, sia pure ridotta, costituisce ancora una risorsa per una parte della popolazione rivierasca.

    Perciò, di contro all’idea di accelerare il processo naturale già in atto, si avanzano progetti per arrestarlo, anzi per ripristinare lo specchio lacustre nella sua integrità, convogliandovi acqua anche da zone esterne al suo troppo ristretto bacino imbrifero, in modo da compensare le perdite per evaporazione e riattivare e regolarizzare in pari tempo il corso dell’emissario. Di recente sono già stati restituiti al lago i due immissari Tresa e Rio Maggiore, le cui acque vengono immesse nel bacino attraverso il fosso dell’Anguillara. Si vorrebbe inoltre far giungere al Trasimeno, mediante un canale, le piene dell’alto Tevere, che si verificano nella vai Tiberina: si eviterebbero così i danni causati dalle inondazioni in quella conca dell’Umbria settentrionale, si innalzerebbe il livello del lago arrestandone l’impaludamento, e infine le acque deviate ritornerebbero al Tevere più a valle, attraverso l’emissario ed il corso del Nestore, attenuandone l’irregolarità del regime.

    Uno scorcio del pittoresco Lago di Piediluco con il Monte Caperno.

    Il lago di Piediluco e i bacini minori

    All’altra estremità della regione è situato il lago di Piediluco, il secondo dell’Umbria per estensione, ben più piccolo del Trasimeno, ma relativamente assai più ricco d’acqua. La sua conca, di forma allungata e articolata in vari rami, che s’insinuano tra i dossi montuosi circostanti, ha la superficie di 1,52 kmq., con poco più di 13 km. di perimetro. La profondità raggiunge un massimo di 19 m. al centro del lago, di fronte al paese di Piediluco; ma oltre la metà dello specchio lacustre è profondo più di 10 m., e solo un quarto di esso meno di 4. Il fondo ha pendenze maggiori in generale vicino alle rive, e specialmente dove esso è in prosecuzione dei rilievi più elevati e ripidi che contornano la conca, cioè ai piedi del monte Luco e del monte Caperno, che si ergono uno di fronte all’altro quasi al centro del lago.

    Il bacino di alimentazione si estende su un’area di 74 kmq., elevandosi dai 368 m. del livello del lago a 1755 col monte Tilia, nel gruppo del Terminillo; poco meno di un terzo della sua superficie è al disopra dei 1000 m., ed è costituito per la maggior parte da rocce permeabili; ha il maggiore sviluppo, sia in superficie che in altezza, a levante e a nordest del lago, mentre a ponente e a sud la linea di displuvio passa sui colli immediatamente adiacenti alla conca, che la separano dal vicino corso del Velino. Alcuni piccoli rivi, che scendono dalle pendici montuose, portano il loro contributo allo specchio d’acqua, ma l’unico immissario di portata ragguardevole è il rio Fuscello (detto anche, nel basso corso, fosso di Leonessa), che raccoglie le acque di oltre metà del bacino, e dal fianco occidentale del monte Tilia scorre in una valle quasi sempre stretta, incassata e profonda, giungendo, dopo 16 km., al braccio più orientale del lago. Esso riceve l’apporto di numerose e ricche sorgenti sgorganti dai calcari, al contatto fra questi e i sottostanti scisti argillo-marnosi, disperde poi parte delle acque tra le ghiaie dell’alveo, e alla foce porta in media 120 l./sec., che d’estate si riducono a circa 80.

    Vedi Anche:  Dimore rurali e centri abitati

    In massima parte, l’alimentazione del lago dipende dalle precipitazioni, che sono in questa zona abbastanza elevate, ma che sarebbero forse appena sufficienti a compensare le perdite per evaporazione. In effetti, prima delle recenti trasformazioni apportate all’idrologia del bacino, lo specchio lacustre aveva un regime alquanto irregolare: le massime magre vi si verificavano di solito tra la metà di luglio e la metà di agosto, in corrispondenza dei minimi delle piogge (in tutto il bacino il mese meno piovoso è luglio) e della maggiore evaporazione; e le massime piene in novembre-dicembre e in marzo-aprile, cioè nei mesi più piovosi e nel periodo di scioglimento delle nevi. La differenza tra il livello di magra e quello di piena superava talvolta anche i 4 m. ; tuttavia le magre erano ben presto compensate dal Velino, con il quale il lago era collegato mediante un canale che serviva normalmente come emissario, ma, quando il livello del lago decresceva, vi portava le acque del fiume. La conca di Piediluco, come già l’antico lago Velino, aveva dunque una funzione regolatrice della portata del Velino prima del suo sbocco alle Màrmore, in quanto vi trovavano sfogo anche le piene improvvise del fiume.

    Il lago di Piediluco visto dall’aereo.

    L’intervento dell’opera umana, con l’intenso sfruttamento delle acque del Nera e del Velino per la produzione di energia elettrica, ha profondamente alterato anche il regime del lago, trasformandolo in un vasto serbatoio, in cui afflussi e deflussi sono regolati artificialmente. L’alimentazione ne è stata assicurata con l’apertura di un canale, quasi tutto in galleria, che, derivando le acque dal Nera presso Triponzo, raggiunge il lago a nord dell’abitato di Piediluco, e il cui apporto varia secondo le necessità (con una media, durante l’anno, di 16-17 mc./sec.). Lo scarico avviene per mezzo di un nuovo canale, lungo circa 400 m., largo una trentina e profondo, al centro, circa 5, che sbocca nel Velino nello stesso punto in cui sfociava l’antico emissario, ora in parte colmato; questo nuovo canale viene talvolta trasformato an-ch’esso in immissario, per convogliare al lago le acque del Velino, quando i deflussi del fiume siano superiori al fabbisogno.

    Canale immissario del lago di Piediluco.

    Sono così sensibilmente diminuite le oscillazioni di livello dello specchio lacustre.

    Il suo regime termico ha pure subito qualche variazione: l’immissione delle acque del Nera ha fatto lievemente abbassare la temperatura estiva in superfìcie, mentre si è elevata quella dei mesi invernali; restano comunque differenze non trascurabili nella temperatura superficiale tra un punto e l’altro del lago, e tra le zone vicine alle rive e quelle centrali: differenze dovute in parte alla varia distanza dallo sbocco del canale immissario, in parte alle diverse condizioni di soleggiamento delle singole zone. Il fenomeno del congelamento non è frequente e si verifica solo negli inverni più rigidi: assai raramente la crosta ghiacciata può ricoprire l’intero specchio lacustre, con uno spessore di pochi centimetri e sempre per pochi giorni.

    Oltre al Trasimeno e al lago di Piediluco, non esistono nell’Umbria conche lacustri di notevole interesse. Qualche ristagno d’acqua si può trovare in corrispondenza di alcune conche carsiche, come nel già ricordato padule di Colfiorito, ai confini con le Marche, e nel piccolo lago di Firenzuola, a nordest di Acquasparta. Il primo, di forma quasi circolare, con poco più di i km. di diametro, si riduce d’estate ad un acquitrino coperto di ninfee e di canne palustri ; le acque vengono smaltite attraverso un inghiottitoio, forse in parte artificiale, e molto probabilmente contribuiscono all’alimentazione di alcune sorgenti della valle del Topino. Il laghetto di Firenzuola, assai più piccolo e situato quasi sullo spartiacque della catena Martana, è un tipico lago di dolina con specchio d’acqua perenne. Della stessa origine sembra essere un’altra piccolissima conca lacustre (« il Lago »), che s’incontra presso la cima del monte Pietrolungo, sulle pendici sudorientali del Subasio. Infine lungo la catena dei Sibillini sono sparsi numerosi laghetti, che occupano il fondo di piccole doline: uno dei più notevoli è quello che si trova nel piano Piccolo (« il Laghetto »), lungo poco più di 200 m. e presso il quale si notano alcune minori pozze d’acqua.

    Lago di Piediluco: veduta parziale; sul fondo i monti Reatini.

    Caratteristico è un altro minuscolo lago, detto « l’Abisso », situato presso Bevagna, in una piccola conca di 25 m. di diametro, tra il corso del Timia e il Topino, verso il quale defluisce l’emissario. Le sue acque azzurre e freschissime, alimentate da sorgenti profonde, che mantengono invariato il livello anche nei periodi di grande siccità, sono circondate da pioppi ed erbe palustri; nella sua fauna si trovano pesci del genere Leuciscus, con atrofia oculare.

    Una piccola conca lacustre si forma anche dove sgorgano le fonti del Clitunno: le acque, che escono copiose dalla montagna, prima di incanalarsi nell’alveo del fiume si espandono in un laghetto di pochissima profondità, nel quale si specchiano i pioppi e i salici piangenti che ne adornano le verdi sponde.

    La circolazione sotterranea e le sorgenti

    Già si è accennato all’importanza della circolazione sotterranea nella zona calcarea defl’Umbria orientale e meridionale. Ovunque affiorino i calcari mesozoici, soprattutto del lias e del cretaceo, ricoperti di un sottile strato di terreno vegetale e profondamente fessurati, le acque di pioggia e quelle che provengono dallo scioglimento delle nevi s’insinuano nei meati delle rocce e penetrano fino ad incontrare gli strati di terreni impermeabili che ne arrestano la discesa. Si stabilisce così, all’interno dei massicci calcarei, una rete assai complicata di cunicoli e di cavità orizzontali e verticali, attraverso le quali l’acqua defluisce, per raccogliersi in basso e formare falde e talvolta veri serbatoi sotterranei che possono immagazzinare anche grandi quantità d’acqua.

    Di solito la falda acquifera esce in superficie dove vengono alla luce gli strati di rocce impermeabili: ciò che avviene normalmente presso il solco dei fondi vallivi, nei quali l’erosione ha inciso profondamente i banchi calcarei. Ma le sorgenti possono manifestarsi anche a livelli più elevati, sia per l’interposizione, fra le rocce fessurate, di strati impermeabili, sia per la saturazione idrica dei terreni sottostanti; in quest’ultimo caso le acque sopravvenienti dovranno deviare lateralmente e trovare una via d’uscita sui fianchi dei rilievi.

    A seconda delle condizioni di alimentazione del bacino sotterraneo, le sorgenti possono essere costanti, o intermittenti, o presentare variabilità stagionale in relazione con il regime pluviometrico; ma il massimo deflusso delle acque sotterranee è sempre ritardato, anche notevolmente, rispetto ai periodi di più intensa piovosità, il che costituisce, come si è osservato per il bacino del Nera, un importante fattore di regolarizzazione del regime dei corsi d’acqua.

    Le celebri fonti del Clitunno.

    Caratteristico è l’allineamento di numerose piccole sorgenti lungo lo spartiacque appenninico, dove i calcari fessurati vengono a contatto con altre formazioni non permeabili (scisti calcarei e dolomie), che sbarrano, come dighe naturali, i serbatoi interni, dai quali l’acqua trabocca in polle limpide e freschissime. Sgorgano a quote variabili dai 600 agli 800 m., ed hanno per lo più portate abbastanza costanti, con minimi di qualche decina di litri al secondo; per la loro purezza sono in parte utilizzate per rifornire di acqua potabile i centri abitati, particolarmente le sorgenti dei dintorni di Gualdo Tadino e delle pendici del monte Pennino, sopra Nocera. Tra queste ultime, la più notevole è quella di Bagnara, nell’alta valle del Topino, che fornisce ordinariamente 250 l./sec. e le cui acque vengono portate con un acquedotto fino a Perugia.

    L’alta valle del Menotre, affluente del Topino è pure ricca di sorgenti, tutte di portata limitata, ad eccezione di una potentissima che scaturisce presso Rasiglia (a 690 m.) con circa 700 l./sec.; e dalla stessa dorsale montuosa sono alimentate le già ricordate sorgenti del Clitunno, assai più copiose (1300-1500 l./sec.) e poste più in basso, ai margini della valle Umbra, il cui fondo alluvionale si appoggia alle rocce calcaree.

    Sorgenti superficiali e subalvee si ritrovano inoltre in tutta l’alta valle del Nera e dei suoi affluenti, specie il Vigi e il Corno, che incidono i loro solchi nelle formazioni rocciose più permeabili, ed i cui bacini di alimentazione, grazie alla circolazione sotterranea, si estendono probabilmente ben oltre lo spartiacque superficiale, a giudicare dalle portate complessive, che superano anche notevolmente la quantità di pioggia caduta nella zona.

    Per il basso Nera si potranno ancora ricordare le ricchissime sorgenti della gola di Narni, delle quali si è detto in precedenza, e che sono le più abbondanti di tutta la regione. E l’elenco potrebbe continuare con le sorgenti della conca di Terni, del Subasio, della catena Martana, che tutte insieme portano il loro prezioso contributo alla vita delle colline e delle verdi piane dell’Umbria.

    Accanto alle sorgenti comuni, le cui acque sono sempre più o meno calcaree, per la stessa natura dei terreni che attraversano prima di giungere alla superficie, non mancano le acque cosiddette minerali, caratterizzate per lo più dalla bassa percentuale dei sali che vi si trovano di sciolti e quindi da una notevole leggerezza, che le rende particolarmente apprezzate nella cura dei disturbi dell’apparato digerente.

    L’acqua acidulo-alcalina di Sangémini, che scaturisce, al contatto fra i ciottoli e le marne lacustri del pliocene, a poca distanza dall’omonima cittadina, è ben nota anche fuori dei confini della regione. Le sue proprietà terapeutiche furono scoperte solo al principio del secolo scorso, ma forse già i Romani le conoscevano: non lontano dall’attuale stabilimento di cura sorgeva infatti, lungo l’antica Flaminia, il centro

    di Càrsnlae, che da qualche anno gli scavi archeologici stanno riportando in luce, e la cui topografia e soprattutto l’esistenza di edifici come il teatro e le terme, sembrano rivelarne la funzione di luogo di soggiorno e di cura. Del resto, a non grande distanza dalle rovine di Càrsulae, erano frequentate già ai tempi romani le fonti deirAmerino (che anche Plinio menziona), le cui acque, come quelle di Furapane, presso Acquasparta, hanno proprietà analoghe all’acqua di Sangémini, pur essendo oggi meno note e di importanza quasi soltanto locale. Dalle stesse pendici della catena Martana, sulla destra del torrente Naia, sgorga la sorgente di San Faustino, pregiata per le sue acque bicarbonato-calciche.

    Le sorgenti di Nocera Umbra, conosciute da secoli (erano note fin dal 1500 e furono cantate dal Redi), hanno dato fama alla piccola città della valle del Topino, che in passato fu anche residenza estiva di papi. In realtà, più che di un’acqua minerale, si tratta di acqua potabile fredda, purissima, debolmente calcarea, che sgorga da due fonti principali, la sorgente Angelica e la sorgente del Cacciatore, situate non lontano da Nocera, sulle pendici del monte Pennino.

    Sorgenti di acque sulfuree e ferruginose si trovano inoltre un po’ dovunque; tra le più note, possono essere ricordate: quelle della gola del Nera, sotto Narni, delle quali è particolarmente rinomata la sorgente del Lecinetto ; le fonti di Parrano, presso Orvieto; la sorgente di San Galgano, vicino a Perugia; e quella di Fontecchio, nei pressi di Città di Castello, la cui acqua alcalino-solforosa è usata, oltre che per bevanda, anche per bagni. Acque bromo-iodiche affiorano nella valle Umbra, non lontano dalla stazione di Assisi.

    Una sola sorgente termo-minerale è presente in Umbria: è quella dei Bagni di Triponzo, sulla strada Spoleto-Norcia, a circa 2 km. dal paesello di Triponzo; l’acqua, sulfurea, scaturisce fra due strati di calcare, da sette polle vicinissime, ad una temperatura di circa 3i°C, e fu già utilizzata in un modesto stabilimento, ora caduto in abbandono.